Puntuale come il tipo che vedi passeggiare a qualsiasi ora per le strade del tuo paese, arriva il nuovo fumetto di Michael DeForge. Autore di una produzione sterminata, di cui più e più volte ho parlato da queste parti, DeForge si appresta ad atterrare anche in Italia grazie a Eris Edizioni, che si è aggiudicata i diritti di Dressing, la sua più recente raccolta di storie brevi pubblicata l’anno scorso da Koyama Press (ne ho parlato qui). Big Kids è invece il suo nuovo racconto lungo, un volume hardcover di 96 pagine a colori in uscita oggi 23 febbraio per Drawn and Quarterly e presentato dall’editore come “la sua storia più diretta e al tempo stesso il suo lavoro più complesso finora”. Con queste premesse è ovvio che ci si aspettasse molto da Big Kids, anche perché DeForge, pur autore di una produzione vasta e senz’altro valida, non ha ancora realizzato il suo capolavoro, un fumetto cioè che possa essere considerato nettamente il migliore nell’ambito di un opus comunque di tutto rispetto. Detto che a mio parere le cose più riuscite si sono viste sul comic book antologico Lose, si tratta comunque di ottimi fumetti a cui manca sempre qualcosa per diventare indimenticabili.
Big Kids inizia con la voce fuori campo del protagonista, Adam, che mette insieme alcuni ricordi di quando era ragazzino, collocandoli in un periodo identificato genericamente come “prima”. Subito emerge la crudezza di DeForge, dato che la prima vignetta vede Adam intento a praticare un rapporto orale a un altro ragazzo, Jared, che gli dà un cenno per avvisarlo che sta per venire. Il sesso è ancora una volta rappresentato nel modo più diretto possibile, enfatizzandone gli aspetti più pratici e materiali, a partire dalle secrezioni corporee che sono una presenza costante nel corso della storia. Le altre vignette continuano con flash veloci sulla vita di Adam, le violenze subite a scuola, lo zio poliziotto, le canne, i genitori, il fratello morto e così via, fino a quando l’orizzonte si amplia e prende corpo la narrazione vera e propria. Lo zio viene licenziato dalla polizia e il seminterrato che prima occupava si libera, lasciando posto ad April, una studentessa allieva della madre con cui il protagonista intesse una relazione platonica (“Solo per fartelo sapere, mi piacciono i ragazzi” le dice). Intanto Jared rompe con Adam, usando parole generiche che nascondono di solito un’altra persona. E infatti comincia a farsi vedere con Tyson, un nuovo ragazzo che nessuno del gruppo aveva visto in precedenza. Siamo arrivati così a pagina 23 e tutto sta funzionando per il meglio, la storia scava nelle pieghe del quotidiano, mostrandoci un lavoro sul personaggio che mai DeForge aveva voluto fare in modo così approfondito in passato, e che potrebbe far pensare a qualche dettaglio autobiografico. I suoi erano stati finora in larghissima parte fumetti massimalisti, incentrati non sui caratteri ma “on topics”, come recitava il titolo del suo mini uscito l’anno scorso per Breakdown Press.
E’ a questo punto che avviene la trasformazione, del protagonista e della storia. Deluso dal tradimento di Jared, Adam si addormenta sul divano di April e quando si risveglia vede il mondo con occhi diversi. Non solo, anche il suo corpo è diverso. Adam è diventato un albero, in un mondo che vede la divisione tra “rami”, esseri umani più semplici e meno evoluti, come nonostante l’età è ancora il padre di Adam, e appunto “alberi”, cioè persone al culmine del loro processo evolutivo, come la madre e l’inquilina April.
Il cambiamento è accompagnato da una rivoluzione nella tavolozza dei colori utilizzata da DeForge: se nella prima ventina di pagine l’Adam “ramo” guardava un mondo pallidamente colorato di bianco, giallo e rosa, adesso la realtà gli appare quasi psichedelica, ricca di colori variegati e intensi. Anche le forme sono diverse, dalle teste tondeggianti della prima parte si passa infatti a figure allungate e corpi fluidi che vanno a comporre tavole spesso ai confini dell’astrattismo.
Purtroppo questa svolta sterilizza la forza delle pagine iniziali del libro. La narrazione diretta, intima, potente della prima parte lascia spazio a una metafora sul cambiamento, sulla trasformazione e sul ricordo che diventa ancora una volta gioco, assurdità e, di conseguenza, esercizio di stile. E anche se il plot propone a un certo punto una violenta impennata, che non starò qui ad anticiparvi, non riesce comunque a sviluppare degnamente l’intensità delle premesse. Mi sarebbe piaciuto leggere qualcosa di più personale, insomma, la storia che DeForge si porta dentro da tempo ma che non ha ancora raccontato. E invece questa storia rimane ancora un mistero, dato che qui se ne vede soltanto una parte, vanificata da un seguito che sa di già visto nell’ambito della produzione dell’autore.
Anche il disegno perde di efficacia dopo la trasformazione del protagonista. Se la seconda parte del libro è illuminata da una bella e vivace cascata cromatica, la raffigurazione dei personaggi come “rami” e “alberi” risulta invece sciatta e approssimativa, soprattutto se paragonata ad alcune prove passate di DeForge (mi vengono in mente i primi numeri di Lose), in cui spiccavano l’amore per il dettaglio e il lavoro su linee e sfumature. Il design eccessivamente essenziale impoverisce esteticamente l’intero volume, contribuendo a rendere Big Kids un fumetto soltanto discreto. Forza DeForge, puoi fare di più.
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