I mille mondi del Crack!

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Sì, il titolo è ambiguo ma non ha niente a che vedere con viaggi indotti da sostanze stupefacenti, qui si parla del festival che dal 25 al 28 giugno ha popolato il Forte Prenestino di Roma con fumetti, stampe e dipinti a opera di decine e decine di artisti internazionali. Le mie foto in bassa fedeltà, scattate con una macchinetta portatile perché l’altra pesava troppo e non mi andava di portarmela dietro, le avete già viste qui, adesso preferisco piuttosto parlare di cosa è stato il Crack! 2015. E per fare questo parlerò inevitabilmente di cosa non è stato, perché il Crack! è tutto e il contrario di tutto, un festival che nella sua filosofia libera e anticonvenzionale lascia ampio spazio ai partecipanti, avvicina artisti e pubblico come pochi altri eventi, non detta linee guida ma si ispira a una filosofia autogestita che rende impossibile definirlo con precisione. Quello che trovate in queste righe è stato il mio festival ma se qualcun altro racconterà il suo Crack! potrebbe parlare di tutt’altro e in termini ben diversi.

Innanzitutto diciamo che il Crack! non è solo fumetto, anzi. Sui tavoli si trovava veramente di tutto e in particolare tra gli italiani erano diffuse non solo le stampe e le serigrafie, ma anche calendari, cartoline, magliette, borse e via dicendo, confermando una predominanza dell’accessorio che personalmente mi innervosisce un po’ ma che è un fenomeno frequente in festival di questo genere. Certo, c’è da dire che l’evento è dedicato non solo al fumetto ma anche alla cosiddetta “arte disegnata e stampata”, cosa ben evidente nella decorazione delle celle del Forte. I dipinti e le installazioni degli artisti trasformano ogni anno i sotterranei in una vera e propria mostra d’arte, donando al festival una valenza estetica fine a se stessa, non legata soltanto alla vendita delle “merci”. C’era dunque chi ne approfittava per riprodurre la Bocca della Verità, chi come Tony Cheung dipingeva dal vivo, chi allestiva una mostra in miniatura come i ragazzi di Squame con alcuni originali tratti da Rock Motel (ne avevo già parlato qui).

La poliedricità delle intenzioni e delle espressioni attrae tante persone estranee al fumetto, che con tutta probabilità frequentano il Crack! più dei veri appassionati, quelli che i fumetti li seguono, li comprano e li leggono. Questo fattore è un bene perché diffonde produzioni artistiche poco conosciute, ma secondo alcuni è anche un male, perché il fatto di avere a che fare con un’audience “profana” viene visto da una parte degli espositori come la principale causa delle scarse vendite. Quello delle vendite non è però un problema specifico del Crack! e, senza allargare il discorso ad altri settori economici e a considerazioni più generali sullo stato dei consumi, si può dire che anche altri festival rinomati, in Europa come oltreoceano, non rappresentano per nessuno la certezza di vendere un tot di copie e di tornarsene a casa pareggiando le spese del viaggio. In più il Crack! offre a chi vuole la possibilità di dormire al Forte Prenestino e non fa pagare nulla per lo spazio espositivo. Francamente mi sembra che ci sia poco da lamentarsi, anche perché lo scopo principale del festival non è quello di essere un “mercatino” ma di far incontrare artisti, collettivi, pubblico e tutte le realtà che gravitano intorno al mondo dell’autoproduzione.

Passiamo ora a parlare delle cose più interessanti che ho visto e letto durante e dopo il festival. Iniziamo citando qualcuno dei tanti ospiti internazionali, a partire dagli spagnoli del Projecte Úter, nato da una costola del Beehive Collective per protestare contro un disegno di legge spagnolo sull’aborto. Per sostenere la causa è stato così realizzato un mega-poster esposto nei sotterranei del Forte e di cui venivano vendute delle riproduzioni in formato ridotto allo scopo di finanziare la mobilitazione. Per ulteriori dettagli vi rimando al sito di Úter, dove trovate l’analisi approfondita dell’artwork, tradotta anche in italiano. Accanto al posterone appena citato, nella zona della Cattedrale, c’era la mostra dei croati di Komikaze, che sotto il titolo di Femicomix radunava 15 autrici femminili e in particolare Ivana Pipal, Petra Balekić, Amandine Meyer, Petra Brnardić, Amanda Baeza, Ivana Armanini, Petra Varl, Katie Woznicky, Anna Ehrlemark, Nina Bunjevac, Neja Tomšič, Agniezska Piksa, Ena Jurov, Lina Rica, Dunja Janković. Sempre da quelle parti l’area riservata ai francesi della Dernier Cri, tornati a Roma dopo un anno sabbatico, mostrava i poster di Mangaro e i dipinti di Pakito Bolino.

