JICBC pt. 3: “Boring” e “Bloom” #4

E’ già pronta a partire la terza spedizione del Buyers Club, addirittura in leggero anticipo rispetto al previsto. L’albo comune a tutti gli abbonati, sia Large che Small, è questa volta Boring di Noah Van Sciver. Spillato autoprodotto dell’autore di Fante Bukowski, Boring è già esaurito negli USA ed è dunque ancor di più una chicca per gli abbonati. All’interno vi troviamo due storie. Quella del titolo racconta una giornata tipo di Van Sciver, dalla sveglia fino al ritorno a letto. Il protagonista appare dimesso e scompigliato, mentre indossa una maglietta con la semplice scritta in stampatello BASIL WOLVERTON. Non succede ovviamente nulla di rilevante, come già anticipato dalla descrizione fornita dallo stesso Van Sciver sul suo sito: “Tormentato dagli incubi e dall’Ansia, un fumettista senza amici cerca di lavorare, raccoglie immondizia e vaga per le strade senza meta. Una storia davvero noiosa”. Che, come immaginerete, risulta invece profonda e anche divertente, seppur con quel tono un po’ malinconico tipico dell’autore. My Own Jurassic Park ci riporta invece alle atmosfere di My Hot Date, con un ritratto del cartoonist da giovane intento a costruire dinosauri di cartone e a sopravvivere ai bulli della scuola. L’albo nel suo complesso diventa un’ennesima prova del talento di Van Sciver, del suo cartooning diretto, spontaneo, senza fronzoli. Nonostante lo stesso autore racconti quanto sia faticoso mettersi al tavolo da disegno, trovare il modo giusto per raccontare una storia, studiare le migliori soluzioni grafiche possibili, il lettore quando si trova davanti agli occhi un fumetto di Van Sciver ha sempre la sensazione che sia stato scritto e disegnato in un batter d’occhio, per come scorre e fluisce con naturalezza.

Gli abbonati Large riceveranno oltre a Boring un fumetto di Andrew White, Bloom #4. Si tratta di un curioso esperimento, ossia di una “cover” integrale di un albo di un altro autore, trovato da White tra i mucchi di arretrati che riempiono le fumetterie americane. Rintracciato l’autore originale (nel senso letterale del termine, non stiamo parlando di Alan Moore), White ha avuto il via libera e ha così deciso di ridisegnare da capo tutto il numero 4 di Bloom riscrivendo a mano persino la pagina delle lettere. Non ho ovviamente a disposizione il prototipo ma posso comunque dirvi che l’esperimento è senz’altro riuscito. L’albo di White vive di vita propria e persino la storia iniziale, terza puntata di una storia più lunga, letta per conto proprio ha una sua dimensione e anche un qualcosa di misterioso che la rende forse ancor più potente. L’altra metà dell’albo è invece occupata dalle autoconclusive Sounds e Air Bubbles: bellissima la prima, poetica come nello stile dello stesso White, ottima la seconda per come viene sviluppata graficamente in una griglia di 12 vignette.

Colgo l’occasione per segnalarvi che di Andrew White è disponibile anche il pack Yearly 2020, una raccolta di tre fumetti prodotti l’anno scorso dall’autore. Vi troviamo il fumetto/poesia Everything is Always, 94 pagine in brossura, disegnato sul cartone con tavole tendenti all’astrazione: “Do you get cold at night/Because I do/I get cold and I get scared/So come closer and tell me your secrets/(I’ll tell you mine)/Tell me what scares you most/Don’t look away/Nothing is beautiful and everything is always”. Su corde simili si muove lo spillato di 16 pagine This is an Empty Room sul rapporto tra spazio interno ed esterno, tra uomo e natura, disegnato su foto di foglie, alberi, foreste (People will tell you that important things are happening outside the room/But important things are happening inside the room too). Più narrativo invece Drowned River, brossurato di 80 pagine in bianco e nero che racconta la vita di una coppia dopo un’alluvione, tra l’adattamento a una nuova quotidianità e problemi di salute.

