Una serata con Chris Reynolds

Pubblico di seguito la trascrizione dell’incontro con Chris Reynolds che si è tenuto lo scorso 3 dicembre a Roma da Risma Bookshop, in occasione del tour italiano dell’autore britannico. Ad accompagnare il testo, oltre a un paio di foto scattate in quell’occasione, alcune immagini tratte dalla mostra che il festival bolognese BilBOlbul ha dedicato a Reynolds presso Spazio B5. Prima di lasciarvi all’intervista, ringrazio Stefano A. Cresti per il sempre ottimo lavoro di interpretariato e Tunué per la collaborazione. Buona lettura.

Gabriele Di Fazio: Un mondo nuovo è un’antologia del lavoro di Chris Reynolds, uscita in Italia per Tunuè in concomitanza con la mostra a lui dedicata da BilBOlbul, dove Chris è stato ospite nel weekend. Il libro raccoglie i lavori pubblicati a partire dal 1986 negli albi autoprodotti Mauretania Comics e nella fondamentale rivista inglese Escape, oltre all’intero graphic novel Mauretania uscito per Penguin nel 1990. Tra l’altro Mauretania fu anche pubblicato in Italia da Feltrinelli nel 1992 in uno dei primi tentativi degli editori generalisti di portare fumetti “diversi” nelle librerie di varia. La versione originale di questa antologia, intitolata The New World e uscita nel 2018 per la New York Review Comics, è curata – sia nella scelta delle storie che nel design – da un altro autore di fumetti, il canadese Seth, di cui è stato pubblicato di recente da Coconino Clyde Fans. Seth aveva già scritto nel 2005 un apprezzamento della serie Mauretania per la rivista The Comics Journal, un testo che ancora oggi è a mio parere l’esame più azzeccato e profondo del lavoro di Chris (potete leggerlo qui, ndr).

Allora, dato che abbiamo qui con noi Chris cerchiamo di capire innanzitutto cos’è la Mauretania, cioè il mondo – non necessariamente in senso geografico – in cui si svolgono questi fumetti, per lo più storie brevi interconnesse tra loro. Apprendiamo in una di queste storie che siamo nel futuro, ossia nel 2087, ma non è chiaro se questa collocazione temporale è comune anche agli altri racconti, né sono chiarissimi i legami tra i diversi episodi, dato che una cosa che succede in una storia non influenza necessariamente quanto accade agli stessi personaggi nella successiva. Mauretania in particolare è un termine che andava ad indicare una provincia romana dell’Africa, territori che oggi corrispondono più o meno all’Algeria e al Marocco, ma qui non c’è un’ambientazione esotica, anzi sembra di essere nel Regno Unito, dunque in uno scenario più familiare all’autore, che è nato in Galles e si è trasferito in Inghilterra per il college. Ma c’è comunque qualcosa di diverso, qualcosa di rotto, come succede quando siamo appunto in una distopia. Quindi vorrei chiederti a questo punto perché Mauretania e com’è nata l’idea di utilizzare questo termine.

Chris Reynolds: Iniziai a fare questi fumetti insieme al mio amico Paul Harvey e un giorno venne a casa mia e cominciammo a parlare di come avremmo dovuto chiamare il nostro comic book. Alla fine della serata scegliemmo come titolo Mauretania, ma adesso nessuno dei due si ricorda chi se ne uscì con quel nome.

GDF: Nell’introduzione al volume Ed Park azzarda l’ipotesi che l’oscurità di queste storie, che sono caratterizzate da un bianco e nero molto pesante, possa collegarsi in qualche modo al nome Mauretania, che a sua volta deriva dalla tribù dei Mauri, un termine che significa appunto “scuri” riferendosi al colore della loro pelle… Non so se questa connessione fu determinante per la scelta…

CR: In realtà non era una scelta consapevole, anzi, si tratta soltanto di una coincidenza, perché non sapevamo in realtà dove si trovasse la Mauretania. Scegliemmo questo nome perché era misterioso, antico, e lo collegavamo più alla famosa nave che fu varata nel 1906 che alla provincia romana.

GDF: Nella storia che apre il volume, The Dial, c’è il protagonista che torna dalla guerra, infatti tra le righe si capisce che c’è stato un conflitto tra la Terra e gli alieni, con questi ultimi che hanno avuto la meglio. Reg arriva a casa e trova degli scavi minerari tutt’intorno, inoltre non c’è traccia della sua famiglia. Scopre anche che ha preso piede una religione, il Dial appunto, i cui adepti sono uomini incappucciati, di cui adesso nota la presenza anche nelle sue foto da bambino, come se la sua famiglia fosse sempre stata in qualche modo collegata al Dial. Alla fine di questa storia c’è una scheda in cui vengono date una serie di informazioni, e si parla anche dell’ambientazione temporale degli eventi, il 2087. Ma questi elementi non tornano nelle storie seguenti. Noi magari diamo per scontato – per le nostre abitudini di lettori e per una serie di convenzioni – che anche le altre storie siano ambientate nello stesso mondo di The Dial, invece non è necessariamente così. La cosa bella di tutto ciò è che alcuni di questi elementi inizialmente oscuri si connettono in maniera chiara tra loro e quindi leggendo e rileggendo il libro si capisce che siamo in un mondo del tutto autoreferenziale, con le sue regole e la sua logica. Si tratta di un mondo al tempo stesso oscuro e intellegibile, perché il lettore riesce ad afferrare solo in parte il senso di quanto sta accadendo, con una sensazione simile a quando abbiamo una parola sulla punta della lingua. E comunque i personaggi si sviluppano, succedono delle cose – e succede anche che i morti tornano in vita, senza che possiamo davvero capirne il perché. Tra i vari personaggi il più iconico è sicuramente Monitor, una sorta di supereroe se possiamo chiamarlo così, probabilmente un bambino anche se la cosa non è chiara. Mi chiedevo come fosse venuto fuori questo singolare personaggio… Ho letto da qualche parte che è stato ispirato dal fumetto Billy the Cat.

CR: Quando avevo 14 anni scrissi un romanzo e uno dei personaggi era Monitor. All’epoca Billy the Cat era molto popolare e sicuramente mi influenzò. Quando poi iniziai a fare i fumetti riutilizzai questo personaggio – semplificando notevolmente il costume rispetto a quello di Billy The Cat – perché mi sembrava davvero un buon personaggio, innanzitutto perché  può avere qualsiasi età tra gli 8 e i 30 anni, come se l’età fosse determinata dal tipo di storie in cui si trova. E’ un personaggio che non ha caratteristiche specifiche, molto generico, e quindi perfetto per questo tipo di storie. Se fosse stato una persona “normale”, avrei dovuto dare più informazioni sul suo background, su chi fosse e perché stesse facendo quelle cose lì, invece se tu metti in una storia un personaggio che sembra vagamente un astronauta si danno molte cose per scontate, quindi si può andare avanti direttamente con la storia.

