“The Social Discipline Reader” di Ian Sundahl

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Sempre attenta a proporre un fumetto crudo nel senso vero del termine, fuori dagli schemi della contemporaneità, senza alcuna ambizione commerciale, la Domino Books di Brooklyn è una delle piccole case editrici indipendenti più interessanti del panorama statunitense. Creatura di Austin English, la Domino guarda proprio come il suo patron-cartoonist a un segno grezzo e spontaneo, capace di incidere emozioni e sensazioni sulla pagina rinunciando a ogni tentativo estetizzante e alle carinerie di tanto fumetto odierno. In un mondo in cui ogni stile, anche se diverso da quello dominante, tende a farsi canone fino al punto di sterilizzarsi, gli artisti pubblicati dalla Domino si propongono come esempi di purezza e unicità espressive con pochi eguali. Ne è esempio la produzione di E.A. Bethea, che ho già analizzato tempo fa in questo post.

Non poteva sfuggire alle attenzioni di English l’arte di Ian Sundahl, al confine tra fumetto, poesia e letteratura, pregna di un segno volutamente grezzo, frutto di una ricerca estetica originale. Sundahl sa disegnare e si vede, soprattutto quando sceglie linee libere e intense, ma a volte preferisce affidarsi a forme soltanto abbozzate e imperfette, in armonia con la materia di questi fumetti – storie torbide di outsider, prostitute e balordi ambientate tra bar poco illuminati, strade polverose ai confini della città, sale da gioco. Sundahl è un artista di Portland che finora si è autoprodotto otto numeri della sua zine Social Discipline. English l’ha notato e ha messo insieme questo The Social Discipline Reader, una sorta di “best of” di 40 pagine pubblicato in un’edizione spillata forse sin troppo essenziale ma che è comunque specchio di un approccio diretto e senza fronzoli.

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L’albo è uno zibaldone di storie brevi, illustrazioni, saggi disegnati. Si va dall’adattamento in chiave moderna del torbido memoir ottocentesco My Secret Life a Where You Are King – quattro pagine dense e notturne in cui un carcerato racconta una storia di sesso, gelosia e infine violenza – passando per una serie di illustrazioni di persone sedute davanti a slot machine, riproduzioni di foto scattate per strada, due pagine sui tacchi che riprendono il tema della fanzine Heelage curata dallo stesso Sundahl. Il tono è a volte assolutamente prosaico (“Niente è così delizioso quanto l’intimità che si stabilisce tra un uomo e una donna con una scopata” inizia uno dei brani tratti da My Secret Life), altre quasi trascendentale nel raffigurare uomini e donne come giocattoli in mano al fato, che si tratti di personaggi soggiogati dalle forme imponenti delle slot machine del Nevada o di misteriose apparizioni di navi fantasma.

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Affascinato dal mondo raccontato da Ian Sundahl, viscerale come solo certa letteratura e poco fumetto sanno essere, ho deciso di inviare una copia di The Social Discipline Reader a tutti gli abbonati del Just Indie Comics Buyers Club. Gli altri possono invece trovarlo nella sezione Domino Books del webshop. Buona lettura.

A Macerata è di nuovo Ratatà

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La terza edizione del Ratatà è in programma dal 14 al 17 aprile ed è destinata a confermare il festival di Macerata come un appuntamento immancabile per il fumetto e l’illustrazione in Italia. Tanti i motivi di interesse, tra le esposizioni, il mercato delle produzioni indipendenti, gli spettacoli, i workshop, i concerti, per un evento che diventa itinerante intrecciandosi al tessuto urbano della città. Le mostre di quest’anno spaziano nello scenario italiano ed europeo con una lista di artisti davvero notevole: Blexbolex, Riccardo Mannelli, Igor Hofbauer, Céline Guichard, Bill Noir, Andy Leuerberger, Arianna Vairo, Cifone, Taddei e Angelini. In più i lettoni di kuš! con la collettiva delle artiste Anna Vaivare, Ingrida Picukane, Liva Kandevica e Zane Zlemeša, B-Comics a cura di Maurizio Ceccato, La Trama che presenta le tavole della terza serie di Coppie Miste, la rassegna di illustratrici femminili Graphiste a cura della Sacripante Gallery di Roma, Le Beffe delle donne con il lavoro del collettivo toscano Le Vanvere, Crack! Fumetti dirompenti featuring Martin Lopez Lam, Bambi Kramer e Sonno. Per la lista completa delle mostre, oltreché per tutti gli altri eventi, vi rimando alla pagina Ulule, dove trovate il programma in continuo aggiornamento e dove potete inoltre partecipare alla campagna di crowdfunding per sostenere Ratatà. E ne varrebbe veramente la pena, dato che si tratta di un festival nato solamente dalla voglia di fare e dall’impegno dei suoi ideatori, sempre più interessante e inoltre gratuito sia per i visitatori che per gli espositori. Tra questi ultimi ci sarà anche il sottoscritto con un po’ di fumetti che trovate abitualmente su justindiecomics.tictail.com, quindi se avrete la buona e giusta idea di venire a Macerata approfittatene almeno per dire ciao. Di seguito un po’ di immagini degli artisti in mostra. E buon Ratatà a tutti.

