Vi presento Joe Matt/3

Si conclude con questa terza puntata lo speciale Joe Matt. Non ne sapete niente? Bene, allora andatevi subito a leggere la PRIMA e la SECONDA parte e poi tornate qui.

E’ l’aprile del 1994 quando esce Peepshow #6 e Matt si è dimostrato fino a quel punto un cartoonist dai ritmi piuttosto serrati, con 6 comic book pubblicati in 2 anni. Raccontate con discreta minuzia le sue vicissitudini sentimentali, si rende conto che è tempo di cambiare e di passare ad altro, magari a una storia lunga che tutti possano leggere dall’inizio alla fine senza sapere assolutamente nulla di lui. Matt pensa già al graphic novel: in testa ha il volume, ancor più dei singoli albi, anticipando un approccio (anche di marketing) che sarà fatto proprio dalla stessa Drawn & Quarterly. Peepshow #7, pubblicato a marzo del 1995, è così il primo episodio di Fair Weather, una storyline – da noi tradotta da Coconino con il titolo Il bel tempo – che si svilupperà in quattro puntate, fino al #10 datato luglio 1997. Siamo sempre dalle parti del fumetto autobiografico ma stavolta l’attenzione non è sul presente ma sul “dorato” periodo della gioventù. In questa nuova storia si raccontano infatti le vicende di un weekend estivo degli anni ‘70 in quel di Lansdale, Pennsylvania, dove il giovane Joe è un ragazzino biondo già collezionista di fumetti e gadget, egoista, pigro e codardo. La prima parte si apre con tre pagine di corsa in bicicletta di Dave, amico di Joe e comprimario della storia, che i lettori più fedeli avevano già conosciuto – a dire il vero sotto tutt’altro aspetto fisico – in una pagina di Peepshow! – The Cartoon Diary of Joe Matt intitolata appunto My Best Friend… (As a Kid) “Dave”. La corsa del ragazzino tra villette a schiera, salite, discese e strade sterrate ci sintonizza subito sulle giuste frequenze tematiche ed emotive, facendoci quasi sentire l’aria di quella lontana estate nei sobborghi. E a pagina 4 ecco arrivare il giovane Joe, capelli un po’ lunghi e riga da una parte, che sale dietro alla bicicletta dell’amico. Gli ha chiesto un passaggio in bici perché spaventato da Rizzo, un bullo del quartiere, che in realtà – si scoprirà in seguito – non aveva tutti i torti a prendersela con lui, dato che si era accorto consultando la classica Comic Book Price Guide di essere stato fregato in diversi scambi di fumetti. Insomma, abbiamo subito a che fare con il solito Joe Matt: attaccato alle cose materiali, tirchio, avido, cacasotto. E anche politicamente scorretto: come in Peepshow #1 faceva un occhio nero a Trish, qui si mette insieme a Dave a prendere di mira Gail, una ragazzina mentalmente disabile che i due prima costringono a cantare e poi deridono senza pietà. E poi lo definivamo avido e attaccato alle cose materiali? Eccolo qui perseguitare un ragazzino del paese che sembra avere in casa una copia di Action Comics #1. O maltrattare la nonna perché gli ha regalato dei fumetti mezzi rovinati, che non sono “mint” come piacciono a lui.

Siamo a questo punto già al numero successivo, in cui altre situazioni ci ricordano del Joe Matt che abbiamo conosciuto da adulto. L’accidia è una delle sue caratteristiche e qui la vediamo già bell’e pronta, dato che si rifiuta in tutti i modi di accontentare la madre falciando il prato di casa e per punizione lei gli fa sparire tutti i fumetti dalla libreria. “Dove sono” urla in lacrime dopo aver trovato la cameretta vuota. E poi, in un’escalation, quando lei gli dice che li ha buttati: “Stai mentendo! Bugiarda! Bugiarda!”. E ancora “Non avevi nessun diritto”, “Mi devi diecimila dollari!”, “Mi auguro per te che siano nella tua stanza!”. L’episodio rispecchia un rapporto con i genitori non certo idilliaco, oltre che l’insolenza di Joe, sempre pronto a rispondere male, a lamentarsi, a ribellarsi. Quando all’inizio del #10 la madre vuole portarlo a messa, lui nel tentativo di ritrovare i suoi fumetti rintraccia in un cassetto la copia del libro Helter Skelter di Bugliosi e Gentry, che gli era stata sottratta perché poco adatta alla sua età (d’altronde è sul caso Manson), e fuori di testa apostrofa la madre con un sonoro “Fuck you!”. Non manca l’altra caratteristica del Matt adulto, il voyeurismo, di cui vediamo una sorta di prequel quando spia le donne di un centro benessere prendere il sole in topless. Si tratta di un posto segreto suggeritogli da Dave, ma saprà Joe tenere la cosa per sé o la userà come merce di scambio per procurarsi altri fumetti? La risposta la conoscete già.

