“Drawn Onward” di Matt Madden
Drawn Onward è un comic book di Matt Madden pubblicato inizialmente come 182esimo numero della rivista One Story nel novembre 2013 e ristampato qualche mese fa da Retrofit Comics. Una donna incontra nei sotterranei della metropolitana uno sconosciuto, che ogni volta sembra riconoscerla tanto da implorare la sua attenzione e da dirle che non può vivere senza di lei. Detta così la storia potrebbe sembrare un mystery, costruito sul misterioso legame tra i due personaggi. In realtà Drawn Onward non è un fumetto incentrato sul plot ma sulla forma. Madden, che ai lettori italiani sarà familiare soprattutto per Esercizi di stile. 99 modi di raccontare una storia pubblicato da Black Velvet, realizza qui il suo ennesimo saggio in forma di fiction. D’altronde le sue opere sono spesso esperimenti che analizzano le strutture del fumetto e questo suo approccio alla narrativa disegnata ha trovato ancora più sfogo da quando il cartoonist statunitense si è trasferito ad Angoulême con la moglie Jessica Abel. Così, quando la protagonista comincia a ricambiare le attenzioni dello sconosciuto, il loro interesse diventa reciproco e sfocia nel bacio che occupa le pagine centrali dell’albo. Subito dopo, la prospettiva si ribalta. Ora è la donna a cercare l’uomo, che dal canto suo inizia a ignorarla e pian piano a respingerla. Ogni tavola della seconda metà del comic book diventa così speculare alla tavola corrispondente della prima parte, in un gioco di rimandi che ribalta i ruoli e trasforma quello che sembrava inizialmente un thriller in un sottile gioco da Settimana Enigmistica. L’alternarsi studiato di tavole disegnate con uno stile pulito e leggero e di altre caratterizzate da linee corpose fa il resto, rendendo a tutti gli effetti Drawn Onward un fumetto incentrato sulla struttura più che sulla narrazione.
Nella versione originale la storia usciva con il sottotitolo di “star-crossed comic”, evidenziando il rapporto maledetto dal destino che lega i due protagonisti, mentre la nuova edizione è stata presentata come un fumetto palindromo. Tra le due definizioni la seconda è vera soltanto in parte, perché le pagine di apertura e chiusura contestualizzano la lettura e la rendono pienamente comprensibile soltanto se fatta “in avanti”, come suggerisce il titolo. Risulta invece azzeccatissima la definizione originale, dato che Drawn Onward si fa apprezzare più che per la dimensione formale – sinceramente un po’ fine a se stessa e neanche troppo originale – per il suo significato di parabola sui rapporti sentimentali, mostrando come a volte la sintonia duri soltanto per lo spazio di un bacio, dato tra le pagine centrali di un fumetto.
Drawn Onward è disponibile qui nel negozio di Just Indie Comics.
Drawing in the sky – Un’intervista con Mardou
Ho scoperto i fumetti di Sacha Mardou (in arte solo Mardou) con il secondo numero di Sky In Stereo, pubblicato da Yam Books dopo l’esordio autoprodotto. Quel mini-comic conteneva la scena in cui la protagonista prendeva l’acido e cominciava a vedere strani segni nel cielo, iniziando un vagabondaggio quasi liberatorio per le strade di Manchester, Inghilterra, dove era ambientato il fumetto e dove è cresciuta l’autrice. Quel momento così libero, quella fuga, quell’assolo proposto con tanta abilità da Mardou mi fece capire che avevo davanti agli occhi un talento cristallino. La lettura del primo numero mi confermò quell’impressione: le vicende di Iris erano raccontate con un’abilità nella costruzione dei dialoghi, una leggerezza e una scorrevolezza difficili da trovare altrove, soprattutto se si tiene conto che dietro a quella leggerezza si nascondevano temi importanti come amore (soprattutto per il collega di fast-food Glenn), droga (dall’ecstasy agli acidi fino all’eroina) e adesso anche religione. Dico “adesso” perché Sky In Stereo sta finalmente tornando in pista, ma non con il terzo numero che ci potevamo aspettare, quanto con un’edizione definitiva in due volumi pubblicati da Revival House Press. Il primo esce in questi giorni e contiene un lungo prologo inedito, i due mini-comics e quello che doveva essere il terzo numero, per un totale di 182 pagine. L’ho letto in anteprima e ne ho parlato con l’autrice.
Ciao Sacha, dato che questa intervista è in qualche modo un’anteprima del vol.1 di Sky In Stereo, lascerei a te l’onore di introdurre il libro a chi non lo conosce.
