Tutti i numeri di “Sunday” ora in pre-order
Solo una breve nota per segnalarvi che da oggi sono disponibili in pre-order nel Big Cartel di Just Indie Comics tutti i numeri di Sunday di Olivier Schrauwen. L’ultima fatica dell’autore di Parallel Lives si è conclusa ad agosto con la pubblicazione dell’ultimo e più corposo albo, sempre per i berlinesi di Colorama. Il mese scorso sono anche tornati disponibili tutti i numeri precedenti, che erano esauriti da tempo.
I fedeli abbonati del Just Indie Comics Buyers Club ricorderanno che proprio Sunday #1 aveva aperto l’edizione del 2020. Se il #2 è stato disponibile nel negozio online per un breve periodo, i due numeri successivi rappresentano invece una novità da queste parti. Certo, potete anche comprarli direttamente da Colorama, che sta a Berlino e non ha spese di spedizioni esagerate, ma se volete risparmiare qualche euro o addirittura evitarvi le spese di spedizione (e per questo vi rimando a Big Cartel, dove troverete tutte le spiegazioni del caso), potete cliccare qui e non pensarci più.
Per chi non è informato, concludo spiegandovi la numerazione della serie. Se il #1 e il #2 non presentano bizzarrie, il terzo albo è invece un unico spillato che raccoglie in un solo colpo il #3 e il #4, mentre il quarto e conclusivo fumetto è numerato 5-6-7-X ed è un volume brossurato di 240 pagine. Non si tratta di raccolte, infatti Sunday è uscito direttamente con queste modalità.
E’ morto Joe Matt
E’ arrivata stamattina la triste notizia della morte di Joe Matt. La causa del decesso sembra essere un infarto, che ha colpito all’improvviso il sessantenne fumettista a Los Angeles, dove si era stabilito da qualche anno. L’annuncio è stato dato su Facebook da Matt Wagner, che dell’autore di Peepshow è stato collaboratore e amico. Come tanti di voi, non conoscevo Matt di persona ma adesso mi sembra che sia morto un amico. Come scrivevo tempo fa in questo speciale a lui dedicato, bastava leggere un fumetto di Joe Matt per avere l’impressione di conoscerlo, perché nelle sue storie si mostrava senza vergogna, raccontando gli aspetti più intimi della sua vita privata. Le sue sono storie che non ci si stanca mai di rileggere per quanto sono autentiche, brillanti, divertenti. E per quanto sono fatte bene. Sì, perché Joe Matt erano un assoluto talento del fumetto, uno che i fumetti ce li aveva nel sangue. Per lui sarebbe stato impossibile fare un brutto fumetto. Ma è stato possibile smettere di disegnarli, principalmente a causa della sua proverbiale pigrizia. Eppure ogni tanto si riaffacciava sui social dicendo che stava lavorando al nuovo numero di Peepshow e io sognavo quel giorno in cui sul Previews della Diamond sarebbe arrivato l’annuncio di un nuovo fumetto di Joe Matt. Probabilmente quell’annuncio non arriverà più ma ora la cosa ha davvero poca importanza. I fumetti di Matt rimarranno quelli che già conosciamo e quelli ci faremo bastare, come con quelle band che hanno fatto due o tre album perfetti e poi si sono sciolte o non hanno più inciso niente per motivi di forza maggiore. Perché qualcuno è morto, per esempio. Quindi sono tristissimo per la morte di Joe Matt ma anche felice perché i fumetti che ha fatto rimangono qui, immutabili e eterni. E pronti per l’ennesima rilettura, che mi farà ridere ancora una volta come uno scemo davanti alle stesse battute ma anche un po’ disperare per il buon vecchio Joe che non c’è più.
Marc Bell e Nina Van Denbempt a Bruxelles
E’ aperta fino al 22 ottobre alla galleria Sterput di Bruxelles una bella mostra dedicata al canadese Marc Bell e alla belga Nina Van Denbempt. L’accoppiata è del tutto inedita e anche insolita, trattandosi di due artisti distanti sia dal punto di vista geografico che anagrafico. Il primo è un affermato fumettista classe 1971, ben noto nel circuito alternativo grazie ai volumi usciti per Drawn & Quarterly in Canada e Cornelius in Francia. Il suo stile giocoso e frammentario procede per associazioni d’idee e giochi di parole ed è caratterizzato da cut-up verbali e grafici che sembrano generati da uno Jacovitti che ha appena letto William Burroughs. La seconda è un’autrice classe 1989 di cui parlavo in questo post. Dopo l’esperienza fumettistica del collettivo Tieten Met Haar, ha esplorato l’arte, la performance e la scultura. Pur non dimenticando a sua volta la dimensione dell’ironia e del paradosso, Van Denbempt utilizza il linguaggio dell’espressionismo per esprimere insicurezza e autocommiserazione, come in un improbabile incrocio tra Peter Saul e Tara Booth.
La mostra mette insieme originali preesistenti e qualche opera realizzata per l’occasione, in alcuni casi nei giorni immediatamente antecedenti l’inaugurazione di giovedì 7 settembre. Oltre alle tavole e ai dipinti, spiccano due sculture di Van Denbempt, raffiguranti un’imponente figura femminile e un capo di vestiario. Personalmente ho avuto la fortuna di visitare la mostra sabato 9, quando ho potuto assistere a una chiacchierata tra Bell e Van Denbempt, moderati dal critico Benoit Crucifix. I due artisti hanno candidamente ammesso di non conoscere l’opera dell’altro fino al momento di essere invitati a esporre insieme. Inoltre, si sono soffermati sulle fasi e le dinamiche del loro processo creativo, con Bell che ha spiegato ai purtroppo pochi presenti il metodo da lui definito “Swedish Death Cleaning”, ossia una tecnica che si propone di dare un senso a tutti i lavori incompiuti che tende ad accumulare. Particolarmente interessante la parte in cui i due hanno parlato del loro rapporto con il mondo delle gallerie d’arte, una dimensione che per Bell rappresenta il passato (ora ha ripreso a dedicarsi soprattutto a fumetto e illustrazione), mentre per Van Denbempt è al momento la via principale per la sua affermazione di artista.
In occasione dell’evento Sterput ha prodotto due albi serigrafati di grandi dimensioni. Cruel Company di Nina Van Denbempt, che per l’occasione si firma Nina Ferrari, è un breve fumetto autobiografico in cui l’autrice si raffigura grossa e decadente mentre aspetta insieme alla figlia neonata la visita del compagno. Indecisa se considerare l’incontro un vero appuntamento, la protagonista/autrice ci racconta con paradossale umorismo la sua discesa nella più totale paranoia. Narrazione autoconclusiva, Cruel Company riflette le tematiche e lo stile dell’autrice ma senza collegarsi direttamente alle opere in mostra. Discorso diverso va fatto per Dear Foghorn of Legs di Marc Bell, albo identico nel formato ma più simile a un catalogo nei contenuti. L’artista canadese racconta per immagini la sua “ongoing war with paper”, in quello che è a tutti gli effetti un nuovo numero di Boutique Mag, l’antologia in cui raccoglie i suoi più recenti lavori.