Al di là di qualche screzio inevitabile a quell’età, il rapporto tra Joe e Dave è senz’altro la nota positiva della storia, oltreché il fulcro della stessa. “Volevo fare un fumetto che parlasse di due persone e non di una sola – racconta Matt a The Comics Journal nel ‘96 – Non so se si capisce, se è chiaro che parla di questi due amici, o sembra che sia solo su di me. Ma nella mia testa volevo concentrarmi sul rapporto di amicizia”. Con Dave il protagonista condivide la passione per i film dell’orrore presentati dal Dr. Shock, anfitrione di un popolare show televisivo andato in onda in Pennsylvania in quegli anni e che sarà ospite proprio quel fine settimana alla fiera di Lansdale. Passo dopo passo la trama converge verso quella domenica sera, che però alla fine non ci sarà mostrata, perché il finale di Peepshow #10, numero speciale lungo 32 pagine, è il classico anticlimax. Fair Weather è un autentico ritratto dell’artista da giovane, incentrato su episodi che descrivono una gioventù ma senza segnarla: qui non si racconta un’avventura alla Stand By Me ma un fine settimana qualsiasi. E quindi sarebbe sbagliato definire questa storia come un romanzo di formazione, perché alla fine il protagonista rimane esattamente come prima, anzi, potremmo dire che in queste pagine si gettano le basi della personalità disfunzionale del Joe Matt adulto.
Pur non riuscendo a far ridere come lo story-arc precedente (e francamente sarebbe stato impossibile, visti i temi in gioco), la storia ospitata su Peepshow #7-10 è una lettura divertente che dimostra ancora la capacità di Matt nel raccontare. Qui il suo cartooning è fluido come pochi, fatto di inquadrature semplici ma efficaci, di un’espressività senza eguali, di tempi narrativi e comici scanditi da un metronomo. Insomma, si finisce a girare le pagine alla velocità della luce, ed è quasi un peccato, perché divorare queste storie così in fretta non fa nemmeno apprezzare la qualità intrinseca dei disegni, più ariosi e meno compressi rispetto al passato, grazie all’utilizzo di vignette più grandi e di pagine costruite sempre in maniera diversa. A livello artistico, Fair Weather è la summa del perfezionismo di Matt, l’esaltazione del suo segno pulito e chiaro, reminiscente dei classici della strip americana. Ed è anche la massima espressione del suo maniacale perfezionismo, che lo porta a cancellare e a ritoccare ogni singolo particolare, principale causa – insieme alla pigrizia – della cadenza sempre meno regolare delle sue pubblicazioni.