Ciao Gabriele, Sky In Stereo è un graphic novel in due parti che parla di un’adolescente chiamata Iris, del suo lavoro schifoso, della sua vita scolastica e infine del suo esaurimento nervoso. Sembra deprimente ma non lo è. Ci sono diversi momenti positivi lungo il percorso.
La prima cosa che mi viene in mente parlando di Sky In Stereo è che diversi elementi possono sembrare autobiografici, a partire dal fatto che la storia è ambientata a Manchester, in Inghilterra, dove sei nata e cresciuta. Ma al di là del sapere quanto c’è di autobiografico nelle vicende di Iris, a me piacerebbe chiederti se il materiale di Sky In Stereo parte da qualcosa che hai scritto o disegnato durante gli anni del college, per esempio un diario o uno sketchbook, perché alcune parti sono veramente accurate e realistiche.
No, non tenevo un diario a quei tempi. Molti degli eventi più importanti sono tratti dalla mia vita, ma ho fatto la scelta di trasformarli in fiction. Inoltre questo materiale guarda parecchio indietro, a più di venti anni fa. Non posso ricordare conversazioni fatte all’epoca, e così diventa invenzione. La fiction mi ha dato molta più libertà nell’esplorare da una prospettiva diversa gli aspetti più complicati della vita reale, comprimendoli in qualcosa di più semplice, una storia che inizia e finisce.
Molti personaggi sono inventati, come per esempio Doug, il patrigno di Iris. Mia madre era sposata con un tipo, ma era molto diverso da Doug. Mi piace molto quel personaggio in realtà, è stato divertente scriverlo e i continui battibecchi tra lui e la mamma di Iris aiutano a rivelare i motivi delle decisioni di Iris nella storia. Mia mamma è una Testimone di Geova nella vita reale, ma non è come Gina. Gina è abbastanza devota e conservatrice, l’ho descritta così per renderla funzionale alla storia. Mia mamma invece è adorabile e ho un rapporto molto stretto con lei. L’ho sempre avuto.
Sono contenta che la storia sembri vera comunque, mi piace l’idea che la gente ci si possa riconoscere.
Sì, tutta la storia sembra reale e alcune parti sono molto vivide, penso per esempio alla rottura tra Iris e John, che ha una dimensione emotiva molto forte…
Grazie. Penso che crescendo dimentichiamo quanto è intenso l’amore da giovani. Lì ho cercato proprio di catturare l’intensità e la futilità di quel sentimento.
Questa prima parte, in cui esplori l’ambiente familiare e l’educazione religiosa di Iris, è inedita, infatti Sky In Stereo #1 si apriva con quello che adesso è il secondo capitolo, quando Iris è in macchina con le amiche prima di entrare in un locale. Come ti è venuta l’idea di realizzare questa specie di prequel?
Ho sempre avuto l’intenzione di raccontare la storia dall’inizio, ma quando ho disegnato i mini-comics ho pensato che sarebbe stato più interessante cominciare direttamente nel mezzo dell’azione. Nel secondo libro (ho già le bozze pronte e lo disegnerò e inchiostrerò in autunno), il tema religioso tornerà nel periodo trascorso da Iris all’ospedale psichiatrico. Il manoscritto originale era molto più voluminoso e andava anche più indietro, a quando Iris aveva sette anni e i sui genitori stavano divorziando. La storia com’è adesso è venuta fuori durante l’editing. Ho tagliato due interi capitoli di circa 100 pagine totali, di cui avevo già fatto le bozze e che mi piacevano molto. “Evvai, almeno non devo disegnare tutta questa roba!”. E penso che alla fine il libro sia venuto meglio così.
A questo proposito un momento importante è quando Iris scopre L’età della ragione di Sartre e le sue certezze religiose vengono meno, mi ci sono ritrovato molto in quella parte, dato che a parecchie persone è capitato, intorno ai 14-15 anni, di mettere in discussione gli insegnamenti tramandati dalla famiglia e dalla società dopo essersi avvicinato a certi romanzi o testi filosofici.
Sì, ho letto un libro veramente importante per me, Confessions of a Teenage Jesus Jerk di Tony Du Shane ed è esattamente quello che succede a lui: dopo aver letto un libro dalla cattiva reputazione ha cominciato a mettere in discussione la sua famiglia di Testimoni di Geova. A dire il vero ho letto il libro dopo aver scritto Sky In Stereo, ma l’ho trovato molto vicino.
Un’altra scena centrale è quella in cui Iris prende l’acido, non a caso le sue visioni del cielo danno il titolo al libro. All’inizio è fatta, felice, esaltata, ma con il passare del tempo è come se questa esperienza le abbia dato non solo “buone vibrazioni” ma anche una nuova consapevolezza, come se l’acido le avesse mostrato la strada per lasciare da parte la sua insicurezza…
E’ come si sente il giorno dopo, si sente speciale e positiva. Ma poi nei giorni seguenti non ha dormito né mangiato… La fiducia in se stessi quando è euforica non dura. Non può durare.
