“Art Comic” di Matthew Thurber

(English text)

Matthew Thurber è uno dei fumettisti più geniali, matti, stimolanti, classici, sperimentali e divertenti che ci siano in giro oggi. O forse è l’unico ad assommare tutte queste caratteristiche in un colpo solo. Il suo 1-800-Mice, pubblicato prima in albetti e poi in volume da PictureBox, prendeva le mosse dalla scena di Fort Thunder scegliendo un’ambientazione pseudo-fantasy – ancora la cittadella tanto cara a Brinkman, Chippendale & co. – per rivisitarla con un approccio che ai riferimenti fumettistici univa quelli cinematografici e letterari: primo tra questi Thomas Pynchon, da cui Thurber riprende tra le altre cose l’ossessione per società segrete, sette religiose, cospirazioni e complotti di cui poco o niente può sapere l’uomo comune e dunque anche il lettore. Il successivo Infomaniacs, serializzato stavolta come web-comic e poi in volume ancora per PictureBox, rimane a oggi, nonostante sia del 2013, la più azzeccata riflessione a fumetti sulla nostra esistenza digitale, spiegandoci come internet sia diventato più reale della realtà stessa con uno stile classico – la gran parte delle pagine sono divise in 4 vignette identiche tra loro – senza cercare forzate innovazioni stilistiche che spesso in tanti fumetti tutti uguali di oggi, copiati prima su Tumblr e ora su Instagram dalla copia della copia della copia, sono solo vuota forma e zero sostanza.

La complessità dei fumetti di Thurber è quasi estrema, eppure c’è sempre un momento in cui il personaggio guarda il lettore e fa la domanda più semplice di tutte. In Art Comic, arrivato adesso in un volume a colori per Drawn & Quarterly dopo essere stato parzialmente pubblicato a puntate e in bianco e nero da Swimmers Group tra il 2014 e il 2017, la domanda base posta dal protagonista Cupcake è: “E’ possibile diventare un grande artista senza trasformarsi in uno stronzo?”. Domanda più che legittima, ovviamente, e che rappresenta forse il cuore della vicenda, insieme ad altre questioni non di poco conto, in primis come può l’arte essere rivoluzionaria se collocata in un sistema in cui l’opera arriva a valere anche centinaia di migliaia di dollari e le scuole costano un occhio della testa e sono accessibili solo ai ricchi. O la continua analisi del labile confine tra opera d’arte e “cagata pazzesca”, che parte dal ready-made dadaista, qui definito “a tool of magical wealth generation” capace di trasformare “shit into gold”, per arrivare a Matthew Barney, con cui la satira di Thurber si accanisce quasi a raggiungere il sadismo. Tutte questioni serie che però vengono affrontate di lato, da sopra, da sotto, da dietro, secondo un approccio sghembo, mai noioso anzi sempre divertente. Basti pensare al primo capitolo del libro, in cui come da tradizione Thurber introduce tutti insieme tanti personaggi, molteplici ambientazioni e in questo caso anche più piani temporali, con un’abitudine a procedere per accumulo che sa quasi di scrittura automatica. Nella prima parte di Art Comic facciamo conoscenza di Cupcake, studente della Cooper Union nel 1999 (la scuola d’arte dove ha studiato lo stesso Thurber) e fan a dir poco sfrenato di Matthew Barney, capace di realizzare soltanto opere d’arte con riferimenti all’universo creativo del “maestro”. Tra i suoi colleghi, tutti allievi del losco professor Password, spiccano il promettente russo Boris Snegovoi e Tiffany Clydesdale, artista emergente che realizza soltanto opere a tema religioso. Nel frattempo la troupe del programma televisivo Drunk T.V. e il gruppo di maiali Free Little Pigs imperversano all’inaugurazione della mostra di Damien Hirst. E siamo così nel 2014, dove un artista contemporaneo, ex allievo della Cooper 15 anni prima, si fa chiamare Ivanhoe e va in giro a cavallo con tanto di armatura, seguito da uno stagista assunto per una misteriosa missione. Mentre la Tiffany ormai matura del 2014 riesce con una preghiera/opera d’arte a far apparire, ma forse soltanto nella sua testa, un Gesù capace di volare e far piovere soldi dal cielo, a Miami un duo di guardie del corpo al soldo del misterioso Zobchik (un alieno del pianeta Qaxb, come si capirà in seguito) sta portando all’Art Basel due robot intenti ad accoppiarsi con l’obiettivo di mettere incinta la robot-donna in tempo per la fiera. E non è tutto qua, perché appunto siamo solo alla prima parte. Tra le varie situazioni, colpi di scena e trovate che si vedranno nei capitoli seguenti, cito soltanto l’apparizione del Gruppo, una società segreta che attraverso le scuole d’arte boicotta gli artisti emergenti minandone le certezze, guidata da un certo R. Mutt, il cui nome vi suonerà probabilmente familiare…

