Una storia da tempo incompiuta che ora viene finalmente pubblicata in una nuova e definitiva versione, un fumettista italiano che sicuramente tutti voi conoscete. Ratigher ci parla di Colville, capolavoro misconosciuto di Steven Gilbert, di cui sono diventato il maggiore importatore italiano (e forse europeo). Ne trovate alcune copie nel negozio di Just Indie Comics. Intanto leggete cosa ne scrive l’autore di Trama e Le ragazzine stanno perdendo il controllo. Buon divertimento.
Di Colville, e del suo autore Steven Gilbert, ne avevo letto su internet. Seguo molto il fumetto americano indie e avevo visto citare questo fumetto da persone interessanti, anche Frank Santoro (autentico radar del fumetto meritevole) ne faceva accenno sul sito Comics Comics, riprendendo la rubrica Good Cartoonists Gone inaugurata da Sammy Harkham sulle pagine della sua rivista, Crickets. Da questi accenni sparsi veniva fuori il racconto di un libro maledetto. Un libro ormai difficile da recuperare (pubblicato originariamente nel 1997), scritto e disegnato da un tipo schivo e irrintracciabile, che contiene una storia cattiva e spiazzante. Per me questi sono gli ingredienti perfetti per accendere curiosità e desiderio. Queste suggestioni mi hanno portato quasi a farmi un Colville fatto in casa, me lo stavo per disegnare io un Colville, come me lo ero immaginato, e molte delle suggestioni di questa piccola leggenda finiranno anche in una storia che realmente pubblicherò in un prossimo futuro. Quest’anno però, la svolta, Colville torna disponibile ristampato autoprodotto dal suo autore, che fonda la Fourth Dimension Books con cui pubblica anche il suo nuovo libro, The Journal of Main Street Secret Lodge. Non solo viene ristampato, ma con l’aggiunta di più di 100 pagine! Mando immediatamente una mail per sapere come comprare entrambi i libri e Gilbert mi risponde 10 minuti dopo, gentile, impeccabile e senza fronzoli. Mi è arrivato il pacco dal Canada, mi sono messo in un cantuccio isolato e mi sono finalmente letto Colville. Un fumetto di genere, centripeto, che costruisce tutto intorno a sé uno steccato che impedisce ad elementi altri dal racconto di entrare.
Siamo nella provincia nord americana, quei sobborghi visti mille volte, nei film ma soprattutto nei fumetti, dove la gente o vive tranquilla o vive disperata. Tutti gli elementi necessari al racconto sono in questo sobborgo chiamato Colville, non esiste altro, non esiste la Cina o l’Europa, ma non esiste nemmeno Toronto o New York. Lo ripeto, è un racconto chiuso, e che per questo non prevede vie di fuga ed è chiaro fin da subito. È vero che è un libro maledetto, finisce peggio di come ci immaginiamo. I personaggi sono sprovveduti che provano a reagire ad un destino incolore o stupidi che reagiscono a tutto con la violenza. È un thriller di quelli dove un piccolo crimine ti si rivolta contro, decuplicato. Della storia non vi dico altro, vi dico qualcosa di come è montata tutta intorno ad una scena topica che ci viene raccontata varie volte (a partire dalla copertina) e che solo alla fine sarà svelata nella sua interezza. Un meccanismo che tocca il suo vertice ne La Conversazione di Coppola (lo cito perché l’ho visto due giorni prima di leggere Colville; che bomba di weekend è stato!) e che proprio come nel film di Coppola non ha nella scoperta della verità il climax, ma nella reiterazione e nella raffinazione della visione, come se sparissero tutti i sensi tranne la vista. Colville non ha odore e non ha suoni. Gli occhi del lettore si trovano davanti un segno sintetico classico dell’underground americano, non cito roba strana, immaginatevi Daniel Clowes ma senza linee curve e con molto tratteggio in più. Un bianco e nero molto equilibrato che non vuole mai stupire.
Colville è un monolite, non potrebbe che essere un libro a partire dalla forma. È perfetto come i lampi di genio di una mente autistica. È l’opera di un autore solitario (intendo nella direzione artistica, dalle poche parole che ci ho scambiato via mail mi sembra proprio simpatico) che nel secondo libro, come è normale, cerca di ampliare il suo spettro ma lo fa costruendo un ibrido tra fumetto, illustrazione e racconto scritto, in una via insolita di cui vi parlerò un’altra volta. Compratevi Colville, è uno dei pochissimi libri veramente maledetti che avrete in libreria. Compratevi Colville o vi spezzo un braccio, con un martello arrugginito.
4 thoughts on “Colville, un diamante di ruggine”