“Ti senti molto più libero quando sei solo. Nessuno ti guarda. Nessuno mi guarda mentre spreco intere giornate. Nessuno mi guarda mentre sto lì a non fare niente. E soprattutto nessuno mi giudica. Ma comunque penso di dare il meglio di me in una relazione, perché stare insieme a qualcuno comporta delle responsabilità e quindi anche io mi sento più responsabile. Da solo, sono autoindulgente e masturbatorio. Ma sono felice! In un certo senso sono felice, in quel modo lì. Ma non a lungo termine… A un certo punto non ne puoi più”. Questa riflessione, pubblicata nella già citata intervista di The Comics Journal #183 del gennaio 1996, potrebbe essere considerata in qualche modo un preludio a Spent, la nuova storyline di Matt. E’ una storia frammentata, caratterizzata da un’unità tematica e stilistica più che di azione. Se con Fair Weather l’autore aveva aderito in tutto e per tutto al format emergente del graphic novel, in Spent già lo rompe presentando ai lettori non una narrazione nel senso classico del termine ma una digressione su un tema. Le vicende si svolgono su piani temporali differenti ma ugualmente utili a fotografare la condizione dell’autore/protagonista. E non è una condizione eccellente, come si potrà intuire dal titolo. Spent (letteralmente “esausto”) rimanda da una parte allo stato del protagonista dopo che si è masturbato anche venti volte al giorno, dall’altra a una più generale sensazione di “non poterne più”, che lo porta a percorrere il circolo vizioso della pigrizia e dell’infelicità. Alle sonore risate, inevitabili a ogni rilettura, è impossibile non accompagnare di tanto in tanto un sorriso amaro. Il primo capitolo esce su Peepshow #11 del giugno 1998, in cui la serie cambia formato, abbandonando quello del classico 17×26 cm per passare al più piccolo 15×23 cm. Inoltre appare per la prima volta il colore. I numeri dall’11 al 14 di Peepshow sono stampati in bianco, nero e rosso, a differenza della raccolta in volume, in cui il rosso scomparirà per lasciare spazio a un verde tenue che non colorerà solo i dettagli ma anche gli sfondi: una scelta non certo riuscita, che avrà l’effetto di penalizzare la linea pulita ed elegante di Matt, appiattendo notevolmente le tavole.

E’ il 1994 e in un negozio di libri usati, a Toronto, Matt trova una raccolta della striscia Birdseye Center, di cui gli aveva parlato Seth, e la soffia all’amico acquistandola per soli 10 dollari. Seth va su tutte le furie e ne nasce il solito battibecco tra i due, in cui Matt mette in mostra come sempre taccagneria e grande cocciutaggine, mentre Seth – dopo aver visto un tipo che parla ad alta voce al cellulare – distoglie l’attenzione dal fumetto per lanciarsi nel suo solito sproloquio contro il presente, a favore dei magici “tempi che furono” (“I fuckin’ hate this modern world we’re livin’ it” esclama in una vignetta). Dopo un flashback che riprende il giovane e impacciato Matt di Fair Weather alle prese con una bambina bionda, la scena cambia e assistiamo all’adulto protagonista che incontra il suo spacciatore di VHS porno. Ma l’atmosfera non è certo idilliaca e se Omar è un erotomane guardone compulsivo, Matt si fa prendere dai sensi di colpa e comincia a interrogarsi sulla sua dipendenza dalla pornografia. “Si tratta solo di soldi – riflette il nostro – e persone come me e te sono dei complici. Siamo noi i consumatori. Sono i nostri soldi a pagare queste ragazze. E’ proprio squallido, se ci pensi… Pagare della gente perché si faccia guardare mentre fa sesso…”.
Per Peepshow #12 bisogna aspettare quasi due anni, dato che esce nell’aprile del 2000. E’ lo stesso protagonista a spiegarcene il motivo, leggendo la biografia di Frank King pubblicata su The Smithsonian Collection of Newspaper Comics e paragonandola alla sua: se l’autore di Gasoline Alley realizzò una striscia al giorno per oltre 40 anni, lui ha avuto un crollo della produttività da quando è finita la sua relazione con Trish. La storia alterna il tempo presente a Toronto con un flashback di un episodio del passato, a Lansdale nel 1980. Il parallelismo è dato dalla condizione di Matt: chiuso in camera con due videoregistratori per montare la VHS porno perfetta (ossia senza volti maschili), l’ormai ultratrentenne Matt è soltanto una versione adulta del bambino che si chiudeva in bagno ad aspettare l’inizio di Bedazzled (Il mio amico il diavolo in italiano) per toccarsi davanti a Raquel Welch. Per tutto l’episodio il protagonista non esce dalla stanza, al punto che – quando si accorge che la sua “pee bottle” è piena fino all’orlo – arriva a pisciare in una tazza da tè per non correre il rischio di incontrare la sua coinquilina o, peggio ancora, la padrona di casa. Insomma, la trama latita e può essere ricondotta alla frase “il protagonista sta chiuso in una stanza a masturbarsi”, come se Matt avesse deciso di rinunciare al racconto per mostrare ai lettori quanto è caduto in basso.