Insomma, avete capito a questo punto che aria tira in queste pagine e non vi anticipo gli sviluppi della vicenda anche perché farlo sarebbe davvero una faticaccia. Le storyline sono tante e a volte si alternano con stacchi netti, altre confluiscono l’una nell’altra, oppure vengono riprese a distanza di pagine e pagine, vanno in fuga, si incrociano del tutto, solo in parte, per niente, e poco importa se qualcosa rimane in sospeso, poco chiaro, nebuloso, anche perché chi siamo noi per capire tutto della complessità balorda che ci circonda e dei movimenti che sotterranei agiscono sotto le pieghe della storia (dell’arte)? Meglio lasciarsi trasportare storditi dal flusso di idee e dal turbinio di gag che si susseguono senza sosta, mentre ridiamo di gusto davanti alle espressioni ebeti di Cupcake e ci facciamo strada tra i riferimenti ad artisti, gruppi e correnti degli ultimi cento e passa anni, in un sistema di citazioni, special guest e flashback che si intreccia con la narrazione senza mai essere fine a se stesso. Art Comic esce per lo stesso editore e nello stesso anno di Sabrina ma ne rappresenta l’esatto opposto. Dove in Drnaso tutto è regolato da una logica a dir poco maniacale, in Thurber si assiste a un’esplosione di creatività che l’autore non ha alcuna intenzione di tenere a bada, perché ciò che gli interessa è lasciare alla sua creazione una struttura libera, difficilmente catalogabile, che renda il suo libro a fumetti non il solito “libro a fumetti” come tanti altri che si trovano nelle librerie di varia.

Altra curiosità è rappresentata dal finale, che in Thurber è spesso improvviso, quasi tagliato con l’accetta, e mai definitivo, come nella tradizione della letteratura post-moderna. Nella versione in albetti Art Comic finiva con una scena che rimandava per modalità agli epiloghi delle precedenti opere di Thurber: Cupcake, il fan n.1 di Matthew Barney di cui dicevamo sopra, scopre grazie all’incontro con Mr. Colostomy, il cavallo parlante che ricorre in tutti i fumetti dell’autore, il modo di trasformare un water in oro, scoprendo al suo interno i membri del gruppo di arte contemporanea Gelatin, che lo invitano a tuffarsi con loro. Ecco dunque il tuffo di Cupcake nella tazza, come in Trainspotting via l’Atalante di Jean Vigo. Messo in chiusura di Art Comic #5 era sicuramente un finale alla Thurber ma mi era sembrato sin troppo netto anche per lui, tant’è che – vista anche la totale assenza di editoriali in quel comic book, che aveva seconda e terza di copertina totalmente nere quasi a non voler dare indizi – ho passato mesi a chiedermi (mentre facevo anche altro, ovviamente) se la storia fosse davvero finita lì, dato che alcuni fili narrativi rimanevano seriamente irrisolti. E’ stata dunque una piacevole sorpresa trovare nel volume un sesto capitolo di ben 33 pagine, che porta a conclusione o quasi le vicende narrate. Altro inedito sono i “contenuti speciali”, ossia 6 pagine in cui i personaggi e Thurber stesso riflettono su quanto visto e commentano l’opera. Manca invece il bel saggio/editoriale scritto da Thurber per il comic-book #4 sul tema dell’arte e della sua mistificante storicizzazione. Ma sono questi dettagli di poco conto per chi non ha letto ancora Art Comic e, se siete tra questi, vale assolutamente la pena farlo al più presto. Come prevedibile, è in assoluto il mio best of 2018, senza nessun concorrente in grado nemmeno di avvicinarlo.

