Vi presento Joe Matt/3
Si conclude con questa terza puntata lo speciale Joe Matt. Non ne sapete niente? Bene, allora andatevi subito a leggere la PRIMA e la SECONDA parte e poi tornate qui.
E’ l’aprile del 1994 quando esce Peepshow #6 e Matt si è dimostrato fino a quel punto un cartoonist dai ritmi piuttosto serrati, con 6 comic book pubblicati in 2 anni. Raccontate con discreta minuzia le sue vicissitudini sentimentali, si rende conto che è tempo di cambiare e di passare ad altro, magari a una storia lunga che tutti possano leggere dall’inizio alla fine senza sapere assolutamente nulla di lui. Matt pensa già al graphic novel: in testa ha il volume, ancor più dei singoli albi, anticipando un approccio (anche di marketing) che sarà fatto proprio dalla stessa Drawn & Quarterly. Peepshow #7, pubblicato a marzo del 1995, è così il primo episodio di Fair Weather, una storyline – da noi tradotta da Coconino con il titolo Il bel tempo – che si svilupperà in quattro puntate, fino al #10 datato luglio 1997. Siamo sempre dalle parti del fumetto autobiografico ma stavolta l’attenzione non è sul presente ma sul “dorato” periodo della gioventù. In questa nuova storia si raccontano infatti le vicende di un weekend estivo degli anni ‘70 in quel di Lansdale, Pennsylvania, dove il giovane Joe è un ragazzino biondo già collezionista di fumetti e gadget, egoista, pigro e codardo. La prima parte si apre con tre pagine di corsa in bicicletta di Dave, amico di Joe e comprimario della storia, che i lettori più fedeli avevano già conosciuto – a dire il vero sotto tutt’altro aspetto fisico – in una pagina di Peepshow! – The Cartoon Diary of Joe Matt intitolata appunto My Best Friend… (As a Kid) “Dave”. La corsa del ragazzino tra villette a schiera, salite, discese e strade sterrate ci sintonizza subito sulle giuste frequenze tematiche ed emotive, facendoci quasi sentire l’aria di quella lontana estate nei sobborghi. E a pagina 4 ecco arrivare il giovane Joe, capelli un po’ lunghi e riga da una parte, che sale dietro alla bicicletta dell’amico. Gli ha chiesto un passaggio in bici perché spaventato da Rizzo, un bullo del quartiere, che in realtà – si scoprirà in seguito – non aveva tutti i torti a prendersela con lui, dato che si era accorto consultando la classica Comic Book Price Guide di essere stato fregato in diversi scambi di fumetti. Insomma, abbiamo subito a che fare con il solito Joe Matt: attaccato alle cose materiali, tirchio, avido, cacasotto. E anche politicamente scorretto: come in Peepshow #1 faceva un occhio nero a Trish, qui si mette insieme a Dave a prendere di mira Gail, una ragazzina mentalmente disabile che i due prima costringono a cantare e poi deridono senza pietà. E poi lo definivamo avido e attaccato alle cose materiali? Eccolo qui perseguitare un ragazzino del paese che sembra avere in casa una copia di Action Comics #1. O maltrattare la nonna perché gli ha regalato dei fumetti mezzi rovinati, che non sono “mint” come piacciono a lui.
Siamo a questo punto già al numero successivo, in cui altre situazioni ci ricordano del Joe Matt che abbiamo conosciuto da adulto. L’accidia è una delle sue caratteristiche e qui la vediamo già bell’e pronta, dato che si rifiuta in tutti i modi di accontentare la madre falciando il prato di casa e per punizione lei gli fa sparire tutti i fumetti dalla libreria. “Dove sono” urla in lacrime dopo aver trovato la cameretta vuota. E poi, in un’escalation, quando lei gli dice che li ha buttati: “Stai mentendo! Bugiarda! Bugiarda!”. E ancora “Non avevi nessun diritto”, “Mi devi diecimila dollari!”, “Mi auguro per te che siano nella tua stanza!”. L’episodio rispecchia un rapporto con i genitori non certo idilliaco, oltre che l’insolenza di Joe, sempre pronto a rispondere male, a lamentarsi, a ribellarsi. Quando all’inizio del #10 la madre vuole portarlo a messa, lui nel tentativo di ritrovare i suoi fumetti rintraccia in un cassetto la copia del libro Helter Skelter di Bugliosi e Gentry, che gli era stata sottratta perché poco adatta alla sua età (d’altronde è sul caso Manson), e fuori di testa apostrofa la madre con un sonoro “Fuck you!”. Non manca l’altra caratteristica del Matt adulto, il voyeurismo, di cui vediamo una sorta di prequel quando spia le donne di un centro benessere prendere il sole in topless. Si tratta di un posto segreto suggeritogli da Dave, ma saprà Joe tenere la cosa per sé o la userà come merce di scambio per procurarsi altri fumetti? La risposta la conoscete già.
Al di là di qualche screzio inevitabile a quell’età, il rapporto tra Joe e Dave è senz’altro la nota positiva della storia, oltreché il fulcro della stessa. “Volevo fare un fumetto che parlasse di due persone e non di una sola – racconta Matt a The Comics Journal nel ‘96 – Non so se si capisce, se è chiaro che parla di questi due amici, o sembra che sia solo su di me. Ma nella mia testa volevo concentrarmi sul rapporto di amicizia”. Con Dave il protagonista condivide la passione per i film dell’orrore presentati dal Dr. Shock, anfitrione di un popolare show televisivo andato in onda in Pennsylvania in quegli anni e che sarà ospite proprio quel fine settimana alla fiera di Lansdale. Passo dopo passo la trama converge verso quella domenica sera, che però alla fine non ci sarà mostrata, perché il finale di Peepshow #10, numero speciale lungo 32 pagine, è il classico anticlimax. Fair Weather è un autentico ritratto dell’artista da giovane, incentrato su episodi che descrivono una gioventù ma senza segnarla: qui non si racconta un’avventura alla Stand By Me ma un fine settimana qualsiasi. E quindi sarebbe sbagliato definire questa storia come un romanzo di formazione, perché alla fine il protagonista rimane esattamente come prima, anzi, potremmo dire che in queste pagine si gettano le basi della personalità disfunzionale del Joe Matt adulto.
Pur non riuscendo a far ridere come lo story-arc precedente (e francamente sarebbe stato impossibile, visti i temi in gioco), la storia ospitata su Peepshow #7-10 è una lettura divertente che dimostra ancora la capacità di Matt nel raccontare. Qui il suo cartooning è fluido come pochi, fatto di inquadrature semplici ma efficaci, di un’espressività senza eguali, di tempi narrativi e comici scanditi da un metronomo. Insomma, si finisce a girare le pagine alla velocità della luce, ed è quasi un peccato, perché divorare queste storie così in fretta non fa nemmeno apprezzare la qualità intrinseca dei disegni, più ariosi e meno compressi rispetto al passato, grazie all’utilizzo di vignette più grandi e di pagine costruite sempre in maniera diversa. A livello artistico, Fair Weather è la summa del perfezionismo di Matt, l’esaltazione del suo segno pulito e chiaro, reminiscente dei classici della strip americana. Ed è anche la massima espressione del suo maniacale perfezionismo, che lo porta a cancellare e a ritoccare ogni singolo particolare, principale causa – insieme alla pigrizia – della cadenza sempre meno regolare delle sue pubblicazioni.
“Ti senti molto più libero quando sei solo. Nessuno ti guarda. Nessuno mi guarda mentre spreco intere giornate. Nessuno mi guarda mentre sto lì a non fare niente. E soprattutto nessuno mi giudica. Ma comunque penso di dare il meglio di me in una relazione, perché stare insieme a qualcuno comporta delle responsabilità e quindi anche io mi sento più responsabile. Da solo, sono autoindulgente e masturbatorio. Ma sono felice! In un certo senso sono felice, in quel modo lì. Ma non a lungo termine… A un certo punto non ne puoi più”. Questa riflessione, pubblicata nella già citata intervista di The Comics Journal #183 del gennaio 1996, potrebbe essere considerata in qualche modo un preludio a Spent, la nuova storyline di Matt. E’ una storia frammentata, caratterizzata da un’unità tematica e stilistica più che di azione. Se con Fair Weather l’autore aveva aderito in tutto e per tutto al format emergente del graphic novel, in Spent già lo rompe presentando ai lettori non una narrazione nel senso classico del termine ma una digressione su un tema. Le vicende si svolgono su piani temporali differenti ma ugualmente utili a fotografare la condizione dell’autore/protagonista. E non è una condizione eccellente, come si potrà intuire dal titolo. Spent (letteralmente “esausto”) rimanda da una parte allo stato del protagonista dopo che si è masturbato anche venti volte al giorno, dall’altra a una più generale sensazione di “non poterne più”, che lo porta a percorrere il circolo vizioso della pigrizia e dell’infelicità. Alle sonore risate, inevitabili a ogni rilettura, è impossibile non accompagnare di tanto in tanto un sorriso amaro. Il primo capitolo esce su Peepshow #11 del giugno 1998, in cui la serie cambia formato, abbandonando quello del classico 17×26 cm per passare al più piccolo 15×23 cm. Inoltre appare per la prima volta il colore. I numeri dall’11 al 14 di Peepshow sono stampati in bianco, nero e rosso, a differenza della raccolta in volume, in cui il rosso scomparirà per lasciare spazio a un verde tenue che non colorerà solo i dettagli ma anche gli sfondi: una scelta non certo riuscita, che avrà l’effetto di penalizzare la linea pulita ed elegante di Matt, appiattendo notevolmente le tavole.
