“Lapino” #1
Introdotto da una bella copertina gialla raffigurante uno Snoopy tutto peloso, arriva il primo numero di Lapino, rivista antologica che già dalla grafica e dal titolo omaggia il nostro Linus e il francese Mon Lapin. A curarla è Titti Demi, capace di mettere insieme dalla sua base nella provincia di Lecce (Nardò, per la precisione) autrici e autori da tutta Italia per parlare dello scottante tema dei peli. Se è vero che non mancano gli autori maschi – come per esempio Marco Corona, pur con una sola pagina, e Andro Malis – il punto di vista è prevalentemente femminile, tanto che la rivista sembra guardare anche al filone delle donne arrabbiate, che dal precursore It Ain’t Me Babe (1970) proseguì con i vari Wimmen’s Comix, Tits & Clits e Twisted Sisters. Ecco, immaginate Lapino come una fusione tra Wimmen’s Comix e Linus. Del primo ha il modus operandi e il susseguirsi di stili differenti l’uno dall’altro, del secondo testi e rubriche, come digressioni e curiosità sul pelo femminile, l’oroscopo e il parere dell’esperto, ovvero una lunga intervista all’estetista di fiducia. Ammesso che le “lapine” ci vadano, dall’estetista.
Ma chi c’è dentro Lapino, direte voi? Giusta domanda, e mi tolgo subito il pensiero indicando i nomi e gli pseudonimi dei partecipanti in ordine di apparizione: Luiza Lehmann, Marco Corona, Titti Demi, Roberto Dell’Orco, Alpraz, Andro Malis, Rob, Margherita Govi, Alessia Maiocchi, Ara, Renzo Cerutti, Elisa Pastore, Teresa, Gaia Montagnoli, Rosso Foxe e Turpe. Il club dei peli, a firma della stessa curatrice, è il contributo più lungo del lotto (14 pagine sulle 68 totali), e tra una perla di saggezza e l’altra – tipo: “Col tuo pelo di fica mi faccio il trapianto”, detto da un pelato, oppure: “Io esco solo con i presbiti, non ci vedono e risparmio con l’estetista” – avanza gioiosamente scombinato alla ricerca di una soddisfazione sessuale che i peli non possono certo negare, checché ne pensi la Polizia del Corpo e la sua fissa per la brasiliana. Demi ha senz’altro una passione per Julie Doucet – altro nume tutelare dell’intero progetto – ma le sue tavole sono essenziali e meno barocche, pur non rinunciando di tanto in tanto a rappresentare le stanze disordinate tanto care all’autrice canadese. Messa in apertura, questa storia al tempo stesso potente e spontanea introduce le domande centrali di questo primo numero di Lapino, ossia: le donne si devono depilare o no? E non depilarsi è un atto di ribellione? I peli femminili fanno veramente schifo? Tutti interrogativi che ne nascondono altri più profondi sul condizionamento della società nei confronti delle donne e forse ancor di più degli uomini, nel senso di maschi spesso anche maschilisti.
Più canonicamente autobiografico rispetto all’approccio freestyle de Il club dei peli è I peli delle bambine di Alpraz, piacevolissimo romanzo di formazione in miniatura che riassume tutto nella frase finale: “Più crescevo più ogni pelo diventava abnorme e mostruoso. Sarebbe stato più semplice amarli”. Esteticamente i riferimenti sono altri, e c’è un tratto “carino” e meno underground, come d’altronde nelle sei pagine a firma semplicemente Rob intitolate Even Kong Gets the Blues. Qui la cifra stilistica è la caricatura e il segno è abbastanza lontano dai territori che sono abituato a frequentare, ma la storia di una donna pelosissima tanto da essere scambiata per maschio è diretta con mano esperta, tanto da risultare il lavoro più maturo dell’antologia. Si torna invece a un disegno più graffiante con Andro Malis, che in Wookiee associa i peli alla crescita rivelando la sua identità segreta di Chewbecca de noantri, mentre le tavole screziate di rosso rifiutano le abituali regole dello storytelling per esplodere in mille direzioni diverse. La sua è una storia fondamentale per comprendere fino in fondo Lapino: nel liberatorio finale il protagonista capisce di poter andare in giro nudo e peloso, creando così una contrapposizione evidente con quanto raccontato negli altri fumetti, in cui le donne subiscono i pregiudizi e le aspettative degli altri, che siano partner, amiche o parenti. Succede anche in Peli e amore di Alessia Maiocchi, dove la protagonista arriva a considerare la depilazione come l’unica soluzione per riconquistare l’amore perduto… Ma se non fosse quello il vero problema? Il finale è (auto)ironico come pochi, e finisce per alleggerire ogni ragionamento con una risata autodenigratoria. Notevole lo stile di queste quattro carichissime tavole, sgraziatamente underground e pieno di spigoli.
Tra un pelo e l’altro questo primo Lapino inanella una serie di validissime prove da parte degli autori coinvolti, tanto da distinguersi in mezzo alle più recenti autoproduzioni italiane. Complimenti dunque alla curatrice, a fumettiste e fumettisti, scrittrici e scrittori, illustratrici e illustratori, sperando di vedere prima o poi un secondo numero o un’iniziativa simile, dedicata magari a un altro scabroso argomento. Intanto, per procurarvi questo esordio, potete scrivere a lapinoindiecomics@gmail.com e chiedere se è ancora disponibile una copia.
