“Hammerspace” #1 pre-order
Hammerspace è una nuova rivista pubblicata da Eyeworks, un festival itinerante (nel 2019 si è svolto a Los Angeles, Chicago e New York) dedicato all’animazione sperimentale e astratta, a cura di Alexander Stewart e di Lilli Carré, quest’ultima fumettista nota per Heads or Tails pubblicato da Fantagraphics nonché, dalle nostre parti, per la mostra che BilBOlbul le ha dedicato nel 2015. Leggendo la descrizione che ne forniscono i due autori (e coniugi), “il termine hammerspace deriva dal cliché di un personaggio dei cartoni animati che solleva un oggetto, come un grosso martello, da dietro la sua schiena” e si riferisce più in generale al concetto di “spazio” nel senso di luogo in cui gli oggetti possono muoversi o essere riposti. A dire la loro su questo tema sono stati chiamati scrittori, fumettisti e designer, in un magazine dedicato per lo più all’animazione ma che spazia anche tra altre forme d’arte come il fumetto, la grafica, i videogiochi. Nel primo numero troviamo così lo scrittore e video-artista Steve Reinke con un saggio sul pioneristico Asparagus di Suzan Pitt (1979), un’intervista di Mary Beams alla filmmaker Annapurna Kumar, immagini sequenziali realizzate del fumettista John Hankiewickz (autore di Asthma ed Education), un articolo di Austin English sul rivoluzionario editor Dc Comics Mort Weisinger, illustrazioni tratte dagli inventari dei classici adventure game. Oltre ai già citati, la lista dei collaboratori include Scott Bukatman, Margaux Duseigneur, Stefanie Leinhos e Sonnenzimmer. Il design e il layout sono di Dakota Brown.
Hammerspace #1 è stampato in risograph in sole 400 copie e conta 76 pagine. Dato il costo elevato (25 euro per noi italiani), la rivista sarà disponibile soltanto in pre-oder fino a venerdì 7 febbraio al link qui in basso.
Al via “Fuori gli autori” da Risma
Segnalo qui un appuntamento che prenderà il via mercoledì 5 febbraio alle 19:30 presso la libreria Risma, in via Augusto Dulceri 51 a Roma. Si chiamerà Fuori gli autori – Un ciclo di presentazioni in absentia e sarà un format in cui critici, librai, idraulici, blogger, impiegati di banca, editor, editori, youtuber, facchini di Santa Rosa, grafici, massaggiatori, pizzaioli, montatori video, intellettuali, influencer e chi più ne ha più ne metta parleranno di fumetti alla non-presenza degli autori. E a volte ci saranno anche fumettisti… Ma mai i fumettisti di cui si parla.
Per il primo incontro, che abbiamo deciso di dedicare allo scottante e attualissimo tema “animali antropomorfi”, potevamo avere ospiti Jason e Simon Hanselmann ma abbiamo detto NO! Altrimenti perché l’evento si chiamerebbe Fuori gli autori? Saranno quindi Alessio Trabacchini e il sottoscritto a parlare di Ho ucciso Adolf Hitler e altre storie d’amore edito da 001 Edizioni e di Bad Gateway pubblicato da Coconino Press. E vi assicuro che non sarà una presentazione come le altre, perché alle chiacchiere si alterneranno proiezioni video (con spezzoni tratti dai film preferiti di Jason), reperti audio dalla recente intervista-fiume di Hanselmann a The Comics Journal e ospiti a sorpresa. Di più non dico per non svelarvi troppo, e non entro nemmeno nel merito dei libri, dato che su Just Indie Comics si è già parlato di entrambi. Vi lascio dunque a qualche link e, per chi è a Roma, vi do appuntamento al prossimo 5 febbraio.