E’ il 1994 e in un negozio di libri usati, a Toronto, Matt trova una raccolta della striscia Birdseye Center, di cui gli aveva parlato Seth, e la soffia all’amico acquistandola per soli 10 dollari. Seth va su tutte le furie e ne nasce il solito battibecco tra i due, in cui Matt mette in mostra come sempre taccagneria e grande cocciutaggine, mentre Seth – dopo aver visto un tipo che parla ad alta voce al cellulare – distoglie l’attenzione dal fumetto per lanciarsi nel suo solito sproloquio contro il presente, a favore dei magici “tempi che furono” (“I fuckin’ hate this modern world we’re livin’ it” esclama in una vignetta). Dopo un flashback che riprende il giovane e impacciato Matt di Fair Weather alle prese con una bambina bionda, la scena cambia e assistiamo all’adulto protagonista che incontra il suo spacciatore di VHS porno. Ma l’atmosfera non è certo idilliaca e se Omar è un erotomane guardone compulsivo, Matt si fa prendere dai sensi di colpa e comincia a interrogarsi sulla sua dipendenza dalla pornografia. “Si tratta solo di soldi – riflette il nostro – e persone come me e te sono dei complici. Siamo noi i consumatori. Sono i nostri soldi a pagare queste ragazze. E’ proprio squallido, se ci pensi… Pagare della gente perché si faccia guardare mentre fa sesso…”.
Per Peepshow #12 bisogna aspettare quasi due anni, dato che esce nell’aprile del 2000. E’ lo stesso protagonista a spiegarcene il motivo, leggendo la biografia di Frank King pubblicata su The Smithsonian Collection of Newspaper Comics e paragonandola alla sua: se l’autore di Gasoline Alley realizzò una striscia al giorno per oltre 40 anni, lui ha avuto un crollo della produttività da quando è finita la sua relazione con Trish. La storia alterna il tempo presente a Toronto con un flashback di un episodio del passato, a Lansdale nel 1980. Il parallelismo è dato dalla condizione di Matt: chiuso in camera con due videoregistratori per montare la VHS porno perfetta (ossia senza volti maschili), l’ormai ultratrentenne Matt è soltanto una versione adulta del bambino che si chiudeva in bagno ad aspettare l’inizio di Bedazzled (Il mio amico il diavolo in italiano) per toccarsi davanti a Raquel Welch. Per tutto l’episodio il protagonista non esce dalla stanza, al punto che – quando si accorge che la sua “pee bottle” è piena fino all’orlo – arriva a pisciare in una tazza da tè per non correre il rischio di incontrare la sua coinquilina o, peggio ancora, la padrona di casa. Insomma, la trama latita e può essere ricondotta alla frase “il protagonista sta chiuso in una stanza a masturbarsi”, come se Matt avesse deciso di rinunciare al racconto per mostrare ai lettori quanto è caduto in basso.
Peepshow #13 esce a febbraio 2002 e consta di ben 32 pagine, 8 più del solito. Si tratta di un altro episodio tematico ma, se nel numero precedente il set era la stanza di Matt, adesso è il ristorante Tony’s di Toronto, dove va in scena una conversazione lunga tutto il comic book, in cui il protagonista viene preso continuamente in giro da Seth e Chester Brown. Al centro i soliti temi (masturbazione, porno, collezionismo, fumetti, soldi, misoginia e la fascinazione per una ragazza sin troppo giovane), sviscerati con dialoghi frizzanti e un crescendo di gag che porterà al divertentissimo finale, diretto seguito delle vicende del numero precedente. Forse uno dei fumetti non sperimentali più statici di sempre – al pari della prima parte del Clyde Fans di Seth – Peepshow #13 riesce anche ad essere, grazie al talento di Matt, uno dei più divertenti della serie e dimostra come si può fare ottimo fumetto con pochi elementi e senza grosse trovate formali. Lo stesso discorso vale d’altronde per tutta la storyline, raccontata interamente con una griglia di otto vignette sviluppate in orizzontale, senza nemmeno una pagina diversa dalle altre: un ritorno alla regolarità dopo la libertà che l’autore si era concesso in Fair Weather.
Se qualcuno si lamentava perché Peepshow usciva assai di rado, le cose con il #14 andarono anche peggio. Il nuovo numero arriva infatti a quasi 5 anni dal precedente, ossia nel novembre del 2006, quando l’autore si è già trasferito a Los Angeles. “Questo numero porta a conclusione la mia storia più recente – scrive Matt nella pagina della posta – ambientata a Toronto. E sì, sarà raccolta in volume l’anno prossimo. E per rispondere alla tua domanda a proposito delle mie intenzioni a proposito di questa storia… Beh, essenzialmente ho voluto riassumere o lasciare traccia di un particolare periodo della mia vita. Ovviamente il mio obiettivo iniziale era molto più ambizioso… Speravo di raccontare con precisione l’esasperazione e la schizofrenia che derivano dalla dipendenza… Il continuo andirivieni tra il tentare di uscirne fuori e il rassegnarsi definitivamente ad essa abbracciandola”. Questa analisi raggiunge il suo compimento in queste pagine, dove l’autore si fa strada tra le sue compilation porno e le strisce di Gasoline Alley per riflettere amaramente su nevrosi, depressione e addirittura morte. Non si risparmia Matt, e senza alcun pudore si descrive com’è, con una consapevolezza che sfocia a volte nell’autodenigrazione, tanto da apparire come una specie di reietto depresso pieno di disprezzo per la vita e per se stesso. Anche il suo lavoro passato viene preso di mira, e così lo vediamo sfogliare i volumi di The Poor Bastard e Fair Weather inorridendo per alcune scelte di disegno e di scrittura. E coglie anche l’occasione per confessare al lettore che non tutto quello che ha raccontato è successo veramente, definendo The Poor Bastard “half fabrication” e ammettendo di essersi completamente inventato la scena finale del ménage à trois. Ma non c’è da stupirsi: basta leggere i fumetti di Matt per rendersi conto che non tutto può essere vero, perché le gag sono così perfettamente costruite da dover essere necessariamente fiction. “Non credo che il mio lavoro rispecchi la realtà in tutto e per tutto – aveva detto Matt nell’intervista pubblicata nel #162 di The Comics Journal – I miei fumetti hanno una componente fittizia, nel senso che è normale mettere insieme degli eventi distanti nel tempo o inventarsi qualche particolare per dare un po’ di pepe alla storia. E poi io tendo a drammatizzare le cose (…). E’ normale esagerare per far ridere i lettori”. Insomma, se non fosse ancora chiaro il Joe Matt autore e il Joe Matt personaggio non sono affatto la stessa cosa, per quanto noi lettori tendiamo inevitabilmente a identificarli. Peepshow #14 si conclude con Maude, la gatta della sua vicina di casa e unico motivo di gioia per Matt, che caga addosso all’autore. Un finale davvero esplosivo, nel senso letterale del termine.
Ma che fine ha fatto Joe Matt? La domanda è lecita, perché stiamo parlando a tutti gli effetti di un autore uscito dai radar del fumetto. Se, come abbiamo detto, il #14 di Peepshow è del 2006, dell’anno successivo è Spent, raccolta dei #11-14, in italiano profeticamente tradotto da Coconino come Al capolinea. Nel frattempo il nostro si è trasferito a Los Angeles, ha una nuova fidanzata, si è più volte iscritto e cancellato da Facebook e ora ha anche un account Instagram e un gatto bianco di nome Seymour. Se poi vogliamo parlare di fumetti, beh, non si è visto granché di suo, a parte un paio di fugaci apparizioni. Nel 2015 è uscito un fumetto inedito a firma Matt sulla voluminosa celebrazione dei 25 anni di Drawn & Quarterly (Drawn & Quarterly: Twenty-Five Years of Contemporary Cartooning, Comics, and Graphic Novels), che doveva essere inizialmente la prima parte di Peepshow #15. “E’ difficile immaginare che un’era del genere sia mai esistita – scrive nell’introduzione l’editore Chris Oliveros – ma sì, c’è stato un breve periodo in cui Joe Matt era un fumettista prolifico”. Seguono 15 pagine di fumetto suddivise in brevi episodi, in cui Matt racconta del suo trasferimento a Los Angeles, ci aggiorna sulla sua situazione sentimentale, discute dell’opera di Robert Crumb e disegna il discorso d’addio dedicatogli da Seth al momento di lasciare Toronto.