 

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Riccardo Mannelli

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Igor Hofbauer

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Céline Guichard

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Bill Noir

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Andy Leuerberger

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Arianna Vairo

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Taddei e Angelini

“Patience” di Daniel Clowes

di Daniel Clowes, Bao Publishing, marzo 2016, cartonato, 180 pagine a colori, 19 x 25 cm, euro 25

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Dopo cinque anni di lavorazione arriva finalmente il nuovo fumetto di Daniel Clowes, la sua opera più lunga, impegnativa, ambiziosa. Uscito negli Stati Uniti da qualche settimana ma solo nel circuito delle librerie specializzate, dove Clowes sta portando avanti anche un lungo tour di presentazione, grazie a Bao Publishing sbarca in Italia oggi 24 marzo, in contemporanea alla distribuzione nelle librerie di varia del Nord America. L’attesa era talmente tanta per Patience che prima della lettura – pur affascinato dalla bellissima confezione, dai disegni di un Clowes in gran forma, dai colori gustosamente “flat” eppure scintillanti – avevo un certo scetticismo, causato anche da quanto visto in giro negli ultimi giorni. Qualche opinione si era già affacciata sui siti specializzati statunitensi e ne avevo sbirciato degli scampoli senza approfondire troppo, per evitare fastidiose anticipazioni. E lì si faceva cenno a un’opera più tradizionale rispetto a quanto Clowes ci aveva abituati in passato, più lineare che geniale, come se l’autore di Like a Velvet Glove Cast in Iron, Ghost World e David Boring avesse perso negli anni la brillantezza che ce lo aveva fatto apprezzare in passato. In realtà Patience è sì un’opera più classica rispetto alle precedenti, ma nel senso migliore del termine. E’ classica infatti come i grandi film, i grandi romanzi e i grandi fumetti sanno esserlo, perché riesce a utilizzare le atmosfere, le trovate grafiche, le caratterizzazioni dei personaggi di cui Clowes si è servito nel corso della sua carriera per metterli al servizio di una grande, bellissima e commovente storia.

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La storia, appunto. Dato che pubblico questo articolo il giorno dell’uscita del libro, penso che parecchi di voi debbano ancora leggerlo. Eviterò dunque di anticiparvi troppo, raccontandovi nel dettaglio solo quello che succede nelle prime trenta pagine. E’ il 2012 quando Patience scopre di aspettare un bambino. Jack, suo marito, non riesce a trovare un lavoro decente e si deve accontentare di distribuire “volantini porno”. Sia Jack che Patience sono preoccupati di mettere al mondo un figlio, soprattutto per motivi economici. Ma questo è in realtà l’ultimo dei loro problemi, perché pochi giorni dopo aver avuto la notizia della gravidanza Jack rincasa dal lavoro e trova Patience a terra, morta, vittima di una non meglio precisata aggressione. Da qui si mette in moto la vicenda, che vede Jack prima nei panni del presunto colpevole e poi in quelli del vedovo inconsolabile, alla ricerca di una spiegazione. Dopo i primi inutili tentativi, avvenuti subito dopo l’omicidio, Clowes fa un salto temporale e ci porta nel 2029. Jack è seduto in un bar, intento a bere da un contenitore a forma di provetta e a raccontare quanto successo 17 anni prima. E’ un futuro piuttosto simile al nostro mondo, se non fosse per qualche schermo dalle linee più sinuose, i colori al neon e le prostitute dalla pelle blu. Ma la differenza più importante è che uno scienziato ai margini della società ha scoperto come tornare indietro nel tempo. Ed ecco così che può iniziare il “mortale viaggio tra distorsioni temporali verso l’infinito primordiale dell’amore eterno” annunciato in quarta di copertina.