GDF: Sì, sembra un astronauta perché indossa sempre un casco, e poi sappiamo che ha un astronave e che ha incontrato gli alieni, anche se ci sono degli episodi in cui lo vediamo impegnato in faccende del tutto ordinarie, come lavorare in un bar, fare il pubblicitario, aprire un’azienda di frigoriferi, ereditare una casa e via dicendo…

Ok, adesso vorrei cercare un po’ di capire in che ambiente nascevano questi fumetti e da cosa sono stati influenzati, nel senso che mi sembrano molto in sintonia con altre cose che uscivano all’epoca in Inghilterra, per esempio su riviste come Warrior e 2000 AD, ma ci sono anche dei riferimenti letterari – inevitabilmente vengono in mente opere come 1984 di Orwell e Brave New World di Huxley – e persino televisivi, perché a me alcune tematiche, alcune atmosfere e anche un certo modo di raccontare che va avanti per scarti, per indizi, spesso per elementi del tutto assurdi mi ha ricordato parecchio la serie The Prisoner. Ti chiederei a questo punto se queste sono state per te delle influenze oppure se ne hai avute altre in particolare.

CR: Per quanto riguarda The Prisoner c’è una coincidenza significativa da citare, cioè che fu girato in un paesino a 9 miglia dalla casa in cui sono cresciuto da bambino. Ma in realtà l’ho visto soltanto dopo aver concluso i fumetti che si trovano in Un mondo nuovo, perché i canali televisivi che prendevamo a casa non lo trasmettevano. Per quanto riguarda il resto, ci sono delle similitudini con 1984 o Brave New World ma non credo che siano state delle vere influenze, perché io non ho mai trattato certi temi, nel senso che la trama dei miei fumetti è un pretesto per creare una certa atmosfera. Ed è l’atmosfera che mi interessa veramente, più della storia in sé.

GDF: E infatti l’atmosfera è molto importante in questi fumetti, anche e soprattutto nelle storie brevi. Ce ne sono alcune di una pagina – penso per esempio a Una nuova sera o a Giorni nuovi e migliori – in cui domina un mood malinconico e nostalgico. Sono dei “pezzi”, più che delle storie, che a livello testuale assomigliano a una canzone o a una poesia e in cui sembrano avere una certa rilevanza dei ricordi di infanzia, dei sogni, delle esperienze personali in genere. Quanto è stato importante il tuo vissuto per la costruzione del tuo mondo?

CR: Beh, alcuni ricordi personali hanno avuto sicuramente il loro peso durante la creazione di queste storie, ma sinceramente non sono interessato ai ricordi in quanto tali ma solamente all’atmosfera che essi possono evocare, proprio come possono fare altri elementi come gli alieni, lo spazio, il futuro, le guerre. Quindi anche i ricordi sono solamente uno strumento per ricreare l’atmosfera a cui sono interessato. A volte il mio scopo è quello di ricreare un’atmosfera che io stesso ho sperimentato, quindi utilizzo dei ricordi di atmosfere addirittura, e se è vero che spesso non sono riuscito a ricreare esattamente le atmosfere che avevo in mente, devo riconoscere che con questo tentativo ho creato qualcosa di nuovo, forse anche più interessante. E l’utilizzo del bianco e nero è stato fondamentale per rendere al meglio queste atmosfere.

GDF: A proposito del bianco e nero, citerei ancora l’introduzione di Ed Park, che scrive: “Dire che questi fumetti sono in bianco e nero suona riduttivo, sono più come un bianco e nero e ancora nero”. Infatti il libro è pieno di neri, persino i contorni delle vignette sono delle linee ondulate molto spesse, calcate, pesanti. Inoltre ci sono tantissime silhouette. So che hai studiato pittura all’Accademia di Belle Arti e quindi avrai avuto dei riferimenti anche classici, se non delle esperienze pratiche con vari stili e tecniche, per esempio penso alla xilografia, a cui i tuoi disegni sono vicini. Ti chiederei dunque di raccontarci come ti sei formato artisticamente e quanto a tuo parere la tua formazione abbia contribuito a plasmare il tuo stile.

CR: Anche lo stile si è sviluppato in maniera non del tutto conscia, io scrivevo queste storie e a un certo punto pensai che sarebbe stato interessante utilizzare un metodo che restituisse l’impressione di guardare un vecchio film in bianco e nero, dove le immagini sono indistinte, poco chiare, consumate, perché avrebbe aiutato a dare alla storia un’impressione di distanza. Per lo stesso motivo ho spesso utilizzato le didascalie al posto dei dialoghi, sempre per creare una certa distanza da quanto veniva raccontato. E c’era bisogno di creare questa sensazione di distacco per raccontare al meglio le storie che avevo in testa.

GDF: Un altro elemento fondamentale è il paesaggio, che può essere considerato il protagonista di alcune di queste storie e che contribuisce a creare questo mood malinconico e nostalgico. Si tratta di un paesaggio per lo più contemplativo, del tutto diverso da quello che potremmo aspettarci da fumetti o film distopici. L’uso che fai del paesaggio tra l’altro non è univoco, perché è vero che si vedono soprattutto campi, colline, fiumi, nuvole che si muovono in cielo – c’è molta insistenza su questo, ci sono intere pagine di paesaggi in questo libro – al contrario nella prima parte del graphic novel Mauretania ci sono degli scenari urbani stranianti e a volte angoscianti. Quanto è importante il paesaggio nelle tue storie e che importanza hanno avuto i panorami dei posti dove sei cresciuto e hai studiato da giovane?

CR: Il ruolo del paesaggio nelle mie storie è quello di generare certe atmosfere. Il paesaggio è estremamente importante perché io sono convinto che luoghi differenti generino atmosfere differenti. Inoltre in alcune delle mie storie quasi non si vedono personaggi: i loro pensieri vengono mostrati attraverso delle didascalie e gli elementi del paesaggio diventano importantissimi per creare le atmosfere, anche più dei personaggi stessi.

GDF: La seconda metà del volume è occupata dal graphic novel Mauretania, che rappresenta il climax emotivo di tutto il libro, perché in effetti storia dopo storia il lettore comincia a sentire qualcosa per i personaggi, una sorta di affezione. Per quanto noi adesso abbiamo parlato di paesaggio o di altri elementi oggettivi, per quanto possiamo leggere delle analisi dei tuoi fumetti in cui i riferimenti che si utilizzano sono per lo più non narrativi – si citano per esempio De Chirico, Hopper, Tarkovskij – nel tuo lavoro c’è comunque un forte senso della narrazione e Mauretania è un po’ la conferma di questo elemento. La storia racconta una sorta di contrapposizione tra i protagonisti del libro, Jimmy e Susan, e questa organizzazione che si chiama Rational Control, Polizia Mentale nella traduzione italiana. Al di là della trama, si tratta di una storia che tratta temi importanti come la dicotomia tra intuizione e razionalità e quella tra libertà e controllo. Quello che mi viene da chiederti è l’insistenza sul tema delle corporation, che è centrale in Mauretania e in realtà in tutto il libro, che è pieno di uomini che fanno lavori inutili, che lavorano per lavorare, non per se stessi ma nemmeno per i datori di lavoro a quanto sembrerebbe. Mi chiedevo perché hai scelto di trattare questo tema, se ti è venuto dalle esperienze lavorative personali, da quelle dei tuoi amici o se vedevi qualcosa che si sviluppava in quegli anni nella società intorno a te.

CR: Beh, la verità è che la storia Mauretania fu commissionata da un editore. La Penguin mi disse che volevano 120 pagine simili a quelle dei racconti brevi e così dovetti introdurre dei nuovi elementi per creare una storia sensata di quel tipo. E dato che ero interessato a questi temi ho deciso di utilizzarli. Nel complesso penso di essere riuscito a unirli abbastanza bene con gli elementi delle storie che avevo scritto in passato. Ma se non mi fosse stato commissionato il graphic novel, probabilmente non avrei inserito questi temi nelle mie storie.

