“Stories from Zoo” di Anand

Anand è un fumettista indiano che da qualche tempo si è fatto notare con la sua serie antologica personale Zoo e con un bell’albo intitolato Intruder pubblicato da Magma Bruta. Ora i suoi fumetti sbarcano negli USA grazie a Bubbles, la fanzine/rivista di Brian Baynes che si è ormai trasformata in una casa editrice a tutti gli effetti. Come si può immaginare dal titolo, Stories from Zoo mette insieme quanto pubblicato da Anand nel suo antologico, fornendo un compendio ricco e articolato della sua arte. La descrizione di questi fumetti la fornisce nella maniera più efficace lo stesso autore nella sua biografia, dicendo che gli piace disegnare storie sulla vita quotidiana e sulle persone che pensano di avere un problema quando in realtà ne hanno parecchi. Il modus operandi di Anand si basa proprio su questa riflessione: con un metodo che appartiene al racconto postmoderno, egli parte da un’idea centrale e tendenzialmente bizzarra per svilupparne le conseguenze delineando i suoi personaggi e ciò che li circonda. E’ il caso del primo fumetto del lotto, People Photostudio, che riporta la storia di Raghu, proprietario di uno studio fotografico dove non entra nessuno da mesi. Disperato, il protagonista decide di rubare qualcosa dalla gioielleria adiacente, accedendovi grazie a un buco nella parete. Sulla stessa lunghezza d’onda sono il protagonista di My Cold Brother, che ha deciso di vivere in un frigorifero come se gli bastasse trovare riparo dal caldo per essere felice, e Rupa di Memento Mori, che si diletta a leggere i necrologi per telefonare agli sconosciuti e porgere le sue condoglianze.

Stories from Zoo è fumetto puro e semplice, che non sceglie un tema per eleggerlo a cassa di risonanza come si usa oggi per motivi di marketing né usa facili stratagemmi per strizzare l’occhio al lettore. Questa essenzialità dell’approccio si riflette nella messa in pagina, un bianco e nero scarno ma al tempo stesso disordinato per come libera linee e segni, rimanendo però sempre funzionale alla narrazione. L’effetto finale può ricordare alcune tavole dell’Alec di Eddie Campbell, anche se non c’è ovviamente la perizia del cartoonist scozzese, dato che Anand è un fumettista giovane che ancora alterna soluzioni diverse e prova a “fare delle cose” racconto dopo racconto.

Se le vicende e i sentimenti di questi personaggi strambi e incasinati possono essere considerati universali, tra una storia e l’altra emerge anche un ritratto realistico e ben poco idealizzato dell’India contemporanea. Ne troviamo traccia nella bottega e nelle strade di People Photostudio, nel quadro familiare di 4ears (uno dei fumetti migliori del lotto per come conduce il lettore per mano fino al colpo di scena finale), nell’artista che vive separato dalla famiglia in Showmanship e infine nel Ramsay Nagar che funge da scenario a 6 Feet Under the Ground. Quest’ultimo chiude il volume descrivendo un quartiere ai confini della città dove vivono e lavorano mestieranti dell’industria indiana dei b-movie. E ci conferma l’autenticità e il rigore dello storytelling di Anand, la capacità di raccontare il suo mondo tra le righe, senza cadere nella tentazione di sfruttare un’ambientazione esotica agli occhi del lettore occidentale per renderla suggestiva o peggio ancora folkloristica.

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