Da diversi anni la University Press of Mississippi si sta distinguendo per una serie di collane dedicate agli studi culturali più diversi, tra cui appunto il fumetto, che viene trattato nei suoi molteplici aspetti, da fenomeno di massa e di mercato a veicolo di storie e contenuti. In particolare l’ottima serie Conversations curata da M. Thomas Inge si caratterizza per riunire in rigorosi volumi monografici alcune interviste rilasciate da un singolo autore nel corso degli anni, accompagnate da introduzione, biobibliografia e – ove possibile – una chiacchierata inedita realizzata apposta per l’occasione. Uscita dopo uscita la serie ha ospitato autori diversissimi tra loro come Ben Katchor, Chester Brown, Jim Shooter, Steve Gerber, Michael Allred, Daniel Clowes e tanti altri. E tra questi altri c’è appunto Peter Bagge, cui è stato dedicato nel 2015 un volume a cura di Kent Worcester che – dietro una cover francamente terribile – mette insieme interviste rilasciate nell’arco di 26 anni, da quella datata 1988 e pubblicata originariamente nel #8 della fanzine Chemical Imbalance a quella appunto condotta dallo stesso Worcester nel 2014 per la pubblicazione del libro.
Gli argomenti trattati sono ovviamente assai variegati, e vanno dalla gioventù nei sobborghi dello stato di New York al periodo della School of Visual Arts, passando per le fonti di ispirazione, le tecniche utilizzate, le sue opinioni (via via sempre meno lusinghiere) sul fumetto alternativo e toccando di volta in volta particolari periodi della carriera di Bagge, così che il lettore si trova a ripercorrere le sue diverse opere. Intervista dopo intervista si parla così di Comical Funnies, Neat Stuff, Weirdo, Hate, The Megalomaniacal Spider-Man, Sweatshop, Apocalypse Nerd, le strisce per Reason, Woman Rebel: The Margaret Sanger Story e altro ancora, in un viaggio che mostra le mille sfaccettature del cartooning di Bagge e le diverse avventure editoriali e artistiche. In tutto ciò un ruolo importante riveste ovviamente Hate, opera centrale della carriera dell’autore e che torna costantemente nel volume, con qualche curiosità degna di nota. Per esempio nella trascrizione dell’incontro pubblico con Guy Lawley del 1992, ripreso dal #2 della rivista Comics Forum, rispondendo a un lettore Bagge già anticipava i suoi piani di chiudere la serie con ben 6 anni di anticipo, e quando all’epoca erano usciti soltanto una manciata di numeri. “Ho sempre visto Hate come una serie di 25 numeri o giù di lì. Non ho un’idea precisa di quando finirà, è solo che… Mi dà davvero fastidio vedere i fumettisti rimanere incastrati con un personaggio di successo, come se dovessero fare le stesse cose per sempre. Dal canto mio sono sicuro che non voglio disegnare Buddy Bradley per il resto della mia vita”.
Non è una semplice intervista il pezzo Peter Bagge Leads the Way to Seattle Comics Riches di Kit Boss, pubblicato nel 1994 sul quotidiano The Seattle Times e che indaga proprio il fenomeno Hate dissotterrandolo dall’underground per presentarlo a un pubblico generalista. Con spirito da giornalista di inchiesta, Boss spiega il successo del comic book elencando fatti su fatti e interpellando le parti in causa, dallo stesso Bagge a Gary Groth, dalla moglie di Bagge Joanne all’amico e collega J.D. King. E’ tratta invece dal “comic issue” di Ben Is Dead l’intervista con Brian Doherty che racconta un po’ di curiosità sui tentati adattamenti cinematografici e televisivi delle vicende di Buddy Bradley. Lo stesso tema è ripreso in parte in un’intervista con Brian Heater del 2005, in cui alla domanda “quale attore di Hollywood sarebbe adatto per interpretare Buddy?” Bagge risponde: “John Cusack ha fatto davvero un ottimo lavoro in Alta fedeltà nell’interpretare un personaggio simile a Buddy, anche se credo che ormai sia troppo vecchio per il ruolo”. E un’altra chiacchierata del 2007 con Heater approfondisce contenuti e retroscena degli annual, su cui però non mi dilungo per evitare fastidiosi spoiler.