Nel 2016 la piccola casa editrice di Denver Kilgore Books ha invece pubblicato l’esilarante Paid for It, un mini-comic di sole 8 pagine in cui Matt ribalta le situazioni di Paying for It di Chester Brown assegnando all’amico il ruolo del gigolò. Da allora più niente, anche se va detto che nel 2020 sono cominciati ad apparire dei post su Instagram che mostravano altre pagine destinate a Peepshow #15. Il progetto precedente – quello visto sul volume celebrativo di Drawn & Quarterly – è stato infatti abbandonato a favore di una nuova storia, ambientata almeno in parte nel 2002, e di un racconto breve sull’esperienza dell’autore con la HBO. Anche in questo caso però, nonostante le pagine fossero addirittura già inchiostrate e letterate, non si hanno più novità e l’ultimo post in questo senso è del settembre 2020. Chissà a questo punto se, tra un’interruzione e un ripensamento, Matt riuscirà a far ripartire una serie ferma al momento da ben 17 anni. Io ovviamente spero di sì, e sono convinto che sarebbe bello e al tempo stesso strano, come assistere alla reunion di una band che non avresti mai pensato di riveder suonare.
Vi presento Joe Matt/2
Questa è la seconda parte dello Speciale Joe Matt. Qui trovate la prima parte.
La serie regolare di Peepshow debutta all’inizio del 1992 per Drawn & Quarterly, con il #1 che porta la data di febbraio. Già dalla prima tavola il cambiamento è evidente rispetto ai fumetti pubblicati sulle antologie e poi raccolti in volume da Kitchen Sink. Se The Cartoon Diary of Joe Matt si chiudeva infatti con una fittissima tavola di 20 vignette, la pagina iniziale di Peepshow #1 presenta una geometrica e ordinata struttura a 6 vignette, che sarà costante per tutto il primo arco narrativo. La pagina è divisa verticalmente in due e il taglio è sempre al centro esatto. L’unica eccezione è rappresentata da qualche sporadica apertura, come a pagina 2 del #1, occupata per ⅔ da una grande illustrazione di Joe e Trish che mangiano nel loro appartamento di Toronto mentre leggono, lui del tutto indifferente alle sollecitazioni di lei. A una struttura ariosa e meno asfissiante che in passato si accompagna un disegno curato e rifinito, con una maggiore cura del dettaglio. D’altronde è logico che, trovandosi a realizzare meno vignette, Matt possa dedicare una quantità di tempo maggiore a ognuna di esse. Le linee sono così spesse e sicure, i contorni dei personaggi marcati, tanto da fargli assumere una nuova solidità, come se ci trovassimo in una sorta di iper-realtà che in qualche modo contribuisce a rendere le vicende più autentiche. Volendo prendere un esempio di questo nuovo approccio di Matt, possiamo guardare al modo in cui disegna le labbra: soprattutto quelle del protagonista non sono la solita linea sottile ma si presentano spesse e pronunciate, a volte esagerate come nella copertina del #2, che gli procurerà un bel po’ di critiche da parte dei lettori. Per quanto riguarda il tono del racconto, il paradosso e la risata sono sempre dietro l’angolo, ma stavolta è come se Matt ci volesse far capire che non siamo davanti a una barzelletta ma ai fatti veri (o quasi) della sua vita. Non ci sono più i pezzetti di realtà sporadici e isolati delle storie precedenti, pensati per essere autoconclusivi e pubblicati su antologie. La serialità porta un approccio tutto nuovo, perché in un serial qual è adesso Peepshow ciò che accade in un numero ha inevitabilmente i suoi effetti sull’uscita successiva.
La copertina del #1 ci mostra Matt da solo in mare, appoggiato su una ciambella, sorridente e con un cocktail in mano. In alto, sotto al titolo della testata, la dicitura Greetings from Ipanema! Ma siamo a Rio de Janeiro dunque? Non di certo, il riferimento è alla nuova fissazione di Joe, con una trama che si riallaccia a quanto raccontato in precedenza. Dopo l’orientale massaggiatrice shiatsu Matt prende di mira un’altra ragazza dai tratti esotici, soprannominata “the girl from Ipanema” perché incontrata in una copisteria mentre in sottofondo suonava il celebre pezzo di bossa nova. Intanto Joe e Trish non fanno altro che litigare, su qualsiasi argomento possibile. Il piantagrane della situazione è ovviamente Matt, sempre nervoso e intrattabile quando sta con la fidanzata, per poi farsi prendere dalla paranoia di essere lasciato quando parla con Seth e Chester Brown. Al culmine di un litigio particolarmente intenso, Matt sbotta e picchia Trish facendole un occhio nero. Il fattaccio non viene mostrato ai lettori, che si limitano ad assistere alla litigata e poi al dialogo con Seth in cui Matt confessa di aver picchiato Trish. E infine nella scena seguente la ragazza mostra i chiari segni del colpo.
Pur raccontata in modo indiretto, la scena contribuisce ancora oggi alla fama di Matt, che oltre a essere ricordato come “il fumettista che si è fatto mollare per aver raccontato tutto di sé nei fumetti” (come vedremo in seguito) è anche “il fumettista misogino e segaiolo che ha fatto un occhio nero alla fidanzata”. Probabilmente oggi un editore come Drawn & Quarterly – lo stesso del caso Berliac, se ricordate – non pubblicherebbe mai un fumetto come Peepshow #1. Ma all’epoca la situazione non si discostava molto da altre già viste nei comix del passato o negli alternative comics contemporanei, basti pensare – senza andare troppo lontano – a Crumb che salta addosso alle donne e a Buddy Bradley che praticamente stupra Lisa o che approfitta della sua posizione di tour manager per andare a letto con una disinteressata fan. E comunque, pur lontani da ciò che sarebbe successo oggi, anche all’epoca Matt non godé certo di ottima fama. Un buon esempio è questo paragrafo che Eric Reynolds dedicava a Matt sul #162 di The Comics Journal. “Un sacco di gente ama i fumetti di Joe Matt, ma nessuno sembra amare Joe Matt (tranne Chester Brown e Seth, forse). Matt sembra determinato a ritrarre ogni riprovevole aspetto della sua personalità, dalle tecniche di masturbazione al suo comportamento anale/ritentivo fino a quando arriva a picchiare la fidanzata. Purtroppo Matt continua a cadere sempre più in basso, per nessun’altra ragione apparente che il sensazionalismo. E arriva al paradosso di far passare l’inferno alle sue fidanzate nei fumetti, per poi lamentarsi quando loro non lo vogliono più (chissà perché). Matt è un eccellente cartoonist, che riesce spesso nell’impresa di far entrare una grandissima quantità di vignette in una sola pagina, ma la sua completa mancanza di autoconsapevolezza e di sensibilità rendono la lettura dei suoi fumetti un’esperienza davvero frustrante”. Che Matt manchi di sensibilità è abbastanza evidente, ma non credo che ciò sia altrettanto vero per l’autoconsapevolezza, perché questi fumetti sono in qualche modo una lunga seduta di analisi in cui l’autore sembra al tempo stesso condannare se stesso e compiacersi. In ogni caso ci pensarono i lettori a metterlo di fronte alla realtà. La pagina delle lettere di Peepshow è una delle più divertenti di sempre, con i fan – se così vogliamo chiamarli – che non si fanno problemi a criticare brutalmente il personaggio Joe Matt, senza paura di risultare troppo franchi. Si usava così all’epoca d’altronde, e basta dare un’occhiata alle missive pubblicate sul #2 per averne conferma, con l’apertura riservata a Mark Daly da Amherst, Massachussets, che osservava con semplicità: “Dear Joe, Peepshow #1 really disturbed me”. Poche righe sotto articolava meglio il concetto Barton Deiters da Williamston, Michigan: “Caro Joe, dopo aver visto che razza di bastardo egoista e sconsiderato sei in Peepshow #1, la mia ragazza pensa che io sia un principe! Grazie per far sembrare tutti noi altri delle persone in gamba. P.S. Trish ti ha già mollato?”. Non mancano le lettere dei colleghi, tra cui lo stesso Peter Bagge da Seattle: “Joe, ti scrivo per farti sapere che Peepshow #1 mi è piaciuto un sacco. Però devo dirti un’altra cosa: tra questa storia e quel fumetto che Seth ha fatto su di te in D&Q, hai sviluppato un personaggio davvero negativo agli occhi del pubblico. Ma hey, è un problema tuo! Per quanto mi riguarda è divertente da leggere. Buona fortuna”. Da San Francisco arriva invece il parere di Ed Brubaker, all’epoca ancora un fumettista emergente e lontano dal successo di pubblico. “Hey Joe, ti volevo far sapere che Peepshow #1 è il miglior esordio di un fumetto che io ricordi di aver letto. Non ho mai visto una storia in cui il protagonista è così clamorosamente antipatico. E’ una storia molto onesta, non si può leggerla e non pensare ‘che stronzo!’. Ma al tempo stesso ci si può identificare con te. Davvero inquietante. Sei il Robert Crumb degli anni ’90!”.