E infatti questo apre la strada al suo esaurimento, che sarà il tema del secondo volume…
Sì, il secondo volume avrà le stesse pagine del primo e vedrà Iris rinchiusa durante l’estate. C’è un estratto di tre pagine alla fine di questo libro che dà l’idea di cosa succederà. Per certi versi mi sono lasciata influenzare da La campana di vetro di Sylvia Plath.
Iris ascolta un sacco di musica dei primi anni ‘90, ci sono riferimenti ai Pixies, ai Blur, ai Pavement, agli Orbital, al Nick Cave solista… Ma ci sono anche David Bowie e i Velvet Underground… Tu cosa ascoltavi al college?
Tutta questa roba, tranne gli Orbital. La techno e la dance ancora andavano forte a Manchester, anche se il boom c’era stato all’inizio degli anni ’90. Non sono mai stata coinvolta in quelle scene. La canzone dei Pulp Sorted For E’s & Wizz era molto realistica, non per me magari, ma vedevo quel tipo di cultura intorno a me. Mi ricordo di aver letto un’intervista a Nick Cave degli anni ’90 e lui raccontava di aver iniziato a fare a botte con qualcuno dopo aver provato l’ecstasy. Ahah, è lui il mio tipo!
E che mi dici degli Smiths? Non so se ti piacevano, ma ci sono alcuni momenti che potrebbero essere tratti da un testo di Morrissey, per esempio quando alla fine del primo capitolo Iris pensa “He was my first… Being young feels like a curse. All this time ahead of me… Blank and grey”. E sono di Manchester anche loro…
Erano in giro un po’ prima di me e non sono mai stata una fan. Le chitarre di Johnny Marr mi hanno sempre urtato i nervi. Mi piacciono i Joy Division e i New Order, che erano altri due gruppi importanti di Manchester. Quando ero al liceo andavano forte gli Happy Mondays e i James. Alla fine il fumetto è ambientato a Manchester, e la musica è in qualche modo strettamente legata alla città. Era un posto dove suonavano tante band e da lì sono nati grandissimi gruppi. E questo ha dato a questa città altrimenti poco importante un senso di se stessa.
E’ difficile da spiegare ma ho cercato di rendere la musica parte del tessuto del libro nello stesso modo il cui la musica è intrecciata alla cultura della città di Manchester.
Facendo un passo indietro, purtroppo ho conosciuto i tuoi lavori soltanto con gli albetti di Sky In Stereo, ma so che prima hai realizzato parecchi lavori, come Anais In Paris e Manhole. Ho visto on line qualche storia breve tratta dall’antologia tutta al femminile Whores of Mensa e sono molto diverse, si tratta di brevi racconti più estemporanei, mentre le tue ultime cose sono molto incentrate sulla narrazione. C’è qualche artista a cui ti ispiravi in modo particolare ai tempi di Whores of Mensa e come sei arrivata poi a sviluppare uno stile così narrativo?
Dan Clowes e Julie Doucet erano due delle mie fonti di ispirazioni. Ma erano entrambi degli artisti incredibili. Ho capito che la mia forza era la scrittura e così trovare uno stile grafico da mettere al servizio delle mie storie diventò il mio obiettivo di lungo termine. E lo è ancora!
In tal senso questa prima raccolta di Sky In Stereo segna una crescita dal punto di vista stilistico, mi sembra che le parti inedite poi siano più curate, come se con il passare del tempo il tuo stile stesse diventando più meticoloso…
Sono molto più a mio agio con il mio stile adesso, e penso che si veda. Scoprire il lavoro di Gabrielle Bell circa dieci anni fa è stato veramente importante per me. Non che io stia cercando di imitarla, ma c’è quella rassicurante sensazione di scorrevolezza nel suo disegno che mi ha davvero ispirato. E non si sforzava di disegnare, le bastava essere se stessa. Mi ha formato!
Inoltre penso di aver inconsapevolmente preso alcune cose da Ted May, mio marito. E’ un artista incredibilmente bravo, io non sono al suo livello. Ma stavo guardando al modo in cui disegno gli occhi adesso e ho capito che l’ho ripreso da Ted in tutto e per tutto.
Beh, siamo sposati quindi sono autorizzata, o almeno credo.
