Le sette storie di O Panda Gordo

Cosa hanno in comune il Portogallo e la Scozia? Sì, di sicuro le scogliere e magari anche il clima ventoso di alcune parti esposte alle intemperie dell’oceano. E forse anche molto altro ancora, ma dopotutto io che ne so, questo non è mica Turisti per Caso. Se però devo dirvi cosa accomuna questi due paesi nel modesto ambito del fumetto, la prima cosa che mi viene in mente è O Panda Gordo. Nato nel 2011 in Portogallo, il progetto ideato e curato da João Sobral si è spostato in quel di Glasgow dal 2014. Le sue attività si dividono più o meno equamente tra pubblicazioni di artisti emergenti, collaborazioni editoriali, la cura dell’antologia Seven Stories e una distribuzione di fumetti che ha più di qualche similitudine con il webshop di Just Indie Comics.

Era dunque scontato che prima o poi nascesse un asse Italia-Scozia e infatti da qualche mese alcuni titoli O Panda Gordo sono disponibili anche da noi attraverso la distribuzione collegata a questo sito. Mi è sembrato così doveroso, pur con i soliti tempi sudamericani più che scozzesi, riportare la notizia e al tempo stesso presentare brevemente alcuni degli albi – sette, guarda caso – tra quelli che mi ha inviato João.

Seven Stories #1 e #2 – E sette sono infatti le storie dell’antologia manifesto di O Panda Gordo, in cui Sobral si riserva il ruolo di editor. Non si tratta di una rivista come tante altre, perché come suggerisce il titolo gli albi in questione si dedicano a sviluppare i conflitti che secondo lo scrittore Arthur Quiller-Couch sono alla base di ogni possibile storia: Uomo contro Uomo, Uomo contro Natura, Uomo contro Se Stesso, Uomo contro Dio, Uomo contro Società, Uomo preso nel mezzo, Uomo e Donna. L’idea di base, più che un pretesto o un gioco, è un modo per affrontare temi primari e scegliere di conseguenza fumettisti dotati di uno stile essenziale e crudo, stimolandoli ulteriormente a guardare oltre il figurativismo, tanto da raggiungere spesso l’astrazione. Le uniche eccezioni sono quelle di Teresa Ferreiro e, in parte, di Marie Weber, che firmano i contributi più tradizionali. Per il resto ciò che si cerca qui è un “bad drawing” che possa essere espressione di istinti ed emozioni profonde, come spiega lo stesso Sobral nell’introduzione al secondo numero dell’antologia, manifesto editoriale e anche di vita. Venendo ai contenuti, i due numeri presentato una notevole coerenza interna ma anche la tipica alternanza delle antologie autoprodotte tra contributi riusciti e altri più involuti, con la notevole partecipazione di Amanda Baeza nella prima occasione e un bel risultato complessivo nella seconda, dove si distinguono il primitivismo di Bruno Borges, l’outsider art di Nick Norman, le figure femminili corpose e scomposte di Giana Ganassin. Ma a giustificare il prezzo del biglietto sono soprattutto la coesione e la profondità del progetto, accompagnati per altro da una cura editoriale e da un confezionamento davvero notevoli.

Nick Norman da “Seven Stories” #2

Living Room di Chris Kohler – Il mio fumetto preferito tra quelli fatti uscire finora da O Panda Gordo viene da Glasgow ed è a firma di Chris Kohler. Living Room si è aggiudicato il secondo posto nella Comics Workbook Composition Competition del 2017, un concorso che invita i partecipanti a realizzare un racconto di 14 pagine utilizzando una griglia fissa strutturata su tre linee orizzontali, la prima e la terza suddivise in due vignette e quella centrale che invece può averne una o due. Kohler sfrutta queste regole al meglio, utilizzando le costrizioni formali per riproporre a distanza di qualche pagina frasi e situazioni apparentemente identiche ma in realtà inserite in un’ottica tutta nuova, facendo diventare la ripetizione in un nuovo contesto espressione di cambiamento. Una coppia lavora da anni in un grande magazzino stile Ikea ma a un certo punto gli affari cominciano ad andare male, tanto che dai vertici dell’azienda non arrivano nemmeno più le indicazioni su come montare i mobili e allestire gli ambienti. Il capo però è ostinatissimo e inizia a disegnare le istruzioni a mano, continuando l’attività anche nel momento del tracollo. E alla fine mostrerà un’umanità non certo comune nei confronti dei suoi ormai ex dipendenti… Non vi anticipo altro per non rovinarvi gli sviluppi di una piccola storia che con lievità riesce a toccare temi importanti come le relazioni umane e il passare del tempo, inserendo il tutto in un contesto di crisi economica che sarà familiare a più di qualcuno. Caratterizzato da una narrazione limpida e una linea pulita, Living Room è l’albo più convenzionale tra quelli del lotto, ma è talmente ben fatto da risultare un piccolo gioiello.