GDF: Mmm, ok… (risate). Beh, ti chiederei a questo punto se ti è piaciuta la scelta di Seth di mettere Mauretania alla fine del volume e se in generale sei soddisfatto della selezione delle storie, dato che ce ne sono tante altre che sono rimaste fuori.

CR: Sì, questa è un’antologia e quindi non ci sono tutte le mie storie ma un gruppo di fumetti selezionati da Seth, che ha anche curato il design del volume. Penso che sia un’ottima introduzione al mio lavoro e che Seth abbia fatto una selezione coerente, prendendo delle storie che si sostengono a vicenda. Ma ci sono anche altre storie simili o comunque che sono connesse a quelle pubblicate, e che potrebbero benissimo stare nel libro. Ma questa è la selezione di Seth, lui ha scelto i fumetti che riteneva migliori e io sono molto contento del risultato finale, anche se bisogna dire che c’è molto altro materiale.

GDF: Sicuramente in questo modo il libro funziona davvero bene… Dunque, ti faccio un’ultima domanda e chiudiamo. All’inizio il “mondo nuovo” sembra essere quello dove si svolgono le vicende narrate ma poi, una volta conclusa la lettura, si cambia idea e si capisce che in realtà la novità appartiene al futuro, a quello che non vediamo, cioè al mondo che i personaggi del libro hanno contribuito a creare con le loro azioni, un mondo probabilmente migliore di quello in cui si muovono Reg, Monitor, Jimmy, Susan e via dicendo. C’è un progresso nel corso del tempo – i personaggi riescono a cambiare la società in cui vivono in effetti – e quindi c’è una ventata di ottimismo in storie che hanno comunque dei connotati distopici e che tradizionalmente vengono viste come pessimistiche, se non post-apocalittiche. Ma anche in questo senso nelle tue storie non esageri mai, anzi ce ne sono alcune, soprattutto quelle di ambientazione più bucolica, in cui c’è un senso di pace e di serenità, nonostante le guerre, gli alieni ecc. Tu pensi che ci sia un messaggio di ottimismo nel tuo lavoro e in genere consideri le tue storie più ottimistiche o pessimistiche?

CR: Le considero sicuramente ottimistiche. Sarebbe molto facile scrivere una distopia negativa e disperata ma è un genere che proprio non mi interessa. Inoltre mi piace sviluppare dei finali che si discostino dalla direzione in cui sembra andare la storia nel corso del racconto, così che possano risultare inaspettati, per quanto ovviamente debbano sempre avere un legame con la storia che ho raccontato. In realtà non penso molto in chiave di ottimismo o pessimismo, penso più a cosa mi interessa veramente raccontare. E probabilmente una storia pessimistica non mi darebbe grossa soddisfazione. Ma forse nemmeno una storia solamente piena di gioia…

“Masquerade” di Tana Oshima

Quanto conta il testo in un fumetto? Ovviamente tanto, anche se di solito non è la prima cosa su cui ci si sofferma. Se quando teniamo tra le mani un romanzo ci viene subito da leggere l’incipit, il fumetto di solito viene sfogliato, guardato, visto e non letto. La prima impulsiva sensazione è dunque legata alla sfera visiva, cioè al disegno, alla costruzione della pagina, ai colori. Ed è un’abitudine che forse bisognerebbe combattere. Per esempio, quando le ho viste on line, le immagini di Masquerade di Tana Oshima mi hanno incuriosito ma non immediatamente conquistato, al punto che, una volta che mi è arrivato l’albo tramite la solita benemerita distribuzione della Domino Books, l’ho lasciato lì a maturare per un bel po’ di tempo, settimane direi, anzi mesi. Fino a quando l’altro giorno ho iniziato a leggerlo… Ed è stato subito amore.

Come Five Perennial Virtues #6 di David Tea di cui parlavo qualche giorno fa, Masquerade è un fumetto inclassificabile e starebbe benissimo in un’ipotetica e splendida antologia di fumetti inclassificabili. E’ composto da una storia principale di 11 pagine e un epilogo di 4 che insiste su temi come l’amore, la vita di coppia, l’istinto, i confini e il sentirsi fuori posto ma sempre in chiave astratta, senza nemmeno un legame troppo stretto con quanto visto in precedenza. Inizia come se fosse un sogno, con la frase “Everything I wanted was there, in a beautiful lie”, e continua con la protagonista che attraversa continenti, fiumi, montagne, incontra delle persone, fino a quando si legge “There where nights of love and mornings of friendship” e si capisce che non è un sogno puro e semplice ma qualcos’altro. Cosa, non lo sapremo mai fino in fondo. E ci sarebbe un’altra domanda da fare, oltre a quella d’apertura, cioè cosa ci cattura in modo particolare in un testo. Perché certe volte si trovano delle opere che ci parlano direttamente, come se usassero il nostro stesso linguaggio o fossero memorie che ci appartengono. O come se le parole ce ne ricordassero altre, che abbiamo apprezzato e amato. E in questo caso il fenomeno è ancora più strano, perché si tratta di un testo in inglese scritto da un’autrice giapponese di madre spagnola (e letto da un italiano, tra l’altro). Ma il linguaggio poetico della Oshima supera tutte queste barriere (i confini, appunto) e incanta, facendoci apprezzare ancor di più il disegno, tant’è che non siamo più soltanto incuriositi ma definitivamente conquistati, come succede con i migliori fumetti. Il pranzo è servito.

Graham, Bethea, Tea e… Comic Aht?

Sono già disponibili da qualche giorno nel webshop tre nuovi fumetti a firma Alex Graham, David Tea ed E.A. Bethea, autori che qualcuno di voi ha già potuto conoscere tramite il sito e la distribuzione di Just Indie Comics. In più è sbarcato anche dalle nostre parti il secondo numero di But Is It… Comic Aht?, la rivista edita da Domino Books e curata da Austin English e August Lipp. Dato che si tratta senz’altro di materiale poco convenzionale, ho deciso di presentarli e contestualizzarli brevemente, cominciando da…

This Never Happened #1 & 2 – Trattasi del nuovo fumetto di Alex Graham, che gli abbonati 2019 al Just Indie Comics Buyers Club ricorderanno per lo splendido (almeno secondo i miei parametri) volume Angloid. Da allora la Graham ci ha regalato un altro piccolo gioiello come lo spillato autoconclusivo Going to Heaven e si è appunto pubblicata per conto proprio le prime due parti di This Never Happened, in cui inizia a serializzare una nuova storia lunga. Per me la cartoonist (e pittrice) di base a Seattle è una delle poche che ancora oggi sventola la bandiera del classico fumetto underground, riportando alla mente quarant’anni di storia del genere, dalle madrine di Wimmen’s Comix  al disagio urbano di Mark Beyer, il tutto mixato con un po’ di sano autobiografismo alla Gabrielle Bell. Giusto per farvi capire, il #1 inizia con la protagonista che cammina per strada mentre piove, scopre di avere di nuovo i pidocchi, perde un dente, attacca un barbone che le chiede i soldi e, mentre se la prende come nella migliore delle tradizioni con i genitori (“It’s my parents’ fault I turned out this way. They didn’t read literature”), viene scaricata via messaggio dal fidanzato.