New New York/6 – “Bernadette” #1
Continuo con il solito ritardo a scorrere le pubblicazioni fondamentali della “nuova scena” di New York. Tra queste non può mancare il primo numero dell’antologia Bernadette, uscito ormai più di un anno fa (maggio 2024) ma che vale la pena recuperare per diversi motivi. Il primo è che ci dà l’opportunità di parlare di Angela Fanche e Katie Lane, editor della rivista e figure chiave del fumetto newyorkese contemporaneo, già all’opera prima che questa “nuova scena” si sviluppasse. Il secondo è la decisione di chiamare a raccolta soltanto artiste donne o non binari. Il terzo è l’utilizzo di altri media, che non è più episodico e funzionale ma del tutto esplicito, dato che in queste pagine troviamo non solo cartoonist ma anche artiste visive e fotografe. Il quarto è il formato di questa antologia, che già solo a guardarla si mostra imponente: trattasi di un magazine brossurato 32 x 25 cm stampato su carta patinata e tutto a colori, per un totale di 80 intensissime pagine.
Chiarisco subito che non tutte le 29 autrici vengono da New York, dato che in queste pagine trovano spazio – tanto per fare un paio di esempi – Ana Woulfe che è di Philadelphia e Vera Bekema che è addirittura olandese e vive a Berlino. Ma è chiaro che il cuore del progetto è lì, anche se la selezione delle artiste coinvolte è diversa rispetto a pubblicazioni simili, perché scegliere di dare spazio ad artiste donne e non binari significa tener fuori la gran parte dei cartoonist citati nei precedenti post di questo speciale. E la cosa è assolutamente positiva, perché in Bernadette si respira un’aria nuova, se non persino avanguardistica. Non c’è un tema in particolare, i contenuti sembrano susseguirsi casualmente e sono assemblati con spontaneità, come già succedeva con i vari Tinfoil, Cowlick e Junction Box. Se in quei casi l’attenzione verteva su un grafismo barocco che riempiva gli spazi in modo quasi ossessivo, in Bernadette troviamo anche fotografie, dipinti, illustrazioni e collage che si rapportano alla pagina con un’altra sensibilità, così che all’occhio dello spettatore sono concessi attimi di riposo, in cui il nero pece o le masse di colore lasciano spazio alle superfici bianche. È il caso del contributo di Ash Fritzsche, che consta di otto composizioni in bianco e nero di piccole dimensioni che uniscono astratto e figurativo, con la pagina della rivista utilizzata come se fosse la parete di una galleria. Subito dopo Mei Kanamoto avvicenda foto e disegni in modo singolare, mostrandoci alcune sue illustrazioni e poi le foto del suo studio in cui le stesse vengono create ed esposte. E a seguire ecco arrivare foto di famiglia, ritratti realizzati con pennarelli colorati, sculture, foto di interni, collage dal gusto retrò, tutti da autori per lo più sconosciuti ma che è un piacere conoscere.
Oltre a tutto ciò ci sono ovviamente i fumetti, a partire da quelli delle due editor. Katie Lane, che in passato ha sperimentato a sua volta con il collage e il digitale (si veda Single Camera Sitcom, di recente ristampato da Comics Blogger), è ormai approdata a un fumetto apparentemente tradizionale ma in realtà del tutto peculiare per come mette in scena conversazioni argute e complesse, rappresentate con abbondanza di primi piani e tratto tremolante. Angela Fanche realizza una copertina dai colori digitali che è quanto di più lontano dal suo solito bianco e nero, più un paio di splash page che confermano l’evoluzione della sua arte, dall’autobiografia a una dimensione sperimentale (si vedano a tal proposito i due numeri della serie WWREC realizzata insieme a Max Burlingame).
Degne di nota, come sempre d’altronde, sono le pagine a firma Juliette Collet, insieme a Clair Gunther anche co-editor dell’antologia. L’autrice della serie Blah Blah Blah si cimenta ancora una volta in un lavoro a quattro mani, in questo caso insieme a Charlotte Pelissier. Tra i nomi noti spiccano quelli di area Deadcrow come Sarah Kirby, Jade Mar e poi Sam Seigel, che realizza quattro meravigliose pagine che iniziano nel 10.100 e in cui migliaia di anni trascorrono tra una vignetta e l’altra. E poi c’è persino qualcosa di più classico, che non a caso arriva da un’altra generazione di cartoonist, qui rappresentata da Gabrielle Bell, alle prese con i suoi sogni disegnati (uno con guest star Julia Wertz). Ma è solo una parentesi, perché in realtà Bernadette si distingue per guardare oltre, superando i confini del fumetto sia come forma d’arte sia come medium storicamente dominato da uomini bianchi eterosessuali.
Per approfondire i contenuti dell’antologia, vi consiglio questa interessante intervista pubblicata sul sito del Comics Journal. Inoltre, per chi volesse accaparrarsi Bernadette #1, ne trovate ancora qualche copia nel negozio online di Just Indie Comics.