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Oltre alle mostre c’erano ovviamente anche gli eventi, a partire dai dj set, tra cui cito quello dei portoghesi dell’Istituto Fonografico Tropical, e dai concerti live di svariati gruppi noise, elettronici, surf, industrial, ecc. che accompagnavano costantemente lo svolgersi del festival. Tra le proiezioni segnalo la presentazione di Architecture of an Atom, un video dell’artista multimediale francese Juliacks, che portava anche i suoi fumetti dalle soluzioni grafiche suggestive e affascinanti, pubblicati in Usa da Sparkplug. Per quanto riguarda gli incontri, citazione inevitabile per quello con gli organizzatori del Borda!Fest, festival alternativo a Lucca Comics organizzato negli stessi giorni del più famoso evento e che è balzato agli onori della cronaca per l’occupazione e il conseguente sgombero di un immobile (tra l’altro abbandonato da anni) del centro storico. La storia è raccontata nel libro Rise of the Subterraneans ed è interessante perché parla di un’altra idea di manifestazione legata al fumetto, per capirci più simile al Crack! che a Lucca Comics, e rende espliciti desideri ed esigenze di un universo, quello connesso al mondo delle autoproduzioni, spesso repressi dagli eventi ufficiali. Speriamo che l’anno prossimo le istituzioni lucchesi si decidano a dare spazio anche al Borda!, d’altronde da anni Angoulême ha il suo festival off (il Foff, appunto) e non mi sembra che in Francia abbiano smesso di leggere fumetti. Reprimere la voce degli altri per rendere la propria più grossa non è mai una bella cosa, nel fumetto e nella vita in generale.

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Veniamo adesso alle inevitabili segnalazioni di materiale cartaceo, a partire dalla pubblicazione ufficiale del Crack!, il solito albo spillato in formato gigante che quest’anno invece delle solite illustrazioni e fumetti contiene banconote false realizzate da artisti e collettivi internazionali. Il tema di quest’anno era infatti il Capitale nelle sue accezioni più negative, non a caso lo slogan ricorrente che campeggiava qua e là era “Lotta anale contro il capitale”. Come si legge nell’introduzione scritta da Valerio Bindi, “dopo la trilogia della distruzione (Apocalisse/Orda/Genesi) ora nella sua undicesima edizione CRACK!, il festival di Fumetto e Arte Disegnata e Stampata, si confronta con la macchina CAPITALE, la macchina (in)finita di produzione di schiavitù, il Necromante finale del tempo presente”. “La questione dell’autoproduzione – prosegue Bindi nell’intro – il perno intorno al quale lavorano fanzine riviste libri serigrafie collettivi e individui che sono il cuore pulsante del Festival, non può essere e non è mai stata una macchina di produzione di denaro ma un concatenamento che crea cooperazione, condivisione, e visioni del futuro. Un laboratorio prezioso, unico nel pianeta Terra e che mettiamo qui a disposizione di tutti quelli che ci verranno a trovare, poveri ma ricchissimi”. Aperto da una copertina di Bambi Kramer che include un gioco do-it-yourself ispirato ai concetti di creazione e distruzione realizzato in un workshop alla Fanzinothèque di Poitiers, l’albone si sviluppa in una serie di pagine indipendenti da cui si possono ritagliare le diverse banconote false.

Tra i vari disegnatori di denaro falso c’è anche Verónica Felner. Portoghese residente a Berlino e autrice del poster di quest’anno, la Felner ha portato al Crack! il suo How U Really Fuck Me, albo in bianco e nero che parte da atmosfere degne di una commedia sexy all’italiana per sfociare nel porno-cannibalismo. Non conoscevo la Felner prima d’ora, ma la sua linea spessa e rotonda, le sue invenzioni grafiche, l’esplosione finale a dir poco dionisiaca me l’hanno già fatta amare. Andate a dare un’occhiata al suo blog oppure contattatela alla mail contradictora@gmail.com per ordinare i suoi fumetti.

Altra autrice femminile, proveniente dalla Francia e nello specifico dalla Normandia, è Lison de Ridder, che ho incontrato allo stand dell’HSH Crew di Rouen. La de Ridder mi ha mostrato i suoi fumetti in cui rappresenta situazioni quotidiane, viaggi, panorami, raccontati per lo più con piccolissime immagine prive di bordi, minuziose, dettagliate, ricche di particolari. In una pagina ho contato 648 disegni diversi e per chi come me è un feticista delle vignette piccole (ognuno ha le sue fisse, ma posso confortarvi dicendo che non è l’unica) albi come il suo Geste 2013, ambientato tra la Francia, l’Italia, la Germania, la spiaggia e i caffè, sono un’autentica gioia per gli occhi. Spero di poterci tornare in maniera più accurata in seguito.