JASON TORNA SUGLI SCAFFALI D’ITALIA
RECENSIONE DI “BAD GATEWAY” DI SIMON HANSELMANN
EVENTO FACEBOOK FUORI GLI AUTORI – JASON E SIMON HANSELMANN RACCONTATI DA RISMA
Ora in pre-order Cobra II, Act 2
Nonostante la sceneggiatura di Sylvester Stallone in persona, la regia “visionaria” di George Pan Cosmatos, la colonna sonora tipicamente eighties e una sfavillante Brigitte Nielsen, il film Cobra non ebbe mai un seguito. Ma, come i più informati di voi già sapranno, ci ha pensato l’artista israeliano Teddy Goldenberg a raccontarci un’altra avventura – questa volta a fumetti – del tenente Marion Cobretti (che rima, eh?). La prima parte di Cobra II uscì verso la fine del 2018 e fu il quarto fumetto di quell’edizione del Just Indie Comics Buyers Club. Adesso, dopo poco più di un anno, Goldenberg pubblica un nuovo albo di 48 pagine, capitolo conclusivo della storia.
Alla fine del primo atto avevamo lasciato Cobretti alle prese con un nuovo maniaco assassino, forse dotato di artigli e capace persino di decapitare le sue vittime. Gli indizi lo avevano portato a cercare il “mostro” nel Virtual Maze, un luogo misterioso in cui si svolge l’inizio di questo secondo atto. Per chi non ha letto quel primo capitolo, vi assicuro che le atmosfere sono esattamente quelle del film: siamo ancora in una Los Angeles devastata dalla criminalità, la polizia brancola nel buio, Cobra spara le sue frasi sintetiche e reazionarie con estrema facilità e sullo sfondo si sentono le note di sax e tastiera. E chissà che magari in questo secondo atto vedremo il nostro eroe mangiare una mela o magari accompagnarsi con la bionda Ingrid Knudsen…
Volete avere la soddisfazione di dire agli amici che avete ordinato Cobra II 2? O addirittura volete ordinare 2 Cobra II 2 uno per voi e uno per vostro zio? Bene, avete tempo fino a lunedì 3 febbraio. Dato che si tratta di un secondo capitolo e che venderlo da solo risulterebbe decisamente complicato, ho deciso infatti di mettere on line l’albo soltanto in pre-order. Per chi non si fosse ancora procurato il primo capitolo della storia, è disponibile anche un pack, sempre e soltanto in pre-order fino al 3 febbraio, contenente entrambi i volumetti. Seguono i link e un po’ di immagini. This is where the graphic novels stop… and Just Indie Comics starts!
COBRA II ACT 2 BY TEDDY GOLDENBERG PRE-ORDER
Una serata con Chris Reynolds
Pubblico di seguito la trascrizione dell’incontro con Chris Reynolds che si è tenuto lo scorso 3 dicembre a Roma da Risma Bookshop, in occasione del tour italiano dell’autore britannico. Ad accompagnare il testo, oltre a un paio di foto scattate in quell’occasione, alcune immagini tratte dalla mostra che il festival bolognese BilBOlbul ha dedicato a Reynolds presso Spazio B5. Prima di lasciarvi all’intervista, ringrazio Stefano A. Cresti per il sempre ottimo lavoro di interpretariato e Tunué per la collaborazione. Buona lettura.
Gabriele Di Fazio: Un mondo nuovo è un’antologia del lavoro di Chris Reynolds, uscita in Italia per Tunuè in concomitanza con la mostra a lui dedicata da BilBOlbul, dove Chris è stato ospite nel weekend. Il libro raccoglie i lavori pubblicati a partire dal 1986 negli albi autoprodotti Mauretania Comics e nella fondamentale rivista inglese Escape, oltre all’intero graphic novel Mauretania uscito per Penguin nel 1990. Tra l’altro Mauretania fu anche pubblicato in Italia da Feltrinelli nel 1992 in uno dei primi tentativi degli editori generalisti di portare fumetti “diversi” nelle librerie di varia. La versione originale di questa antologia, intitolata The New World e uscita nel 2018 per la New York Review Comics, è curata – sia nella scelta delle storie che nel design – da un altro autore di fumetti, il canadese Seth, di cui è stato pubblicato di recente da Coconino Clyde Fans. Seth aveva già scritto nel 2005 un apprezzamento della serie Mauretania per la rivista The Comics Journal, un testo che ancora oggi è a mio parere l’esame più azzeccato e profondo del lavoro di Chris (potete leggerlo qui, ndr).
