Una nuova antologia curata da Sammy Harkham è sempre una notizia, ancor più se non si tratta di Kramers Ergot. Peep è la nuova creatura dell’autore di Blood of the Virgin, aiutato questa volta dal collega Steven Weissman e da un’etichetta fuori dagli schemi come la losangelina Brian Dead, nota per lo più come brand di vestiario alla moda venduto in eleganti concept store. A distribuire l’antologia nel circuito del fumetto ci pensa Secret Headquarters, negozio/casa editrice sempre di base a LA, come Harkham d’altronde. In Italia qualcuno di voi ha avuto la fortuna di trovarla nel negozio online di Just Indie Comics, dove è andata velocemente esaurita.
Peep è la naturale evoluzione di Kramers Ergot #10, un ulteriore passo verso la direzione intrapresa da Harkham con quello che potrebbe essere stato l’ultimo numero della sua memorabile antologia. Il formato gigante è lo stesso (35,5 x 28 cm) ma la foliazione è ancora più ridotta, dato che in questo caso le pagine sono soltanto 48. L’idea è di riportare il fumetto alle sue origini, alla velocità e all’essenzialità di una lettura rapida ma non per questo superficiale. Anzi, tutt’altro, perché l’intenzione degli editor è offrire la massima qualità nel minor spazio possibile. In 48 pagine si alternano 29 autori, tutti con contributi inediti tranne tre recuperi, ossia quelli di Spiegelman, Kurtzman e Spain. A parte l’eccezione costituita da Aix En Provence di Antoine Cossé, che raggiunge le 4 pagine, i fumetti si attestano tra una e tre tavole: un po’ come era successo per Kramers #7, con la differenza che allora si trattava di un enorme volume cartonato venduto a $125 e difficile da maneggiare, mentre ora abbiamo tra le mani un agile spillato da $25 che si può leggere comodamente in bagno.
La scelte editoriali di Peep sono strettamente legate ai contenuti. Poche pagine uguale poco spazio a disposizione per ognuno e allora quello degli autori diventa uno sguardo veloce, magari di striscio: un “peep”, appunto, che in forma di fumetto vuol dire affidarsi alla brevità di una striscia come quelle pubblicate un tempo dai quotidiani, con tanto di gag finale a volte. Ma “peep” suggerisce anche l’idea di sbirciare. Ed ecco allora che la gran parte degli autori guarda alla realtà quotidiana, meglio ancora se si tratta di una realtà privata, personale, intima, da far diventare pubblica attraverso una storia a fumetti. Di tanto in tanto questo sguardo diventa autobiografia, o biografia, che sia di un artista famoso o di un illustre sconosciuto. “Peep” è legato inoltre all’idea di spiare, basti pensare a termini inglesi composti come “peephole” (spioncino) e “peepshow”. Ed è per questo che alcuni di questi fumetti vanno a finire nel privato nel senso più intimo del termine. O spostano l’attenzione sul tema più estremo di tutti, quello della morte, che sembra ricorrere in modo più o meno ironico in buona parte di questi fumetti. Come sembrano ricorrere la presenza degli animali e i riferimenti alla situazione politica e sociale contemporanea: cosa, quest’ultima, che lascia pensare che alcuni di questi fumetti siano stati concepiti inizialmente per Kramers Ergot #10 per poi non trovarvi spazio. Per concludere “peep” potrebbe essere inteso come uno sguardo veloce rivolto alla storia del fumetto statunitense degli ultimi settant’anni, secondo l’idea fissa di Harkham di concepire il fumetto come un flusso continuo di corsi e ricorsi, in cui ciò che è nuovo dialoga – a volte inconsapevolmente – con ciò che è venuto prima, e in cui non c’è distinzione tra alto e basso o tra arte e intrattenimento. Tutte queste idee sono state senz’altro suggerite da Harkham e Weissman agli autori chiamati in causa, che hanno ricevuto dagli editor non un tema da svolgere (cosa che spesso nelle antologie a fumetti porta a realizzare contributi didascalici e/o troppo omogenei tra loro) ma suggestioni che hanno poi sviluppato a piacimento, cogliendo uno o più spunti tra quelli proposti.