Ma torniamo alle vicende del personaggio Joe Matt, che continua a essere insopportabile con la fidanzata e ad evitare persino le avance sessuali di lei. Ormai è concentrato su Frankie, la “ragazza di Ipanema” entrata stabilmente nella sua cerchia di amici dopo essere diventata collega di lavoro di Trish. Matt ne è infatuato al punto che, quando lei gli appare sotto forma di immagine mentale mentre si masturba, lui ne allontana la visione perché troppo “perfetta” per essere degradata a materiale dei suoi solitari orgasmi. A un pranzo in cui sono presenti sia Trish che Frankie – oltre a Seth, Brown e altri amici – ignora la fidanzata e si rivolge all’altra tutto entusiasta parlandole dei suoi View-Master. Tutto ciò è raccontato con dovizia di particolari nelle sue tavole, che Matt realizza quando riesce a vincere la pigrizia e a mettersi a lavoro. Va da sé che quando Trish – e siamo a questo punto a Peepshow #2 – trova in casa le tavole realizzate da Matt va su tutte le furie. L’episodio rimarrà leggendario, tanto che Matt viene ricordato ancora oggi – lo dicevo poco fa – come il fumettista che si è fatto mollare dalla ragazza per aver raccontato le sue perversioni nei fumetti. Difficile davvero fare più di lui, in questo senso. Ma potremmo anche vedere questi fumetti da un altro punto di vista, ossia come una confessione, o addirittura come il tentativo più o meno inconscio di farsi mollare, non avendo il coraggio di prendere l’iniziativa e mettere fine a una relazione ormai in piena crisi. D’altronde come poteva sperare che Trish rimanesse con lui dopo aver letto le storie pubblicate in questi primi numeri di Peepshow? E infatti la crisi è ormai alle porte: i due nel frattempo sono andati a vivere in case separate (su iniziativa di Joe…) e si allontanano materialmente ed emotivamente l’uno dall’altra ogni giorno che passa. Si vedono poco, e quando si vedono non fanno altro che litigare. Fino al giorno in cui Trish, ormai stufa di stare con un uomo che l’ha picchiata, ha descritto nei fumetti le fantasie erotiche su una sua amica, se n’è andato a vivere per conto suo e non ha fatto altro che criticarla e urlarle contro per mesi, decide di prendere la decisione di lasciarlo. E a quel punto cosa fa Joe “Poor Bastard” Matt? Passa le giornate a disperarsi e ad autocommiserarsi, arrivando persino a implorare Trish di tornare insieme. Peepshow #2 si conclude con un flashback di una sola amarissima pagina in cui vediamo Joe dire per la prima volta “ti amo” a Trish.
Peepshow #3, terzo numero della serie pubblicato durante il 1992, mostra in copertina il protagonista desolato, seduto a guardare il telefono. E’ il Joe Matt single che conosceremo di qui in poi, ancora intento a struggersi per Trish e a ricordare i bei momenti passati insieme, anche se fino a qualche tavola fa non faceva altro che disprezzare l’ormai ex fidanzata e il loro rapporto. Il titolo del comic book, History Lesson, fa riferimento ai continui sfottò rifilati al protagonista da Seth e Chester Brown a causa delle sue scarse conoscenze di cultura generale, ma anche alla “lezione” che Joe ha subito dalla vita. Eppure non se la passa così male, dato che in una delle periodiche puntate al negozio di fumetti The Beguiling conosce Andy, musicista e soprattutto grande fan dei suoi fumetti. Andy si accompagna con Kim, una tipa dal look alternativo e dai capelli corti e neri di cui Joe si invaghisce. E’ lei a fargli dimenticare che intanto la “sua” Trish sta uscendo con un altro, e che la sua vita è misera e disgraziata. Ma potrà provarci o no, visto che di mezzo c’è Andy, che stravede per lui ed è sempre gentilissimo? Forse sì, perché i due sembrano avere un rapporto aperto… Peepshow #4 è invece il primo capitolo di una storyline in tre parti intitolata Binswhacker e concepita per la prima volta da Matt come un unicum, a differenza dei numeri precedenti incentrati rispettivamente sulla cotta per Frankie, l’addio a Trish e la confusione post-rottura. Il tema centrale di questa storyline è uno: Joe Matt è infelice ma non si arrende. Passa le giornate a guardare i porno ma vuole fare di nuovo centro, se capite cosa intendo, e le chance non gli mancano. Oltre alla già citata Kim, c’è la minuta Mary, che gli è stata presentata proprio dalla coppia di amici, e con cui inizia ad uscire. Oppure una nuova coinquilina, l’asiatica Jill, che gli permetterebbe di soddisfare la sua curiosità per le ragazze orientali. E poi c’è Laura, una sua ex di Philadelphia con cui ha riallacciato i rapporti. Non vi dico chi di queste sarà la “fortunata”: la risposta potete trovarla in The Poor Bastard, volume unico pubblicato per la prima volta nel 1997 e contente proprio questa prima sestina di Peepshow. In italiano è uscito come Poor Bastard, senza l’articolo, per Coconino nel 2008 ed è ancora disponibile nelle migliori librerie.
Tra un flirt e l’altro, in Binswhacker seguiamo le vicende quotidiane del nostro in quel di Toronto, tra le periodiche puntate a The Beguiling, con l’allora proprietario Steve Solomos, i monologhi senza sosta a cui lo sottopone Charles, il suo coinquilino sovrappeso, e le sessioni di masturbazione accompagnate da fantasie erotiche che trovano massima espressione nella copertina del #6, con Matt attorniato da un nugolo di avvenenti ragazze. Se è vero che il cardine del lavoro di Matt è l’autobiografia – spesso spietata, come nell’episodio che l’ha portato alla separazione con Trish – bisogna anche dire che in queste pagine le situazioni sono spesso esagerate per dar loro coerenza e per divertire il lettore. Anzi, da quel che ha detto Matt in seguito mi sembra evidente che, se i primi due numeri di Peepshow sono in gran parte autobiografici, nei numeri dal 3 al 6 c’è più di qualche elemento di fiction. Matt non è né Harvey Pekar né Gabrielle Bell, non cerca l’insignificante ma plasma la sua autobiografia per fini narrativi, esagerando le situazioni fino a portarle al grottesco. Spiega l’autore in un’intervista del 1993 pubblicata nel #162 di The Comics Journal: “Non credo che il mio lavoro rispecchi la realtà in tutto e per tutto. I miei fumetti hanno una componente fittizia, nel senso che è normale mettere insieme degli eventi distanti nel tempo o inventarsi qualche particolare per dare un po’ di pepe alla storia. E poi io tendo a drammatizzare le cose (…). E’ normale esagerare per far ridere i lettori”. E di sicuro qui si ride di gusto, anzi, questi primi sei numeri di Peepshow sono a mio parere uno dei fumetti più divertenti di sempre, oltreché un esempio di cartooning d’alta scuola, con una narrazione fluidissima e leggera, dei tempi comici perfetti, dei disegni che nel loro tendere al grottesco – date un’occhiata alla miriade di espressioni facciali che Matt tira fuori mentre si fa le seghe, gioisce e soprattutto si dispera – riescono a far sbellicare il lettore quanto i testi.
L’intervista appena citata è collocata in un numero speciale del Comics Journal, tutto dedicato al fumetto autobiografico, e in cui Matt viene intervistato insieme a Chester Brown e Seth. I tre formano un trio indivisibile, e questi primi sei numeri di Peepshow ne sono testimonianza evidente, con pagine e pagine di conversazione che alla fine più che commentare i fatti a mo’ di coro greco diventano il vero cuore del racconto. Lo stesso titolo del volume che raccoglierà queste storie è tratto da una frase che Seth rivolge al protagonista, intento – tanto per cambiare – a sbavare mentre guarda una ragazza a un tavolo vicino al loro: “You poor bastard. You really suffer, don’t you?”. Seth da una parte ridicolizza di continuo Matt, deridendolo per le sue scarse conoscenze di cultura generale, per i suoi vizi, le sue ossessioni, i suoi ragionamenti che si accartocciano su se stessi, tanto da paragonare una chiacchierata con l’amico a una corsa su un tapis roulant che non può essere spento (“I’m on a treadmill!” urla facendo finta di cadere spaventato quando Matt si perde nei suoi ragionamenti paradossali). Dall’altra l’autore di Palookaville ha anche il ruolo di consigliere, di “voce della ragione”. Nel #183 di The Comics Journal Chris Brayshaw dopo aver lungamente conversato con Matt pone qualche domanda proprio a Seth, in un’intervista di quattro pagine che ha come unico argomento l’amico e collega. E Seth a un certo punto dice: “Abbiamo un rapporto davvero strano, soprattutto perché quando sono con lui divento più bacchettone di quanto sono di solito. All’improvviso mi ritrovo a difendere delle idee in cui non credo veramente, e a diventare molto più duro su alcuni argomenti, come il sessismo e la pornografia, su cui in realtà non sono poi così rigido”. Succede per esempio in Peepshow #5, quando Seth perde la pazienza urlando a Matt: “Questa tua stupida fissazione per le asiatiche è la classica fantasia del giovane maschio bianco. Ma non riesci a vedere che è offensivo? Nessuna donna vuole essere vista come un oggetto erotico prima che come una persona! Non riesci a capirlo?”. Diverso è invece il ruolo di Chester Brown, che quando partecipa agli incontri con gli altri due è di poche parole riservando a Joe soprattutto sorrisi sarcastici, tanto da sembrare quasi un cliché. Ma quando un lettore, nella posta di Peepshow #4, chiede se Chester è davvero così tranquillo o se è Matt a tagliare le sue battute, Joe risponde semplicemente: “Yes, he’s that quiet”. E a proposito di questo unitissimo trio di fumettisti, da segnalare che queste dinamiche tornano nei fumetti dei colleghi, in particolare in It’s a Good Life If You Don’t Weaken di Seth (dove però è soltanto Chester Brown a fare da spalla al protagonista) e in Paying for It dello stesso Brown, che riunisce il trio. Oltre a influenzarsi a vicenda (in particolare Matt ammetterà l’impatto che ha avuto su di lui il lavoro di Brown), i tre realizzeranno qualche striscia insieme – per lo più inedite, anche se una traccia la troviamo nel volume Drawn & Quarterly: Twenty-Five Years of Contemporary Cartooning, Comics, and Graphic Novels – e si daranno allo sfottò reciproco, come testimoniano Some Things I Think You Should Know About Joe Matt, la storia di Seth pubblicata sul settimo numero della prima serie dell’antologia Drawn & Quarterly, e Paid for It di Joe Matt, di cui dirò nella prossima e ultima puntata di questo speciale.