Allora, dato che abbiamo qui con noi Chris cerchiamo di capire innanzitutto cos’è la Mauretania, cioè il mondo – non necessariamente in senso geografico – in cui si svolgono questi fumetti, per lo più storie brevi interconnesse tra loro. Apprendiamo in una di queste storie che siamo nel futuro, ossia nel 2087, ma non è chiaro se questa collocazione temporale è comune anche agli altri racconti, né sono chiarissimi i legami tra i diversi episodi, dato che una cosa che succede in una storia non influenza necessariamente quanto accade agli stessi personaggi nella successiva. Mauretania in particolare è un termine che andava ad indicare una provincia romana dell’Africa, territori che oggi corrispondono più o meno all’Algeria e al Marocco, ma qui non c’è un’ambientazione esotica, anzi sembra di essere nel Regno Unito, dunque in uno scenario più familiare all’autore, che è nato in Galles e si è trasferito in Inghilterra per il college. Ma c’è comunque qualcosa di diverso, qualcosa di rotto, come succede quando siamo appunto in una distopia. Quindi vorrei chiederti a questo punto perché Mauretania e com’è nata l’idea di utilizzare questo termine.
Chris Reynolds: Iniziai a fare questi fumetti insieme al mio amico Paul Harvey e un giorno venne a casa mia e cominciammo a parlare di come avremmo dovuto chiamare il nostro comic book. Alla fine della serata scegliemmo come titolo Mauretania, ma adesso nessuno dei due si ricorda chi se ne uscì con quel nome.
GDF: Nell’introduzione al volume Ed Park azzarda l’ipotesi che l’oscurità di queste storie, che sono caratterizzate da un bianco e nero molto pesante, possa collegarsi in qualche modo al nome Mauretania, che a sua volta deriva dalla tribù dei Mauri, un termine che significa appunto “scuri” riferendosi al colore della loro pelle… Non so se questa connessione fu determinante per la scelta…
CR: In realtà non era una scelta consapevole, anzi, si tratta soltanto di una coincidenza, perché non sapevamo in realtà dove si trovasse la Mauretania. Scegliemmo questo nome perché era misterioso, antico, e lo collegavamo più alla famosa nave che fu varata nel 1906 che alla provincia romana.
GDF: Nella storia che apre il volume, The Dial, c’è il protagonista che torna dalla guerra, infatti tra le righe si capisce che c’è stato un conflitto tra la Terra e gli alieni, con questi ultimi che hanno avuto la meglio. Reg arriva a casa e trova degli scavi minerari tutt’intorno, inoltre non c’è traccia della sua famiglia. Scopre anche che ha preso piede una religione, il Dial appunto, i cui adepti sono uomini incappucciati, di cui adesso nota la presenza anche nelle sue foto da bambino, come se la sua famiglia fosse sempre stata in qualche modo collegata al Dial. Alla fine di questa storia c’è una scheda in cui vengono date una serie di informazioni, e si parla anche dell’ambientazione temporale degli eventi, il 2087. Ma questi elementi non tornano nelle storie seguenti. Noi magari diamo per scontato – per le nostre abitudini di lettori e per una serie di convenzioni – che anche le altre storie siano ambientate nello stesso mondo di The Dial, invece non è necessariamente così. La cosa bella di tutto ciò è che alcuni di questi elementi inizialmente oscuri si connettono in maniera chiara tra loro e quindi leggendo e rileggendo il libro si capisce che siamo in un mondo del tutto autoreferenziale, con le sue regole e la sua logica. Si tratta di un mondo al tempo stesso oscuro e intellegibile, perché il lettore riesce ad afferrare solo in parte il senso di quanto sta accadendo, con una sensazione simile a quando abbiamo una parola sulla punta della lingua. E comunque i personaggi si sviluppano, succedono delle cose – e succede anche che i morti tornano in vita, senza che possiamo davvero capirne il perché. Tra i vari personaggi il più iconico è sicuramente Monitor, una sorta di supereroe se possiamo chiamarlo così, probabilmente un bambino anche se la cosa non è chiara. Mi chiedevo come fosse venuto fuori questo singolare personaggio… Ho letto da qualche parte che è stato ispirato dal fumetto Billy the Cat.