Uno degli stand più interessanti era senz’altro quello delle valenti Ediciones Valientes, editori di Valencia (le allitterazioni e le ripetizioni sono del tutto volute) che pubblicano quasi annualmente l’antologia Kovra (ne ho parlato brevemente qui). L’occasione mi è servita a recuperare qualche uscita recente, come Balada di Martin López Lam, peruviano trapiantato a Valencia che è la mente dietro la casa editrice. Ispirato a un sogno dell’autore, Balada è la storia di un uomo che segue una donna, scandita da splendide inquadrature e impreziosita dall’uso della serigrafia nei toni del blu e del viola. Il finale sovverte le aspettative del lettore portandolo in territori irreali e misteriosi. Recentissima anche la pubblicazione di un altro mini-comic, El Problema Francisco di Francisco Sousa Lobo, noto ai più per il graphic novel The Dying Draughtsman pubblicato da Chili Com Carne. Il cartoonist portoghese gioca ancora con l’autobiografia, questa volta anche in maniera più esplicita che in passato. Il formato breve e l’uso del colore impreziosiscono una storia perfettamente centrata, che a mio parere è quanto di più efficace realizzato dall’autore: se ancora non lo conoscete, iniziate da qui. Miedo è invece opera degli italiani Vincenzo Filosa e Ciro Fanelli ed è un bel libretto che include due storie mute incentrate su una testa mostruosa, dalle atmosfere manga underground e con un senso del dinamismo che ricorda il maestro Yuichi Yokoyama ma anche lo spagnolo Gabriel Corbera. D’altronde la fascinazione di Filosa per il Giappone è cosa nota e il suo Viaggio a Tokyo, in uscita per Canicola, va inserito di diritto nelle uscite più attese del prossimo autunno.

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Dato che sono in tema ne approfitto per parlare di un titolo pubblicato dalle Ediciones Valientes che già faceva parte della mia collezione, realizzato da una delle mie cartoonist contemporanee preferite, la messicana Inés Estrada. Protagonista di Traducciones è un alter ego dell’autrice che si tiene a galla tra lavoro, piatti sudici, amori a distanza, sesso, sogni e visioni carichi di simboli imperscrutabili. Il tratto riesce a risultare sporco e gradevole al tempo stesso e si amalgama perfettamente ai contenuti, delineando uno stile del tutto definito. Positivo anche il fatto che lo stand delle Ediciones Valientes fornisse accesso al Crack! a tante realtà provenienti dal Sud America: se la Estrada rappresentava il Messico, Berliac con l’ottimo Playground dava voce all’Argentina, mentre le antologie autoprodotte Prego e Carboncito rappresentavano rispettivamente il Brasile e il Perù.

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Ho citato i portoghesi di Chili Com Carne, di cui tra l’altro ho già parlato approfonditamente in questa intervista a Marcos Farrajota. Il loro stand ospitava tutte le ultime uscite, come il numero più recente dell’antologia QCDI #3000, con contributi di André Pereira, Astromanta, Hetamoé e Mao, l’altro albo collettivo Malmö Kebab Party di Alfonso Ferreira, Amanda Baeza, Hetamoé, Rudolfo e Sofia Neto, e Askar, O General della colombiana Dileydi Florez. La cosa più bella che ho recuperato in questa occasione è però un albo uscito nell’ormai lontano dicembre 2011 e che avevo già adocchiato da tempo, Aspiração Horrifica/Vacuum Horror di Aaron Shunga, autore statunitense nato alle Hawaii ma il cui lavoro non avrebbe sfigurato nella fondamentale antologia Comics Underground Japan al fianco dei vari Yoshikazu Ebisu e Suehiro Maruo. L’incipit ricorda un po’ i Transformers e vede la razza aliena dei Vacuums arrivare sulla Terra sotto forma – appunto – di aspirapolveri per sterminare l’umanità prima che questa finisca di distruggere il pianeta. Dopo aver salvato la protagonista dallo stupro da parte del padre e dei suoi amici, gli elettrodomestici scatenano una spirale di omicidi truculenti in un crescendo di tavole tra l’orrorifico e il morboso (la giovane donna che lecca l’aspirapolvere mentre gli dichiara il suo amore), fino al trionfale e apocalittico finale.

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Concludo questa rassegna parlando del debutto autoprodotto dell’italiano Alessandro Galatola, esteticamente molto vicino ai lavori di Michael DeForge ma realizzato interamente “a mano”, al contrario delle opere per lo più digitali del cartoonist canadese. Safe Space è un buon punto di partenza per un esordiente che sa già raccontare soltanto con le immagini, con picchi di ottimo livello nelle storie brevi Il potere mistico dei subwoofer, che ricorda l’altro canadese Jesse Jacobs, e In circolo, a metà tra i Lemmings e il lavoro del duo Most Ancient in Scaffold. L’unico episodio con dei testi veri e propri, Reality, preannuncia originali e intriganti sviluppi stilistici. Se vi interessa ordinare l’albo potete contattare Alessandro alla mail ale.galatola@gmail.com.

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