Peepshow #13 esce a febbraio 2002 e consta di ben 32 pagine, 8 più del solito. Si tratta di un altro episodio tematico ma, se nel numero precedente il set era la stanza di Matt, adesso è il ristorante Tony’s di Toronto, dove va in scena una conversazione lunga tutto il comic book, in cui il protagonista viene preso continuamente in giro da Seth e Chester Brown. Al centro i soliti temi (masturbazione, porno, collezionismo, fumetti, soldi, misoginia e la fascinazione per una ragazza sin troppo giovane), sviscerati con dialoghi frizzanti e un crescendo di gag che porterà al divertentissimo finale, diretto seguito delle vicende del numero precedente. Forse uno dei fumetti non sperimentali più statici di sempre – al pari della prima parte del Clyde Fans di Seth – Peepshow #13 riesce anche ad essere, grazie al talento di Matt, uno dei più divertenti della serie e dimostra come si può fare ottimo fumetto con pochi elementi e senza grosse trovate formali. Lo stesso discorso vale d’altronde per tutta la storyline, raccontata interamente con una griglia di otto vignette sviluppate in orizzontale, senza nemmeno una pagina diversa dalle altre: un ritorno alla regolarità dopo la libertà che l’autore si era concesso in Fair Weather.
Se qualcuno si lamentava perché Peepshow usciva assai di rado, le cose con il #14 andarono anche peggio. Il nuovo numero arriva infatti a quasi 5 anni dal precedente, ossia nel novembre del 2006, quando l’autore si è già trasferito a Los Angeles. “Questo numero porta a conclusione la mia storia più recente – scrive Matt nella pagina della posta – ambientata a Toronto. E sì, sarà raccolta in volume l’anno prossimo. E per rispondere alla tua domanda a proposito delle mie intenzioni a proposito di questa storia… Beh, essenzialmente ho voluto riassumere o lasciare traccia di un particolare periodo della mia vita. Ovviamente il mio obiettivo iniziale era molto più ambizioso… Speravo di raccontare con precisione l’esasperazione e la schizofrenia che derivano dalla dipendenza… Il continuo andirivieni tra il tentare di uscirne fuori e il rassegnarsi definitivamente ad essa abbracciandola”. Questa analisi raggiunge il suo compimento in queste pagine, dove l’autore si fa strada tra le sue compilation porno e le strisce di Gasoline Alley per riflettere amaramente su nevrosi, depressione e addirittura morte. Non si risparmia Matt, e senza alcun pudore si descrive com’è, con una consapevolezza che sfocia a volte nell’autodenigrazione, tanto da apparire come una specie di reietto depresso pieno di disprezzo per la vita e per se stesso. Anche il suo lavoro passato viene preso di mira, e così lo vediamo sfogliare i volumi di The Poor Bastard e Fair Weather inorridendo per alcune scelte di disegno e di scrittura. E coglie anche l’occasione per confessare al lettore che non tutto quello che ha raccontato è successo veramente, definendo The Poor Bastard “half fabrication” e ammettendo di essersi completamente inventato la scena finale del ménage à trois. Ma non c’è da stupirsi: basta leggere i fumetti di Matt per rendersi conto che non tutto può essere vero, perché le gag sono così perfettamente costruite da dover essere necessariamente fiction. “Non credo che il mio lavoro rispecchi la realtà in tutto e per tutto – aveva detto Matt nell’intervista pubblicata nel #162 di The Comics Journal – I miei fumetti hanno una componente fittizia, nel senso che è normale mettere insieme degli eventi distanti nel tempo o inventarsi qualche particolare per dare un po’ di pepe alla storia. E poi io tendo a drammatizzare le cose (…). E’ normale esagerare per far ridere i lettori”. Insomma, se non fosse ancora chiaro il Joe Matt autore e il Joe Matt personaggio non sono affatto la stessa cosa, per quanto noi lettori tendiamo inevitabilmente a identificarli. Peepshow #14 si conclude con Maude, la gatta della sua vicina di casa e unico motivo di gioia per Matt, che caga addosso all’autore. Un finale davvero esplosivo, nel senso letterale del termine.