CR: Quando avevo 14 anni scrissi un romanzo e uno dei personaggi era Monitor. All’epoca Billy the Cat era molto popolare e sicuramente mi influenzò. Quando poi iniziai a fare i fumetti riutilizzai questo personaggio – semplificando notevolmente il costume rispetto a quello di Billy The Cat – perché mi sembrava davvero un buon personaggio, innanzitutto perché può avere qualsiasi età tra gli 8 e i 30 anni, come se l’età fosse determinata dal tipo di storie in cui si trova. E’ un personaggio che non ha caratteristiche specifiche, molto generico, e quindi perfetto per questo tipo di storie. Se fosse stato una persona “normale”, avrei dovuto dare più informazioni sul suo background, su chi fosse e perché stesse facendo quelle cose lì, invece se tu metti in una storia un personaggio che sembra vagamente un astronauta si danno molte cose per scontate, quindi si può andare avanti direttamente con la storia.
GDF: Sì, sembra un astronauta perché indossa sempre un casco, e poi sappiamo che ha un astronave e che ha incontrato gli alieni, anche se ci sono degli episodi in cui lo vediamo impegnato in faccende del tutto ordinarie, come lavorare in un bar, fare il pubblicitario, aprire un’azienda di frigoriferi, ereditare una casa e via dicendo…
Ok, adesso vorrei cercare un po’ di capire in che ambiente nascevano questi fumetti e da cosa sono stati influenzati, nel senso che mi sembrano molto in sintonia con altre cose che uscivano all’epoca in Inghilterra, per esempio su riviste come Warrior e 2000 AD, ma ci sono anche dei riferimenti letterari – inevitabilmente vengono in mente opere come 1984 di Orwell e Brave New World di Huxley – e persino televisivi, perché a me alcune tematiche, alcune atmosfere e anche un certo modo di raccontare che va avanti per scarti, per indizi, spesso per elementi del tutto assurdi mi ha ricordato parecchio la serie The Prisoner. Ti chiederei a questo punto se queste sono state per te delle influenze oppure se ne hai avute altre in particolare.
CR: Per quanto riguarda The Prisoner c’è una coincidenza significativa da citare, cioè che fu girato in un paesino a 9 miglia dalla casa in cui sono cresciuto da bambino. Ma in realtà l’ho visto soltanto dopo aver concluso i fumetti che si trovano in Un mondo nuovo, perché i canali televisivi che prendevamo a casa non lo trasmettevano. Per quanto riguarda il resto, ci sono delle similitudini con 1984 o Brave New World ma non credo che siano state delle vere influenze, perché io non ho mai trattato certi temi, nel senso che la trama dei miei fumetti è un pretesto per creare una certa atmosfera. Ed è l’atmosfera che mi interessa veramente, più della storia in sé.
GDF: E infatti l’atmosfera è molto importante in questi fumetti, anche e soprattutto nelle storie brevi. Ce ne sono alcune di una pagina – penso per esempio a Una nuova sera o a Giorni nuovi e migliori – in cui domina un mood malinconico e nostalgico. Sono dei “pezzi”, più che delle storie, che a livello testuale assomigliano a una canzone o a una poesia e in cui sembrano avere una certa rilevanza dei ricordi di infanzia, dei sogni, delle esperienze personali in genere. Quanto è stato importante il tuo vissuto per la costruzione del tuo mondo?
CR: Beh, alcuni ricordi personali hanno avuto sicuramente il loro peso durante la creazione di queste storie, ma sinceramente non sono interessato ai ricordi in quanto tali ma solamente all’atmosfera che essi possono evocare, proprio come possono fare altri elementi come gli alieni, lo spazio, il futuro, le guerre. Quindi anche i ricordi sono solamente uno strumento per ricreare l’atmosfera a cui sono interessato. A volte il mio scopo è quello di ricreare un’atmosfera che io stesso ho sperimentato, quindi utilizzo dei ricordi di atmosfere addirittura, e se è vero che spesso non sono riuscito a ricreare esattamente le atmosfere che avevo in mente, devo riconoscere che con questo tentativo ho creato qualcosa di nuovo, forse anche più interessante. E l’utilizzo del bianco e nero è stato fondamentale per rendere al meglio queste atmosfere.