Just Indie Comics Buyers Club 2019

Debutterà con il #33 dell’antologia lettone š! la quarta edizione del Just Indie Comics Buyers Club, l’abbonamento annuale che permette di ricevere i fumetti del negozio on line di Just Indie Comics. La formula è la stessa degli altri anni ma per chi non la conosce ribadisco quanto già scritto in passato. Chi aderirà entro il prossimo 10 gennaio riceverà uno o due fumetti ogni tre mesi, a seconda della tipologia di abbonamento scelto, e avrà inoltre diritto a uno sconto del 10% su tutto il materiale acquistato dal sito e ai festival nel corso del 2019. La prima spedizione sarà a gennaio, le successive ad aprile, luglio e ottobre. I fumetti saranno per lo più americani, a volte europei, ma sempre e comunque in lingua inglese.

Come avrete capito, esistono due soluzioni per aderire al Just Indie Comics Buyers Club. La prima, quella più economica, costa 45 euro e dà diritto a ricevere un albo a trimestre, spese di spedizione tramite piego di libro ordinario incluse. La seconda, che invece è la versione estesa dell’abbonamento, consentirà di avere in ogni invio due fumetti, per un totale di otto albi annui, e costa 75 euro, con la spedizione sempre inclusa. Se invece della spedizione ordinaria preferite quella tracciata tramite raccomandata, basta segnalarlo al momento del checkout dell’ordine, anche se chiaramente ci sarà un surplus da pagare. Come noterete, c’è un aumento di 5 euro rispetto agli scorsi anni, dovuto ai costi sostenuti per ordinare il materiale spesso da oltreoceano e anche all’esigenza di avere fumetti sempre più belli, rari, corposi e di conseguenza costosi.

Come lo scorso anno, i fumetti della formula Small saranno uguali per tutti e verranno annunciati e presentati sul sito. I sottoscrittori Large avranno lo stesso fumetto degli Small più un altro che potrà variare da abbonato ad abbonato. Potrete trovare degli spillati di piccolo o grande formato, volumi, volumetti, graphic novel, antologie, tabloid e così via, autoprodotti o pubblicati da case editrici indipendenti come Breakdown Press, Retrofit Comics, Revival House Press, Domino Books, O Panda Gordo, Kilgore Books ecc.

Il primo albo che verrà spedito a tutti gli abbonati sarà appunto š! #33, l’antologia lettone formato A6 che i più fedeli lettori e acquirenti di Just Indie Comics già conoscono. Dietro una bella copertina della bravissima Tara Booth e il titolo d’occasione, Misery, si nascondono 164 pagine con contributi di un cast di autori internazionali noti e meno noti, come la stessa Booth, il nostro Andrea De Franco con Alice Fiorelli, Cole Johnson, Tor Brandt, Yan Cong e tanti altri. Il tutto è come ogni uscita un saggio sulle mille possibilità della storia breve a fumetti, una modalità espressiva che spesso qui su Just indie Comics ci piace anche più dei graphic novel e delle saghe interminabili.

Per farvi capire qual è il materiale che vi aspetta se entrerete nel club, ecco il dettaglio dei fumetti inviati nel 2018: Now #1 della Fantagraphics, Book of Daze di E.A. Bethea, Roopert di August Lipp, Cobra II di Teddy Goldenberg, Blammo #9 di Noah Van Sciver, Twilight of the Bat di Josh Simmons e Patrick Keck, š! #26 dADa, Mary di Lale Westvind, Sporgo #1 di Laura Pallmall, Tintering di Conor Stechschulte, Of Course di Cole Johnson, Steam Clean di Laura Kenins, Our Mother di Luke Howard, š! #30 Brooklyn, It’s You Beautiful and Sad di Fifi Martinez, After School Special di Dave Kiersh, Blue Onion di Chris Cilla, No Mouth’s The Hum di Gore Krout, Lovers in the Garden di Anya Davidson, š! #31 Visitors, Escape to the Unfinished di Dash Shaw, Dark Tomato di Sakura Maku, Now #2, September 12th di Robert Sergel.