Vi segnalo infine che, se vi trovaste a passare per Bruxelles, Sterput è un luogo da visitare al di là della mostra attualmente in corso. Si tratta infatti di un’elegante e spaziosa galleria con un programma sempre ricco, oltreché di un negozio tutto dedicato alla piccola editoria, ricco di fumetti, fanzine e albi illustrati per lo più europei, ovviamente con un occhio di riguardo all’area franco-belga.
“You Will Own Nothing…” di Simon Hanselmann
E’ uscito di recente il primo numero di quella che si annuncia come una nuova lunghissima serie per Simon Hanselmann. L’autore di Megahex ha da sempre flirtato con l’idea della serialità, collegando le vicende dei suoi personaggi nelle maniere più varie e spesso stravaganti, ed è quindi arrivato a sviluppare una vera e propria narrazione a puntate prima con Bad Gateway (il cui seguito, Megg’s Coven, è per ora rimandato) e poi con Crisis Zone, pubblicato su Instagram e poi in un volume uscito in Italia per Coconino. You Will Own Nothing and You Will Be Happy è però qualcosa di diverso, dato che nelle note al primo numero Hanselmann presenta la sua nuova creatura come “un lungo e sconclusionato racconto di almeno 20 se non 30 numeri”. L’argomento non è certo nuovo, dato che il nome di produzione della serie era Megg, Mogg & Zombies. L’incipit vede Owl tornare a casa trafelato e accendere di corsa la tv, facendo vedere a Megg e Mogg le ultime notizie. Gli scienziati hanno annunciato la diffusione di un nuovo virus, quello degli zombie appunto, tanto che sullo schermo appaiono già le prime vittime dal corpo tumefatto, il volto sfigurato e il vomito che esce dalla bocca. L’unica soluzione è ancora una volta barricarsi in casa, facendo leva sulle scorte di cibo messe da parte da Owl, che a suo parere permetteranno ai protagonisti di sopravvivere per tre mesi (“La mia paranoia e il mio odio per i poveri stanno decisamente dando i loro frutti in questo momento”, afferma in un’inscindibile commistione di terrore e compiacimento). Fino a che qualcosa non va storto…
Al di là della trama, ciò che risulta interessante è l’idea di Hanselmann di coinvolgere i suoi personaggi in una storia dal respiro ben diverso rispetto a quanto visto finora, come se fosse un mix tra le solite vicende indotte da droghe, ubriachezza molesta, paranoia e vuoto esistenziale di Megg, Mogg e Owl e l’action alla The Walking Dead. Non a caso l’autore aveva pensato di proporre il fumetto alla Image, decidendo poi di desistere spaventato dall’idea di dover rispondere all’editore a proposito dei contenuti della serie. La scelta dell’autoproduzione è così venuta naturale sia per evitare ogni possibilità di censura che per avere un ritorno economico degno di questo nome. Tutti questi temi sono approfonditi nelle quattro pagine finali dell’albo, che ospitano le note di Hanselmann e una rubrica della posta che servirà nei prossimi numeri per commentare in diretta le vicende dei protagonisti. Sicuramente un elemento in più per seguire You Will Own Nothing and You Will Be Happy, che si rifà in questo senso – come dichiara lo stesso Hanselmann – al modello dell’Hate di Peter Bagge e quindi alle serie anni ’90 con una storia principale, qualche breve fumetto di altri artisti (già in cartellone per i prossimi numeri) e una lunga e spesso delirante pagina delle lettere. E sulla quarta di copertina c’è anche un fumetto intitolato What Would You Do at the End of the World? che omaggia l’Eightball di Daniel Clowes.
You Will Own Nothing and You Will Be Happy #1 è un albo formato comic book di 48 pagine in bianco e nero. E’ stato pubblicato a maggio 2023 in una prima edizione di 2000 copie con ologramma in copertina, al prezzo di 12 dollari. La prima tiratura è andata esaurita ma Hanselmann ha già annunciato una ristampa, senza ologramma e con altri redazionali, stavolta incentrati su fumetti di altri autori e non sulla genesi della serie. I numeri successivi dovrebbero uscire con cadenza quadrimestrale.
“Blah Blah Blah” #3 di Juliette Collet
Il fumetto del Buyers Club di aprile è stato Blah Blah Blah #3 della statunitense Juliette Collet, che qualcuno di voi avrà forse visto e magari addirittura comprato ai banchetti di Just Indie Comics nei più recenti festival. Ora un limitatissimo numero di copie arriva anche nel negozio on line. E sottolineo limitatissimo, quindi se siete interessatevi non tergiversate e agite subito, che del domani non c’è certezza.
Nella prima pagina, in mezzo a collage della sua testa gigante appoggiata su un corpo minuto, l’autrice si presenta così: “Stavolta meno pois e meno fumetti autobiografici, anche perché di recente non mi è successo niente di particolarmente interessante. Se qualcuno vuole farmi un favore e innamorarsi di me e poi spezzarmi il cuore o qualcosa del genere, beh, lo apprezzerei molto. In caso contrario mi ritirerò come al solito nel mio mondo di fantasia supercontrollato e iperestetizzato. Ah, a proposito di novità, ho finalmente degli amici a New York”.
Si prosegue con una storia in cui Juliette va a Santa Barbara a trovare la sua amica del cuore, due pagine di disegni in libertà realizzati insieme a Jasper Krents, un coloratissimo fumetto che mescola collage e illustrazioni intitolato Falena, Farfalla e Procione formano una band insieme, 5 pagine in cui tre personaggi ballano, un altro lavoro mixed media che è pure un ibrido di fumetto e musical al grido di Punkette and Sissyboy Have Superpowers, una storiella in cui ogni vignetta è un quadro con una cornice diversa, le 11 pagine di Double Blindfold che sviluppano “a real story from my very real sex life” interamente con matite pastello, e quindi il gran finale di Mademoiselle Puce et Poulette déjeunent ensemble con foto dei personaggi (la stessa Juliette e una sua amica) sistemate su uno sfondo disegnato mentre il testo riporta una conversazione tra le due. In più all’interno c’è un poster double face che potete attaccarvi in camera.