Patience è un fumetto raccontato con una fluidità mai vista prima in Clowes. Dimenticate l’impostazione da serie tv di Ghost World, la complessità letteraria di David Boring, le strutture spezzettate di Ice Haven e The Death Ray, l’impianto da newspaper strip di Wilson. Qui siamo all’esatto opposto di Like a Velvet Glove Cast in Iron, che apriva nel 1989 il primo numero di Eightball con un episodio scritto di getto, tutto in una notte. Finiti gli esperimenti punk, Clowes ha voluto mettersi al tavolo da disegno e dedicarsi per cinque anni a un libro dalla struttura ariosa, con spazi più ampi rispetto al solito, splash page, lunghe vignette doppie che si aprono come in cinemascope. La trama potrebbe essere degna di un film, da Ritorno al futuro a una commedia sentimentale hollywoodiana, con qualche inevitabile riferimento a Hitchcock. Non sarà magari originalissima, ma ho l’impressione che sia la “storia della vita” di Clowes, quella che più di tutte voleva raccontare.

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Il risultato è un impatto emotivo che Clowes non raggiungeva da tempo sulla pagina, forse dal finale di Ghost World. Ma se quel finale ci aveva detto tanto sull’amicizia e sul diventare adulti, Patience si esprime su temi ancora più forti e importanti. E lo fa, è bene dirlo, senza risultare una versione annacquata della poetica dell’autore, perché in quella che è sostanzialmente una storia d’amore non mancano le situazioni morbose, i personaggi storti, gli sfigati, gli scienziati pazzi, i megalomani. Non manca una certa durezza nella costruzione del personaggio di Jack, che è caratterizzato in maniera eccelsa, passando dalla figura di giovane marito devoto fino a quella di acido uomo di mezza età in cerca di vendetta, il tipico paranoico dei fumetti di Clowes, tanto che a un certo punto si chiede “voglio davvero salvare il nostro bambino, tornare alla mia vecchia vita, o sono solo una scimmia assetata di sangue che rivuole la sua mascolinità?”. E alla fine lo stesso Jack ha un momento di umanità realistico, forte, quasi imbarazzante per la capacità con cui è costruito. Un momento che non posso raccontarvi, pena la rivelazione di dettagli troppo importanti, ma che capirete leggendo il libro. E’ questo dettaglio che rende la caratterizzazione di Jack anche più riuscita di quella della stessa Patience, su cui però Clowes lavora comunque abilmente, mostrandoci il suo passato da provincia americana, la sua famiglia problematica, i compagni di scuola balordi. Non è un personaggio particolare Patience, è semplicemente “un angelo” con “un cuore d’oro puro” e un passato problematico, ma nel suo sviluppo, nella sua crescita (come in quella di Jack d’altronde) c’è tutto il peso della vita che scorre, degli anni che passano. I personaggi maturano da una pagina all’altra, spesso con dei salti improvvisi avanti e indietro, in Patience. E con il tempo è maturato anche il loro demiurgo che ora, a 55 anni, non racconta più le storie di quasi 30 anni fa. Eppure riesce ancora a comunicare alla sua audience, quella che è cresciuta con lui. E sicuramente anche a qualcun altro, vista la diffusione a cui è destinato questo libro.

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La trovata del viaggio nel tempo è anche un modo per rendere Patience la summa artistica del lavoro di Clowes, come un’enciclopedia dei molteplici mondi raccontati finora dall’autore. Se il riferimento grafico più prossimo è Mister Wonderful per il modo in cui le vignette e i personaggi respirano a volte in maniera sontuosa – lontana dai non detti, dalle ellissi, dai minimalismi del passato – qui troviamo anche le atmosfere malate della provincia americana di Like a Velvet Glove Cast in Iron, i vicoli oscuri e le strade anonime di David Boring, il retrofuturismo di Lloyd Llewellyn nelle scene ambientate nel 2029, il richiamo a Steve Ditko e ai maestri della EC Comics nelle numerose sequenze psichedeliche (che qui guardano anche a Swamp Thing). Clowes si diverte a citare se stesso anche in modo più esplicito, per esempio quando il protagonista si veste come Andy di The Death Ray, diventando così l’ennesima figura mascherata dal look rétro ad affacciarsi nella bibliografia dell’autore. Tutto ciò non può che generare un lavoro multiforme, che si alimenta di diversi immaginari riunendoli sotto il marchio di un tratto inconfondibile, meno dettagliato e più essenziale rispetto al solito, come se fosse una versione massimalista del Clowes che conosciamo. Massimalista proprio come la storia che racconta.