Beh, non credo che ti farà causa. Il paragone con Gabrielle Bell è perfetto, lei è una delle mie cartoonist preferite e sia le tue storie che quelle di Gabrielle sono scorrevoli, leggibili e mai noiose. Inoltre siete due artiste molto abili nel rendere il linguaggio del corpo…
Grazie, mi piace veramente tanto il suo lavoro, e poi ha avuto una vita così interessante. Hai notato che Gabrielle raramente usa i primi piani? Nella maggior parte delle sue vignette disegna figure intere o a tre quarti. Mi ricorda Ozu, i suoi film erano così.
Ok, siamo quasi alla fine dell’intervista e ne approfitto per chiederti se c’è qualcosa che ti è piaciuto davvero negli ultimi tempi, qualche fumetto oppure un romanzo o un film.
Everywhere Antennas di Julie Delporte è meraviglioso, l’ho adorato. E Paul Joins the Scouts di Michel Rabagliati è formidabile. Lui è uno scrittore e un cartoonist davvero bravo. Mi piace molto anche il lavoro di Melissa Mendes.
Ted sta lavorando al prossimo numero di Men’s Feelings e ne sto leggendo qualche pezzo quando mi avvicino di nascosto alla sua scrivania. E’ grandioso!
E per quanto riguarda la narrativa? Ho letto che hai studiato letteratura inglese al college, quindi sarei curioso di sapere se c’è qualche romanzo che hai apprezzato di recente o qualcosa a proposito dei tuoi autori preferiti.
Mi piace leggere tutto di un autore, partendo da qualsiasi cosa abbia scritto per passare poi alla sua biografia o autobiografia. Negli ultimi due anni ho letto tutta Doris Lessing, è probabilmente la mia persona preferita di sempre. O comunque è nella top five. Il suo libro Shikasta è diverso da qualsiasi cosa io abbia letto in precedenza.
Mi piace molto anche John Updike, alcuni lo hanno accusato di sessismo perché era un gran donnaiolo ma in realtà descriveva i suoi personaggi femminili in modo molto realistico. Cioè, se leggi le cose di Erica Jong scritte negli stessi anni i personaggi sembrano datati e stucchevoli. Invece le casalinghe di Updike sembrano reali e riescono a commuovere.
Leggo parecchi libri per bambini con mia figlia. Adoriamo la serie The Borrowers e in questo momento stiamo per finire i romanzi dei Moomins, Tove Jansson era grandiosa. Quei libri hanno ispirato i miei sogni. L’altra notte ho sognato un’altra volta tesori sommersi, quindi grazie Tove!
A proposito di sogni, in Italia abbiamo un famoso presentatore, Gigi Marzullo, che faceva un programma televisivo notturno in cui intervistava a lungo i suoi ospiti, spesso facendo domande abbastanza assurde. E una di queste era proprio “la vita è un sogno o i sogni aiutano a vivere meglio?”. Concludeva ogni intervista con la classica “si faccia una domanda e si dia una risposta”. Mi piacerebbe provare quest’ultima, che ne dici?
D- Hai visto qualcosa di fico di recente?
R- Ieri ho disturbato due coccinelle che si stavano accoppiando nel mio giardino. Stavo guardando le mie piante di cetriolo per vedere se ce n’era qualcuno pronto per essere colto e ho trovato questa coppia che si era appartata, si erano infilate in un angolo nascosto vicino a un cespuglio, coperte da una foglia. Una era giallognola con un sacco di macchie e la femmina era rossa con due chiazze. E mi è sembrata davvero una cosa fica.
Anteprima di “Largemouths” di Gabriel Delmas
Continuano i vagabondaggi della Hollow Press nei sotterranei internazionali e questa volta, dopo la puntata in Giappone di inizio anno con i libri di Tetsunori Tawaraya e Shintaro Kago, si torna nel vecchio continente con il francese Gabriel Delmas. In questo voluminoso tomo l’autore si ispira al quadro Saturno devorando a un hijo di Francisco Goya per raccontare una storia di violenza primordiale, ambientata agli albori del pianeta terra. Protagonisti i Largemouths, minacciosi giganti che nell’immaginario del cartoonist, pittore, fotografo e videoartista francese dominavano i continenti e se ne contendevano il predominio, mentre l’uomo muoveva i primi passi ed entità misteriose davano vita alle prime forme d’arte. Senza fare uso di parole, Delmas racconta una storia che si preannuncia potente, inquietante e a suo modo poetica.
Largemouths è edito da Hollow Press ed è un volume di 688 pagine in bianco e nero, formato 16 x 21,5 cm, stampato in 500 copie e venduto al prezzo di 29 euro. Esce il 15 settembre ma fino a domenica 13 c’è tempo per pre-ordinarlo con il 15% di sconto. La casa editrice di Michele Nitri mette a disposizione anche alcuni originali di Delmas e una stampa in edizione limitata che riproduce la copertina, firmata dall’autore.
Di seguito trovate in anteprima alcune pagine dell’interno del libro. Buona visione.