Scopriremo poi che il suo nome è Ingus, che per campare fa la barista mentre nel tempo libero si diletta come cabarettista, e la seguiremo tra casa sua e le vie di una città piena di sporcizia e povertà mentre incontra amici, affronta le inevitabili conseguenze della separazione, guarda la tv, sogna, impreca e fa smorfie di ogni tipo. Il tutto è, almeno in parte, autobiografico? Beh forse no, perché this never happened.

Forlorn Toreador – E a proposito di autrici donne e fuori dagli schemi, ecco che ritorna E.A. Bethea, un’artista di New York che se seguite il sito regolarmente non ha certo bisogno di presentazioni, dato che gli dedicai un piuttosto approfondito post sul vecchio blog (lo trovate ancora qui) e scelsi un paio di anni fa il suo Book of Daze per il Just Indie Comics Buyers Club. La Bethea non è certo facile da approcciare, soprattutto per noi “stranieri”, dato che la sua potrebbe essere definita poesia disegnata più che fumetto, ma il suo approccio unico, lirico, a volte ironico vale tutti i possibili sforzi.

Forlorn Toreador è la sua ultima autoproduzione ed è uno spillato di 48 pagine in grande formato che mostra tutti i lati della sua arte, dai classici testi illustrati alle splash page fino a intere pagine piene di testo, sempre scritto a mano nel suo inconfondibile stampatello. Se vi piacciono la poesia beat, il jazz, i vecchi film, gli speakeasy, i bassifondi oppure semplicemente camminare ubriachi per strada, questo è il “fumetto” che fa per voi.

Five Perennial Virtues #6 (Bronze Table of the Blade Masters) – Continuano le ristampe del materiale d’annata di David Tea, a cui si aggiungono nuovi contenuti “speciali”. A dire il vero qui dell’albo originale c’è ben poco, dato che solo le prime 11 delle 80 pagine di questo spillatone fotocopiato sono identiche a quelle del 2007, mentre il resto è inedito o modificato. A Tea avevo brevemente accennato nel mio report dal CAKE di Chicago, portando poi in Italia qualche copia della ristampa del #2 della sua serie Five Perennial Virtues. Chi ha già letto quell’albo sa cosa aspettarsi dunque, o forse no, dato che in questo caso la dimensione narrativa è ancora più astratta che in precedenza. Nelle prime pagine vediamo così il nostro protagonista David Tea (un giardiniere nel fumetto ma non nella vita reale, ci tiene a precisare) cercare un tavolo nel suo caffè preferito, trovarne uno che però è sporco, pulirselo da solo e quindi incontrare i suoi amici Cactus Max (un cactus appunto) e Crazy Eight, quest’ultimo definito “a dreamer & a problem solver”, dalle fattezze di una piovra con un cilindro in testa.

Da qui partono una serie di discorsi sui rifiuti, i legionari romani, i peplum e l’università del Minnesota, intervallati da illustrazioni soltanto abbozzate prima in tema e poi a caso, fino a quando il disegno puro e semplice prende il sopravvento e l’albo finisce. Ma in realtà soltanto chi si è seduto al “Bronze Table of the Blade Masters” può davvero capire quello che sto dicendo. I fumetti di David Tea sono tra i più inclassificabili che io abbia mai letto, e per me questo è un grandissimo complimento.

But Is It… Comic Aht? #2 – E a proposito di Tea, una sua intervista viene pubblicata in questo secondo numero del magazine edito da Domino Books per la cura di Austin English e August Lipp. Senz’altro una buona occasione per sapere qualcosa in più su quest’autore talmente sconosciuto e uscito dai radar da far pensare che si trattasse di uno pseudonimo. Ma non è questa l’unica gemma di una rivista ricchissima di contenuti, stampata su carta economica, con una grafica semplice e che punta tutto sul testo e sull’approfondimento. Tra una cover di Lilli Carré e una quarta di Chris Chilla troviamo altre interviste (Anna Haifisch, Julia Gfrorer, Andy Douglas Day – occhio al suo Boston Corbett, di prossima uscita per Sonatina), un bell’articolo di Bob Levin (autore di The Pirates and the MouseOutlaws, Rebels, Freethinkers & Pirates) su Johnny Craig, un approfondimento a cura di Keren Katz su Ilan Manouach, due interessantissime pagine di Tim Goodyear sui suoi mini comics preferiti del recente passato e un bel po’ di fumetti a firma E.A. Bethea, Victor Cayro, Marlene Frontera e soprattutto David King, che dedica quattro pagine di “docu-comic” al periodo Trencher di Keith Giffen. Per me imperdibile, poi fate un po’ voi.

Dieci fumetti del 2019

Dopo aver saltato senza scrupoli quello del 2018, torna il solito Best di fine anno, in una versione sintetica e, come tutte le classifiche, totalmente arbitraria. Se in passato sono stato ben più scientifico, in questa lista ho semplicemente elencato in ordine casuale 10 titoli che mi sono più piaciuti tra quelli che ho letto quest’anno, senza distinzione tra materiale nuovo, traduzioni, ristampe, albetti, graphic novel e via dicendo. Ne è venuto fuori un mix senza senso che però sono sicuro piacerà alla gente che piace. Ovviamente al centro di tutte le classifiche di questo tipo ci sono le questioni logistiche della vita quotidiana – ovvero tutto ciò che non sono ancora riuscito a leggere – e soprattutto le preferenze personali, che determinano inevitabilmente le scelte di lettura. Da ciò consegue che questa lista è più figlia del pregiudizio che di un vero e proprio giudizio. Ma non è forse il pregiudizio l’unica nostra arma di difesa in questo pazzo pazzo mondo?

Rusty Brown di Chris Ware (Pantheon) – Diciamolo subito, tanto non ne possiamo certo fare a meno. Come non mettere questo nuovo libro di Chris Ware in una classifica del genere? Soprattutto tenendo conto che è la terza grande opera (dopo Jimmy Corrigan e Building Stories) di uno dei cartoonist più importanti di sempre? E – tanto per fare un’altra domanda – perché non vi leggete questo post in cui ho già parlato di Rusty Brown invece di farmi scrivere altro?

Clyde Fans di Seth (Drawn and Quarterly/Coconino) – “Ognuno dei cinque capitoli ha un tema e una forma diversa, creando una macro-struttura più ampia incentrata sulla vita dei due fratelli Matchcard, Abraham e Simon, proprietari di una società di ventilatori. Sulla psiche estremamente complessa di entrambi, le loro dinamiche interpersonali e il rapporto con la madre si dilungano queste 450 pagine che rappresentano uno dei capolavori del fumetto di sempre. Seth approfondisce una serie di temi: la solitudine e l’isolamento innanzitutto, ma anche la depressione, la chiusura in se stessi, la difficoltà nell’affrontare gli aspetti più pratici della vita, il tempo che passa, i cambiamenti tecnologici, il fascino quasi perverso della nostalgia, la suggestione per una dimensione che potremmo definire “mistica” e che esiste (forse) al di là della realtà tangibile. L’autore mette in mostra nei due fratelli Matchcard aspetti della sua personalità e della sua biografia, estremizzandoli e rendendoli di nuovo fiction, come già aveva fatto in It’s A Good Life. Non succede niente di così clamoroso e tragico nel senso tradizionale del termine in Clyde Fans eppure alla fine sembra che tanto sia successo, almeno dentro noi lettori. Si tratta di una storia graffante, che smentisce ancora una volta la visione di Seth come un autore nostalgico e leccato mostrando gli aspetti più aspri e visionari della sua arte”. Chi l’ha scritto? Io. Dove? Se proprio volete saperlo qui. Aggiornamento: nel frattempo è uscita anche l’edizione italiana, pubblicata da Coconino. Ulteriore nota: la storia si è conclusa nel 2018 su Palookaville #23 (dopo oltre 20 anni di lavorazione) ma il volume unico è del 2019.