No Mouth’s The Hum di Gore Krout – Questo promette di essere il primo numero di una serie a firma Gore Krout, misterioso autore qui al debutto. Ma dal canto mio sarebbe bello se tutto finisse così e sinceramente ho anche il presentimento che la narrazione seriale promessa nella descrizione di questo albetto di 20 pagine uscito nell’ottobre 2017 sia in realtà una boutade. No Mouth’s The Hum è infatti uno di quei fumetti che hanno la loro forza nell’essenzialità dell’idea che ne sta alla base e nella lucidità con cui essa viene portata a termine. Un tizio vestito di nero cammina in un deserto bianchissimo mettendo subito in chiaro che sì, lo chiamano “senza bocca” ma a lui non sembra giusto essere definito per qualcosa che non ha. E infatti lui preferisce farsi chiamare “naso a due occhi”. Poi alla fine arriva pure il “brusio” del titolo e il fumetto finisce. Perfetto, sintetico, nichilista, forse demenziale ma d’altronde non si può certo dire che l’albo non mantenga le promesse. La composizione è tutt’altra cosa rispetto al precedente Living Room, se là c’era una struttura predefinita qui Krout lavora con libertà estrema e sempre a tutta pagina, con un approccio da albo illustrato più che da fumetto classico. I disegni sono a dir poco scarni, esaltandosi nella rappresentazione dell’edificio razionalista a cui il protagonista arriva nel finale.

Spare Me di Disa Wallander – Altro esempio di cartooning coeso e autoconsapevole è quello di Disa Wallander, che in questo albo di grande (anzi direi lungo) formato uscito nell’agosto 2017 continua il suo percorso creativo. L’alternanza tra foto ritoccate dall’autrice e disegno a matita stilizzato ai limiti dello schizzo caratterizzava già il precedente Help Yourself, pubblicato da Perfectly Acceptable Press di Chicago nel 2016, ma qui il ping pong stilistico avviene all’interno della stessa pagina. Le tavole sono infatti divise in due sezioni: la prima, ben più ampia per dimensioni (più o meno 1/5 del totale), è occupata per lo più da foto ritoccate in digitale, cui si aggiungono di volta in volta testi e illustrazioni, mentre la seconda è un semplice disegno a matita su sfondo bianco accompagnato da una breve frase. All’alternanza stilistica corrisponde una dicotomia concettuale tra natura e uomo, con le immagini di piante e paesaggi della parte superiore che si oppongono ai personaggi in fuga della striscia inferiore, impegnati a correre per sfuggire ai loro demoni interiori o, più prosaicamente, per non farsi raggiungere dalle e-mail. E anche la parte più visivamente suggestiva ha spesso un elemento decadente, tanto da comunicare una visione negativa dell’esistenza umana contemporanea, capace di andare quasi sempre contro la natura, rovinandone la bellezza. Pagina dopo pagina non può che venire un certo senso di angoscia, anche se nel finale un raggio di sole lascia un po’ di speranza.

Money Worries #1 e Graite Stuff #1 di João Sobral – Concludiamo questa rassegna con lo stesso Sobral, a sua volta autore di fumetti che non mirano a sviluppare delle storie, preferendo lavorare sui concetti. I due titoli in questione presentano in realtà scelte diametralmente opposte. Money Worries è infatti un saggio sull’ossessione per il denaro raccontato con stile geometrico e una suddivisione della pagina estremamente schematica. La copertina, in gran parte occupata dal testo, definisce subito i toni del discorso: “Il denaro è qualcosa che puoi scambiare per le cose che vuoi o di cui hai bisogno, come cibo, libri o giocattoli. Per guadagnarlo, devi trovare qualcosa da fare (lavoro). Ma deve essere qualcosa di abbastanza utile e importante per essere chiamato un lavoro. Le persone che hanno il potere di decidere se qualcosa è utile o no sono quelle veramente ricche, che vogliono diventare ancora più ricche. E quindi le cose considerate utili sono quelle che possono rendere i ricchi ancora più ricchi”. A partire da queste premesse marxiste si seguono i movimenti di un personaggio che pensa sempre al denaro, prima di andare a letto, appena sveglio e anche nei sogni, fino a sviluppare un’etica del lavoro di certo non facile da seguire ai giorni nostri. Per niente peregrino, Money Worries è un’altra conferma che i fumetti di O Panda Gordo, pur con un approccio il più delle volte sperimentale, riescono di tanto in tanto a guardare dritta in faccia la realtà quotidiana e a indagare le scelte – artistiche, etiche e politiche – che ci troviamo a fare.

Graite Stuff fa invece interagire due personaggi – uno fin troppo entusiasta, l’altro ben più pragmatico – in un contesto totalmente astratto e utilizza una maggiore libertà stilistica. Un tizio che si guadagna da vivere assemblando collane fa cadere delle pietre in terra. L’altro si sveglia a causa del rumore, saluta i lettori, augura buon anno a tutti e tenta di fare amicizia con l’imprenditore (così si definisce) che però non se lo fila. In mezzo, due pagine su sfondo nero che fungono da commento alla storia, come un coro greco. L’ironia la fa qui da padrona, come d’altronde l’amore per un fumetto non convenzionale capace sempre di essere ricerca, stimolando il lettore con scelte formali di volta in volta diverse. Particolarmente da apprezzare sono le prime tre pagine, in cui il corpo dei due personaggi viene tagliato e scomposto con spirito cubista dalla suddivisione tra le vignette. Nel complesso si tratta di due albi brevi (rispettivamente 18 e 16 pagine) ma che colpiscono per la loro semplicità estetica e di intenti.