Nasce lo shop di Just Indie Comics
Dopo averci pensato a lungo, mi sono finalmente deciso a inaugurare un negozio online legato al sito, dove troverete grosso modo i fumetti di cui scrivo su queste pagine. Dico “grosso modo” perché non ci sarà un legame diretto tra i fumetti di cui parlo e quelli in vendita, anzi capiterà di frequente che troverete nel negozio fumetti che non ho trattato e viceversa. Questo anche per chiarire che Just Indie Comics non perderà la sua dimensione informativa e critica, anche se di “critica” vera ne ho fatta sempre poca, dato che tendo a parlare per lo più dei fumetti che mi sono piaciuti e che mi sento di consigliare. Tra l’altro uno degli scopi di questa iniziativa è proprio quello di potenziare i contenuti critici e informativi, aumentando soprattutto il volume di recensioni grazie ai rapporti sempre più stretti che sto portando avanti con artisti, editori e distributori.
Ma cosa potrete trovare in questo negozio? Per la gran parte si tratterà di materiale proveniente da oltreoceano, dato che la scena nord-americana è quella di cui più mi occupo da queste parti, non a caso ho chiamato il sito “Just Indie Comics”. Si tratta di fumetti per lo più introvabili in Europa, che gli appassionati dovevano finora ordinare via posta sobbarcandosi spese di spedizione sempre più proibitive, spesso con l’aggravio delle tariffe doganali. Qui invece avrete la possibilità di ordinare tutti i fumetti che volete potendo usufruire, almeno per ora, di una spedizione per l’Italia a tariffa fissa di 5 euro con piego di libri raccomandato. Per i paesi dell’Unione Europea e il resto del mondo le spese dipendono invece dalla quantità di fumetti ordinati. Per quanto riguarda invece i prezzi degli albi, cerco di mantenerli bassi anche se non è facile tenendo conto che quando ordino il materiale devo pagare anche le spese di spedizione e a volte la dogana. Comunque, come detto, faccio il possibile.
Date dunque un’occhiata alla prima infornata di fumetti, che comprende gli ultimi tre numeri dell’antologia monografica Frontier, realizzati da Emily Carroll, Jillian Tamaki e Anna Deflorian, le ultime due uscite dell’inglese Breakdown Press a firma Michael DeForge e Antoine Cossé (di cui trovate anche Harold edito da Retrofit Comics), qualche fumetto di autori ben noti ai lettori affezionati di questo sito (Noah Van Sciver, Sam Alden, Malachi Ward), The Wild Kingdom di Kevin Huizenga a un prezzo d’eccezione, Night Animals del Brecht Evens visto in Italia con Gli amatori, Drawn Onward dell’altra vecchia conoscenza dell’editoria italiana Matt Madden, il numero della rivista francese Mon Lapin dedicato a Killoffer che include la collaborazione con Charles Burns, e altro ancora. Se vi interessa qualcosa affrettatevi perché in questa fase iniziale le quantità sono decisamente limitate. E per chi vuole essere sempre aggiornato sulle novità di volta in volta disponibili vi consiglio di mettere “mi piace” all’apposita pagina Facebook.
Definire uno stile: One Percent Press
Ci sono, e ancor più c’erano, etichette discografiche che definivano uno stile, accompagnando contenuti musicali classificabili in un genere specifico con una precisa estetica delle copertine e degli LP: un paio di esempi a me cari sono la Factory e la Sarah Records, ma se ne potrebbero citare tanti altri. Nel campo del fumetto, questo fenomeno non può certo esistere secondo gli stessi canoni, perché se nella musica è già difficile demarcare le linee tra un genere e l’altro, figuriamoci in una forma d’arte così articolata e complessa come la nostra. La distinzione classica che viene fatta nel fumetto statunitense è molto più generica e riguarda la suddivisione tra prodotti mainstream, legati economicamente al mondo delle corporation ed esteticamente a contenuti apprezzati dal grande pubblico, e quelli “indie”, che invece nascono fuori dalla produzione di massa. Va da sè che il mondo indie dovrebbe anche veicolare contenuti alternativi a quelli mainstream, cosa che ormai non è più vera perché etichette indipendenti come l’Image sono dei colossi che producono sì materiale diverso dai fumetti di supereroi della Marvel o della Dc, ma tutt’altro che rivoluzionario o anticonvenzionale. Ecco dunque che “indie” e “alternative” non sono più sinonimi, tanto che per cercare prodotti fuori dagli schemi bisogna per forza esplorare l’underground, intenso non più come genere nato negli anni ’60 e caratterizzato dalla satira dello status quo, dalla presenza di sesso, droghe e oscenità varie, ma letteralmente come un sottobosco di micro-produzioni che nella realtà nord-americana è sempre più florido e interessante.