Blah Blah Blah #3 è davvero un bel fumetto e Juliette oltre ad essere giovanissima è bravissima. Il suo approccio libero e frammentario, la continua giustapposizione tra fantastico e quotidiano e la tendenza a rivolgersi al lettore mi ricordano la Julie Doucet degli esordi. E per me non è un complimento da poco.
Disponibile “Swag” #5 di Cameron Arthur
Stavo appena guardando il mio stesso sito, non per compiacermi ma per controllare una cosa, e scorrendo ho notato che il primo articolo sull’homepage era su Mike Diana e il secondo su Joe Matt, così mi sono detto: ma che anno è? O meglio, sto diventando uno di quelli che si stava meglio quando si stava peggio e i bei vecchi tempi andati ecc. ecc.? Cerchiamo di recuperare e di svecchiare un attimo la faccenda, magari senza ricorrere a un video in cui ballo su Tik Tok ma parlando semplicemente di qualcosa di contemporaneo. E così torno su Cameron Arthur. Sì, lo so che già vi ho parlato più volte dell’autore di Swag, e ancor meglio lo sa chi mi ha visto a qualche festival l’anno scorso. Salvo che in realtà pochi mi hanno dato retta e hanno comprato Swag #4, uno dei fumetti del Buyers Club 2022 e anche uno dei miei 10 fumetti preferiti tra quelli usciti nel 2022. Non sapete nemmeno cos’è? Leggete qui se volete capire perché mi è piaciuto tanto, sempre che sia riuscito a spiegarmi. Nel frattempo è uscito anche Swag #5, sempre autoprodotto e ora disponibile nel Big Cartel di Just Indie Comics.
Swag #5 contiene una storia unica divisa in più capitoli e intitolata Ballad of the Black Sun, doveva uscire nel 2022 e infatti riporta la data dell’anno scorso ma poi le cose sono andate un po’ storte, nel senso che ci si è messa di mezzo la tipografia sbagliando la stampa della copertina. Cameron si è ritrovato con un pacco di copie in cui metà della copertina e metà della quarta si univano sulla facciata dell’albo, lasciando il retro completamente bianco. Quando gli ho scritto per ordinargli un po’ di copie mi ha così offerto due alternative: aspettare che gli arrivasse la versione corretta oppure fare un disegno diverso su ogni copia di Swag #5 che mi stava mandando. Ovviamente non ho resistito e ho optato per la seconda opzione, ribattezzando questa particolare versione la Weird Edition di Swag #5. Avrete così una copertina sicuramente cacofonica ma anche un disegno originale dell’autore su ogni copia.
Per quanto riguarda il contenuto dell’albo, Cameron Arthur si conferma un autore che ha ormai trovato la sua cifra stilistica, allontanandosi dai riferimenti degli esordi e dalla narrativa di genere per raggiungere una dimensione propria, in cui al centro c’è l’individuo e la sua difficoltà di interagire con gli altri e di integrarsi nella società. Se Swag #4 raccontava così le ambiguità e le tensioni di una famiglia texana contemporanea, il nuovo numero si concentra su un solo personaggio, un cavaliere solitario che nel periodo immediatamente successivo alla guerra di secessione si mette in viaggio per l’Ovest in cerca di fortuna ma anche di se stesso. Le cose non andranno proprio per il verso giusto ma al di là dell’avventura pura e semplice ciò che rende questo fumetto unico e ancora una volta potente sono i lunghi flashback che raccontano il passato del protagonista, abilmente collocati da Arthur in un momento topico della vicenda. La suddivisione in capitoli arricchisce il quadro complessivo, rendendo Ballad of the Black Sun una storia articolata e dalle molteplici sfaccettature. Il disegno mostra ancora linee spesse e grezze, che però cominciano ad allontanarsi dall’ovvio riferimento di Paper Rad per utilizzare campi più lunghi e inquadrature originali. Swag #5 è assolutamente consigliato e già uno dei miei fumetti preferiti di questo 2023: fossi in voi non me lo perderei.
“Boiled Angel” di Mike Diana in pre-order
I più attenti tra voi ricorderanno che un paio di anni fa apparve brevemente sul Big Cartel di Just Indie Comics la raccolta dei primi 4 numeri del Boiled Angel di Mike Diana, confezionata in un elegante cartonato celeste edito dai macedoni di Crna Hronika. Ebbene, da qualche mese è finalmente stato pubblicato il secondo e ultimo volume, ancora cartonato e persino più massiccio del precedente (sono più di 400 pagine), ed è così giunto il momento di renderlo disponibile al pubblico italiano. Ma se vi interessa affrettatevi: i volumi sono infatti oggetto di un pre-order limitatissimo, che si chiuderà il 19 marzo o forse anche prima (dipende dalla quantità di ordini che arriveranno), e al termine del quale i due libroni non saranno più disponibili, forse per un bel po’ di tempo o forse per sempre (chissà). Ma cosa ci trovate dentro? Semplicemente alcuni dei fumetti più offensivi, deviati e perversi di sempre, in cui non manca una buona dose di ironia ma che comunque all’epoca – tra il finire degli anni ’80 e l’inizio dei ’90 – fecero scalpore per oscenità e audacia. E forse già saprete che proprio per Boiled Angel Diana venne processato e infine condannato, dando vita a una lunga causa legale che fu al centro delle cronache fumettistiche dell’epoca (il Comics Journal, allora ovviamente nella sua versione cartacea, la seguì approfonditamente). Ma all’interno di queste raccolte non ci sono soltanto i fumetti di Diana, dato che Boiled Angel era una vera e propria fanzine in cui l’autore raccoglieva racconti, illustrazioni e vignette che collaboratori occasionali, sparsi ai diversi angoli degli Stati Uniti, gli mandavano con il preciso scopo di esagerare e scioccare più degli altri, tra violenze ed efferatezze varie, mutilazioni corporee, insulti contro la religione, dettagliate descrizioni dei modus operandi dei serial killer, ecc. ecc. Niente di politically correct insomma, anzi, siamo dalle parti dell’underground puro e marcio, in cui il fumetto va a braccetto con l’Apocalypse Culture e con quella passione per l’estremo che dominò la controcultura angloamericana di quel periodo. Se siete interessati fatevi un giro sul Big Cartel di Just Indie Comics e approfondite la vicenda, dato che lì ci sono anche una serie di istruzioni e informazioni relative al pre-order. Se invece state leggendo queste righe quando è troppo tardi, beh, peggio (o forse meglio) per voi.
Vi presento Joe Matt/3
Si conclude con questa terza puntata lo speciale Joe Matt. Non ne sapete niente? Bene, allora andatevi subito a leggere la PRIMA e la SECONDA parte e poi tornate qui.