Scrivevo tempo fa, a proposito di Here di Richard McGuire, che si trattava di un’opera capace al tempo stesso di raccontare la Storia e le storie, il grande e il piccolo, il grave e l’irrilevante, il serio e il faceto. Patience entra come Here tra le pieghe del tempo, dimostrando questa stessa qualità ma guardando più agli aspetti emotivi che a quelli formali della narrazione. E così facendo conferma Clowes come uno dei più grandi cartoonist di sempre.

“The Dim Reverberation of the Chaosholder”

(English text)

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di Arallū, Hollow Press, gennaio 2016, spillato, 32 pagine, 34 x 24 cm, euro 17

Dopo Largemouths di Gabriel Delmas, opera di quasi 700 pagine interamente muta, la Hollow Press tenta un’altra coraggiosissima sfida editoriale con una saga in otto parti realizzata da un autore sconosciuto, noto solamente come Arallū. Il primo “sigillo” di The Dim Reverberation of the Chaosholder è uscito da qualche settimana con il titolo A Crippled Baby ‘n’ the Obsidian Golem, Towards the She-Outcast, confermando la predilezione per i titoli lunghi già evidenziata dall’antologia Under Dark Weird Fantasy Grounds.

Nota: L’albo è in vendita, come gli altri libri della Hollow Press, nel negozio on line di Just Indie Comics. Inoltre il sottoscritto ha collaborato con la casa editrice per Toxic Psycho Killer di Paolo Massagli.

Presentato dall’editore come un “dungeon crawler comic”, The Dim Reverberation of the Chaosholder è un viaggio alienante in una realtà sotterranea e altra. L’effetto di straniamento claustrofobico è raggiunto da Arallū attraverso due fondamentali stratagemmi narrativi. Il primo e più evidente è l’uso della prospettiva in prima persona, simile a quella di un videogioco, che rende il lettore tutt’uno con il protagonista, il Golem di Ossidania, di cui riusciamo a vedere soltanto braccia e gambe quando entrano nel suo campo visivo. Il secondo è rappresentato dagli ossessivi monologhi di N’tar, logorroico mostriciattolo che guida il Golem tra i cunicoli del dungeon, portando avanti il compito assegnatogli dal misterioso Hasabbāh. Il lettore è coinvolto in un’esperienza totale, immersiva, tanto che sfogliando le pagine sembra di respirare la polvere e l’umidità dei sotterranei. Si trova sostanzialmente nella stessa situazione del protagonista, sempre in silenzio, passivo, in grado solo di seguire N’tar e di ascoltare la sua litania, piena di termini singolari, di riferimenti a eventi ancora indefiniti ma di sicuro fondamentali per lo sviluppo della narrazione. Su tutti il Disordine, indice di un’era precedente a quella in cui sono ambientate le vicende di questo primo capitolo, segnata forse da qualche evento apocalittico.

Arallū non si dilunga in spiegazioni ma ci fa entrare senza esitazioni nel suo universo, ricco di riferimenti a mitologie inusuali rispetto alle coordinate abituali del fumetto mainstream, dato che guarda ad Oriente con uso di termini persiani, armeni, turchi o babilonesi volutamente storpiati: basti pensare ad Hasabbāh, il cui nome risulta una crasi di Hassan-i Sabbah, capo della Setta degli Assassini attiva in Persia agli inizi del secondo millennio e noto ai più per l’uso letterario che ne fece William Burroughs. Non bastano tuttavia questi elementi per darci una connotazione precisa dell’era e nemmeno del mondo in cui ci troviamo: ciò che sappiamo è che una realtà talmente retrograda e oscura che i suoi abitanti misurano lo scorrere del tempo con la rigenerazione delle ferite che si autoinfliggono.