Vi presento Joe Matt/1
Era il 1992 quando Drawn & Quarterly iniziò a pubblicare Peepshow, il comic book monografico in cui Joe Matt serializzava le sue disavventure autobiografiche. Io all’epoca avevo 15 anni e mi appassionai alla serie con un po’ di ritardo. Non ricordo bene come ne venni a conoscenza, ma con tutta probabilità tramite qualche numero di The Comics Journal, o nel Previews della Diamond che studiavo attentamente insieme all’Anteprima di Alessandro Distribuzioni per poi chiamare Bologna e piazzare una lunga lista di ordini. O forse in qualche negozio di Roma, come All American Comics o Infinity Shop, specializzati in fumetti in lingua originale e che avevano il coraggio di portare i comic book “indipendenti” di case editrici diverse dalla Marvel e dalla Dc, come la Kitchen Sink, la Tundra, la Slave Labor, la Fantagraphics e appunto la Drawn & Quarterly. Fatto sta che iniziai a seguire Peepshow dal #7, che segnava l’inizio della seconda storyline, poi raccolta in volume con il titolo di Fair Weather e che vedeva protagonista l’autore da giovane. Dovevano essere i primi mesi del 1995, visto che quel numero porta la data di marzo di quell’anno. Qualche tempo dopo riuscii a procurarmi la raccolta in volume dei primi numeri di Peepshow, intitolata The Poor Bastard e pubblicata sempre da D&Q nel 1997, e quindi a recuperare i primi fumetti di Joe Matt, usciti in un volume chiamato ancora Peepshow e pubblicato da Kitchen Sink nel 1991. Se le atmosfere alla Stand by Me di Fair Weather mi aveva già colpito, questi fumetti ambientati “ai giorni nostri” mi conquistarono definitivamente.
Classe 1963, cresciuto a Lansdale, un paesino vicino Philadelphia in Pennsylvania, in tenera età Matt legge tanti fumetti e in particolare i Peanuts, Li’l Abner e i supereroi Marvel e Dc, ma anche Dennis The Menace, Little Lulu, Archie, Donald Duck. Disegnatore sin da ragazzino, dopo il college tenta la strada della scuola d’arte iscrivendosi al Philadelphia College of Art, con l’idea di sfondare come illustratore, sfoggiando uno stile ben diverso da quello che lo distinguerà in seguito. Stroncato da una serie di rifiuti, cambia completamente rotta e si dedica al fumetto. Ma l’idea di provare con i supereroi che tanto ha amato non lo sfiora nemmeno un attimo, un po’ per la sua scarsa confidenza con l’anatomia, e soprattutto perché aveva ormai scoperto Zap Comix e i fumetti di Robert Crumb, insieme a quelli di Harvey Pekar e di Art Spiegelman. Da lì ad arrivare al fumetto autobiografico il passo è breve e così inizia a disegnare le sue vicissitudini quotidiane negli sketchbook e a tentare i primi contatti con le case editrici, incoraggiato da un fumettista già avviato e che sarà famoso, il suo amico e compagno di college Matt Wagner. Per lui Joe farà anche da colorista, un lavoro remunerativo ma che odia profondamente, soprattutto quando le case editrici finiscono per pagarlo in ritardo. Di queste prove rimane traccia in alcuni numeri di Grendel e nella miniserie Batman/Grendel. Ma dicevamo appunto dei contatti con le case editrici, che si sviluppano subito dopo il college, quando il nostro si è trasferito a Philadelphia e ha iniziato a lavorare in un negozio di fumetti, il Fat Jack’s Comic Crypt. Sempre attraverso Wagner entra in contatto con la Comico, per cui il collega pubblicava Mage e Grendel: mostra il suo lavoro a Diana Schutz, che si dimostra interessata ma senza fargli un’offerta concreta. Così l’aspirante cartoonist prende, fotocopia 20 tavole già pronte all’uso e le manda alla Kitchen Sink, una delle case editrici fondamentali per il fumetto alternativo degli anni ‘70 e ‘80. Il gesto è subito ricambiato, dato che Matt viene invitato a bordo di Snarf, antologia spillata fondata nel 1972 da Denis Kitchen e che – dopo una storia fatta di continue riprese e interruzioni, con numeri che escono a distanza di anni l’uno dall’altro – stava per essere rilanciata con ritrovata continuità proprio sul finire degli anni ‘80. Il debutto è nel #11 del febbraio 1989 ed è lì che troviamo, a pagina 25, Some Things You First Need to Know About Joe Matt…, un titolo un programma, dato che la tavola racconta 31 curiosità in 31 vignette su un autore giovane e sconosciuto a chiunque. D’altronde il punto #5 avverte chiaramente che “he’s got a huge ego!!”. Sono cinque le tavole ospitate nell’antologia, tutte autoconclusive. Eppure queste pagine singole sono parte di una storia più grande, quella di Joe Matt ovviamente. Ce lo dice già la seconda pagina tratta da Snarf #11, senza titolo ma che come molte altre piazza una data (26 novembre 1987) in alto a sinistra: “Signore e signori, ve lo devo dire… A questo punto non me ne importa niente! Dopo due anni in cui ho cercato di iniziare un fumetto ricavandone solo frustrazione e angoscia, ho deciso… Al diavolo! Basta con i tentativi di creare dei personaggi! Basta con i tentativi di raccontare una storia! Al diavolo quello che vuole il pubblico! Al diavolo tutte queste porcherie!! Ormai ho deciso di fare quello che mi viene più facile, ossia disegnare dei fumetti su me stesso, con la speranza che forse qualcuno là fuori li possa trovare divertenti! Ma ora vi avverto… Non faccio una vita così entusiasmante… Anzi, probabilmente vi sembrerà noiosa. Ma se non altro potrete sempre tirarvi su pensando di non essere me…”. Insomma, il giovane Matt aveva ormai le idee chiare e queste poche righe suonano come il più onesto dei manifesti programmatici.
Quando debutta su Snarf, Matt si è già trasferito da Philadelphia a Montreal, per seguire la fidanzata di allora, Trish, cognata di Wagner e prima comprimaria dei suoi fumetti. Una decisione che sarà fondamentale per la sua carriera, dato che in Québec conosce Chris Oliveros, che proprio in quegli anni stava per mettere su Drawn & Quarterly. Il neo-editore lo scrittura da subito, offrendogli spazio nella sua prima pubblicazione. Drawn & Quarterly vol.1 #1 è una rivista antologica che esce nell’aprile del 1990 e in cui Matt fa la parte del leone, con ben 8 pagine simili per stile e tematiche a quelle viste su Snarf. Come già si era presentato ai lettori dell’antologia Kitchen Sink con Some Things You First Need to Know About Joe Matt…, il nostro fa gli onori di casa con una pagina simile, intitolata My Life in a Nutshell: 30 minuscole vignette in cui racconta le tappe fondamentali della sua vita, dalla nascita alla scuola fino alle estati passate a lavorare per racimolare qualche soldo e quindi al presente. Matt non si risparmia affatto, anzi, sembra soffrire di horror vacui, mostrando un impellente bisogno di raccontarsi nei minimi dettagli riempiendo la pagina fino all’eccesso. Nell’ultima vignetta si mostra al tavolo da disegno intento a colorare, con il testo che dice: “Grrr… Odio colorare… Sono sottopagato… E non ho tempo per i miei fumetti… Mi sono venduto… Ora sono intrappolato qui a Montreal… I ristoranti fanno schifo… Le librerie pure… Non so nemmeno parlare francese…”. Insomma, si lamenta e si compiange, come succederà molte ma proprio molte altre volte da qui agli anni a venire. E a proposito di Montreal, il tema viene sviluppato in un’altra storia pubblicata in Snarf #13, chiamata semplicemente Why I Hate Living in Montreal. Tanto per essere chiari, insomma.