E’ l’aprile del 1994 quando esce Peepshow #6 e Matt si è dimostrato fino a quel punto un cartoonist dai ritmi piuttosto serrati, con 6 comic book pubblicati in 2 anni. Raccontate con discreta minuzia le sue vicissitudini sentimentali, si rende conto che è tempo di cambiare e di passare ad altro, magari a una storia lunga che tutti possano leggere dall’inizio alla fine senza sapere assolutamente nulla di lui. Matt pensa già al graphic novel: in testa ha il volume, ancor più dei singoli albi, anticipando un approccio (anche di marketing) che sarà fatto proprio dalla stessa Drawn & Quarterly. Peepshow #7, pubblicato a marzo del 1995, è così il primo episodio di Fair Weather, una storyline – da noi tradotta da Coconino con il titolo Il bel tempo – che si svilupperà in quattro puntate, fino al #10 datato luglio 1997. Siamo sempre dalle parti del fumetto autobiografico ma stavolta l’attenzione non è sul presente ma sul “dorato” periodo della gioventù. In questa nuova storia si raccontano infatti le vicende di un weekend estivo degli anni ‘70 in quel di Lansdale, Pennsylvania, dove il giovane Joe è un ragazzino biondo già collezionista di fumetti e gadget, egoista, pigro e codardo. La prima parte si apre con tre pagine di corsa in bicicletta di Dave, amico di Joe e comprimario della storia, che i lettori più fedeli avevano già conosciuto – a dire il vero sotto tutt’altro aspetto fisico – in una pagina di Peepshow! – The Cartoon Diary of Joe Matt intitolata appunto My Best Friend… (As a Kid) “Dave”. La corsa del ragazzino tra villette a schiera, salite, discese e strade sterrate ci sintonizza subito sulle giuste frequenze tematiche ed emotive, facendoci quasi sentire l’aria di quella lontana estate nei sobborghi. E a pagina 4 ecco arrivare il giovane Joe, capelli un po’ lunghi e riga da una parte, che sale dietro alla bicicletta dell’amico. Gli ha chiesto un passaggio in bici perché spaventato da Rizzo, un bullo del quartiere, che in realtà – si scoprirà in seguito – non aveva tutti i torti a prendersela con lui, dato che si era accorto consultando la classica Comic Book Price Guide di essere stato fregato in diversi scambi di fumetti. Insomma, abbiamo subito a che fare con il solito Joe Matt: attaccato alle cose materiali, tirchio, avido, cacasotto. E anche politicamente scorretto: come in Peepshow #1 faceva un occhio nero a Trish, qui si mette insieme a Dave a prendere di mira Gail, una ragazzina mentalmente disabile che i due prima costringono a cantare e poi deridono senza pietà. E poi lo definivamo avido e attaccato alle cose materiali? Eccolo qui perseguitare un ragazzino del paese che sembra avere in casa una copia di Action Comics #1. O maltrattare la nonna perché gli ha regalato dei fumetti mezzi rovinati, che non sono “mint” come piacciono a lui.
Siamo a questo punto già al numero successivo, in cui altre situazioni ci ricordano del Joe Matt che abbiamo conosciuto da adulto. L’accidia è una delle sue caratteristiche e qui la vediamo già bell’e pronta, dato che si rifiuta in tutti i modi di accontentare la madre falciando il prato di casa e per punizione lei gli fa sparire tutti i fumetti dalla libreria. “Dove sono” urla in lacrime dopo aver trovato la cameretta vuota. E poi, in un’escalation, quando lei gli dice che li ha buttati: “Stai mentendo! Bugiarda! Bugiarda!”. E ancora “Non avevi nessun diritto”, “Mi devi diecimila dollari!”, “Mi auguro per te che siano nella tua stanza!”. L’episodio rispecchia un rapporto con i genitori non certo idilliaco, oltre che l’insolenza di Joe, sempre pronto a rispondere male, a lamentarsi, a ribellarsi. Quando all’inizio del #10 la madre vuole portarlo a messa, lui nel tentativo di ritrovare i suoi fumetti rintraccia in un cassetto la copia del libro Helter Skelter di Bugliosi e Gentry, che gli era stata sottratta perché poco adatta alla sua età (d’altronde è sul caso Manson), e fuori di testa apostrofa la madre con un sonoro “Fuck you!”. Non manca l’altra caratteristica del Matt adulto, il voyeurismo, di cui vediamo una sorta di prequel quando spia le donne di un centro benessere prendere il sole in topless. Si tratta di un posto segreto suggeritogli da Dave, ma saprà Joe tenere la cosa per sé o la userà come merce di scambio per procurarsi altri fumetti? La risposta la conoscete già.
Al di là di qualche screzio inevitabile a quell’età, il rapporto tra Joe e Dave è senz’altro la nota positiva della storia, oltreché il fulcro della stessa. “Volevo fare un fumetto che parlasse di due persone e non di una sola – racconta Matt a The Comics Journal nel ‘96 – Non so se si capisce, se è chiaro che parla di questi due amici, o sembra che sia solo su di me. Ma nella mia testa volevo concentrarmi sul rapporto di amicizia”. Con Dave il protagonista condivide la passione per i film dell’orrore presentati dal Dr. Shock, anfitrione di un popolare show televisivo andato in onda in Pennsylvania in quegli anni e che sarà ospite proprio quel fine settimana alla fiera di Lansdale. Passo dopo passo la trama converge verso quella domenica sera, che però alla fine non ci sarà mostrata, perché il finale di Peepshow #10, numero speciale lungo 32 pagine, è il classico anticlimax. Fair Weather è un autentico ritratto dell’artista da giovane, incentrato su episodi che descrivono una gioventù ma senza segnarla: qui non si racconta un’avventura alla Stand By Me ma un fine settimana qualsiasi. E quindi sarebbe sbagliato definire questa storia come un romanzo di formazione, perché alla fine il protagonista rimane esattamente come prima, anzi, potremmo dire che in queste pagine si gettano le basi della personalità disfunzionale del Joe Matt adulto.
Pur non riuscendo a far ridere come lo story-arc precedente (e francamente sarebbe stato impossibile, visti i temi in gioco), la storia ospitata su Peepshow #7-10 è una lettura divertente che dimostra ancora la capacità di Matt nel raccontare. Qui il suo cartooning è fluido come pochi, fatto di inquadrature semplici ma efficaci, di un’espressività senza eguali, di tempi narrativi e comici scanditi da un metronomo. Insomma, si finisce a girare le pagine alla velocità della luce, ed è quasi un peccato, perché divorare queste storie così in fretta non fa nemmeno apprezzare la qualità intrinseca dei disegni, più ariosi e meno compressi rispetto al passato, grazie all’utilizzo di vignette più grandi e di pagine costruite sempre in maniera diversa. A livello artistico, Fair Weather è la summa del perfezionismo di Matt, l’esaltazione del suo segno pulito e chiaro, reminiscente dei classici della strip americana. Ed è anche la massima espressione del suo maniacale perfezionismo, che lo porta a cancellare e a ritoccare ogni singolo particolare, principale causa – insieme alla pigrizia – della cadenza sempre meno regolare delle sue pubblicazioni.