Oltre alla narrazione in sé – densa di testo, complessa, intrigante – piace di The Dim Reverberation la capacità di inserirsi con precisione chirurgica nel filone dei fumetti Hollow Press, contribuendo a dare forza e coesione al catalogo della casa editrice di Michele Nitri. Qui troviamo in modo particolare dei punti in comune con i lavori di Mat Brinkman e di Miguel Angel Martin. Del primo sono riprese soprattutto le atmosfere di Multiforce, a sua volta ambientato in un mondo sotterraneo del tutto peculiare, anche se rappresentato con un approccio più ironico e meno solenne. Del secondo viene in mente proprio la saga serializzata a puntate su Under Dark Weird Fantasy Grounds, soprattutto per il sottotesto sessuale presente anche qui con i riferimenti a “feticci” e “eccitazioni dell’anomalia”.

Originale, quasi alieno rispetto al contesto del fumetto indie e underground odierno, The Dim Reverberation conferma la sua singolarità nella confezione. Spillato, in formato orizzontale 24 x 34 cm, si caratterizza infatti per l’alta qualità della carta tintoretto da 200 grammi e per l’uso di una vernice traslucida che impreziosisce alcuni dettagli per tutte le 32 pagine del volume. La copertina con i risvolti fa il resto, restituendo nel complesso una cura e un’eleganza davvero notevoli. All’interno l’approccio grafico è inquietante nel disegnare in modo ossessivo lo scenario desolato del dungeon e i suoi strani abitanti. Magari qualche dettaglio, soprattutto riguardo all’anatomia dei personaggi, poteva essere curato meglio, ma mi sembra che l’autore prenda sempre più confidenza con il passare delle pagine, riuscendo a costruire uno stile essenziale ma piacevolmente inconfondibile che culmina nella scena finale, quella dell’incontro con la She-Outcast. Anche la doppia pagina con la riproduzione del “quartiere degli avviziati” è particolarmente riuscita e ricorda Scaffold del duo Most Ancient, fumetto che per atmosfera e soluzioni grafiche ha diversi punti di contatto con questo The Dim Reverberation.

Come tutti i titoli Hollow Press, l’albo è pubblicato in inglese ma questa volta viene distribuito con la traduzione italiana e giapponese in allegato, in modo da consentirne una diffusione capillare. Una diffusione che meriterebbe davvero, per coraggio, originalità e capacità di inserirsi in un catalogo sempre più folto ma al tempo stesso compatto, che a breve comprenderà anche Crystal Bone Drive di Tetsunori Tawaraya e Fobo di Gabriel Delmas.

“Dôme”

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Dôme is a 28 x 35,5 cm anthology published by French collective Lagon together with Breakdown Press. Wonderfully printed in risograph and handbound during the latest Angoulême festival in the presence of the majority of the featured artists, it collects in only 40 pages the work of 17 cartoonists among the most intriguing artists of the contemporary comics scene: Lando, Amanda Baeza, Simon Hanselmann, Jeremy Perrodeau, Bettina Henni, Sammy Stein, Dash Shaw, Hugo Ruyant, Antoine Cossé, Michael DeForge, Zoe Taylor, Amandine Meyer, Olivier Schrauwen, Alexis Beauclair, Jean-Philippe Bretin, Joe Kessler, Richard Short.

 

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Olivier Schrauwen’s cover depicts indeed an ultramodern dome in opposition to a vague and mysterious external space. And we could say most of the stories take place inside or outside this dome, since the majority of the comics deal with the idea of “space” and with the dualisms between inside/outside and appearance/reality. Space is sometimes varied, indefinite and enigmatic as in Synesthésie by Hugo Ruyant, sometimes suggestively architectural as in the two pages in positive/negative by Jean-Philippe Bretin. The pond chosen by Lando for the three beautiful opening pages of the book is instead the territory of a game between prehistory and the near future, beautifully illustrated in detail.

 

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In La Lettre Sammy Stein opens windows to boundless horizons in the screen of a smartphone while Antoine Cossé in his one-pager succeeds to tell a story of an extramarital affair representing the inside/outside combination through the huge glass window of a hotel room.

 

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Still far from being monothematic, Dôme also showcases contributions by artists who, despite some concessions to the general feeling, insist on their own poetics: it’s the case of DeForge with the story of two angry and ungrateful children, Dash Shaw with the cosplayer girls already seen in the Fantagraphics series of the same name, Schrauwen breaking the borders of everyday paranoia with 140 panels in two pages, Hanselmann who pulls out of the hat three more irresistible pages of Megg, Mogg, Owl and Werewolf Jones, this time tabling at a Zine Fair.