Pierrot Alterations di CF (Anthology) – Quante cose si possono fare con il fumetto? Tante, davvero tante. A dimostrarlo il fatto che in questa lista – dopo due libroni pieni di testo, contenuti e storie come quelli di Ware e Seth – ci sia questo volumetto di CF, con una trama a dir poco esile, una serie di disegni, un paio di buchi nelle pagine, un bordo tagliato. Come dice di lui Sammy Harkham: “Non so proprio perché il suo lavoro risulti così incisivo. Davvero non lo so”. E anche io non so dirvi perché ma questo fumetto – che vibra di un’energia strana, insondabile, inspiegabile – è tra i migliori dell’anno. Per ulteriori dettagli leggete proprio qua.

Kramers Ergot #10 (Fantagraphics) – CF contribuisce anche al più recente numero dell’antologia di Sammy Harkham, con una storia breve ma esteticamente impressionante. Non è l’unica gemma di un volume ricchissimo, ben congegnato e pregno di contenuti, al tempo stesso uno spaccato degli Stati Uniti contemporanei e un tributo alla storia del fumetto. Ma anche in questo caso vi rimando a quanto scritto in passato.

Un mondo nuovo di Chris Reynolds (Tunuè) – Tra le cose migliori di Kramers Ergot #10 c’è Trots and Bonnie di Shary Flenniken, una striscia pubblicata negli anni ’70 su National Lampoon e che verrà ristampata dalla New York Review Comics, forse il migliore editore contemporaneo in quanto a recuperi d’epoca. E sempre alla NYRC si deve l’edizione originale di The New World di Chris Reynolds, presente in questa classifica grazie alla recente edizione italiana di Tunuè, realizzata in occasione della mostra dello scorso novembre a BilBOlbul e a cui ha fatto seguito anche una tappa romana da Risma Bookshop. Un mondo nuovo è un’antologia delle storie pubblicate da Reynolds tra la seconda metà degli anni ’80 e i primi anni ’90, compresa la graphic novel Mauretania, che si era vista anche in Italia via Feltrinelli. Il libro, curato da Seth, è davvero incredibile e propone un mondo veramente “nuovo”, unico nel suo genere, misterioso, profondo, poetico. Se tutto va bene dovrei tornare sull’argomento in un prossimo post, ma intanto vi dico che se c’è un libro uscito in Italia quest’anno che dovete assolutamente comprare… beh, è questo.

Sniff di Fulvio Risuleo e Antonio Pronostico (Coconino) – E a proposito di Italia, quest’anno sono stati pubblicati diversi bei libri e uno di questi è senza alcun dubbio Sniff del duo Risuleo & Pronostico, che nel frattempo sono diventati anche amici miei. E quindi dico che il loro fumetto è bello perché sono amici miei o sono amici miei perché il loro fumetto è bello? In realtà nessuna delle due, e Sniff compare in questa lista per pieno merito, dato che fa tutto quello che un fumetto di autori esordienti o comunque “giovani” dovrebbe fare, ossia partire da un’idea forte e svilupparla fino alle estreme conseguenze, non addormentandosi sulla trovata iniziale ma lavorando sulla trama fino a costruire un finale solido, cosa davvero rara di questi tempi. E in più si tratta di un fumetto fumetto, cioè di un fumetto che non può essere nient’altro che se stesso, che lavora sulla forma e la piega alle sue esigenze. Davvero complimenti dunque agli autori e anche alla casa editrice per aver creduto nel progetto.

Italo di Vincenzo Filosa (Rizzoli Lizard) – E arriva sul finire dell’anno un’altra bomba italiana, ambientata tra Milano e la Calabria ma con il disegno che guarda come sempre al Giappone. Italo unisce la tradizione del fumetto nostrano alla Andrea Pazienza con i temi sociali ed esistenziali del gekiga, trascendendo il tema della dipendenza dalle droghe per arrivare alla denuncia sociale. La condizione di Italo, il suo precariato, le sue frustrazioni sono le stesse che si leggevano nei fumetti giapponesi di qualche decennio fa, da Yoshiharu Tsuge a Shin’ichi Abe, da Yoshikazu Ebisu a Seiichi Hayashi. E Filosa ha la stessa capacità dei suoi maestri nel rappresentare il suo alter ego con onestà, delineando una figura tutt’altro che accattivante – non a caso il sottotitolo del libro è Educazione di un reazionario – ma trattandola con umanità, senza ergersi al di sopra di essa. E i disegni, come in Figlio unico, sono di nuovo eccezionali.

Un ragazzo gentile di Shin’ichi Abe (Canicola) – E a proposito di Abe, e anche di Filosa dato che ha tradotto questo libro, eccoci a un altro grande recupero di Canicola dopo L’uomo senza talento di Yoshiharu Tsuge. Sicuramente più irregolare e meno misurato del suo predecessore, Abe è un autore che sa emozionare per la spontaneità con cui racconta la sua condizione di artista. Per qualche parola in più vi rimando a questa anteprima di qualche mese fa.

Sunday #2 di Olivier Schrauwen (Colorama) – Quando Sunday sarà completato verrà salutato come una pietra miliare del fumetto, facendo arrivare probabilmente Schrauwen agli occhi del pubblico di massa, magari anche in Italia. Nessuno ha mai raccontato la contemporaneità come lui, toccando anche argomenti spinosi (i social media, per esempio) senza mai scadere nel luogo comune o nel gioco fine a se stesso. Il fumettista belga sa divertire con intelligenza, strizza l’occhio al lettore ma riesce al tempo stesso a essere profondo, questa volta con una storia che indaga come poche il quotidiano di tutti noi (la serie si propone di raccontare un’intera domenica di Thibault Schrauwen, presunto cugino dell’autore) inserendolo al tempo stesso nel contesto in cui viviamo, tra accenni alla cronaca e riferimenti a una dimensione universale in cui agiscono le forze della natura. Ne viene fuori un incredibile viaggio nella psiche dell’uomo del XXI secolo. Da non perdere, e se non avete ancora letto il primo numero (che compariva, nella sua prima versione autoprodotta, nel mio Best Of 2017), vi segnalo che l’ho scelto come fumetto inaugurale del Just Indie Comics Buyers Club 2020.

Bradley of Him di Connor Willumsen (Koyama) – Ed eccolo qui l’ultimo arrivato, la lettura di fine anno che però entra dritta dritta in questa classifica. Willumsen è il canadese che non annoia, ideale per chi come me si è stufato delle trovate finto-brillanti ma in realtà stantie dei vari DeForge, Jacobs e compagnia. E il bello è che il nostro Connor scherza con il fuoco, ossia con i riferimenti pop di cui avremmo piene le tasche, realizzando un fumetto tutto ambientato a Las Vegas con protagonista un certo Murray che forse però non è Murray ma sì certo che è Murray o forse no è Bradley Cooper anche se in realtà va in giro vestito come Lance Armstrong e gioca alle slot di Una notte da leoni. Insomma, nella migliore delle ipotesi l’identità è fluida, proprio come sono fluidi i disegni, che dimenticano ancora una volta la suddivisione in vignette e puntano tutto – cosa senz’altro piacevole in questo mondo digitale – sulla linea e sul bianco e nero (e grigio). Ne viene fuori un fumetto contemporaneo e classico al tempo stesso, non così indecifrabile come sembra ma comunque stimolante, divertente, inquietante e splendidamente disegnato.