GDF: A proposito del bianco e nero, citerei ancora l’introduzione di Ed Park, che scrive: “Dire che questi fumetti sono in bianco e nero suona riduttivo, sono più come un bianco e nero e ancora nero”. Infatti il libro è pieno di neri, persino i contorni delle vignette sono delle linee ondulate molto spesse, calcate, pesanti. Inoltre ci sono tantissime silhouette. So che hai studiato pittura all’Accademia di Belle Arti e quindi avrai avuto dei riferimenti anche classici, se non delle esperienze pratiche con vari stili e tecniche, per esempio penso alla xilografia, a cui i tuoi disegni sono vicini. Ti chiederei dunque di raccontarci come ti sei formato artisticamente e quanto a tuo parere la tua formazione abbia contribuito a plasmare il tuo stile.
CR: Anche lo stile si è sviluppato in maniera non del tutto conscia, io scrivevo queste storie e a un certo punto pensai che sarebbe stato interessante utilizzare un metodo che restituisse l’impressione di guardare un vecchio film in bianco e nero, dove le immagini sono indistinte, poco chiare, consumate, perché avrebbe aiutato a dare alla storia un’impressione di distanza. Per lo stesso motivo ho spesso utilizzato le didascalie al posto dei dialoghi, sempre per creare una certa distanza da quanto veniva raccontato. E c’era bisogno di creare questa sensazione di distacco per raccontare al meglio le storie che avevo in testa.
GDF: Un altro elemento fondamentale è il paesaggio, che può essere considerato il protagonista di alcune di queste storie e che contribuisce a creare questo mood malinconico e nostalgico. Si tratta di un paesaggio per lo più contemplativo, del tutto diverso da quello che potremmo aspettarci da fumetti o film distopici. L’uso che fai del paesaggio tra l’altro non è univoco, perché è vero che si vedono soprattutto campi, colline, fiumi, nuvole che si muovono in cielo – c’è molta insistenza su questo, ci sono intere pagine di paesaggi in questo libro – al contrario nella prima parte del graphic novel Mauretania ci sono degli scenari urbani stranianti e a volte angoscianti. Quanto è importante il paesaggio nelle tue storie e che importanza hanno avuto i panorami dei posti dove sei cresciuto e hai studiato da giovane?
CR: Il ruolo del paesaggio nelle mie storie è quello di generare certe atmosfere. Il paesaggio è estremamente importante perché io sono convinto che luoghi differenti generino atmosfere differenti. Inoltre in alcune delle mie storie quasi non si vedono personaggi: i loro pensieri vengono mostrati attraverso delle didascalie e gli elementi del paesaggio diventano importantissimi per creare le atmosfere, anche più dei personaggi stessi.
GDF: La seconda metà del volume è occupata dal graphic novel Mauretania, che rappresenta il climax emotivo di tutto il libro, perché in effetti storia dopo storia il lettore comincia a sentire qualcosa per i personaggi, una sorta di affezione. Per quanto noi adesso abbiamo parlato di paesaggio o di altri elementi oggettivi, per quanto possiamo leggere delle analisi dei tuoi fumetti in cui i riferimenti che si utilizzano sono per lo più non narrativi – si citano per esempio De Chirico, Hopper, Tarkovskij – nel tuo lavoro c’è comunque un forte senso della narrazione e Mauretania è un po’ la conferma di questo elemento. La storia racconta una sorta di contrapposizione tra i protagonisti del libro, Jimmy e Susan, e questa organizzazione che si chiama Rational Control, Polizia Mentale nella traduzione italiana. Al di là della trama, si tratta di una storia che tratta temi importanti come la dicotomia tra intuizione e razionalità e quella tra libertà e controllo. Quello che mi viene da chiederti è l’insistenza sul tema delle corporation, che è centrale in Mauretania e in realtà in tutto il libro, che è pieno di uomini che fanno lavori inutili, che lavorano per lavorare, non per se stessi ma nemmeno per i datori di lavoro a quanto sembrerebbe. Mi chiedevo perché hai scelto di trattare questo tema, se ti è venuto dalle esperienze lavorative personali, da quelle dei tuoi amici o se vedevi qualcosa che si sviluppava in quegli anni nella società intorno a te.