 

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Joe Kessler and Richard Short deserve a particular mention, as they blend the style of their books for Breakdown, Windowpane and Klaus Magazine, in Paws for Thought, full of dogs, cats, and dynamic shapes: the second and the third pages are particularly great, representing in shades of yellow, red and blue a dog running in the background of a hilly landscape.

 

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Embellished by the idea of reiterating in the central pages an appendix of the different stories as single strips, Dôme is the best anthology of recent years thanks to the exceptional ability of the editors (Alexis Beauclair, Joe Kessler, Sammy Stein) to summarize in a few pages the greatest virtues of contemporary comics. If the eighth Kramers Ergot lacked an overall view, if Mould Map #3 over-indulged in an old-fashioned cyber aesthetics, if Volcan was a bit dispersive, Dôme in just 40 pages gives an example of a really rare aesthetic coherence.

The anthology, printed in 500 copies with a 25 EUR cover price, is currently sold out at Lagon but some copies will be available through Breakdown Press at the upcoming Millionaires’ Club in Leipzig, TCAF in Toronto, ELCAF and Safari Festival in London.

“Dôme”

(English text)

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Dôme è un’antologia di grande formato (28 x 35,5 cm) frutto della collaborazione dei francesi di Lagon e degli inglesi di Breakdown Press. Stampata in risograph e rilegata a mano durante l’ultimo festival di Angoulême, alla presenza di gran parte degli autori coinvolti, raccoglie in sole 40 pagine ben 17 artisti tra i più interessanti del panorama internazionale odierno: Lando, Amanda Baeza, Simon Hanselmann, Jeremy Perrodeau, Bettina Henni, Sammy Stein, Dash Shaw, Hugo Ruyant, Antoine Cossé, Michael DeForge, Zoe Taylor, Amandine Meyer, Olivier Schrauwen, Alexis Beauclair, Jean-Philippe Bretin, Joe Kessler, Richard Short.

 

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La copertina di Olivier Schrauwen rappresenta appunto una cupola ultramoderna simile a una sfera stroboscopica, contrapposta a uno spazio esterno indefinito e misterioso. Dal dualismo di questa immagine prendono vita gran parte dei contributi presenti nel volume, che a grandi linee esplorano la dinamica interno/esterno, spesso in relazione a quella realtà/apparenza. E’ il caso per esempio di Lando, che nelle tre riuscitissime pagine di apertura propone un gioco tra preistoria e futuro prossimo magnificamente e dettagliatamente illustrato. Il concetto di spazio è a volte multiforme, indefinito ed enigmatico come in Synesthésie di Hugo Ruyant, altre suggestivamente architettonico come nelle due pagine in positivo/negativo di Jean-Philippe Bretin.

 

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In La Lettre Sammy Stein apre finestre verso orizzonti sconfinati grazie allo schermo di uno smartphone, mentre Antoine Cossé riesce nella sola pagina di Hotel a raccontare una storia di sotterfugi extraconiugali rappresentando il binomio interno/esterno attraverso l’immensa vetrata di una camera d’albergo.

 

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Lungi comunque dall’essere monotematica, Dôme riporta anche contributi di autori che, pur con qualche concessione al feeling generale, insistono sulla propria poetica: è il caso di DeForge con la storia di due bambini arrabbiati e ingrati, Dash Shaw con le sue cosplayer, Schrauwen che ci porta ancora ai confini della paranoia con 140 vignette in 2 pagine, Hanselmann che tira fuori altre tre irresistibili pagine di Megg, Mogg, Olw e Werewolf Jones a una Zine Fair.

 

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Discorso a parte meritano Joe Kessler e Richard Short, che fondono alla perfezione lo stile dei loro albi per Breakdown, Windowpane e Klaus Magazine, dando forma a cinque coloratissime pagine piene di cani, gatti e forme dinamiche: bellissime soprattutto la seconda e la terza tavola di questa Paws For Thought, che rappresentano nei toni del giallo, rosso e blu la corsa di un cane sullo sfondo di un paesaggio collinoso.

 

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Impreziosito anche dalla trovata di riportare nelle pagine centrali un’appendice in forma di singola striscia delle diverse storie, Dôme è grazie alla capacità dei suoi editor (Alexis Beauclair, Joe Kessler, Sammy Stein) la migliore antologia degli ultimi anni. Se l’ottavo Kramers Ergot mancava di visione d’insieme, se Mould Map #3 peccava in alcune concessioni a un’estetica cyber a tratti pacchiana, se Volcan allargava eccessivamente il campo rischiando l’effetto di bignami indie, Dôme in sole 40 pagine ci regala un esempio di coerenza estetica davvero raro a vedersi.