Just Indie Comics Buyers Club 2020

Quinta edizione! Nuovi bellissimi fumetti! Primo invio con Sunday #1 di Olivier Schrauwen e Code 3;5: Burnout! di Lale Westvind pubblicati da Colorama! Sì, stiamo parlando del Just Indie Comics Buyers Club 2020, c’è scritto anche nel titolo! Ok ok, ho finito con i punti esclamativi e con l’entusiasmo gratuito… E arrivo al dunque, dicendovi che come ogni anno torna l’appuntamento con l’abbonamento di Just Indie Comics, che permette di ricevere i fumetti del negozio on line. La formula è la solita ma per chi non la conosce copio e incollo quanto scritto in passato, magari ricordandomi di cambiare le date. Chi aderirà entro il prossimo giovedì 9 gennaio riceverà uno o due fumetti ogni tre mesi, a seconda della tipologia di abbonamento scelto, e avrà inoltre diritto a uno sconto del 10% su tutto il materiale acquistato dal sito e ai festival nel corso del 2020. La prima spedizione sarà a fine gennaio, le successive ad aprile, luglio e ottobre. I fumetti saranno per lo più americani, a volte europei, ma sempre e comunque in lingua inglese.

Come accennato, esistono due soluzioni per aderire al Just Indie Comics Buyers Club. La prima, quella più economica, costa 45 euro e dà diritto a ricevere un albo a trimestre, spese di spedizione tramite piego di libro ordinario incluse. La seconda, che invece è la versione estesa dell’abbonamento, consentirà di avere in ogni invio due fumetti, per un totale di otto albi annui, e costa 75 euro, con la spedizione sempre inclusa. Se invece della spedizione ordinaria preferite quella tracciata dovete aggiungerla nello shop on line, ovviamente con un inevitabile sovrapprezzo.

Si comincia con due autori a me molto cari, Olivier Schrauwen e Lale Westvind, ossia il meglio del meglio del fumetto internazionale. Sunday #1 era già finito nel mio Best Of 2017 nella versione autoprodotta dall’autore belga. Immediatamente esaurito in quella sua prima incarnazione, è stato di recente ristampato dalla berlinese Colorama, che ha fatto uscire anche il secondo numero, presto disponibile anche nel webshop di Just Indie Comics. La storia è presto detta, nel senso che con questo fumetto seriale l’autore di Parallel Lives (qui la mia recensione) si è proposto di raccontare minuto per minuto una domenica del suo fantomatico cugino Thibault. Per la cronaca, il primo numero si sofferma nelle sue 60 pagine nella fascia oraria dalle 8.15 alle 10.15 di mattina. Code 3;5: Burnout! è invece il nuovo ipercinetico fumetto della scatenata Lale Westvind, su cui più e più volte ho espresso il mio apprezzamento da queste parti per le sue atmosfere tra la fantascienza più evoluta, l’azione e una dimensione filosofica capace di diventare trascendentale. I suoi sono fumetti disegnati benissimo, potenti, profondi, a volte misteriosi, in una parola unici. Entrambi gli albi sono stampati artigianalmente dai berlinesi di Colorama, tutti in risograph, e al di là del valore contenutistico sono anche degli oggetti belli da guardare. E come sempre, se qualcuno di voi ha già uno di questi albi, può segnalare la cosa e ricevere così altri fumetti.

Nelle spedizioni successive un fumetto sarà uguale per tutti e verrà come sempre annunciato e presentato sul sito, mentre il secondo fumetto dei sottoscrittori Large potrà variare da abbonato ad abbonato. Potrete trovare degli spillati di piccolo o grande formato, volumi, volumetti, graphic novel, antologie, tabloid e così via, autoprodotti o pubblicati da case editrici più o meno piccole. Per farvi capire qual è il materiale che vi aspetta se entrerete nel club, ecco il dettaglio dei fumetti inviati nel 2019, con tanto di autori e case editrici: š! #33 di autori vari (kuš!), Living Room di Chris Kohler (O Panda Gordo), Angloid di Alex Graham (Kilgore Books) Apartment #3 di Pascal Girard (Spit and a Half) All Time Comics Zerosis Deathscape #0 di Josh Bayer e Josh Simmons (Floating World), Glut magazine di Anya Davidson, Thomas Toye, Jonathan Chandler, Lale Westvind, Lane Milburn (Secret Prison), Smoke Signal #32 Cowboy Henk (Desert Island), Ranchero di Mike Taylor (autoprodotto), Faceman di Clara Bessijelle (Domino Books), The Inspector di Liam Cobb (Breakdown Press), Rough Age di Max de Radiguès (One Percent Press), Blammo #10 di Noah Van Sciver (Kilgore Books), Goiter #2 di Josh Pettinger (autoprodotto).

Come potete vedere, si tratta più che altro di piccole edizioni, spesso di case editrici che non hanno distribuzione europea, e a volte addirittura di autoproduzioni che arrivano direttamente dal singolo fumettista. Il materiale è quindi di difficile reperibilità e se lo ordinaste individualmente dai vari produttori vi costerebbe un occhio della testa in spese di spedizione, dogana, ecc. ecc. Il Buyers Club serve appunto per fare “gruppo d’acquisto” e ordinare le cose tutti insieme, risparmiando sui costi e provando ovviamente – attraverso un paziente lavoro di ricerca – a tenere sempre alta la bandiera della qualità. Dunque non sventolate bandiera bianca e abbonatevi entro il 9 gennaio cliccando sul link qui sotto. E per qualsiasi altra richiesta, informazione ecc. scrivete a justindiecomics [at] gmail [dot] com e vedremo il da farsi. Ciao!

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Wow, è uscito “Rusty Brown”

Attualità e notizie, che passione. E quindi come non ricorrere al nero su bianco per ricordare a tutti che è uscito il nuovo libro di Chris Ware? E che lo stesso verrà pubblicato in Italia da Coconino nei primi mesi del 2020? Fin qui tutto ok, insomma, sono notizie che sapevate più o meno tutti, ma andiamo un po’ più nel dettaglio per vedere cosa contiene questo librone di 352 pagine pubblicato nel solito formato orizzontale già utilizzato per Jimmy Corrigan. A me è arrivato proprio in contemporanea all’uscita ufficiale di fine settembre ma ho dovuto aspettare di avere un po’ di tempo libero per mettermi lì e leggerlo, se non proprio tutto d’un fiato, in due sessioni da più di due ore l’una. Quindi, in attesa dell’edizione italiana, cominciate a tenervi un paio di sere libere per gustarvi questa pietra miliare. Perché di ciò si tratta, mi sembra quasi scontato dirlo ma diciamolo comunque che non si sa mai.

Entrando più nello specifico, Rusty Brown è in realtà costituito in gran parte da materiale già uscito su riviste e settimanali (per lo più sul Chicago Reader) e poi ristampato con qualche modifica su vari numeri di Acme Novelty Library. E a questo punto vediamo cosa era già stato pubblicato e dove, cominciando da…

Acme Novelty Library #16 – Il primo capitolo di Rusty Brown è ambientato a metà degli anni ’70 e presenta il cast della storia, con una particolare attenzione al personaggio eponimo. Ormai celebre la sequenza iniziale sui fiocchi di neve, una sorta di introduzione “filosofica” a ciò che vedremo svilupparsi nel corso del racconto. Per il resto tutto ruota intorno alla famiglia e alla scuola frequentata dal protagonista, situata a Omaha, in Nebraska, città natale di Ware.

