“Nonostante sia stato parte integrante della scena punk di New York e sia ora un cronista dello stile di vita della controcultura, nella vita reale Peter Bagge si è lentamente allontanato dalle sue radici bohémien, tanto da non avere ormai problemi a definirsi una persona di destra”. Questa la premessa dell’intervista a Bagge pubblicata sul numero 159 di The Comics Journal del maggio 1993. Una frase che all’epoca fece strabuzzare gli occhi ai lettori del Journal e allo stesso Bagge, che fu costretto a inviare una secca smentita al magazine pubblicato dalla sua stessa casa editrice. Ma andiamo con ordine. In appendice al #11 di Hate (dicembre 1992) appariva un’auto-parodia di tre pagine intitolata Let’s Give Fascism a Chance, in cui Bagge si raffigurava terrorizzato da barboni e gang giovanili mentre portava a spasso la figlia Hannah.
Al di là delle situazioni paradossali e del titolo provocatorio, la storia era una breve riflessione su quanto si può essere paranoici, conservatori, e a volte appunto reazionari, una volta diventati genitori. “Non credo realmente nel fascismo! E quando esco di casa per portare mia figlia a fare una passeggiata, non sono pieno di odio per il prossimo. Ma diventare un genitore ti dà una prospettiva molto diversa. Ti rende automaticamente una persona più conservatrice e meno tollerante. Ed è così che deve essere. E’ una cosa biologica. Cerchi semplicemente di creare l’ambiente più sicuro per la tua progenie. E’ quello che devi fare, no? Chiunque non lo faccia, non fa il suo lavoro come genitore”. Se queste frasi lasciavano qualche sospetto sul pensiero di Bagge, un paio di pagine dopo arrivava la stoccata. Mentre parlava del personaggio di Studs Kirby in Neat Stuff, Bagge affermava di essere stato “un progressista sfrenato” ai tempi del liceo. “Le cose sono cambiate adesso? – incalzava Carole Sobocinski, autrice dell’intervista – Non sei più quella persona progressista di una volta?”. E Bagge: “Sono diventato più equilibrato e realistico, ma mi definirei un right-winger”. Ecco qua dunque il virgolettato ripreso nell’introduzione, e poi smentito da Bagge nel numero successivo della rivista. The Comics Journal #160 apriva infatti la tradizionale pagina delle lettere Blood & Thunder con una lettera di Peter Bagge da Seattle, Washington intitolata senza troppe smancerie I’m No Right Winger. Secondo Bagge la frase da lui pronunciata era infatti “sono diventato più equilibrato e realistico, ma non mi definirei un right-winger”. “Sono preoccupato dall’aura di negatività che questa frase sbagliata ha dato a tutta l’intervista – aggiungeva – e probabilmente a tutto ciò che ho mai detto e scritto”.
Nella sua lettera Bagge criticava anche un’altra parte dell’introduzione, quella in cui veniva definito “parte integrante della scena punk di New York”. “I was quite simply a nobody in my New York days” chiariva anche qui l’autore. Insomma, la Sobocinski non aveva esattamente centrato il punto, per usare un eufemismo. E non fu quella l’unica pecca della sua gestione del Journal come managing editor, tanto che fu brutalmente allontanata dal ruolo con il #161 per aver interferito nell’acquisizione della casa editrice Tundra da parte della Kitchen Sink… Ma questa è un’altra storia. Tornando a Bagge, il cartoonist usò toni ancora più duri nel 2014, sollecitato da Kent Worcester. “Non sono stato semplicemente mal interpretato – dice nell’intervista inedita che chiude il volume Peter Bagge: Conversations – penso di essere stato diffamato. La Sobocinksi mi chiese se fossi una persona di destra. E io risposi di no. Ma mi ricordo che ripeté la stessa domanda diverse volte – come se a forza di insistere io sarei potuto crollare dicendole ‘la verità’. E a sentire lei riuscì a farmi confessare alla fine, visto che quando l’intervista fu pubblicata non solo il mio ‘no’ si trasformò in un ‘sì’, ma fu anche utilizzato come una citazione in bella vista e ripetuto nell’introduzione. (…) Sono sempre stato al 100% pro-choice. Mi sono opposto praticamente a tutti gli interventi militari statunitensi a cui ho assistito nel corso della mia vita. Sono sempre stato per la legalizzazione delle droghe e della prostituzione, e per i diritti degli omosessuali. Sono per l’apertura delle frontiere. Evito la chiesa come la peste. Odio il giuramento alla bandiera e ‘In God We Trust’ scritto sulle nostre banconote, e detesto stare in piedi durante il nostro orrendo inno nazionale agli eventi sportivi. Ti sembrano cose da ‘right-winger’ queste?”.
Tra l’altro l’autore di Hate è ormai un dichiarato sostenitore del Libertarian Party, partito statunitense che sostiene la totale limitazione dell’intervento statale in qualsiasi campo, unendo sfrenato liberismo economico e anarchismo, possesso di armi da fuoco e liberalizzazione delle droghe. Se vi interessa approfondire il suo punto di vista, il libro giusto è Everybody is Stupid Except for Me: And Other Astute Observations, raccolta delle sue strisce per Reason, la principale rivista “libertaria” statunitense.