L’antologia, stampata in 500 copie e venduta al prezzo di 25 euro, è attualmente esaurita presso Lagon ma alcune copie verranno rese disponibili grazie alla Breakdown Press ai prossimi festival internazionali, come il Millionaires’ Club di Leipzig, il TCAF di Toronto, l’ELCAF e il Safari Festival di Londra.

Misunderstanding Comics #3

Recupero in questo post un po’ di fumetti che mi sono stati gentilmente messi a disposizione negli ultimi mesi dai lettori di Just Indie Comics, alcuni a mano, altri via posta, altri via pdf. Di proposte di lettura, recensioni ecc. ne arrivano diverse e qui mi sono limitato a selezionare quelle che ho trovato più interessanti, sperando prima o poi di riuscire a rispondere almeno via mail agli altri. A breve, spero il mese prossimo, pubblicherò un altro articolo su questo stesso genere.

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Ho già parlato in diverse occasioni, ma purtroppo senza i necessari approfondimenti, del collettivo belga Tieten Met Haar, di cui fanno parte Valentine Gallardo, Alexander Robyn, Nina Van Denbempt, Mathilde Vangheluwe, Jana Vasiljević e Nina Vandeweghe. Su queste pagine avete forse già visto due fumetti di Nina Van Denbempt, mentre qualche tempo fa anticipavo brevemente l’uscita per Bries dell’antologia Flatlands, che ha raccolto lo scorso gennaio il lavoro del collettivo. E visto che ci sono ne approfitto anche per dire che il terzo e quarto numero della loro antologia omonima sono quanto di meglio abbia prodotto di recente l’Europa nell’ambito delle antologie di storie brevi realizzate in gran parte da autori alle prime esperienze editoriali (pur con qualche guest star come Inés Estrada e Olivier Schrauwen). Nel frattempo alcuni di loro hanno cominciato a farsi vedere su Vice e la Gallardo è arrivata negli Usa grazie alla sempre ottima Space Face Books. Soft Float è una raccolta di storie brevi già viste on line e su svariate pubblicazioni cartacee, più l’inedita Ugly Bastard.

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Il lavoro dei Tieten Met Haar mi sembra nel complesso interessante per la capacità di inglobare numerose ispirazioni extra-fumettistiche, per il modo in cui gli autori riescono a mettere sulla pagina la propria sensibilità, per l’abitudine a rendere il lettering elemento grafico fondamentale. Questi tre fattori hanno un peso specifico importante nei fumetti della Gallardo, suite polifoniche che trascrivono in forma di disegno situazioni sociali come feste, escursioni, uscite con gli amici. I personaggi parlano di continuo, si divertono, si abbracciano, si baciano in una narrazione senza inizio né fine che racconta una storia, più storie o anche nessuna storia ma semplicemente una situazione, un’emozione, una sensazione. Ogni tanto appare un terzo occhio sulla fronte di uno dei personaggi, una tigre che parla, un serpente che semina zizzania in un gruppo di amici. A volte i dialoghi sono eccessivi, riempono esageratamente la pagina e lasciano pensare che questo sovraffollarsi di voci andrebbe controllato meglio. Il disegno è invece continuo nel restituire espressività con poche linee ed è valorizzato soprattutto negli episodi in cui la disposizione delle vignette è meno barocca, come I Fly So Low, impreziosito dall’uso del rosso e dai toni neri della grafite, con tavole che potrebbero anche essere senza testo per come le linee e i colori riescono a raccontare. Molto belle anche un paio di esplosioni a tutta pagina che fungono da apice emotivo.