Tra le tante piccole case editrici di cui ho parlato su Just Indie Comics, ce n’è una, la One Percent Press, che non solo pubblica fumetti senza preoccuparsi dell’eventuale riuscita commerciale, ma che ha anche il merito di fare le proprie cose secondo il modus operandi di un’etichetta discografica di altri tempi. E non a caso oltre a pubblicare e distribuire fumetti il marchio fondato nel 2004 da Stephen Floyd e JP Coovert pubblica e distribuisce anche LP e CD di band come Wooden Waves e Tin Armor, in uno spirito che prende pieno spunto dalla filosofia Do It Yourself. E questo con una certa continuità, dato che in questi dieci e passa anni i due hanno fatto uscire oltre 50 fumetti e 25 dischi.
A definire il sound dei fumetti made in One Percent Press non è né la confezione, diversa a seconda dei casi, né la linea pulita dei disegni, che eppure costituisce una costante. Il punto di contatto tra un’uscita e l’altra riguarda piuttosto la tematica, dato che la gran parte degli albi si propone come una rilettura del genere “romanzo di formazione”, esplorando le inquietudini di bambini e adolescenti oppure mostrandoci dei venti-trentenni che cercano ancora la loro strada nel mondo. In questo senso l’albo migliore per capire l’idea dietro a questo progetto editoriale è Salad Days di JP Coovert. Brandon arriva a Minneapolis per incontrare un vecchio amico e passare un weekend di “movies, videogames, and pizza”. Uno è costretto a indossare la cravatta per il lavoro di designer in una corporation, l’altro ancora non sa bene che tipo di carriera intraprendere, ma entrambi hanno ormai famiglia e non riescono più a dedicarsi alle loro passioni. Il ricordo dei tempi passati li spinge a uscire dalla solita routine, a fare qualcosa di diverso, tanto che si ritrovano inseguiti da una macchina della polizia.
Non so quanto di autobiografico ci sia dietro le linee spigolose e il tratto essenziale di Coovert, ma uno dei due personaggi potrebbe essere proprio l’autore, ansioso di rimanere fedele ai sogni dell’adolescenza, di coltivare le proprie passioni e di non diventare una persona come tante. D’altronde la storia della One Percent Press è più o meno questa, cioè quella di due ragazzi che si sono conosciuti a vent’anni e che vivendo sempre in città diverse (la sede dell’etichetta è attualmente tra Minneapolis e Buffalo) hanno creato questa micro-realtà per rimanere in contatto e fare qualcosa insieme. Per quanto riguarda il nome, One Percent Press si riferisce al fatto che soltanto l’1% della vita è veramente eccezionale, soltanto l’1% del cibo è buonissimo e solo l’1% dei fumetti e della musica è realmente degno di nota: un concetto che per ammissione dello stesso Stephen Floyd è da ventenni, da giovani che cercano la propria affermazione non tanto nel mondo, ma contro il mondo.
L’opera più rilevante uscita finora è la versione inglese de L’Âge Dur di Max de Radiguès, tradotta con il titolo Rough Age che purtroppo perde il bel gioco di parole dell’originale. Il contenuto però non cambia e così anche i lettori americani hanno potuto godersi in questo volumetto datato 2014 il materiale pubblicato dal cartoonist belga tra il 2009 e il 2010. Lo stile è apparentemente pulito ma sotto sotto nervoso, mostra delle deviazioni dai contorni rassicuranti della ligne claire, come se i tremolii del pennino riflettessero le inquietudini dei protagonisti, ragazzi in età scolastica che pensano soprattutto ai rapporti con l’altro sesso e che litigano, fanno a botte, copiano i compiti, sparlano gli uni degli altri. Una serie di storie si intrecciano tra loro con un susseguirsi continuo di personaggi, come Roman, che è preso di mira da un compagno e inventa una fidanzata immaginaria, oppure Gary, che sta con Louise ma è segretamente innamorato di Marc, o anche Ron, che viene lasciato dalla ragazza ma mostra un’aria da duro pur soffrendo in segreto. Con leggerezza ci si avvicina al finale, quando i ragazzi arrivano a posare per la fotografia di classe con i nasi rotti, i musi imbronciati, gli occhi neri dopo tutto quello che è successo nelle pagine del volume. Rough Age è per molti versi un classico fumetto franco-belga ma per l’aspetto minimalista si avvicina alle produzioni “indie” statunitensi: alla fine ne viene fuori una storia universale, che potrebbe raccontare le vicende dei bambini della gran parte del mondo occidentale.