Tutti questi titoli sono disponibili anche per i non abbonati al Buyers Club e possono essere ordinati ai seguenti link:

BORING

BLOOM #4

YEARLY 2020

Facciamo il punto su Kevin Huizenga/4

Prosegue il “punto” su Kevin Huizenga con una panoramica su Il fiume di notte, traduzione italiana via Coconino del volume The River at Night pubblicato da Drawn & Quarterly, a sua volta raccolta dei sei numeri della serie Ganges. Questi gli altri post dello speciale Huizenga: il primo sugli esordi dell’autore, il secondo sulle sue principali opere, il terzo sui temi della sua produzione. A risentirci prossimamente per il quinto e conclusivo articolo, che raccoglierà curiosità varie ed eventuali. Buona lettura.

Sabato pomeriggio, viali quasi deserti, tipici sobborghi americani. Un uomo cammina da solo, diretto in biblioteca. Pensa a quante volte ha percorso quella strada e vede se stesso nel passato fare lo stesso tragitto. Riflette sul tempo: il momento presente gli sembra eterno ma anche effimero, perché basta un attimo per farlo svanire. Raccoglie un giornale, ricorda com’era la sua vita un anno fa. Che cosa faceva? Dove andava? A cosa pensava? Alla fine decide di accelerare il passo perché la biblioteca sta per chiudere. Fine della storia. Nelle successive pagine de Il fiume di notte vedremo sempre lo stesso uomo, Glenn Ganges, osservare un ciclista che butta una cartaccia per terra, arrivare finalmente in biblioteca, farsi un caffè, leggere, chiacchierare con la moglie Wendy, andare alla ricerca della cartaccia gettata dal ciclista, riflettere sul significato della canzone She’s Leaving Home dei Beatles. E poi, alla fine del primo capitolo della storia, mettersi a letto accanto alla moglie e osservarla dormire, mentre lui inizia a vagare con la mente perché non riesce a prendere sonno.

Quanti fumetti raccontano eventi così quotidiani e ordinari? Pochi, direi. Siamo da sempre abituati a leggere di avventure straordinarie, esseri superpotenti, e – di recente – di fatti storici, di cronaca, di costume. Certo, c’è l’autobiografia, declinata da molti cartoonist come sguardo al proprio ombelico. Ma c’è spesso un’insistenza sull’autore/personaggio, sulla sua identità e sulle sue disavventure. Qui nemmeno quello, perché Glenn Ganges più che essere un alter ego di Kevin Huizenga è piuttosto un uomo qualunque. Anzi, una persona qualunque, dato che non si parla mai o quasi mai della sua sessualità, altrimenti questo fumetto sarebbe potuto diventare l’ennesima odissea del WASP egocentrico. Le opere di Kevin Huizenga, e Il fiume di notte in particolare, sono i fumetti che ci mostrano tutto ciò che gli altri fumetti abitualmente tralasciano. Gente che prende un caffè, che cerca di dormire, che legge seduta su una poltrona. Un personaggio che cammina per strada, al massimo va al funerale di un familiare e che soprattutto pensa, pensa e pensa, senza mai smettere. Che ha consapevolezza di se stesso. Vengo disegnato, dunque sono. Ma senza diventare il centro della narrazione, anzi: il protagonista qui è solo un mezzo per aprire la strada a riflessioni e digressioni sui massimi sistemi. Non ha una storia, né una personalità definita. Per cercare un’iperbole, potremmo definire Il fiume di notte come il fumetto che ha riservato al graphic novel il trattamento che la Marvel ha offerto al genere supereroistico. Se la Marvel negli anni ’60 aveva rappresentato l’umanità di supereroi con superproblemi, Huizenga qui porta alla luce la quotidianità del protagonista di un graphic novel: il suo dietro le quinte, con tutte le inevitabili derive metanarrative.