Ultima cosa, quest’anno il Just Indie Comics Buyers Club contribuisce alle attività dell’Associazione Culturale Empty Fridge, fondata da me e Serena Dovì. Abbonandovi sosterrete le nostre iniziative, che per il 2019 prevedono pubblicazioni, mostre, presentazioni e speriamo tanto altro.

Qui sotto trovate i link per abbonarvi. Ripeto, se vi interessa affrettatevi perché sarà possibile aderire SOLTANTO FINO AL 10/01/2019. L’offerta con queste modalità è valida per i soli residenti in Italia, se invece siete residenti all’estero e siete interessati potete contattarci a justindiecomics [at] gmail [dot] com e vedremo cosa si può fare.

JUST INDIE COMICS BUYERS CLUB LARGE

JUST INDIE COMICS BUYERS CLUB SMALL

Mat Brinkman in mostra a BilBOlbul

Un miraggio, per molti un sogno, o forse come vivere per qualche giorno in un universo parallelo. Difficile descrivere diversamente la venuta in Italia di Mat Brinkman, uno dei cartoonist più influenti degli ultimi vent’anni, capace di rivoluzionare il mondo del fumetto underground a partire dalla fine dei ’90 con l’esperienza Fort Thunder. L’evento è stato possibile grazie a Michele Nitri di Hollow Press, che non solo ha convinto il fumettista, illustratore, scultore e musicista statunitense ad uscire dal suo ritiro sulle montagne del Colorado per atterrare al BilBOlbul ma anche a strappare un sì per la ristampa dei suoi Teratoid Heights e Multiforce, assenti dal mercato da anni e fino a poco fa difficilmente reperibili anche sul mercato dell’usato. L’organizzazione del festival ha fatto il resto, ospitando l’artista e allestendo alla Pinacoteca Nazionale di Bologna The Dungeon Master, la prima retrospettiva a lui dedicata, con pezzi provenienti dalla collezione privata dello stesso Nitri. Qui cercheremo proprio di offrire una panoramica della mostra, inaugurata lo scorso 23 novembre e aperta fino al 16 dicembre, fissando sulle pagine di internet l’esistenza di materiali per la gran parte sconosciuti ai più.

La sezione iniziale è intitolata Inside the Thunderdome ed è incentrata sulla fase più importante dell’opera di Brinkman, quella nata nel Fort Thunder. In mostra 12 copertine di Paper Rodeo, la rivista formato tabloid in cui è stato inizialmente serializzato Multiforce. A seguire una serigrafia promozionale di Teratoid Heights, la raccolta dei mini-comic autoprodotti di Brinkman pubblicata da Highwater Books, e quindi un’intera parete dedicata a Multiforce, con alcuni originali. Non si tratta in realtà di intere tavole, perché ogni pagina di Multiforce è stata costruita assemblando e rimpicciolendo una serie di vignette realizzate separatamente. L’occasione è dunque ghiotta per vedere i disegni a grandezza naturale e l’allestimento evidenzia intelligentemente questo aspetto accostando l’originale a una stampa del definitivo. Tra i vari pezzi da segnalare la parte finale della sequenza di Skeleton Jelly, probabilmente la più iconica del fumetto. A chiudere questa prima parte troviamo una copia della raccolta in volume di Multiforce, uscita per PictureBox nel 2009, e il poster allegato da Hollow Press alle prime 333 copie della nuova edizione, con autografo dell’autore.