I contributi sono tutti di altissimo livello e rendono Peep un’antologia a fumetti a dir poco eccellente. L’apertura è riservata a Vanessa Davis con le tre pagine manifesto di Larder Love. L’autrice di Make Me a Woman e Spaniel Rage inizia parlando del libro The Valley of Horses di Jean Auel, ambientato in era preistorica e famoso per le scene di sesso. Ma la cosa che più colpisce la Davis è il fatto che la protagonista del libro riesca a raccogliere nella sua grotta tutto il necessario per prendersi cura di un malcapitato quanto aitante giovane, mostrando la differenza tra l’alcova preistorica perfettamente organizzata e il suo ripostiglio stracolmo che esplode di vestiti. In queste tre pagine trovano spazio parecchi dei temi che animano l’antologia: la velocità della narrazione, uno sguardo rivolto alla sfera privata della fumettista che racconta, l’immagine della coppia preistorica che copula vigorosamente. Il resto procede su questa falsariga, con gli autori che approfondiscono i diversi lati del prisma Peep. C’è quindi la narrazione veloce da striscia o comunque da fumetto comico, come nei contributi di Mats, Art Spiegelman (con le strip di Muck and Jizz, versione per adulti di Mutt and Jeff), Harvey Kurtzman (con Egghead Doodle del 1950), Brian Chippendale (che riprende le situazioni del suo If ‘N’ Oof) e Jeff Mahannah. Alcune di queste storie mostrano aspetti tipici del fumetto classico, spesso rocamboleschi, con amputazioni e decapitazioni cartoonesche che tornano sia in Mats che in Spiegelman, oppure utilizzano animali o personaggi fantastici parlanti come protagonisti. Non è lontano per tenore lo stesso Weissman, che pur con un disegno elegante e tutt’altro che grottesco racconta le avventurose vicende dell’eroico cavallo Russell. Il già citato Mahannah sviluppa nella sua unica ma geniale pagina l’elemento sessuale, con un pittore di strada che seduce le clienti davanti ai mariti, mentre in Spiegelman uno dei personaggi si trova il pene tranciato. Persino il solitamente pudico Kevin Huizenga si diverte adattando in una pagina costruita con mano esperta un presunto annuncio di Craiglist, talmente perfetto per il suo universo narrativo (uomo cerca donna per vedere insieme l’eclissi del 2017 in Oregon) da suonare farlocco.
Ben Katchor dà una bella lettura dai connotati politici in An Evening Demonstration, ritraendo una folla inferocita che protesta con cartelli riportanti le diciture “No Fuck” e “Not Tonight Please!” sotto l’appartamento di una coppia di sposini (lui figlio di un CEO, lei figlia di un ambasciatore) invitandoli a non riprodursi per evitare la venuta al mondo di un altro ricco viziato. Il tema della morte è centrale nelle tre coloratissime pagine di Danielle Chenette, nel paginone centrale sviluppato in verticale di Chris Cilla con il suo abituale flusso di coscienza a fumetti, in Dinner Party Comics di Roman Muradov, nella geniale e spietata satira social di Katie Skelly e in due contributi che lo declinano in chiave biografica, ossia Louisianambush di E.A. Bethea sugli ultimi giorni di Bonnie & Clyde e Aix en Provence di Antoine Cossé dedicato a Cézanne.
Si muovono nei territori del quotidiano Gabrielle Bell, Sophia Foster Dimino con un delicato slice of life pregno di sottintesi (e anche qui la morte aleggia tra le vignette), Spain Rodriguez con The Conclusive Argument del 1988 recuperata direttamente dalle splendide tavole originali (da notare che Spain era apparso già in Kramers Ergot #10 in una storia-nella-storia di Kim Deitch) e Sammy Harkham, che si prende gioco delle guide How-To raccontando la giornata di un fumettista in tante microvignette. I temi si rincorrono, si alternano, si ripetono e si intrecciano, creando collegamenti segreti tra una storia e l’altra e tra un cartoonist e l’altro, come succede soltanto nelle migliori antologie. E lo stesso potremmo dire per le soluzioni stilistiche, che danno vita a connessioni intergenerazionali. Se per esempio non stupisce granché l’affinità stilistica dei due curatori (Black Feather Valley di Weissman potrebbe essere uscita da Blood of the Virgin di Harkham), è senz’altro più singolare la continuità tra la pagina di Kurtzman e quelle di Chippendale, non a caso posizionati uno dopo l’altro.
Non è dato sapere se questo albo avrà un seguito. Sulla copertina di Alex Schubert, sul sito di Brain Dead e sulle comunicazioni inviate ai distributori da Secret Headquarters non si fa mai riferimento alla numerazione. La seconda di copertina lascia invece qualche speranza, riportando nel colophon la dicitura “Peep no. 1″. Rob di Alta fedeltà chiederebbe se #1 vuol dire che ci sarà con certezza un #2 o se significa semplicemente che questo è il primo numero di Peep. Io non saprei proprio cosa rispondergli.