A proposito di Snarf, Matt compare tra il 1989 e il 1990 in tutti i numeri dell’antologia Kitchen Sink, compreso il #15, che ne segnerà la fine. Ormai è canadese di adozione – e si trasferirà ben presto da Montreal a Toronto – oltreché uno degli artisti di punta di D&Q, tanto da contribuire alle antologie curate da Oliveros anche con qualche pagina che mostra il suo passato da illustratore. Un paio di esempi si trovano sulla quarta di copertina proprio di Drawn & Quarterly vol. 1 #1, oppure sulla copertina del terzo numero: a essere raffigurati con illustrazioni a colori dai toni fotorealistici e tendenti al grottesco sono rispettivamente un “povero” padre con quattro figli e una coppia sposata dal sorriso così smagliante da risultare inquietante. Ma torniamo al Joe Matt che conosciamo tutti, ossia caricaturale, ironico, autobiografico, persino masochista per l’immagine che dà di sé. Il suo contributo alla prima versione di Drawn & Quarterly finisce con il #6, datato ottobre 1991. Qualche mese dopo esce il primo fumetto tutto suo, ossia la raccolta integrale delle storie già viste sulle antologie, con l’aggiunta di qualche inedito. Il volume, tuttora inedito in Italia, è intitolato proprio Peepshow! (con il punto esclamativo in questo caso) e pubblicato da Kitchen Sink, anche se qualche anno dopo verrà ristampato da D&Q.
I temi di questo densissimo “cartoon diary” – 90 e passa pagine in grande formato piene zeppe di testo – sono quelli tipici di tutti i fumetti di Matt. L’autore saccheggia nei minimi particolari la sua autobiografia, ossia le vicende di un fumettista di educazione cattolica ossessionato dal sesso, dai porno e dalla masturbazione tanto da mettere continuamente a repentaglio la sua stessa vita sentimentale. Insomma, niente di particolarmente nuovo, come commenta Robert Crumb nella quarta di copertina: “Proprio ciò di cui il mondo ha bisogno: un altro fumettista represso, fissato ed ex-cattolico. Non vedo l’ora di vedere che gli succede… Che dio lo aiuti!”. Una citazione sicuramente ironica ma che per lui è una sorta di benedizione: staremo anche leggendo per l’ennesima volta le vicende autobiografiche di un fallito frustrato ex-cattolico ecc. ecc. ma se si è scomodato Crumb in persona per commentarle, beh, vuol dire che queste storie sono almeno raccontate bene. E che fanno ridere, ovviamente. Matt non mostra la minima pietà verso se stesso e si descrive di volta in volta come un misogino, un avido collezionista, un inguaribile tirchio, un maniaco sessuale e chi più ne ha più ne metta. In queste pagine assistiamo anche all’incontro con Chester Brown e Seth, che segna l’inizio di una lunga e duratura amicizia, dato che i tre costituiranno un indissolubile gruppo di fumettisti con base a Toronto. Quando Joe incontra per la prima volta Chester Brown, il collega gli chiede dove possono andare per fare due chiacchiere e lui risponde senza vergogna “a casa tua”. E davanti alla proposta di Brown di prendere la metro risponde: “Are you crazy? That thing costs money! We can walk!”. Poco importa che in realtà le cose non andarono esattamente così e che l’incontro avvenne con tutt’altre modalità: l’episodio è comunque “vero” dato che rappresenta un lato importante della personalità dell’autore. Seth invece partecipa attivamente al volume con le due pagine di Some Things I Think You Should Know About Joe Matt, già viste su Drawn & Quarterly vol. 1 #7 e in cui si diverte a prendere in giro l’amico (“Sapete, prima di incontrare Joe Matt pensavo che stesse esagerando su di sè nelle sue storie – recita l’autore di Palookaville – Ma adesso so che non era così! Anzi, direi che si dipinge migliore di quello che è”).
In molti di questi fumetti l’autore/protagonista è tormentato da un desiderio sessuale irrefrenabile, tanto che a un certo punto decide di seguire un programma di disintossicazione. Ma il tentativo avrà scarso successo, e nel giro di poche pagine tornerà a pensare ossessivamente alle donne e a guardare le sue amate videocassette porno. Qua e là l’evolversi tragicomico delle vicende è interrotto da tavole tematiche, come quella in cui racconta i Tv shows that made me horny as a kid. Quella delle vignette minuscole è una fissazione: in Hell to Pay, pagina del 14 settembre 1989, diventano addirittura 96, tanto che l’autore avverte in apertura che “il microscopio non è incluso”. La tendenza a giocare con la costruzione della tavola è un’altra caratteristica del primo Joe Matt, che di tanto in tanto si diverte anche con soluzioni più ariose, come succede per esempio nella seconda versione di Playtime, dove è raffigurata una struttura verticale degna di un parco giochi in cui il protagonista si muove compiendo le più spericolate acrobazie. Altri argomenti di queste storie sono i capelli dell’autore, un oscuro segreto (guarda caso a sfondo sessuale), la fissazione di parlare come Donald Duck, e poi descrizioni dettagliate dei genitori, dei fratelli, del nonno, delle ex fidanzate, degli amici, degli ex coinquilini. Ogni tanto si guarda al passato, come in Blueberry Fields Forever, dove si racconta l’esperienza estiva in una fattoria nel Maine, o in Fat Jack’s Comic Crypt, sul periodo passato al negozio di fumetti di Philadelphia. Sulla stessa falsariga da citare anche I Was a Teenage Art Student, in cui lo vediamo darsi arie da artista maledetto, vivere storie di una notte, cercare l’ispirazione nei cimiteri, ubriacarsi e via dicendo, per poi specificare che si è inventato un bel po’ di cose. E ci sono anche una serie di guide, come quella su come risparmiare – dall’originale struttura circolare e a colori – o un’altra su come “andare in bagno” senza farsi sentire dagli altri.
L’ultima parte del volume anticipa gli sviluppi futuri. Con un tratto ormai maturo, che si è fatto via via più rotondo rispetto agli spigolosi esordi, Matt abbandona l’impostazione autoconclusiva delle tavole e inizia ad affrontare una narrazione più strutturata. Siamo a questo punto a Toronto, dove Joe e Trish vivono nel sottoscala di Deb, con la proprietaria di casa, un gatto e tre ragazzini. Ma quando arriva la notizia dell’infarto del padre, Matt deve tornare in Pennsylvania, dove tra una visita e l’altra all’ospedale sfoga lo stress comprando costosi giocattoli come la Pee-Wee’s Playhouse, non senza sensi di colpa (“Ho comprato la Pee-Wee’s Playhouse anche una seconda e una terza volta – confesserà nell’intervista pubblicata in The Comics Journal #183 – e tutte le volte me ne sono sbarazzato. Al momento non ce l’ho. E non la voglio”). Dopo che il padre si è rimesso, assistiamo al ritorno a Toronto. Qui Chester Brown gli presenta Kris, una massaggiatrice shiatsu dai tratti orientali che gli offre un trattamento gratis. Lui accetta di buon grado scatenando l’ira della fidanzata e una lite furibonda che occuperà le pagine conclusive del volume, prima di una riappacificazione in extremis che ha l’amaro sapore della tregua. Al di là dei contenuti, le storie mostrano che Matt è cresciuto come autore e che i tempi sono maturi per qualcosa di diverso, magari un comic book vero e proprio. Lo sa il diretto interessato e soprattutto lo sa Chris Oliveros, che aveva già capito la necessità di superare il formato antologia per dare uno spazio tutto loro ad altri autori come Julie Doucet e Seth.
Josh Pettinger: punto e virgola
Il titolo, innanzitutto. Perché “punto e virgola” e non “punto” e basta? Beh, da queste parti ne ho già fatti di “punti” – penso per esempio a quello su Kevin Huizenga in cinque parti, o ai post multipli dedicati a Peter Bagge e Joe Matt – e questo più che un “punto” è il profilo di un autore relativamente nuovo, dato che ha iniziato a pubblicare con continuità soltanto sei anni fa. Un punto e virgola apPUNTO, oppure un’introduzione o una guida, ma volete mettere il gusto di intitolare questo post Josh Pettinger: punto e virgola? Se lo leggete ad alta voce viene fuori Josh Pettinger DUE PUNTI PUNTO E VIRGOLA, roba che manco Totò insomma. Fatta questa doverosa introduzione, veniamo al dunque. Era un tranquillo sabato di luglio, ero a casa e mi era arrivato da poco Tracy Island direttamente dalla fonte. E così mi sono detto: e se invece di leggere soltanto la nuova prova di Josh Pettinger facessi una rilettura totale della sua opera solista? A questa domanda la risposta è stata sì, tanto che ho ripreso in mano tutti i numeri di Goiter e i cinque albi con protagonista Tedward e ho passato un bel sabato pomeriggio all’insegna del fumetto di qualità.