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The Pestle è invece l’ultima fatica di Carl Antonowicz, fumettista uscito dal Center for Cartoon Studies di White River Junction, Vermont. Mentre si diplomava alla scuola diretta da James Sturm, Antonowicz ha realizzato i tre albi di The Black Dog and the Hole at the Heart of the World, una storia sentimentale (ma tutt’altro che zuccherosa) pregna di elementi misteriosi e inquietanti degni di un film horror, come il cane nero che appare di tanto in tanto al protagonista o un tizio che passa le giornate in stato catatonico a guardare un enorme buco nero nella parete. Nonostante qualche ingenuità nel disegno, in alcune soluzioni un po’ grossolano (cosa normalissima trattandosi praticamente di un’opera prima), il plot fila liscio lasciando una certa curiosità al lettore, destinata al momento a rimanere insoddisfatta dato che la storia è ancora incompiuta. Finita l’esperienza del CCS, Antonowicz ha partecipato insieme ad altri studenti della sua classe all’antologia Maple Key Comics, dove ha pubblicato A Sickness Upon the Land, poi uscito in albo singolo con copertina traforata, a ribadire l’immagine del “buco” che già ricorreva in The Black Dog. Dall’ambientazione urbana si passava senza timori a quella medievale, con una storia fantasy di re, streghe e spiriti dal gustoso sapore anarchico. Eppure è con The Pestle che l’autore fa il vero salto di qualità, abbracciando una complessità ben diversa da quella delle prove precedenti, indispensabile per un fumetto dal respiro più ampio e con una molteplicità di situazioni, temi e personaggi. Pubblicata a puntate ancora su Maple Key, la prima parte di The Pestle è stata di recente ristampata dall’autore in un bell’albo autoprodotto, in attesa del seguito ancora in via di lavorazione.
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Il titolo è tratto dalla scuola, liberamente ispirata alla Schola Medica Salernitana, dove un gruppo di medici e di studenti cercano di trovare una cura per il “bleed”, una malattia che colpisce i bambini causando sanguinamento fino alla morte. Un rimedio in realtà già c’è ma è tutt’altro che scientifico, in quanto consiste nel richiamare, tramite uno specifico rituale, delle creature demoniache che a un certo punto chiedono in cambio l’anima della studentessa Artemisia Di Pregio. La donna non è in realtà l’unica protagonista delle vicende narrate, dato che The Pestle utilizzando un’impostazione da romanzo corale incastra una serie di sottotrame, a partire da quella di Tom Carter, un contadino che si danna per la morte del figlio e a cui non vengono riservate né attenzioni né cure. Come nel precedente A Sickness Upon the Land, gli elementi fantasy si intrecciano a temi politici, qui resi in maniera più articolata che in precedenza. Migliorabile invece il disegno, dato che Antonowicz sembra aver sviluppato le buone premesse viste nei suoi primi lavori in un tratto più maturo ma leggermente mainstream per i miei gusti. Mi permetterei di suggerirgli di lavorare soprattutto sui volti e sulle espressioni dei personaggi, perché invece i paesaggi e le scene del rituale sono ben fatti.

nice and clean cover

Tor Brandt è un cartoonist danese che da qualche tempo si diverte a postare illustrazioni e fumetti sul suo tumblr Pain Pie, titolo anche di una futura serie autoprodotta. Chiaramente debitore a Michael DeForge nel tratto, comunque ancora da affinare, e in alcune soluzioni narrative, Tor cita tra i suoi artisti preferiti del momento e fonti di ispirazione, oltre allo stesso autore di Lose, Simon Hanselmann, Patrick Kyle, HTML-Flowers, Daniel Clowes, Alex Schubert e Gabriel Corbera, insomma tutta gente di cui si è parlato da queste parti e che ci piace parecchio. E’ inevitabile dunque che alcune delle sue storie risentano in maniera sin troppo diretta di uno o più modelli di riferimento, dato che siamo davanti a un artista ancora alla ricerca della propria voce. Mi sono però convinto a parlarne qui perché c’è qualcosa di decisamente promettente nei suoi fumetti, che si tratti dell’esistenzialismo dai toni tenui della recente Sanctuary o dell’horror color neon che vede protagonista un essere disgustoso chiuso in carcere. E anche le sue illustrazioni, piene di vuoti, misteriose, a volte surrealiste, danno l’idea che il ragazzo si farà.

nice and clean interior

La prima fatica cartacea di Brandt è Nice and Clean, comic book autoprodotto in 50 copie che usa uno stile ancora “deforgiano” per raccontare, senza paura di mettere in pagina un po’ di sana trivialità, i problemi sessuali di un uomo ossessionato dall’igiene. Una storia semplice, che si fa apprezzare per l’abilità nell’andare dritta al punto, divertendo senza perdersi in fronzoli e lasciando alla fine anche una punta di tristezza. Davvero niente male per un fumetto d’esordio.