“Ti senti molto più libero quando sei solo. Nessuno ti guarda. Nessuno mi guarda mentre spreco intere giornate. Nessuno mi guarda mentre sto lì a non fare niente. E soprattutto nessuno mi giudica. Ma comunque penso di dare il meglio di me in una relazione, perché stare insieme a qualcuno comporta delle responsabilità e quindi anche io mi sento più responsabile. Da solo, sono autoindulgente e masturbatorio. Ma sono felice! In un certo senso sono felice, in quel modo lì. Ma non a lungo termine… A un certo punto non ne puoi più”. Questa riflessione, pubblicata nella già citata intervista di The Comics Journal #183 del gennaio 1996, potrebbe essere considerata in qualche modo un preludio a Spent, la nuova storyline di Matt. E’ una storia frammentata, caratterizzata da un’unità tematica e stilistica più che di azione. Se con Fair Weather l’autore aveva aderito in tutto e per tutto al format emergente del graphic novel, in Spent già lo rompe presentando ai lettori non una narrazione nel senso classico del termine ma una digressione su un tema. Le vicende si svolgono su piani temporali differenti ma ugualmente utili a fotografare la condizione dell’autore/protagonista. E non è una condizione eccellente, come si potrà intuire dal titolo. Spent (letteralmente “esausto”) rimanda da una parte allo stato del protagonista dopo che si è masturbato anche venti volte al giorno, dall’altra a una più generale sensazione di “non poterne più”, che lo porta a percorrere il circolo vizioso della pigrizia e dell’infelicità. Alle sonore risate, inevitabili a ogni rilettura, è impossibile non accompagnare di tanto in tanto un sorriso amaro. Il primo capitolo esce su Peepshow #11 del giugno 1998, in cui la serie cambia formato, abbandonando quello del classico 17×26 cm per passare al più piccolo 15×23 cm. Inoltre appare per la prima volta il colore. I numeri dall’11 al 14 di Peepshow sono stampati in bianco, nero e rosso, a differenza della raccolta in volume, in cui il rosso scomparirà per lasciare spazio a un verde tenue che non colorerà solo i dettagli ma anche gli sfondi: una scelta non certo riuscita, che avrà l’effetto di penalizzare la linea pulita ed elegante di Matt, appiattendo notevolmente le tavole.
E’ il 1994 e in un negozio di libri usati, a Toronto, Matt trova una raccolta della striscia Birdseye Center, di cui gli aveva parlato Seth, e la soffia all’amico acquistandola per soli 10 dollari. Seth va su tutte le furie e ne nasce il solito battibecco tra i due, in cui Matt mette in mostra come sempre taccagneria e grande cocciutaggine, mentre Seth – dopo aver visto un tipo che parla ad alta voce al cellulare – distoglie l’attenzione dal fumetto per lanciarsi nel suo solito sproloquio contro il presente, a favore dei magici “tempi che furono” (“I fuckin’ hate this modern world we’re livin’ it” esclama in una vignetta). Dopo un flashback che riprende il giovane e impacciato Matt di Fair Weather alle prese con una bambina bionda, la scena cambia e assistiamo all’adulto protagonista che incontra il suo spacciatore di VHS porno. Ma l’atmosfera non è certo idilliaca e se Omar è un erotomane guardone compulsivo, Matt si fa prendere dai sensi di colpa e comincia a interrogarsi sulla sua dipendenza dalla pornografia. “Si tratta solo di soldi – riflette il nostro – e persone come me e te sono dei complici. Siamo noi i consumatori. Sono i nostri soldi a pagare queste ragazze. E’ proprio squallido, se ci pensi… Pagare della gente perché si faccia guardare mentre fa sesso…”.
Per Peepshow #12 bisogna aspettare quasi due anni, dato che esce nell’aprile del 2000. E’ lo stesso protagonista a spiegarcene il motivo, leggendo la biografia di Frank King pubblicata su The Smithsonian Collection of Newspaper Comics e paragonandola alla sua: se l’autore di Gasoline Alley realizzò una striscia al giorno per oltre 40 anni, lui ha avuto un crollo della produttività da quando è finita la sua relazione con Trish. La storia alterna il tempo presente a Toronto con un flashback di un episodio del passato, a Lansdale nel 1980. Il parallelismo è dato dalla condizione di Matt: chiuso in camera con due videoregistratori per montare la VHS porno perfetta (ossia senza volti maschili), l’ormai ultratrentenne Matt è soltanto una versione adulta del bambino che si chiudeva in bagno ad aspettare l’inizio di Bedazzled (Il mio amico il diavolo in italiano) per toccarsi davanti a Raquel Welch. Per tutto l’episodio il protagonista non esce dalla stanza, al punto che – quando si accorge che la sua “pee bottle” è piena fino all’orlo – arriva a pisciare in una tazza da tè per non correre il rischio di incontrare la sua coinquilina o, peggio ancora, la padrona di casa. Insomma, la trama latita e può essere ricondotta alla frase “il protagonista sta chiuso in una stanza a masturbarsi”, come se Matt avesse deciso di rinunciare al racconto per mostrare ai lettori quanto è caduto in basso.
Peepshow #13 esce a febbraio 2002 e consta di ben 32 pagine, 8 più del solito. Si tratta di un altro episodio tematico ma, se nel numero precedente il set era la stanza di Matt, adesso è il ristorante Tony’s di Toronto, dove va in scena una conversazione lunga tutto il comic book, in cui il protagonista viene preso continuamente in giro da Seth e Chester Brown. Al centro i soliti temi (masturbazione, porno, collezionismo, fumetti, soldi, misoginia e la fascinazione per una ragazza sin troppo giovane), sviscerati con dialoghi frizzanti e un crescendo di gag che porterà al divertentissimo finale, diretto seguito delle vicende del numero precedente. Forse uno dei fumetti non sperimentali più statici di sempre – al pari della prima parte del Clyde Fans di Seth – Peepshow #13 riesce anche ad essere, grazie al talento di Matt, uno dei più divertenti della serie e dimostra come si può fare ottimo fumetto con pochi elementi e senza grosse trovate formali. Lo stesso discorso vale d’altronde per tutta la storyline, raccontata interamente con una griglia di otto vignette sviluppate in orizzontale, senza nemmeno una pagina diversa dalle altre: un ritorno alla regolarità dopo la libertà che l’autore si era concesso in Fair Weather.