CR: Beh, la verità è che la storia Mauretania fu commissionata da un editore. La Penguin mi disse che volevano 120 pagine simili a quelle dei racconti brevi e così dovetti introdurre dei nuovi elementi per creare una storia sensata di quel tipo. E dato che ero interessato a questi temi ho deciso di utilizzarli. Nel complesso penso di essere riuscito a unirli abbastanza bene con gli elementi delle storie che avevo scritto in passato. Ma se non mi fosse stato commissionato il graphic novel, probabilmente non avrei inserito questi temi nelle mie storie.
GDF: Mmm, ok… (risate). Beh, ti chiederei a questo punto se ti è piaciuta la scelta di Seth di mettere Mauretania alla fine del volume e se in generale sei soddisfatto della selezione delle storie, dato che ce ne sono tante altre che sono rimaste fuori.
CR: Sì, questa è un’antologia e quindi non ci sono tutte le mie storie ma un gruppo di fumetti selezionati da Seth, che ha anche curato il design del volume. Penso che sia un’ottima introduzione al mio lavoro e che Seth abbia fatto una selezione coerente, prendendo delle storie che si sostengono a vicenda. Ma ci sono anche altre storie simili o comunque che sono connesse a quelle pubblicate, e che potrebbero benissimo stare nel libro. Ma questa è la selezione di Seth, lui ha scelto i fumetti che riteneva migliori e io sono molto contento del risultato finale, anche se bisogna dire che c’è molto altro materiale.
GDF: Sicuramente in questo modo il libro funziona davvero bene… Dunque, ti faccio un’ultima domanda e chiudiamo. All’inizio il “mondo nuovo” sembra essere quello dove si svolgono le vicende narrate ma poi, una volta conclusa la lettura, si cambia idea e si capisce che in realtà la novità appartiene al futuro, a quello che non vediamo, cioè al mondo che i personaggi del libro hanno contribuito a creare con le loro azioni, un mondo probabilmente migliore di quello in cui si muovono Reg, Monitor, Jimmy, Susan e via dicendo. C’è un progresso nel corso del tempo – i personaggi riescono a cambiare la società in cui vivono in effetti – e quindi c’è una ventata di ottimismo in storie che hanno comunque dei connotati distopici e che tradizionalmente vengono viste come pessimistiche, se non post-apocalittiche. Ma anche in questo senso nelle tue storie non esageri mai, anzi ce ne sono alcune, soprattutto quelle di ambientazione più bucolica, in cui c’è un senso di pace e di serenità, nonostante le guerre, gli alieni ecc. Tu pensi che ci sia un messaggio di ottimismo nel tuo lavoro e in genere consideri le tue storie più ottimistiche o pessimistiche?
CR: Le considero sicuramente ottimistiche. Sarebbe molto facile scrivere una distopia negativa e disperata ma è un genere che proprio non mi interessa. Inoltre mi piace sviluppare dei finali che si discostino dalla direzione in cui sembra andare la storia nel corso del racconto, così che possano risultare inaspettati, per quanto ovviamente debbano sempre avere un legame con la storia che ho raccontato. In realtà non penso molto in chiave di ottimismo o pessimismo, penso più a cosa mi interessa veramente raccontare. E probabilmente una storia pessimistica non mi darebbe grossa soddisfazione. Ma forse nemmeno una storia solamente piena di gioia…
“Masquerade” di Tana Oshima
Quanto conta il testo in un fumetto? Ovviamente tanto, anche se di solito non è la prima cosa su cui ci si sofferma. Se quando teniamo tra le mani un romanzo ci viene subito da leggere l’incipit, il fumetto di solito viene sfogliato, guardato, visto e non letto. La prima impulsiva sensazione è dunque legata alla sfera visiva, cioè al disegno, alla costruzione della pagina, ai colori. Ed è un’abitudine che forse bisognerebbe combattere. Per esempio, quando le ho viste on line, le immagini di Masquerade di Tana Oshima mi hanno incuriosito ma non immediatamente conquistato, al punto che, una volta che mi è arrivato l’albo tramite la solita benemerita distribuzione della Domino Books, l’ho lasciato lì a maturare per un bel po’ di tempo, settimane direi, anzi mesi. Fino a quando l’altro giorno ho iniziato a leggerlo… Ed è stato subito amore.