Proseguendo l’esplorazione si arriva alla sezione The Spiral Architect, dedicata al Brinkman pittore, scultore e illustratore e ad alcuni oggetti croce e delizia dei collezionisti. Vi troviamo due disegni a inchiostro senza titolo, Man and a Baby realizzato con il carboncino, una serigrafia stampata da Le Dernier Cri nel 2008 e una teca con alcuni fumetti che vanno dal raro all’introvabile, dall’edizione del 2003 di Teratoid Heights al minuscolo Double Migraine uscito per gli svizzeri di B.ü.L.b Comix nel 2011, da Depressed Pit Dwellers edito ancora da Le Dernier Cri nel 2008 a una nuova sconosciuta autoproduzione dal titolo Wide Awake Water stampata in una quarantina di copie per un amico. Arriviamo così a 4 disegni dal progetto Afterbirth Afterlife e alla scultura Skull Spider del 2013 in cartapesta, latex, fil di ferro, cavi elettrici, legno, schiuma espansa.

La parte finale della prima sala, 1000 Years of Sporadic Beats, vede protagonista il Brinkman musicista e mette in fila LP, cd, cassette, poster dei Mindflayer e di altri progetti musicali del nostro, come SYNB, Monstro-brink e Mr. Brinkman. Presenti anche un paio di cuffie per ascoltare estratti dai vari album.

La seconda sala si apre con Play My Game, Feel My World, incentrata sul Brinkman illustratore per giochi da tavolo e concept artist. Notevole il lavoro per il gioco Cave Evil, con curatissime illustrazioni di ambienti e personaggi, quest’ultime utilizzate anche per dare forma alle miniature. Presente anche una teca con il gioco e le sue espansioni. I disegni per Thumper, videogioco di casa Drool, sono invece dei bozzetti di cui poco è rimasto nella versione definitiva realizzata dagli sviluppatori.

Arriviamo così a Evade the Dungeon, un paio di pareti su cui trova spazio il lavoro fatto da Brinkman per Hollow Press a partire dal 2014. Oltre a un bel numero di tavole tratte da Cretin Keep on Creepin’ Creek, la sua storia pubblicata sui tre numeri finora usciti dell’antologia Under Dark Weird Fantasy Grounds, troviamo anche la maglietta stampata in occasione del debutto della serie e la statuetta di uno dei personaggi. In più, una bottiglia della birra Bokrijks Ale del 2010, con serigrafia dell’artista.

E siamo quasi alla fine, manca infatti soltanto da dare un’occhiata a un’altra teca contenente libri collegati in qualche modo a Brinkman, dall’indispensabile The Comics Journal #256 con lo speciale Fort Thunder al libro The Orange Eats Creeps con copertina del nostro, dalle antologie Kramers Ergot #4 e Coober Skeber #2 fino al catalogo della mostra Wunderground dedicata alla scena di Providence e alla tesi di laurea di Rudy Dore che approfondiva ancora il tema Fort Thunder.

Oltre alla mostra, Brinkman ha tenuto sessioni di firmacopie nella Biblioteca Salaborsa, in cui ha dedicato ai lettori il suo Teratoid Heights (le copie di Multiforce non erano ancora disponibili per un ritardo tipografico), ed è stato protagonista di un incontro all’Accademia di Belle Arti con Ratigher, un’occasione unica per sentire la voce di un artista riservatissimo, su cui è difficile trovare informazioni anche su internet. In realtà non è stata rivelata chissà quale verità a proposito dell’assenza di Brinkman dalle scene e della sua produzione a fumetti a dir poco centellinata, dato che è stato lui stesso a dire che se ha fatto pochi fumetti è perché “è andata così”. Non sono nemmeno emersi nuovi elementi su Fort Thunder, che in sostanza è nato perché Brinkman e gli altri cercavano un posto dove vivere e al tempo stesso fare concerti e che è finito “perché il proprietario ci ha mandati via e l’immobile è stato demolito”. Certo, tutte cose che sapevamo già, ma si sa che il fan ama immaginare e a volte creare miti, pensando che dietro all’arte ci sia sempre qualche segreto nascosto. E invece Brinkman è semplicemente un artista che ama starsene per conto suo tra le montagne del Colorado “a disegnare, lavorare alle sculture, suonare la batteria e fare lunghe camminate” e che quando ha creato i suoi indimenticabili mondi ha fatto quello che si sentiva di fare in quel momento, “per me e per i miei amici”, senza pensare minimamente all’idea di finire sugli scaffali delle librerie o addirittura in una bacheca di una Pinacoteca a Bologna.