Se qualcuno si lamentava perché Peepshow usciva assai di rado, le cose con il #14 andarono anche peggio. Il nuovo numero arriva infatti a quasi 5 anni dal precedente, ossia nel novembre del 2006, quando l’autore si è già trasferito a Los Angeles. “Questo numero porta a conclusione la mia storia più recente – scrive Matt nella pagina della posta – ambientata a Toronto. E sì, sarà raccolta in volume l’anno prossimo. E per rispondere alla tua domanda a proposito delle mie intenzioni a proposito di questa storia… Beh, essenzialmente ho voluto riassumere o lasciare traccia di un particolare periodo della mia vita. Ovviamente il mio obiettivo iniziale era molto più ambizioso… Speravo di raccontare con precisione l’esasperazione e la schizofrenia che derivano dalla dipendenza… Il continuo andirivieni tra il tentare di uscirne fuori e il rassegnarsi definitivamente ad essa abbracciandola”. Questa analisi raggiunge il suo compimento in queste pagine, dove l’autore si fa strada tra le sue compilation porno e le strisce di Gasoline Alley per riflettere amaramente su nevrosi, depressione e addirittura morte. Non si risparmia Matt, e senza alcun pudore si descrive com’è, con una consapevolezza che sfocia a volte nell’autodenigrazione, tanto da apparire come una specie di reietto depresso pieno di disprezzo per la vita e per se stesso. Anche il suo lavoro passato viene preso di mira, e così lo vediamo sfogliare i volumi di The Poor Bastard e Fair Weather inorridendo per alcune scelte di disegno e di scrittura. E coglie anche l’occasione per confessare al lettore che non tutto quello che ha raccontato è successo veramente, definendo The Poor Bastard “half fabrication” e ammettendo di essersi completamente inventato la scena finale del ménage à trois. Ma non c’è da stupirsi: basta leggere i fumetti di Matt per rendersi conto che non tutto può essere vero, perché le gag sono così perfettamente costruite da dover essere necessariamente fiction. “Non credo che il mio lavoro rispecchi la realtà in tutto e per tutto – aveva detto Matt nell’intervista pubblicata nel #162 di The Comics Journal – I miei fumetti hanno una componente fittizia, nel senso che è normale mettere insieme degli eventi distanti nel tempo o inventarsi qualche particolare per dare un po’ di pepe alla storia. E poi io tendo a drammatizzare le cose (…). E’ normale esagerare per far ridere i lettori”. Insomma, se non fosse ancora chiaro il Joe Matt autore e il Joe Matt personaggio non sono affatto la stessa cosa, per quanto noi lettori tendiamo inevitabilmente a identificarli. Peepshow #14 si conclude con Maude, la gatta della sua vicina di casa e unico motivo di gioia per Matt, che caga addosso all’autore. Un finale davvero esplosivo, nel senso letterale del termine.
Ma che fine ha fatto Joe Matt? La domanda è lecita, perché stiamo parlando a tutti gli effetti di un autore uscito dai radar del fumetto. Se, come abbiamo detto, il #14 di Peepshow è del 2006, dell’anno successivo è Spent, raccolta dei #11-14, in italiano profeticamente tradotto da Coconino come Al capolinea. Nel frattempo il nostro si è trasferito a Los Angeles, ha una nuova fidanzata, si è più volte iscritto e cancellato da Facebook e ora ha anche un account Instagram e un gatto bianco di nome Seymour. Se poi vogliamo parlare di fumetti, beh, non si è visto granché di suo, a parte un paio di fugaci apparizioni. Nel 2015 è uscito un fumetto inedito a firma Matt sulla voluminosa celebrazione dei 25 anni di Drawn & Quarterly (Drawn & Quarterly: Twenty-Five Years of Contemporary Cartooning, Comics, and Graphic Novels), che doveva essere inizialmente la prima parte di Peepshow #15. “E’ difficile immaginare che un’era del genere sia mai esistita – scrive nell’introduzione l’editore Chris Oliveros – ma sì, c’è stato un breve periodo in cui Joe Matt era un fumettista prolifico”. Seguono 15 pagine di fumetto suddivise in brevi episodi, in cui Matt racconta del suo trasferimento a Los Angeles, ci aggiorna sulla sua situazione sentimentale, discute dell’opera di Robert Crumb e disegna il discorso d’addio dedicatogli da Seth al momento di lasciare Toronto.
Nel 2016 la piccola casa editrice di Denver Kilgore Books ha invece pubblicato l’esilarante Paid for It, un mini-comic di sole 8 pagine in cui Matt ribalta le situazioni di Paying for It di Chester Brown assegnando all’amico il ruolo del gigolò. Da allora più niente, anche se va detto che nel 2020 sono cominciati ad apparire dei post su Instagram che mostravano altre pagine destinate a Peepshow #15. Il progetto precedente – quello visto sul volume celebrativo di Drawn & Quarterly – è stato infatti abbandonato a favore di una nuova storia, ambientata almeno in parte nel 2002, e di un racconto breve sull’esperienza dell’autore con la HBO. Anche in questo caso però, nonostante le pagine fossero addirittura già inchiostrate e letterate, non si hanno più novità e l’ultimo post in questo senso è del settembre 2020. Chissà a questo punto se, tra un’interruzione e un ripensamento, Matt riuscirà a far ripartire una serie ferma al momento da ben 17 anni. Io ovviamente spero di sì, e sono convinto che sarebbe bello e al tempo stesso strano, come assistere alla reunion di una band che non avresti mai pensato di riveder suonare.
De(a)t(h) Grymma Svärdet
Il titolo di questo post sembrerà criptico e illeggibile ma in realtà è un (brillante) gioco di parole per annunciare la chiusura di un’antologia che da un paio d’anni è diventata ospite fissa del Big Cartel e dei banchetti di Just Indie Comics. Ma innanzitutto guardiamo il filmato!
Ovviamente non c’era nessun filmato ma solo questa splendida e coloratissima copertina di Tara Booth tratta da Det Grymma Svärdet #43, un elegantissimo cartonato di 180 pagine rilegato in tela che replica il formato del #40. Anche i contenuti sono sulla stessa falsariga, perché all’interno troviamo un mix di fumetti di autori internazionali con l’aggiunta di qualche articolo: il tutto in svedese ma con un libretto di traduzioni in inglese allegato. Per leggere questo Det Grymma Svärdet #43 ci vuole un po’ di pazienza insomma, ma vi dico che ci si riesce persino da sdraiati, quindi in realtà non è poi così complicato.