L’albo della One Percent Press che più rappresenta il genere “romanzo di formazione” è però Immovable Objects di James Hindle, autore che finora conoscevo per la breve Yellow Plastic pubblicata sul quarto numero dell’antologia Irene (qui la mia recensione). E i punti in comune tra le due storie non mancano, dato che entrambe fanno ampio uso di didascalie a mò di voce fuori campo per raccontare un rapporto tra un ragazzo impacciato e una ragazza ben più sveglia di lui, sicura nei modi di fare ma comunque tormentata. Qui in particolare seguiamo le ordinarie avventure di Steven Price, un tipo “anonimo”, “cresciuto dalla madre in una casa perfettamente normale in una città di medie dimensioni nel New England”. Steven “ha ricevuto voti decenti a scuola ed è stato ammesso in un accettabile college privato soltanto a un’ora da dove è cresciuto”, un college che era “adeguatamente piccolo e senza pretese”. Isolato dai compagni di scuola, solitario e meditabondo nonché con il pensiero ricorrente rivolto a un padre che non ha mai conosciuto, Steven è inizialmente raffigurato seduto sulla panchina di un parco, da solo, mentre le foglie degli alberi gli si poggiano sulla spalla. Le cose cambiano quando incontra Caroline, una compagna di scuola con cui costruisce un rapporto confidenziale ma privo di ogni risvolto sessuale. Come succede spesso in questi casi, l’amicizia si sfalda quando entra in gioco una terza persona, un professore di disegno da cui Caroline è sempre più attratta. Le battute e i cenni di intesa lasciano spazio a gelosie e desideri repressi, così che Steven è costretto a superare il facile appiglio della relazione con la ragazza per guardare dentro se stesso, acquisire sicurezza e forse maturare.
Anche Hindle come i già citati Coovert e de Radiguès ha un tratto semplice e pulito, anche se più rotondo rispetto a quello dei colleghi. Al di là del disegno in se stesso, ciò che colpiscono in Immovable Objects sono le soluzioni grafiche, spesso ottenute con la contrapposizione del bianco, del nero e del verde chiaro. La madre di Steven è raffigurata attraverso una sagoma bianca con contorni neri, ma non è definita come i protagonisti, rimane un personaggio sullo sfondo. Anche la figura del padre è indefinita, ma questa volta è nera, ancora più misteriosa. E quando la vicenda arriva alla sua conclusione anche la figura di Steven è diventata indefinita, del verde chiaro che costituisce l’altro colore dell’albo. Il cerchio si è chiuso e anche il protagonista non è più nulla per noi. Eppure Hindle è riuscito a farcelo diventare familiare in 36 pagine, regalandoci una storia profonda e piena di sfumature.
Altri titoli recenti pubblicati dalla One Percent Press sono Hollow In The Hollows del canadese Dakota McFadzean, un racconto che vede protagonisti due bambini alle prese con oscuri presagi (ne avevo parlato l’anno scorso), e Present Tense dell’illustratrice e fotografa di Buffalo Emily Churco, che raccoglie storie di una pagina autobiografiche, tra momenti di riflessione e gag estemporanee. Le prossime novità sono attese per la Small Press Expo di Bethesda del 19-20 settembre, quando debutteranno la raccolta del Jeremiah di Cathy G. Johnson (tra l’altro vincitrice dell’Ignatz come miglior talento emergente proprio all’ultima SPX) e il ventesimo numero della serie Simple Routines di JP Coovert, oltre alla ristampa dell’esaurito The Aeronaut di Alexis Frederick-Frost, autore visto in Italia con il libro Avventure tra le nuvolette pubblicato da Proglo.
“mini kuš!” #34-37
Nuova serie di mini kuš!, tutti in uscita il 22 agosto insieme al 22esimo numero della più massiccia antologia, che questa volta ha scelto il “fashion” come tema. In attesa di vedere come i vari cartoonist hanno esaltato, deriso, reinventato il mondo della moda, vediamo adesso cosa ci riservano questi nuovi quattro albetti, tutti di 28 pagine a colori, spillati in formato A6 e stampati su una bella carta spessa e opaca.
Il 33esimo mini kuš! è appannaggio di Mikkel Sommer, artista danese classe ’87 che si è già fatto notare pubblicando in Francia per Casterman e in Inghilterra per Nobrow. Al debutto assoluto per l’editore lettone, Sommer tira fuori in Limonchik una storia quasi del tutto muta (ci sono solo 2 pagine su 24 con un accenno di testo) che immagina il ritorno sulla terra della cagnetta “lost in space” Laika, altrimenti nota proprio come Limonchik. I fulmini che escono dagli occhi dell’animale, già mostrati in copertina, preludono a una seconda parte dell’albetto piena di tempeste e distruzioni, in uno scenario apocalittico che alterna tavole su sfondo rosa ad altre blu scuro, in una giustapposizione tra giorno e notte, terra e spazio profondo. L’uomo è qui totalmente assente, ci sono solo un cane e una civiltà prima addormentata, poi devastata.