“Sono una persona molto razionale, rifletto di continuo e mi preoccupo sempre per tutti gli aspetti della mia vita – tranne che per i fumetti, che lascio che si sviluppino pian piano. Non cerco di indirizzarli verso qualcosa di predefinito, anzi, direi che li lascio andare. Mi sento come se fossi libero nei miei fumetti”. Questa frase di Huizenga è fondamentale per capire in toto la genesi e la natura de Il fiume di notte. Che nasce seriale, al pari di tanti altri fumetti dalla genesi decennale raccolti in volume nel corso di questi ultimi anni: Rusty Brown di Chris Ware, per esempio, o anche Clyde Fans di Seth. D’altronde la storia ha avuto una lunga vita editoriale, in cui l’Italia ha avuto una parte importante. Nata per la serie Ignatz diretta da Igort e coprodotta da Fantagraphics e Coconino, è stata pubblicata in doppia lingua per i primi due numeri, per poi proseguire solo in inglese nei numeri 3 e 4. Rimasta al palo dopo la chiusura di Ignatz, ha subito anche un momento di difficoltà dello stesso autore, che dopo il divorzio con la moglie si è trasferito da St. Louis a Minneapolis nel 2014 per iniziare la carriera di insegnante (di fumetto, ovviamente). I primi quattro numeri sono stati pubblicati tra il 2006 e il 2011, nel giro di cinque anni, cioè nello stesso lasso di tempo che intercorre tra il #4 e il #5, che uscirà soltanto nel 2016, autoprodotto dall’autore anche se distribuito nelle fumetterie da Fantagraphics. Del 2017 è la conclusione della storia con Ganges #6, ancora autoprodotto, mentre la raccolta in volume è uscita nel 2019 per Drawn and Quarterly, seguita dalla recente traduzione italiana per Coconino.

Si tratta dunque di un’opera che ha avuto oltre 10 anni di lavorazione: l’opera della vita, probabilmente, ma che all’inizio Huizenga non aveva concepito come tale, né strutturato per la raccolta in volume. Sono personalmente queste le opere che preferisco: perché non sembrano meccanismi perfetti ma lasciano appesi spunti, ne sviluppano di ulteriori, prendono forma una pagina dopo l’altra. Insomma, mostrano al lettore la loro stessa genesi, come un making of incluso nel prezzo. Il tema di Glenn Ganges che non riesce a dormire, infatti, è accennato alla fine del primo capitolo, ma non è centrale sin dall’inizio. Non ne troviamo traccia nel secondo capitolo, tutto dedicato ai videogiochi e in cui l’autore racconta attraverso il suo personaggio un pezzetto di autobiografia, e cioè di quando lavorava alla Xplane (qui ribattezzata Requestra). Ma dal capitolo 3 viene poi ripreso, fino a diventare il nocciolo della vicenda. Ma cosa passa per la testa di Glenn Ganges mentre cerca di prendere sonno? E di cosa parla Il fiume di notte? Beh, se ciò che ci viene mostrato è del tutto quotidiano e ordinario, i pensieri del protagonista sono tutt’altro. Non riguardano la spesa, il lavoro, o cose banali. Un tema importante è il tempo, che più dello stesso Glenn è il vero protagonista del libro, insieme alla percezione che noi abbiamo di esso: il tempo che ci si mette per prendere sonno, e quanto può sembrare lungo un solo minuto quando non si riesce a dormire, e quanto è invece insignificante in un’ottica universale. Ma di discorsi ce ne sono tanti altri, sul nostro posto nel mondo, sulla morte, sull’origine della terra. Glenn legge saggi filosofici inventati, come Metodo ed essere di Jean-Luc Heilegra (parodia di Essere e tempo di Heidegger), cercato e ritrovato con tanta fatica tra i vecchi libri per provare disperatamente ad annoiarsi e così – finalmente – dormire, e veri trattati di geologia che raccontano le teorie di James Hutton, a cui Huizenga riserva la sua abituale traduzione grafica. Le teorie di Hutton, affrontate nel quinto capitolo, sono centrali per la conclusione della storia: rappresentano quello sguardo all’universale che l’autore non tralascia mai, rapportandolo poi al suo particolare nel sesto capitolo, in cui il tempo è scomposto in “scatole da due minuti” che raccontano passato e presente del protagonista. Accanto a lui, sin dall’inizio, c’è sempre la moglie Wendy, che in questo volume è ben più che un personaggio di contorno o anche un semplice coprotagonista. Potrebbe essere perfino considerata la “vera” autrice de Il fiume di notte, visto che è una fumettista, intenta a disegnare la serie Fight or Run, che nella “nostra realtà” è un fumetto dello stesso Huizenga (pubblicato prima sull’antologia Blood Orange, poi in un albetto autonomo). Un accenno in tal senso c’è all’inizio del quinto capitolo: ma non vi dico altro, leggetelo e traete le vostre conclusioni.