Una tale esperienza va condivisa, anche perché su queste pagine non avevo mai scritto per esteso dei fumetti di Josh Pettinger, cartoonist inglese cresciuto sull’isola di Wight ma da anni trasferitosi negli Stati Uniti, dove ha vissuto a Chicago, Los Angeles e ora Philadelphia. Eppure Pettinger è un ospite fisso del negozio online di Just Indie Comics. Anzi, potrei sbilanciarmi e dire di essere stato uno dei primissimi (se non il primo) a diffondere le sue produzioni in Europa, tanto che Goiter #2 del 2018 è stato uno dei titoli del Just Indie Comics Buyers Club 2019. Da quel momento ho seguito di pari passo la crescita dell’autore, assistendo in diretta ai suoi progressi e all’aumento della sua popolarità, a cui hanno dato una bella spinta le collaborazioni con Simon Hanselmann, poi raccolte nel volume Werewolf Jones & Sons Deluxe Summer Fun Annual! uscito l’anno scorso per Fantagraphics. Negli ultimi tempi sono arrivate anche le edizioni in volume di Goiter e l’esordio italiano, avvenuto sulle pagine di alterlinus.
Prima di Goiter #2 c’è stato ovviamente Goiter #1 del 2015, mini comic autoprodotto e introvabile che ho recuperato grazie a una ristampa pubblicata da Strangers Fanzine a marzo 2021. Non è un albo a cui lo stesso autore è affezionato, anzi, Pettinger ha ammesso di detestarlo, tanto da escluderlo dalla raccolta di Goiter già uscita in Francia per Ici Même, in Spagna per La Cúpula e negli USA per Floating World (in Italia dovrebbe essere pubblicata a breve da Oblomov). In effetti questo #1 è molto acerbo e si limita ad assemblare bozzetti di una pagina caratterizzati da un umorismo nero tipico di chi ce l’ha con il mondo intero. Quando, ben tre anni dopo, arriva il #2 della serie (in Italia su alterlinus #4) ci troviamo davanti un autore del tutto diverso, già capace di farsi apprezzare per le sue qualità di narratore. Anche il disegno, per quanto tutt’altro che originale, comincia a prendere forma rispetto alle incertezze del passato. La storia principale di questo numero prende il nome dal suo protagonista, Henry Kildare, un ventriloquo che va in giro per gli Stati Uniti a fare spettacoli in piccoli locali spostandosi con l’autobus. Mentre è in viaggio chiama a casa la fidanzata, che però non risponde mai. Dopo aver incontrato una barista, prende dei funghi insieme a lei, cade a terra e si addormenta in mezzo alla strada. Al risveglio riesce a tornare alla stanza che aveva preso in affitto, ma soltanto per ritrovarsi accusato dell’omicidio di una ragazza scomparsa. Non vi racconto il resto ma già avrete capito il tono delle storie di Pettinger. I suoi personaggi sono sconfitti dalla vita, vittime di un destino più grande di loro, sfigati, mammoni, disgraziati nel senso letterale di “caduti in disgrazia”. Ciò che gli succede, però, non è mai scontato, anzi, la trama prende spesso una piega che non ti aspetti. Le cose vanno peggio ma non nel modo che era lecito immaginarsi. Vanno diversamente peggio, se così si può dire.
I numeri dal 3 al 5, usciti tra il 2018 e il 2020, sviluppano e perfezionano la stessa formula. Lo sfondo è sempre quello di un’America suburbana o provinciale e le vicende raccontate sono tanto amare quanto divertenti. Pettinger ha come punto di riferimento principale l’Eightball di Daniel Clowes ma, piuttosto che alimentare la dimensione grottesca e weird delle situazioni, usa un’estetica degna dei vecchi romance comics e il classico deadpan humor per osservarle con un sorrisetto beffardo e compassionevole al tempo stesso. Si ride delle sfighe altrui, insomma, ma come se ciò servisse a consolarsi delle proprie. Il terzo Goiter (in Italia su alterlinus #3) ha senza dubbio l’intreccio più brillante, costruito su un’idea geniale, di quelle che non capita spesso di leggere. La protagonista è una cameriera trentenne solitaria e annoiata che vive giornate tutte uguali, sorta di alter ego dell’autore (Pettinger ha lavorato a lungo nei ristoranti). Un giorno le appare da un’altra dimensione la testa del suo fidanzato. Peccato che lei non abbia ancora un fidanzato, perché il tizio è stato rispedito indietro nel suo mondo – da dove era stato rapito in precedenza dalle forze alleate di una terra alternativa – in un momento sbagliato, ossia prima che la coppia si incontrasse. Lo scopo del viaggio interdimensionale, che non è riuscito benissimo dato che soltanto la testa si è materializzata altrove, sarebbe quello di raccogliere nuove forze per sconfiggere i nazisti. E invece la testa, una volta convinta la ragazza della veridicità delle sue parole, decide di infischiarsene e di passare le giornate con lei facendo passeggiate e mangiando il gelato. E’ questa un’altra trovata alla Pettinger: raccontare storie apparentemente epiche che dopo un po’ si sgonfiano per le scelte edoniste di personaggi indolenti. C’è l’assurdità dei Monty Python in alcune di queste situazioni, o comunque un humor tipicamente british, calato in sceneggiature che non seguono strutture predeterminate ma vanno per la loro strada, come se fossimo in un film di Éric Rohmer o Noah Baumbach. Inoltre questo terzo numero segna un’importante evoluzione dal punto di vista della messa in pagina, dato che l’utilizzo di un minor numero di vignette lo rende assai più leggibile rispetto all’episodio precedente. Da rilevare anche l’esordio del colore, ripreso con Photoshop da vecchi fumetti per creare un suggestivo effetto Zip-A-Tone d’altri tempi.
Goiter #4, con un formato più piccolo del solito e in bianco e nero, è in gran parte occupato da Wendy Bread, la storia di una madre di famiglia che si trova incastrata tra un figlio prepotente e onanista e un marito campione di wrestling. Le tre pagine in appendice, Fire Ladies, sottolineano il tema femminista dell’intero albetto, ancora una volta eccellente. Il #5, pubblicato per la prima volta da una casa editrice (la Tinto Press), torna al formato comic book e alla colorazione tenue e retinata per presentarci William Cucumber, altro riuscitissimo episodio che prende il nome dal suo protagonista, una sorta di bagnino sfigato che si trova ad avere a che fare con una sorellastra più giovane e molto più sveglia di lui. I fumetti brevi in appendice aggiungono altri due personaggi alla galleria di perdenti di Pettinger. Che lo faccia in poche o in molte pagine, l’autore racconta sempre una storia dall’inizio alla fine, senza che l’idea centrale – solitamente paradossale – sfoci nei territori dell’assurdo fine a se stesso. In questo il cartoonist angloamericano dimostra grandi qualità di narratore, perché in un’epoca in cui pochi hanno il coraggio di scrivere i finali, lui i finali li scrive eccome, e con il botto.
Se i numeri dal 2 al 5 di Goiter possono essere considerati un blocco unico, lo stesso discorso si può fare a maggior ragione per i numeri dal 6 all’8, pubblicati tra il maggio del 2021 e il maggio del 2023. A parte alcuni fumetti brevi, il grosso di questi tre albi è costituito da Victory Squad, una storia a puntate ambientata in un futuro distopico-ma-non-troppo in cui il mondo è dominato dalla spietata azienda del CEO Corderoy Bezo. Dopo la pubblicazione della prima parte, Robert Crumb in persona si scomodò per definirla come “la migliore interpretazione umoristica dei magazzini di Amazon che abbia mai visto”. Non so se questo sia vero sinceramente, perché a mio parere la prima e la seconda parte di Victory Squad non raggiungono le vette dei numeri precedenti e Pettinger non sembra proprio nel suo in un’ambientazione dai connotati orwelliani. In realtà il serial cresce pagina dopo pagina, perché l’andamento lento dei primi due episodi è del tutto funzionale alla geniale svolta a cui assistiamo in Goiter #8, l’ennesimo strabiliante plot twist alla Pettinger. Da segnalare che Goiter #6 è pubblicato da Kilgore Books, mentre con i numeri 7 e 8 si torna all’autoproduzione. Tutti e tre gli albi sono in formato comic book e sfoggiano colori digitali più accesi del passato, senza le scansioni da vecchi fumetti che avevano caratterizzato Goiter #3 e #5.