Come Five Perennial Virtues #6 di David Tea di cui parlavo qualche giorno fa, Masquerade è un fumetto inclassificabile e starebbe benissimo in un’ipotetica e splendida antologia di fumetti inclassificabili. E’ composto da una storia principale di 11 pagine e un epilogo di 4 che insiste su temi come l’amore, la vita di coppia, l’istinto, i confini e il sentirsi fuori posto ma sempre in chiave astratta, senza nemmeno un legame troppo stretto con quanto visto in precedenza. Inizia come se fosse un sogno, con la frase “Everything I wanted was there, in a beautiful lie”, e continua con la protagonista che attraversa continenti, fiumi, montagne, incontra delle persone, fino a quando si legge “There where nights of love and mornings of friendship” e si capisce che non è un sogno puro e semplice ma qualcos’altro. Cosa, non lo sapremo mai fino in fondo. E ci sarebbe un’altra domanda da fare, oltre a quella d’apertura, cioè cosa ci cattura in modo particolare in un testo. Perché certe volte si trovano delle opere che ci parlano direttamente, come se usassero il nostro stesso linguaggio o fossero memorie che ci appartengono. O come se le parole ce ne ricordassero altre, che abbiamo apprezzato e amato. E in questo caso il fenomeno è ancora più strano, perché si tratta di un testo in inglese scritto da un’autrice giapponese di madre spagnola (e letto da un italiano, tra l’altro). Ma il linguaggio poetico della Oshima supera tutte queste barriere (i confini, appunto) e incanta, facendoci apprezzare ancor di più il disegno, tant’è che non siamo più soltanto incuriositi ma definitivamente conquistati, come succede con i migliori fumetti. Il pranzo è servito.
Graham, Bethea, Tea e… Comic Aht?
Sono già disponibili da qualche giorno nel webshop tre nuovi fumetti a firma Alex Graham, David Tea ed E.A. Bethea, autori che qualcuno di voi ha già potuto conoscere tramite il sito e la distribuzione di Just Indie Comics. In più è sbarcato anche dalle nostre parti il secondo numero di But Is It… Comic Aht?, la rivista edita da Domino Books e curata da Austin English e August Lipp. Dato che si tratta senz’altro di materiale poco convenzionale, ho deciso di presentarli e contestualizzarli brevemente, cominciando da…
This Never Happened #1 & 2 – Trattasi del nuovo fumetto di Alex Graham, che gli abbonati 2019 al Just Indie Comics Buyers Club ricorderanno per lo splendido (almeno secondo i miei parametri) volume Angloid. Da allora la Graham ci ha regalato un altro piccolo gioiello come lo spillato autoconclusivo Going to Heaven e si è appunto pubblicata per conto proprio le prime due parti di This Never Happened, in cui inizia a serializzare una nuova storia lunga. Per me la cartoonist (e pittrice) di base a Seattle è una delle poche che ancora oggi sventola la bandiera del classico fumetto underground, riportando alla mente quarant’anni di storia del genere, dalle madrine di Wimmen’s Comix al disagio urbano di Mark Beyer, il tutto mixato con un po’ di sano autobiografismo alla Gabrielle Bell. Giusto per farvi capire, il #1 inizia con la protagonista che cammina per strada mentre piove, scopre di avere di nuovo i pidocchi, perde un dente, attacca un barbone che le chiede i soldi e, mentre se la prende come nella migliore delle tradizioni con i genitori (“It’s my parents’ fault I turned out this way. They didn’t read literature”), viene scaricata via messaggio dal fidanzato.
Scopriremo poi che il suo nome è Ingus, che per campare fa la barista mentre nel tempo libero si diletta come cabarettista, e la seguiremo tra casa sua e le vie di una città piena di sporcizia e povertà mentre incontra amici, affronta le inevitabili conseguenze della separazione, guarda la tv, sogna, impreca e fa smorfie di ogni tipo. Il tutto è, almeno in parte, autobiografico? Beh forse no, perché this never happened.