Ricco di spunti e di temi diversi, Il fiume di notte poggia la sua unità non solo sul tema di Glenn Ganges che non riesce a dormire, ma anche sulla forma. Certo, tra un capitolo e l’altro sono passati degli anni a volte, e a livello estetico qualcosa cambia. Ma dal punto di vista formale le soluzioni adottate da Huizenga danno una notevole compattezza all’opera. Lo stesso autore ha spiegato in un’intervista del 2014 pubblicata online da The Comics Journal: “Quest’anno scrivere Ganges #5 è stato davvero strano. L’ho rimandato per anni perché in realtà non sapevo proprio come concludere la serie. Così mi sono seduto e ho riletto Ganges dal #1 al #4 e ho avuto questa curiosa sensazione di trovare nel mio lavoro degli elementi che non avevo mai notato prima. Mi è sembrato di capire delle cose che c’erano in questi fumetti che non sapevo di aver fatto consapevolmente. E così ho concluso che se mi concentravo sugli aspetti formali del mio lavoro potevo capire come portarlo avanti. Affronto i miei fumetti sempre con una sorta di logica in mente – pensando a ciò che ha senso dal punto di vista formale, cercando un equilibrio – e ho scoperto che se guardavo i numeri dall’1 al 4 e cercavo di comprendere cosa succedeva sul piano della forma, mi sembrava subito chiaro cosa dovevo fare dopo. Avevo già un po’ di idee in testa ma in questo modo ho finalmente capito la forma che quelle idee avrebbero dovuto prendere”. Questa dichiarazione è particolarmente importante perché ci permette di vedere l’opera di Huizenga da un punto di vista puramente estetico. Mettiamola insieme con quanto scriveva Sean T. Collins recensendo Ganges #4 sul sito di The Comics Journal: “Kevin Huizenga ha già affrontato l’incapacità di addormentarsi del suo protagonista, l’everyman Glenn Ganges, nel numero 3, riformulando i vagabondaggi della sua mente irrequieta come una serie di avventurose esplorazioni di ambienti – acqua, scarichi, alberi, le bolle e i balloons degli stessi fumetti  – che renderebbe orgoglioso qualsiasi membro di Fort Thunder”. Ecco dunque che Il fiume di notte diventa un fumetto di esplorazione, non di ambienti o di uno spazio fisico appunto, ma dello spazio mentale e vitale del protagonista. Un protagonista che agisce pensando, perché la sua azione è esplorare i dungeon della mente, dove non trova altro che i suoi stessi pensieri. L’immagine ricorrente del corpo di Glenn steso a letto – la testa ovale con il naso a formare una protuberanza – si accompagna a un’altra immagine della sua mente che vaga mentre non riesce a prender sonno, rappresentata graficamente da un altro Glenn più piccolo. Questo Glenn/mente – se così vogliamo chiamarlo in opposizione al Glenn/corpo – si moltiplica all’infinito proprio nel sesto e ultimo capitolo, che inizia con una storia nella storia intitolata La galleria degli specchi della natura in cui i movimenti di questo esercito di Glenn superano ogni barriera formale, uscendo fuori dalle vignette e arrivando fino ai bordi delle pagine, in quella che è una delle sequenze più semplicemente belle – se non LA più bella – disegnata da Huizenga nella sua carriera.

E’ come se alla fine tutta la complessità crescente di questo fumetto venga riportata alla forma pura e semplice. E sulle forme ci sarebbe molto altro da dire, vista la ricorrenza di figure circolari in tutto Il fiume di notte se non in tutta l’opera di Huizenga (guardatevi le diverse copertine di Gloriana, con la rotonda luna rossa che rimanda al pallone da basket della storia in appendice, o anche il fumetto autoprodotto The Body of Work). Sull’argomento si è soffermato il fumettista Andrew White, che ha realizzato una fanzine su Il fiume di notte, poi riprodotta anche on line. Vi suggerisco di darci un’occhiata per ulteriori approfondimenti. E visto che ci siamo vi segnalo anche che nel suo Patreon Huizenga ha messo a disposizione i pdf di due fanzine intitolate Riverside Companion, con note e approfondimenti su Il fiume di notte.