Avrete visto che sto mettendo il turbo rispetto all’inizio ma ve l’avevo detto che era un “punto e virgola”, no? Lo scopo era soprattutto farvi capire di cosa si parla quando si parla di Josh Pettinger, e penso di esserci già riuscito, o almeno di averci provato, descrivendovi i primi numeri di Goiter. Ma non posso tralasciare del tutto le vicende di Tedward, ossia il personaggio a cui Pettinger ha deciso di dedicarsi dopo aver messo fine alla sua serie antologica. Incontriamo Tedward per la prima volta proprio su Goiter, nel #7 per la precisione. In sole tre pagine il personaggio è già delineato: Tedward è un “old fashioned guy” con i capelli perfettamente sistemati che vive con la madre e al bar ama ordinare un bicchiere di latte. A prima vista sembra il classico nerd da commedia americana, con la collezione di bambole e la passione per il modellismo – alla Steve Carell di 40 anni vergine – ma poi si capisce che non è del tutto così, dato che si esalta nelle situazioni di difficoltà ed esce con donne sempre diverse. Pettinger lavora su due binari: da una parte utilizza l’ingenuità del protagonista per far ridere il lettore, dall’altra si diverte a inserire dei dettagli fuori posto utili a creare quella sensazione di inconsueto tipica delle sue opere. Dal punto di vista stilistico, i capelli squadrati di Tedward e il suo stile all’antica spingono Pettinger a modificare il disegno, che qui diventa più pupazzoso, con i personaggi che sembrano usciti da una confezione di Playmobil.
Il primo albo dedicato a Tedward, intitolato Power Wash e pubblicato nell’agosto del 2022, inizia con il protagonista che viene mollato dalla fidanzata finlandese. Sofferente, si allontana pensando “Non sono niente senza di lei” e poi, come rispondendosi da solo, “Certo, ho un bel taglio di capelli, ma a che serve se non ho nessuno che lo apprezza?”. La disperazione lo porta su un campanile di una chiesa, pronto a farla finita, ma per fortuna uno sconosciuto lo ferma. E gli offre pure un lavoro, promettendogli fortuna e lusso in modo così convincente che Tedward accetta, anche perché la piantagione di rabarbaro che coltiva con la madre non sta andando tanto bene. Forse potete intuire dal titolo di che lavoro stiamo parlando, anzi no, mi sembra piuttosto difficile arrivarci così: diciamo che si tratta di una trovata alla Simon Hanselmann, da cui Pettinger in questa fase – viste anche le ripetute collaborazioni – sembra piuttosto influenzato. E infatti l’albetto successivo con protagonista il nostro “belli capelli” preferito è proprio una collaborazione con Hanselmann, che ricambia i favori fatti dal nostro sulle storie di Werewolf Jones e figli per realizzare il 50% di Tedward Classic Movies del gennaio 2023.
Il corpus della saga di Tedward è compreso da cinque comic book autoprodotti: i due già citati più i successivi Warm Television (luglio 2023), Best Regards (ottobre 2023) e il conclusivo Tracy Island (giugno 2024). Tutti e cinque sono in bianco e nero ma verranno colorati per la raccolta in volume già annunciata da Fantagraphics per il marzo 2025. Le storie sono autoconclusive e si possono leggere singolarmente ma all’interno ci sono dei riferimenti che solo chi ha letto gli episodi precedenti è in grado di cogliere. Inoltre in Tracy Island, sin dal titolo sentito tributo alla serie televisiva Thunderbirds, tornano alcuni personaggi introdotti in Power Wash e Best Regards, con Pettinger che dà un’ideale conclusione alla vicenda di Tedward, mettendo di nuovo in mostra la facilità con cui sviluppa trame e scrive finali. Tra i diversi episodi il mio preferito è Warm Television, che ha un intreccio ben costruito, un epilogo ineccepibile quanto esilarante e una strana malinconia che sembra provenire da un film di Aki Kaurismaki. Ma in generale tutti questi albi si distinguono per uno storytelling sempre più efficace, con un senso del ritmo e una leggibilità che hanno poco da invidiare a ben più blasonati colleghi.
Mi rendo conto di non aver parlato di tante cose in questo profilo d’artista, come la fissazione dell’autore per i cappelli femminili. Ma l’avevo detto, era un punto e virgola e tale rimarrà visto anche il lancio – a questo punto già avvenuto – di un nuovo mini comic a firma Pettinger intitolato Zanzer of Gorzu! ‘Nuff said!
E’ morto Joe Matt
E’ arrivata stamattina la triste notizia della morte di Joe Matt. La causa del decesso sembra essere un infarto, che ha colpito all’improvviso il sessantenne fumettista a Los Angeles, dove si era stabilito da qualche anno. L’annuncio è stato dato su Facebook da Matt Wagner, che dell’autore di Peepshow è stato collaboratore e amico. Come tanti di voi, non conoscevo Matt di persona ma adesso mi sembra che sia morto un amico. Come scrivevo tempo fa in questo speciale a lui dedicato, bastava leggere un fumetto di Joe Matt per avere l’impressione di conoscerlo, perché nelle sue storie si mostrava senza vergogna, raccontando gli aspetti più intimi della sua vita privata. Le sue sono storie che non ci si stanca mai di rileggere per quanto sono autentiche, brillanti, divertenti. E per quanto sono fatte bene. Sì, perché Joe Matt erano un assoluto talento del fumetto, uno che i fumetti ce li aveva nel sangue. Per lui sarebbe stato impossibile fare un brutto fumetto. Ma è stato possibile smettere di disegnarli, principalmente a causa della sua proverbiale pigrizia. Eppure ogni tanto si riaffacciava sui social dicendo che stava lavorando al nuovo numero di Peepshow e io sognavo quel giorno in cui sul Previews della Diamond sarebbe arrivato l’annuncio di un nuovo fumetto di Joe Matt. Probabilmente quell’annuncio non arriverà più ma ora la cosa ha davvero poca importanza. I fumetti di Matt rimarranno quelli che già conosciamo e quelli ci faremo bastare, come con quelle band che hanno fatto due o tre album perfetti e poi si sono sciolte o non hanno più inciso niente per motivi di forza maggiore. Perché qualcuno è morto, per esempio. Quindi sono tristissimo per la morte di Joe Matt ma anche felice perché i fumetti che ha fatto rimangono qui, immutabili e eterni. E pronti per l’ennesima rilettura, che mi farà ridere ancora una volta come uno scemo davanti alle stesse battute ma anche un po’ disperare per il buon vecchio Joe che non c’è più.
“Hate” e “Peepshow” pre-order
No, non siamo negli anni ’90 ma nel 2024 e per di più nel futuro, ossia a giugno, quando uscirà per Fantagraphics il primo numero di una nuova miniserie in quattro parti a firma Peter Bagge, dedicata a Buddy Bradley e ai comprimari della sua gloriosa serie Hate. Ma i colpi di scena non si fermano qui, perché il mese successivo, insieme al secondo numero di Hate Revisited!, verrà distribuito nelle fumetterie americane sempre via Fantagraphics il #15 di Peepshow, la serie di Joe Matt ferma dal 2006 e che vede ora una inaspettata quanto purtroppo postuma prosecuzione.
Non potevo ovviamente lasciarmi sfuggire queste novità, dato che sul sito ho parlato ripetutamente e persino approfonditamente sia di Bagge che di Matt. Su Hate ho realizzato un lunghissimo speciale raccontandone prima gestazione e sviluppi in A History of Hate e mettendo poi insieme una serie di curiosità, mentre su Joe Matt ho pubblicato un approfondimento in tre parti incentrato ovviamente su Peepshow, serie che coincide in gran parte con la bibliografia dell’autore. E poi c’è stato il post più triste di tutti, ossia questo piccolo necrologio scritto in occasione della prematura scomparsa di Matt il 18 settembre scorso.
Ecco dunque che sono disponibili in pre-order nella sezione Just Indie Comics del negozio online di Risma Bookshop l’abbonamento alla serie Hate Revisited! e il #15 del Peepshow di Joe Matt. Trattandosi di comic book vecchio stile, si tratta di prodotti che viaggiano nel circuito delle fumetterie statunitensi e di quelle (poche) fumetterie italiane che ancora importano materiale dall’estero. Non saranno facilissimi da trovare dopo la pubblicazione, quindi se vi interessano vi conviene ordinarli da subito. Anzi cercate di sbrigarvi che il tempo stringe, dato che il pre-order sarà aperto soltanto fino a venerdì 10 maggio.
Chiudo con qualche piccola anticipazione. Hate Revisited! alternerà storie in bianco e nero su Buddy Bradley e compagni ambientate ai tempi della serie originaria, dunque tra la Seattle degli anni ’90 e il New Jersey, a storie a colori ambientate ai giorni nostri sul genere di quelle già viste nei vari Hate Annual. Peepshow #15 racconterà invece il trasferimento di Matt a Los Angeles nel 2003 e il suo tentativo di trasformare Peepshow in una serie HBO. Una curiosità: nonostante fossero passati ben 17 anni dal precedente numero di Peepshow, Matt non aveva ancora finito di lavorare su questo nuovo comic book quando è stato colpito da morte improvvisa. Le ultime pagine del fumetto non erano state inchiostrate e ci ha pensato l’amico Chester Brown a passare la china in modo da poter permettere la pubblicazione di quest’ultimo fumetto di Joe Matt. E ora, come al solito, via ai link per i pre-order!
ABBONAMENTO HATE REVISITED! DI PETER BAGGE PRE-ORDER