Forlorn Toreador – E a proposito di autrici donne e fuori dagli schemi, ecco che ritorna E.A. Bethea, un’artista di New York che se seguite il sito regolarmente non ha certo bisogno di presentazioni, dato che gli dedicai un piuttosto approfondito post sul vecchio blog (lo trovate ancora qui) e scelsi un paio di anni fa il suo Book of Daze per il Just Indie Comics Buyers Club. La Bethea non è certo facile da approcciare, soprattutto per noi “stranieri”, dato che la sua potrebbe essere definita poesia disegnata più che fumetto, ma il suo approccio unico, lirico, a volte ironico vale tutti i possibili sforzi.
Forlorn Toreador è la sua ultima autoproduzione ed è uno spillato di 48 pagine in grande formato che mostra tutti i lati della sua arte, dai classici testi illustrati alle splash page fino a intere pagine piene di testo, sempre scritto a mano nel suo inconfondibile stampatello. Se vi piacciono la poesia beat, il jazz, i vecchi film, gli speakeasy, i bassifondi oppure semplicemente camminare ubriachi per strada, questo è il “fumetto” che fa per voi.
Five Perennial Virtues #6 (Bronze Table of the Blade Masters) – Continuano le ristampe del materiale d’annata di David Tea, a cui si aggiungono nuovi contenuti “speciali”. A dire il vero qui dell’albo originale c’è ben poco, dato che solo le prime 11 delle 80 pagine di questo spillatone fotocopiato sono identiche a quelle del 2007, mentre il resto è inedito o modificato. A Tea avevo brevemente accennato nel mio report dal CAKE di Chicago, portando poi in Italia qualche copia della ristampa del #2 della sua serie Five Perennial Virtues. Chi ha già letto quell’albo sa cosa aspettarsi dunque, o forse no, dato che in questo caso la dimensione narrativa è ancora più astratta che in precedenza. Nelle prime pagine vediamo così il nostro protagonista David Tea (un giardiniere nel fumetto ma non nella vita reale, ci tiene a precisare) cercare un tavolo nel suo caffè preferito, trovarne uno che però è sporco, pulirselo da solo e quindi incontrare i suoi amici Cactus Max (un cactus appunto) e Crazy Eight, quest’ultimo definito “a dreamer & a problem solver”, dalle fattezze di una piovra con un cilindro in testa.
Da qui partono una serie di discorsi sui rifiuti, i legionari romani, i peplum e l’università del Minnesota, intervallati da illustrazioni soltanto abbozzate prima in tema e poi a caso, fino a quando il disegno puro e semplice prende il sopravvento e l’albo finisce. Ma in realtà soltanto chi si è seduto al “Bronze Table of the Blade Masters” può davvero capire quello che sto dicendo. I fumetti di David Tea sono tra i più inclassificabili che io abbia mai letto, e per me questo è un grandissimo complimento.
But Is It… Comic Aht? #2 – E a proposito di Tea, una sua intervista viene pubblicata in questo secondo numero del magazine edito da Domino Books per la cura di Austin English e August Lipp. Senz’altro una buona occasione per sapere qualcosa in più su quest’autore talmente sconosciuto e uscito dai radar da far pensare che si trattasse di uno pseudonimo. Ma non è questa l’unica gemma di una rivista ricchissima di contenuti, stampata su carta economica, con una grafica semplice e che punta tutto sul testo e sull’approfondimento. Tra una cover di Lilli Carré e una quarta di Chris Chilla troviamo altre interviste (Anna Haifisch, Julia Gfrorer, Andy Douglas Day – occhio al suo Boston Corbett, di prossima uscita per Sonatina), un bell’articolo di Bob Levin (autore di The Pirates and the Mouse e Outlaws, Rebels, Freethinkers & Pirates) su Johnny Craig, un approfondimento a cura di Keren Katz su Ilan Manouach, due interessantissime pagine di Tim Goodyear sui suoi mini comics preferiti del recente passato e un bel po’ di fumetti a firma E.A. Bethea, Victor Cayro, Marlene Frontera e soprattutto David King, che dedica quattro pagine di “docu-comic” al periodo Trencher di Keith Giffen. Per me imperdibile, poi fate un po’ voi.