Acme Novelty Library #17 – Come nel volume precedente, l’ambientazione è di nuovo interamente scolastica. Seguiamo così le vicende di Rusty ma anche del padre (e professore) W.K. “Woody” Brown, degli studenti Alison White, Chalky White e Jason Lint, degli insegnanti Joanna Cole e… Franklin Christenson Ware nei panni di Mr. Ware.

Acme Novelty Library #19: dopo la parentesi del #18, che conteneva il nucleo di Building Stories, con questa uscita datata 2008 Ware riprende Rusty Brown cominciando a concentrarsi sul passato dei suoi personaggi. Si inizia con Woody, il padre di Rusty, di cui scopriamo le prime esperienze sentimentali/sessuali fino all’incontro con la moglie. Si trova qui la celebre storia di fantascienza ambientata su Marte, nient’altro che l’adattamento a fumetti di un racconto scritto dal nostro Woody negli anni ’50.

Acme Novelty Library #20: Ware amplia ulteriormente le dimensioni del plot con un intero volume dedicato a Jordan “Jason” Lint, raccontando la storia – dalla nascita fino alla morte – di un qualunque uomo d’affari americano, ricco, viziato, arrogante: una figura senz’altro atipica nella poetica dell’autore, abituato a confrontarsi con personaggi pensierosi, introversi, asociali. E tra una cosa e l’altra si arriva anche ai giorni nostri, fino a toccare il futuro prossimo.

Oltre al materiale citato fin qui, Rusty Brown contiene un nuovo capitolo dedicato a Joanna Cole, di ben 87 pagine, di cui 83 inedite e mai viste altrove (soltanto le prime 4 tavole erano state anticipate nel librone celebrativo dei 25 anni di Drawn & Quarterly). Ebbene, cosa c’è in queste nuove pagine? Beh, spero di non deludervi ma vi dico subito quello che non c’è, ovvero la conclusione della storia, dato che il volume si chiude non con uno scontato “The End” ma con una doppia splash page su cui campeggia imponente la scritta “Intermission”. D’altronde potevano bastare “soli” 19 anni (Ware ha iniziato a disegnare Rusty Brown nel 2000) per chiudere tutte le trame aperte finora? La risposta è ovviamente no e anzi leggendo Joanna Cole si capisce che alcune rivelazioni, qui solamente accennate, devono ancora esplodere del tutto, come se queste 352 pagine fossero soltanto una lunga introduzione…

Nel frattempo ci possiamo godere questo materiale nuovo di zecca, che racconta le vicende della donna protagonista non in ordine cronologico come accadeva in Lint ma con un’attitudine che possiamo definire – ancora una volta – post-moderna e con un uso impressionante di tutti i mezzi del fumetto, dalla costruzione della tavola alla limpidezza di una scrittura più letteraria della letteratura stessa, dalla contrapposizione tra immagine e testo fino al solito impressionante uso della prospettiva. Ne viene fuori un ritratto di donna complesso e sfaccettato, in poche parole autentico, che per ora accenna soltanto all’evento che sembra essere il vero centro drammatico della vita di Joanna e che si ricollega a uno dei temi principali del racconto – e se sarà IL tema lo scopriremo soltanto nella seconda parte – ossia le derive della mascolinità e della sessualità maschile, nel senso peggiore del termine, e anche nel senso lato delle derive della società americana. La cura dei dettagli è sempre minuziosa, e ci ricorda – se ce ne fosse ancora bisogno – che il perfezionismo di Ware non è segno di affettazione o leziosità ma anzi una caratteristica così pronunciata da renderlo di rottura ben più di altri autori apparentemente “alternativi”. E, almeno per quanto mi riguarda, la sua ormai peculiare eleganza formale non è nemmeno un limite alla componente emotiva della storia, fatta di personaggi e situazioni che continuano a risuonare profondamente nella mente e nel cuore del lettore.

Just Indie Comics a BilBOlbul

Tornano nella Biblioteca Salaborsa di Bologna i fumetti di Just Indie Comics, grazie alla disponibilità di Hamelin e di Delebile, che hanno deciso di ospitarci nuovamente nello spazio dedicato all’editoria internazionale e alle autoproduzioni. Ecco dunque che sarà possibile trovare nei giorni del festival, dal 29 novembre all’1 dicembre, una selezione di fumetti quasi totalmente nord-americani fatta appositamente per BilBOlbul. Non ci sarà dunque soltanto il materiale che trovate abitualmente nel webshop, ma anche altre proposte più o meno recenti. Tra un incontro con Chris Reynolds e una mostra di Yvan Alagbé, insomma, fate anche un salto al bookshop del festival per dare un’occhiata al tavolo in questione, dove troverete per esempio Pierrot Alterations di C.F. e Anti-Gone di Connor Willumsen, qualche numero della fanzine Bubbles, un paio di volumetti di Sam Alden, il nuovo mini di Daryl Seitchik Dear Missy (di cui sarà disponibile anche il volume Exits), l’ultimo numero della fanzine Mineshaft, due spillati non nuovissimi ma mai distribuiti prima in Italia dell’autrice di Angloid Alex Graham (Thems e Going to Heaven), Old Ground di Noel Freibert, la serie All Time Comics Zerosis Deathscape e poi fumetti di Yuichi Yokoyama, Brecth Evens, Matthew Thurber, Anna Haifisch e tanti altri. Impossibile citare tutto perché la lista è lunga, dunque l’invito è di andare lì e curiosare, sfogliare e scegliere ciò che più vi piace. Buon festival e buona lettura.

Apre a Roma Risma Bookshop

Nasce a Roma una nuova libreria, un posto dove potrete trovare fumetti, libri, albi illustrati, serigrafie, poster, magliette, stampe, gadget e… una selezione del catalogo di Just Indie Comics. Dopo essere nato come blog su Blogspot nel 2013, essere passato a un dominio tutto suo, aver aperto un webshop e alla fine essere arrivato anche nel mondo reale con i banchetti ai vari festival di fumetto indipendente e simili, Just Indie Comics trova infine un suo spazio in pianta stabile. La libreria che ci ospita si chiama Risma, è curata da Serena Dovì, e inaugura venerdì 22 novembre alle ore 18 in via Dulceri 51, al Pigneto. A partire dal 23 novembre sarà poi regolarmente aperta dal martedì al sabato con orari 10-13 e 16-20.

Aprire una libreria oggi sembra una scelta coraggiosa, anzi quasi folle, e quando lo dici la gente spesso sgrana gli occhi. Ma Risma nasce in un quartiere già educato a certi contenuti, dove il fermento culturale non manca, e si propone inoltre come uno spazio “diverso”, in cui si potranno trovare non solo l’ultimo libro di Gipi o il più recente romanzo di Jonathan Lethem, ma anche tutto il catalogo Hollow Press, le fanzine di Bolo Paper, piccole etichette italiane come De Press e Muscles, le serigrafie di Jesse Jacobs e Igor Hofbauer, le cassette e le vhs di This is Not a Love Song, e chi più ne ha più ne metta.