Ultimo numero dicevamo, ma perché? La decisione era già stata anticipata dall’editor Fredrik Jonsson nel numero precedente dell’antologia. In sostanza, il motivo è legato all’inevitabile e triste destino delle antologie/riviste, un tipo di prodotto oggi poco premiato dai lettori, soprattutto se paragonato ai graphic novel. Jonsson è infatti il deus ex machina di Lystring Förlag, casa editrice svedese che pubblica in patria autori come Simon Hanselmann, Olivier Schrauwen, Tommi Parrish e tanti altri, trovando un soddisfacente riscontro di vendite. Det Grymma invece, pur beneficiando di finanziamenti statali, a malapena andava in pareggio, non riuscendo a volte nemmeno a recuperare i costi di stampa (i numeri hanno di volta in volta un formato e un concept diverso ma sono sempre ben confezionati) e il pagamento dei diritti agli autori.
In attesa di un prossimo e già annunciato “best of” della serie, godiamoci intanto questo numero finale, disponibile da qualche giorno nel Big Cartel di Just Indie Comics. E vi assicuro che è uno dei migliori Det Grymma di sempre, curatissimo nell’editing e con più di qualche perla. Cito per esempio i contributi di Jerome Dubois, che apre e chiude le danze con due estratti dai suoi due libri gemelli, Citéville e Citéruine, usciti in Francia nel 2020 rispettivamente per Cornélius e Editions Matière, il primo con dialoghi e personaggi rappresentati in bianco e verde e tratti manga, il secondo che mostra le stesse situazioni in bianco e nero ma disegnandone solamente gli sfondi e le ambientazioni. Notevoli le 16 pagine di Louka Butzbach, che racconta la ribellione giovanile con colori tenui e atmosfere favolistiche. I figli di Werewolf Jones, Diesel e Jaxon, sono protagonisti delle due storie realizzate dal duo Simon Hanselmann e Josh Pettinger, che negli USA hanno già trovato spazio in alcune fanzine autoprodotte (occhio al loro Werewolf Jones & Sons Deluxe Summer Fun Annual, in uscita a luglio per Fantagraphics): entrambe divertentissime, con il picco raggiunto da Spit Game, una gara di sputi tra i due ragazzini che a un certo punto diventa una gara di schizzi (vabbè, se conoscete Hanselmann già sapete dove si va a parare). Altri pezzi forti sono le 16 pagine a firma Teddy Goldenberg con atmosfere stranianti degne del suo recente City Crime Comics, Anna Haifisch che in 1992 ricostruisce le visite allo zoo di Lipsia in compagnia della madre con un tratto più spesso rispetto al passato e decisamente interessante (dalle parti del Joe Kessler del bellissimo Le Gull Yettin/Måsvarrelsen), Marko Turunen (ricordate il suo La morte alle calcagna per Canicola?) che in bianco, nero e verde ci regala un pezzo focalizzato più sulle atmosfere che sulla trama, con protagonisti una suora fotografa, un tizio incontrato alla fermata dell’autobus e una specie di robot che officia un funerale. Mancano da citare i contributi di HTMLflowers, Nathan Cowdry, Melek Zertal, Sara Kupari e una pagina a firma Tommi Parrish ma insomma, avete capito che il livello è alto e che questo numero di Det Grymma Svärdet riesce ampiamente nel tentativo di mettere insieme lavori fuori dagli schemi, capaci di restituirci un po’ di fiducia nei confronti del fumetto “alternativo” contemporaneo.
Per quanto riguarda i pezzi scritti, non ha molto senso approfondirli in questa sede, dato che tutti e quattro sono soltanto in svedese, senza traduzione. Peccato soprattutto per l’intervista di Robert Aman a due degli autori di Historieboken, un best seller a fumetti svedese degli anni ’70 che rilegge la storia dell’Occidente in chiave marxista. E’ invece tradotto il testo illustrato di Jaakko Pallasvuo, sullo stile dei contenuti che il fumettista finlandese sta pubblicando di recente su Instagram. Il tema caldo dell’intelligenza artificiale viene usato per tornare sul concetto di automazione e sul ruolo dell’artista nel mondo contemporaneo, con la definizione di arte come “una sorta di sviluppo lineare che segue in parallelo la tecnologia, la politica e la storia” che mi sembra davvero il modo migliore per chiudere un dibattito complesso quanto a volte fine a se stesso. Per leggere il testo completo potete appunto ordinare Det Grymma Svärdet #43 nel Big Cartel di Just Indie Comics, dove trovate anche qualche numero arretrato di una delle più riuscite antologie internazionali degli ultimi anni.
10 fumetti (circa) del 2022
Solita lista – approssimativa, parziale, idiosincratica – dei fumetti migliori che ho letto nel 2022. Prendetela come sempre con le pinze, perché viene dal mio piccolo angolo di mondo. E il “circa” è dovuto al fatto che in realtà sono 11, ma mi sono preso la libertà di considerare i due numeri di Crickets di Sammy Harkham usciti quest’anno come un unico fumetto. Ok, adesso bando alle ciance e cominciamo, in ordine alfabetico.
2120 di George Wylesol (Avery Hill/Coconino) – Autore statunitense (di Philadelphia) ed editore londinese per questo librogame concettuale, a metà tra fumetto e videogioco, già uscito in italiano per Coconino. Non aggiungo altro perché ne ho parlato in questo post.
Crickets #7 e #8 di Sammy Harkham (Secret Headquarters) – Chi è abbonato alla newsletter di Just Indie Comics (piccolo spazio pubblicitario: se non lo siete potete rimediare immediatamente QUI) non ce la fa più a sentirmi parlare di Sammy Harkham e del suo Crickets. La storia lunga che si è conclusa nel #8, Blood of the Virgin, sarà raccolta in volume da Pantheon nel 2023 ed è candidata a imperversare nelle classifiche dell’anno prossimo. Ma qui a Just Indie Comics arriviamo prima degli altri e quindi in questa lista trovate già uno dei migliori fumetti del 2023! Per il resto non ho voglia di riscrivere sempre le stesse cose, quindi se non avete proprio idea di cosa si parli potete leggervi questa recensione di Crickets #4 datata 2015. Ah, vi segnalo anche che quest’anno è uscita sempre per Secret Headquarters la ristampa della storia pubblicata nel 2019 da Harkham su Kramers Ergot 10 (ne avevo parlato da queste parti), sotto forma di Crickets Colour Special #1: ne trovate qualche copia nel negozio online di Just Indie Comics (i Crickets sono invece tutti esauriti, ahimè).