Ma che fine ha fatto Joe Matt? La domanda è lecita, perché stiamo parlando a tutti gli effetti di un autore uscito dai radar del fumetto. Se, come abbiamo detto, il #14 di Peepshow è del 2006, dell’anno successivo è Spent, raccolta dei #11-14, in italiano profeticamente tradotto da Coconino come Al capolinea. Nel frattempo il nostro si è trasferito a Los Angeles, ha una nuova fidanzata, si è più volte iscritto e cancellato da Facebook e ora ha anche un account Instagram e un gatto bianco di nome Seymour. Se poi vogliamo parlare di fumetti, beh, non si è visto granché di suo, a parte un paio di fugaci apparizioni. Nel 2015 è uscito un fumetto inedito a firma Matt sulla voluminosa celebrazione dei 25 anni di Drawn & Quarterly (Drawn & Quarterly: Twenty-Five Years of Contemporary Cartooning, Comics, and Graphic Novels), che doveva essere inizialmente la prima parte di Peepshow #15. “E’ difficile immaginare che un’era del genere sia mai esistita – scrive nell’introduzione l’editore Chris Oliveros – ma sì, c’è stato un breve periodo in cui Joe Matt era un fumettista prolifico”. Seguono 15 pagine di fumetto suddivise in brevi episodi, in cui Matt racconta del suo trasferimento a Los Angeles, ci aggiorna sulla sua situazione sentimentale, discute dell’opera di Robert Crumb e disegna il discorso d’addio dedicatogli da Seth al momento di lasciare Toronto. 
Nel 2016 la piccola casa editrice di Denver Kilgore Books ha invece pubblicato l’esilarante Paid for It, un mini-comic di sole 8 pagine in cui Matt ribalta le situazioni di Paying for It di Chester Brown assegnando all’amico il ruolo del gigolò. Da allora più niente, anche se va detto che nel 2020 sono cominciati ad apparire dei post su Instagram che mostravano altre pagine destinate a Peepshow #15. Il progetto precedente – quello visto sul volume celebrativo di Drawn & Quarterly –  è stato infatti abbandonato a favore di una nuova storia, ambientata almeno in parte nel 2002, e di un racconto breve sull’esperienza dell’autore con la HBO. Anche in questo caso però, nonostante le pagine fossero addirittura già inchiostrate e letterate, non si hanno più novità e l’ultimo post in questo senso è del settembre 2020. Chissà a questo punto se, tra un’interruzione e un ripensamento, Matt riuscirà a far ripartire una serie ferma al momento da ben 17 anni. Io ovviamente spero di sì, e sono convinto che sarebbe bello e al tempo stesso strano, come assistere alla reunion di una band che non avresti mai pensato di riveder suonare.

De(a)t(h) Grymma Svärdet

Il titolo di questo post sembrerà criptico e illeggibile ma in realtà è un (brillante) gioco di parole per annunciare la chiusura di un’antologia che da un paio d’anni è diventata ospite fissa del Big Cartel e dei banchetti di Just Indie Comics. Ma innanzitutto guardiamo il filmato!

Ovviamente non c’era nessun filmato ma solo questa splendida e coloratissima copertina di Tara Booth tratta da Det Grymma Svärdet #43, un elegantissimo cartonato di 180 pagine rilegato in tela che replica il formato del #40. Anche i contenuti sono sulla stessa falsariga, perché all’interno troviamo un mix di fumetti di autori internazionali con l’aggiunta di qualche articolo: il tutto in svedese ma con un libretto di traduzioni in inglese allegato. Per leggere questo Det Grymma Svärdet #43 ci vuole un po’ di pazienza insomma, ma vi dico che ci si riesce persino da sdraiati, quindi in realtà non è poi così complicato.
Ultimo numero dicevamo, ma perché? La decisione era già stata anticipata dall’editor Fredrik Jonsson nel numero precedente dell’antologia. In sostanza, il motivo è legato all’inevitabile e triste destino delle antologie/riviste, un tipo di prodotto oggi poco premiato dai lettori, soprattutto se paragonato ai graphic novel. Jonsson è infatti il deus ex machina di Lystring Förlag, casa editrice svedese che pubblica in patria autori come Simon Hanselmann, Olivier Schrauwen, Tommi Parrish e tanti altri, trovando un soddisfacente riscontro di vendite. Det Grymma invece, pur beneficiando di finanziamenti statali, a malapena andava in pareggio, non riuscendo a volte nemmeno a recuperare i costi di stampa (i numeri hanno di volta in volta un formato e un concept diverso ma sono sempre ben confezionati) e il pagamento dei diritti agli autori.