Ma venendo a noi, cosa potrete trovare all’inaugurazione di Risma con il “marchio” Just Indie Comics? Un bel po’ di cose a dire il vero, difficile elencarle tutte, e quindi meglio sparare un po’ di nomi e di titoli caso, come per esempio Matthew Thurber (Art Comic), C.F. (Pierrot Alterations), Gabrielle Bell (Everything is Flammable), Simon Hanselmann (Worst Behaviour, Performance) Gabriel Corbera (Days Longer Than Long Pork Sausages), Liam Cobb (The Prince), Yuichi Yokoyama (Iceland), Brian Chippendale (Puke Force), Tara Booth (D.U.I), Cole Johnson (Of Course), August Lipp (Roopert). Oppure potrei dire che troverete libri di editori stranieri come Fantagraphics, Drawn & Quarterly, Koyama Press, Retrofit Comics, kuš!, Uncivilized Books, Revival House Press, Colorama, Anthology Editions, O Panda Gordo e via dicendo, oltre a qualche autoproduzione qua e là. E ovviamente il catalogo è in via di espansione. Insomma, se siete a Roma venerdì 22 veniteci a trovare e intanto gustatevi questa foto in anteprima. E per altre informazioni vi rimando all’evento dell’inaugurazione, mentre per rimanere sempre aggiornati sulle novità in arrivo potete seguire le pagine Facebook e Instagram di Risma.

Jason torna sugli scaffali d’Italia

Il titolo così, un po’ da ultim’ora, riflette il nuovo approccio che vorrei dare a questo sito: brevi notizie, segnalazioni, spunti più che veri approfondimenti, tanto ormai ho accettato di non avere quasi mai il tempo (e nemmeno la voglia, diciamolo) di criticare, analizzare, sviscerare. E come i più attenti di voi avranno notato, non a caso le sezioni News e Recensioni si sono unite in un’unica categoria chiamata appunto Attualità. E l’attualità ci impone di dire che Jason torna finalmente nel Bel Paese, dopo essere stato pubblicato anni fa dalla compianta Black Velvet, che fece uscire Ehi, aspetta…, Non puoi arrivarci da qui e Sshhhh!. A riportarlo dalle nostre parti, anche fisicamente dato che era ospite a Lucca Comics & Games, è la 001 Edizioni, per cui esce questo Ho ucciso Adolf Hitler e altre storie d’amore, raccolta in un unico volume lungo 156 pagine di tre mini-graphic novel edite da Fantagraphics, ossia Why Are You Doing This?, Werewolves of Montpellier e appunto I Killed Adolf Hitler. Ne viene fuori un libro che mescola e rilegge in maniera del tutto autoctona generi diversi, dal thriller alla fantascienza, dal mistery fino alla commedia romantica, ricco di riferimenti cinematografici, di tributi alla storia del fumetto e anche di momenti di assoluta malinconia.

Jason è norvegese, vive in Francia (a Montpellier, appunto) e ha trovato fortuna soprattutto negli Usa, dove Fantagraphics ha tutti i suoi libri in catalogo. Maestro della narrazione disegnata, abile anche nel fumetto muto, riesce a essere divertente e profondo, fruibile da tutti e raffinato, semplice e geniale. E’ proprio la finta semplicità il segreto del suo successo, oltre a trame originali in cui il gusto per il paradosso e un umorismo all’inglese (deadpan humor, direbbero gli americani, in modo secondo me ancora più azzeccato) conquistano, divertono, fanno sognare. Soprattutto in questo libro il tono è leggero, da commedia d’altri tempi, lontano per esempio dal dramma di opere precedenti come Ehi, aspetta… Fare una recensione di Ho ucciso Adolf Hitler e altre storie d’amore sarebbe davvero complesso, tante sarebbero le cose da dire, e per questo me lo risparmio volentieri. E con il tempo che guadagno me lo rileggo, consapevole che rimarrò di nuovo affascinato da quel sottofondo di malinconia, dall’impassibilità con cui i protagonisti accettano tragedie, morti, cambiamenti, e da personaggi antropomorfi che si travestono da lupi mannari rimanendo più o meno uguali a prima. Ma se poi esistessero veramente i lupi mannari?

Cartoline da Lucca: Emil Ferris

Tra i vari e numerosi ospiti di Lucca Comics ha avuto particolare risalto Emil Ferris, a cui il festival ha dedicato una bella mostra tutta incentrata su La mia cosa preferita sono i mostri, edito in Italia da Bao e vincitore del Gran Guinigi 2018 come miglior graphic novel (qui la recensione made in Just Indie Comics). La mostra, appunto: allestita grazie alla collaborazione della Galerie Martel di Parigi, dava nuova luce alle singole illustrazioni, che la Ferris ha realizzato inizialmente su diversi livelli per poi assemblarle insieme al testo nella tavola finita. Ricontestualizzati in questo modo, i disegni brillavano di luce propria, quasi assumevano nuovi significati, slegandosi dalla necessità di raccontare per farsi solo guardare. E la presenza di bozzetti, schizzi, studi di personaggi faceva il resto, dando forma a una mostra in cui non ci si limitava a riproporre gli originali di tavole stampate tali e quali sulla pagina ma in cui il disegno puro e semplice era assoluto protagonista.

Notevoli e approfonditi anche i testi di accompagnamento, nonché l’apparato iconografico che li decorava, in un susseguirsi di mostri, titoli da giornaletto horror e atmosfere da b-movie che riproducevano perfettamente l’atmosfera del libro.

La Ferris ha incontrato il pubblico giovedì 31 ottobre al Teatro del Giglio, in una chiacchierata sicuramente interessante ma a cui non ho potuto partecipare. Non ho invece perso l’incontro con la stampa in apertura di festival, mercoledì 30 ottobre, per fortuna intimo (una quindicina i giornalisti presenti) e dunque ancor più intrigante. Si è parlato della malattia che ha colpito l’artista causandole i noti problemi alla mano destra, del suo passato come toy designer, della tecnica di disegno, del secondo volume previsto per l’anno prossimo (ma scommetto che si andrà a finire al 2021) e di molto altro.

Ho colto l’occasione per fare anch’io una domanda, chiedendo alla Ferris quanto consideri importante l’ambientazione per lo sviluppo della trama e in che cosa è diversa la Chicago di oggi dalla Chicago di fine anni ’60 rappresentata ne La mia cosa preferita sono i mostri. Questa la sua risposta: “Il libro è basato su Chicago, anzi, si può tranquillamente dire che Chicago è uno dei protagonisti del libro. In particolare negli anni ’60 la città era un polo di attrazione per una varietà di persone provenienti da tutto il paese. Ad Uptown vivevano nativi americani, ispanici, neri, addirittura indiani. Mi ricordo che una volta, quando ero bambina, venimmo invitati a casa di un amico e ci sedemmo a terra per mangiare il riso su grandi foglie, una cosa che mi ha cambiato completamente la vita. Per quanto riguarda la Chicago di oggi, è popolata come allora da persone che vengono da altri posti ma purtroppo, ed è una cosa che sta succedendo in tutto il mondo, c’è qualcuno lassù – e non mi riferisco a Dio – che cerca intenzionalmente di dividerci e ci fa credere che dobbiamo combattere gli uni con gli altri. E questo è davvero triste, perché preservare una cultura, conservare certe tradizioni, non significa odiare gli altri. Tornando alla domanda, Chicago non è diversa dal resto del mondo, anche lì ci hanno abituati a vivere separati, non uniti. Ma Chicago è forte e Trump ci odia per questo motivo, perché siamo davvero cazzuti”.