Ma facciamo un passo indietro, e in particolare torniamo al 1998, e cioè all’intervista pubblicata sul sito ink19.com con il titolo Psychotic Pop Picasso. E’ qui che si legge una lunga digressione di Bagge sulle differenti interpretazioni di Hate negli USA e all’estero. “Hate ha un pubblico internazionale – gli chiede Charles D.J. Deppner – I tuoi lettori d’oltreoceano si identificano lo stesso con i tuoi personaggi, o li vedono piuttosto come una rappresentazione della vita in America?”. “Entrambe le cose, a quanto sembra – risponde Bagge – Inizialmente Hate, e il mio lavoro dagli anni ’80 in poi, è stato venduto e tradotto soprattutto nei paesi scandinavi, in Inghilterra ovviamente, e poi in Germania. E anche se questi paesi mi sembrano piuttosto simili all’America, anche se hanno meno fucili di noi, tutti questi lettori non facevano che dire quanto fossero ‘americani’ i miei fumetti. ‘E’ così americano’ dicevano sempre. ‘Il tuo lavoro è davvero un’aspra condanna della cultura americana’. Ma questa non è mai stata una mia intenzione. Non volevo dire niente a proposito della cultura americana. E sicuramente non avevo intenzione di criticarla. A me piace la cultura americana. Ma questo è il modo in cui interpretavano i miei fumetti. Poi negli ultimi tre o quattro anni Hate è stato finalmente tradotto in spagnolo, e sta andando molto bene. Sta vendendo un sacco. E quando sono andato in Spagna e ho fatto i firmacopie, tutto ciò di cui le persone parlavano era di come ci si ritrovavano. E ho sentito poco e niente frasi tipo ‘Oh, il tuo fumetto è una rappresentazione perfetta di tutto ciò che c’è di sbagliato in America’. Anzi, direi che in Spagna non ho proprio sentito dire certe cose. La gente diceva semplicemente ‘Mi identifico nei tuoi fumetti. Sono davvero divertenti. Mi riconosco veramente in Buddy Bradley’. E andavo a questi firmacopie e trovavo duecento Buddy Bradley spagnoli, dei tizi che a prima vista sembravano proprio identici a lui”. L’intervista pubblicata da Scott Nickel sul suo blog nel 2009 parla invece dei personaggi di Bagge e in particolare di uno che ci riguarda. “Di tutti i tuoi personaggi, qual è il tuo preferito? Chi non sopporti?”. “Tra il cast di Hate – risponde Bagge – la mia preferita è Lisa. E’ un personaggio molto complesso, e c’è una certa coerenza nella sua incoerenza. Ed è anche la più imprevedibile del gruppo. Se invece guardo ai miei personaggi al di fuori di Hate, sono orgoglioso soprattutto del cast di Sweatshop, una serie che ho creato per la DC e che è stata cancellata troppo presto. Avevo tantissime idee per quei personaggi. Uno che ho sempre ‘odiato’ è Junior, ma dopotutto è nato per essere ripugnante. Quando l’ho concepito rappresentava tutti i lati del mio carattere che non mi piacevano e l’ho disegnato in parte per ‘esorcizzarlo’ da me stesso!”.
Anche l’intervista di Worcester che chiude il volume, fornendo un valido sunto di tutta la carriera del cartoonist, torna a più tratti sul periodo Hate. Ma invece di dilungarmi ulteriormente su ciò, vi saluto lasciandovi a un altro interessante estratto. E vi do appuntamento nei prossimi giorni su queste pagine con quello che sarà l’ultimo post dello Speciale Hate.
Kent Worcester: “Chi erano i tuoi eroi personali da ragazzino?”
Peter Bagge: “Adoravo quella che una volta Gilbert Hernandez chiamò la ‘Santa Trinità’, che probabilmente condividevo con un sacco di ragazzi della metà degli anni ’60: i Beatles, Willy Mays e Charles M. Schulz. Tutti gli altri erano davvero lontani da questi qui”.
KW: “E’ stato difficile capire che cosa volevi dalla vita durante l’adolescenza o avevi le idee chiare su quello che volevi fare?”
PB: “Considerando chi ho appena indicato come miei eroi, mi sembra ovvio che il mio sogno fosse diventare un giocatore di baseball, un musicista o un fumettista. Ma come atleta ero davvero scarso, dato che ero un nanerottolo, e come musicista ero mediocre, a voler essere generosi (e all’epoca ero anche troppo timido per salire su un palco). E dunque mi rimaneva soltanto una delle tre possibilità”.
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