Jerome Dubois

In attesa di un prossimo e già annunciato “best of” della serie, godiamoci intanto questo numero finale, disponibile da qualche giorno nel Big Cartel di Just Indie Comics. E vi assicuro che è uno dei migliori Det Grymma di sempre, curatissimo nell’editing e con più di qualche perla. Cito per esempio i contributi di Jerome Dubois, che apre e chiude le danze con due estratti dai suoi due libri gemelli, Citéville e Citéruine, usciti in Francia nel 2020 rispettivamente per Cornélius e Editions Matière, il primo con dialoghi e personaggi rappresentati in bianco e verde e tratti manga, il secondo che mostra le stesse situazioni in bianco e nero ma disegnandone solamente gli sfondi e le ambientazioni. Notevoli le 16 pagine di Louka Butzbach, che racconta la ribellione giovanile con colori tenui e atmosfere favolistiche. I figli di Werewolf Jones, Diesel e Jaxon, sono protagonisti delle due storie realizzate dal duo Simon Hanselmann e Josh Pettinger, che negli USA hanno già trovato spazio in alcune fanzine autoprodotte (occhio al loro Werewolf Jones & Sons Deluxe Summer Fun Annual, in uscita a luglio per Fantagraphics): entrambe divertentissime, con il picco raggiunto da Spit Game, una gara di sputi tra i due ragazzini che a un certo punto diventa una gara di schizzi (vabbè, se conoscete Hanselmann già sapete dove si va a parare). Altri pezzi forti sono le 16 pagine a firma Teddy Goldenberg con atmosfere stranianti degne del suo recente City Crime Comics, Anna Haifisch che in 1992 ricostruisce le visite allo zoo di Lipsia in compagnia della madre con un tratto più spesso rispetto al passato e decisamente interessante (dalle parti del Joe Kessler del bellissimo Le Gull Yettin/Måsvarrelsen), Marko Turunen (ricordate il suo La morte alle calcagna per Canicola?) che in bianco, nero e verde ci regala un pezzo focalizzato più sulle atmosfere che sulla trama, con protagonisti una suora fotografa, un tizio incontrato alla fermata dell’autobus e una specie di robot che officia un funerale. Mancano da citare i contributi di HTMLflowers, Nathan Cowdry, Melek Zertal, Sara Kupari e una pagina a firma Tommi Parrish ma insomma, avete capito che il livello è alto e che questo numero di Det Grymma Svärdet riesce ampiamente nel tentativo di mettere insieme lavori fuori dagli schemi, capaci di restituirci un po’ di fiducia nei confronti del fumetto “alternativo” contemporaneo.

Anna Haifisch

Per quanto riguarda i pezzi scritti, non ha molto senso approfondirli in questa sede, dato che tutti e quattro sono soltanto in svedese, senza traduzione. Peccato soprattutto per l’intervista di Robert Aman a due degli autori di Historieboken, un best seller a fumetti svedese degli anni ’70 che rilegge la storia dell’Occidente in chiave marxista. E’ invece tradotto il testo illustrato di Jaakko Pallasvuo, sullo stile dei contenuti che il fumettista finlandese sta pubblicando di recente su Instagram. Il tema caldo dell’intelligenza artificiale viene usato per tornare sul concetto di automazione e sul ruolo dell’artista nel mondo contemporaneo, con la definizione di arte come “una sorta di sviluppo lineare che segue in parallelo la tecnologia, la politica e la storia” che mi sembra davvero il modo migliore per chiudere un dibattito complesso quanto a volte fine a se stesso. Per leggere il testo completo potete appunto ordinare Det Grymma Svärdet #43 nel Big Cartel di Just Indie Comics, dove trovate anche qualche numero arretrato di una delle più riuscite antologie internazionali degli ultimi anni.

Teddy Goldenberg