Five Perennial Virtues #12 di David Tea (autoprodotto) – Ognuno ha le sue perversioni e la mia (o meglio, una delle tante) si chiama David Tea, autore misterioso e inclassificabile di albetti autoprodotti in bianco e nero altrettanto misteriosi e inclassificabili. Rubo da me stesso, sperando di non farmi causa da solo in un momento di schizofrenia, riportando quanto scritto nel #4 della newsletter: “Un altro fumetto che vi consiglio caldamente è Five Perennial Virtues #12, il nuovo numero – inedito, autoprodotto e datato giugno 2022 – dell’inclassificabile serie di David Tea rilanciata prima con alcune ristampe e poi con storie realizzate ex novo dopo diversi anni di stop. Sono fumetti che i più si limiterebbero a definire “disegnati male” ma chi come me si è già seduto al Bronze Table of the Blade Masters avrà tutt’altra idea. Stavolta il misterioso autore ci porta in un futuro distopico in cui l’uomo ha colonizzato Marte mentre dei ragni marziani sono arrivati sulla Terra per diffondere una pozione curativa che in realtà – scopriremo a un certo punto – tiene sotto scacco gli esseri umani. Dai ragni fugge il protagonista Dave, che insieme alla bella Pearl prende un treno diretto verso il futuro dopo essere stato opportunamente consigliato dagli Antichi dei miti di Cthulhu. Il tutto è inframmezzato come sempre da momenti di pura saggistica con riflessioni sull’Apocalisse di San Giovanni, la simbologia dei tarocchi e la nascita della fantascienza. E forse mi dimentico pure qualcosa”.
Keeping Two di Jordan Crane (Fantagraphics/Oblomov) – Pubblicato negli USA da Fantagraphics, il nuovo fumetto di Jordan Crane è anche il primo a uscire in italiano. Crane riesce a trarre da un banalissimo intreccio momenti di puro ed esaltante fumetto, in cui è soprattutto la forma a compiere il miracolo di emozionare il lettore: sfida solitamente difficilissima, ma che a lui riesce con disarmante semplicità. E il finale filosofico, anzi direi addirittura metafisico, non fa che confermare l’essenza puramente metanarrativa dell’opera, una sorta di saggio sulle infinite potenzialità del medium.
Måsvarrelsen di Joe Kessler (Lystring Förlag) – E a proposito della forma che determina il contenuto, quasi a ricordarci che nel fumetto l’abito E’ il monaco, cosa dire di questo fumetto muto di Joe Kessler, capace di raccontare una storia densissima senza una sola parola e utilizzando come strumenti narrativi il segno e il colore? E soprattutto perché dire altro quando ho già detto un po’ di cose in questo post? E se volete procurarvelo ne trovate ancora qualche copia nel Big Cartel di Just Indie Comics.
Meskin and Umezo di Austin English (Domino Books)– Alcune delle opere scelte per questo Best Of sfidano le dinamiche di mercato e le convenzioni formali del fumetto contemporaneo, cercando di portare il medium verso nuove direzioni. Ma se tra tutti devo scegliere un autore che si è spinto ben oltre i confini della consuetudine beh, questo è sicuramente Austin English, che ha pubblicato in proprio con la sua Domino Books un fumetto alieno sin dall’impaginazione, con le tavole incastonate in una cornice come se si trattasse di un catalogo d’arte. Meskin and Umezo è un’opera talmente personale da risultare in alcuni passaggi di difficile comprensione, ma rimarrà negli annali come un monolite capace di ricordarci che il fumetto, al pari di tutte le altre arti, non può assoggettarsi a set di regole o libretti di istruzioni. Avevo speso qualche parola in più in questo post, in occasione del pre-order del libro.
Mr. Colostomy di Matthew Thurber (Drawn and Quarterly) – Chi conosce i fumetti di Matthew Thurber (1-800-MICE, Infomaniacs, Art Comic: tutti e tre consigliatissimi) sa già che il cavallo parlante Mr. Colostomy è uno dei personaggi ricorrenti delle sue storie, capace di apparire quando meno te l’aspetti. Qui Drawn and Quarterly raccoglie le strisce realizzate da Thurber tra il 2017 e il 2019 nei bar, nei locali o comunque in luoghi pubblici, per lo più a Brooklyn, in cui Colostomy è assoluto protagonista e impegnato a risolvere misteri sempre più assurdi. Le trame si sviluppano striscia dopo striscia ma spesso vengono lasciate in sospeso e rimangono persino senza una conclusione. Non c’è niente di premeditato in questo divertentissimo volume: sono solo vignette scritte di getto, a volte su quaderni o tovaglioli, in un alternarsi di situazioni che potrebbero essere state spunto per almeno altre 1000 storie e in un’altalena di soluzioni grafiche, tanto che si passa da tavole a colori ad altre in cui il disegno è soltanto abbozzato o la linea è tremolante. Un libro quasi impensabile viste le esigenze del mercato di oggi, e che per questo ci piace ancora di più.
Swag #4 di Cameron Arthur (autoprodotto) – Il fumetto che consiglio a tutti ma che non compra praticamente nessuno. A Lucca l’ho fatto vedere a decine di persone ma alla fine della fiera mi sono reso conto di non averne venduta neanche una copia. Eppure è davvero un bel fumetto. Se volete saperne di più (ma viste le premesse, non credo) ne ho parlato in questo post.
The Path Away di Kevin Hooyman (Magma Bruta) – Ho conosciuto i ragazzi di Magma Bruta, due portoghesi trapiantati ad Amburgo, al Crack! di quest’anno e sono rimasto abbagliato dalla qualità e dalla confezione delle loro produzioni. Questa è dello statunitense Kevin Hooyman, già noto per la serie Conditions on the Ground e che qui realizza un fumetto autoconclusivo su un uomo che vive da solo in mezzo alla natura con il suo gatto. Tutto scorre tranquillo e senza sussulti finché cominciano a succedere strani fatti e un giorno il gatto esce per dirigersi spedito chissà dove… Ok, forse non ho reso benissimo l’idea e mi rendo conto che detta così sembra una storia come tante, ma vi assicuro che siamo davanti a un piccolo fumetto perfetto, poetico e profondo, disegnato divinamente e stampato altrettanto bene. Procuratevene una copia finché siete in tempo perché un uccellino mi ha detto che la tiratura è in via di esaurimento.
Time Zone J di Julie Doucet (Drawn and Quarterly) – Il ritorno al fumetto, personalissimo e fuori dagli schemi, di una delle più grandi cartoonist di tutti i tempi. Non ne sapete ancora niente? Allora vuol dire che non avete letto questa pseudo-recensione di qualche mese fa.
CLICCA QUI PER ABBONARTI AL JUST INDIE COMICS BUYERS CLUB 2023!