Se l’idea di Sommer è efficace ma al tempo stesso piuttosto semplice, lo statunitense Theo Ellsworth viaggia su coordinate più complesse e persino psichedeliche. Sarà che quando ho scoperto il mondo dei comics e dell’arte underground le sue cose erano un po’ dappertutto, ma io in questi giochi visionari che rimandano a riti di rinascita mentale e corporea rivedo sempre l’eco del nostro Matteo Guarnaccia, in questo caso mixato con l’altro americano Jim Woodring. Paragoni a parte, Ellsworth crea in queste pagine una storia totalmente muta ma che riesce al tempo stesso a essere divertente, inquietante e alla fine liberatoria.
Ma non fatevi incantare soltanto dalle atmosfere oniriche e dalle linee intrecciate di questo Birthday, perché l’autore di Capacity e di The Understanding Monster è un maestro anche nel disegnare volti umani ed espressioni, come la faccia disperata del protagonista nella prima pagina, il suo timore mentre accetta di sottoporsi al rito iniziatico a pag.4, l’incredulità quando capisce cosa gli sta succedendo nella sequenza finale.
Dato che non c’è due senza tre, anche Lai Tat Tat Wing non fa uso di parole nel suo mini-albo. L’artista di Hong Kong è presenza quasi fissa nelle antologie lettoni e non poteva mancare prima o poi un mini kuš! a lui interamente dedicato. Pages to Pages vede i due protagonisti senza volto ridere, litigare e poi infine inseguirsi, in un crescendo di situazioni degne di un cartone animato ma in cui non mancano elementi surrealisti. Sembro scemo se dico di vedere qua e là l’eco della Doom Patrol di Grant Morrison? Beh, forse sì, ma i libri che si aprono impazziti e le mani che piovono dal cielo possono suggerire questa improbabile analogia. Presente anche il tema metanarrativo del conflitto fra pagina disegnata e tecnologia, che trova degno compimento nella scena finale. A mio parere visto il tono della storia dei colori più incisivi non avrebbero guastato, ma probabilmente è solo una questione di gusti.
Chi sicuramente non ha fatto economia di colori sgargianti è il veterano del fumetto underground europeo Tommi Musturi, per cui il 2015 è un anno particolarmente importante, dato che a novembre uscirà la raccolta del suo The Book of Hope per Fantagraphics. L’albo si apre con una bionda signora intenta a bere un cocktail e fumare, fino a che qualcosa non le cade in testa… Non vi dirò di che si tratta, ma vi assicuro che è una scena che ben rappresenta l’astio del protagonista nei confronti del mondo intero, degno di un personaggio di Ivan Brunetti. Ma alla fine quest’uomo non è poi così terribile come sembra se sogna arcobaleni e unicorni e se si trova a ballare tutto nudo sulle note di Like a Virgin di Madonna… Al di là della trama, comunque divertente, il lavoro del cartoonist finlandese si esalta in alcune tavole geniali che uniscono inventiva e storytelling: si veda per esempio quella in cui inscena una serie di possibili suicidi per il suo protagonista o tutta la coloratissima sequenza onirica. Insieme a quello di Ellsworth, Snake in the Nose è il mini kuš! più riuscito di questa infornata estiva.
I quattro albetti sono già disponibili qui al prezzo di $6 l’uno incluse spese di spedizione.
Anteprima di “See You Next Tuesday” di Jane Mai
Jane Mai è una cartoonist di Brooklyn che alterna un tratto dalle eleganti linee manga a momenti di assoluta spontaneità, in cui le linee diventano poco controllate e tendono quasi allo scarabocchio. Ne vengono fuori diary comics capaci di comunicare al lettore un senso di immediatezza e spontaneità, incentrati su situazioni tratte dal quotidiano. Il tono è per lo più comico, ma tra le varie gag si insinuano momenti più profondi e altri persino disturbanti. Dopo Sunday in the Park with Boys, uscito nel 2012, Koyama Press pubblicherà una nuova raccolta dei fumetti della Mai, See You Next Tuesday, di cui potete leggere alcune pagine in anteprima. Il volume sarà brossurato, di 128 pagine, al costo di 12 dollari. Intanto per conoscere meglio il mondo dell’autrice potete dare un’occhiata al suo Tumblr.
L’incipit di “Steroid Max” di Michael Hacker
Michael Hacker è un fumettista e illustratore austriaco classe ’81, autore di illustrazioni pubblicitarie, di manifesti per concerti di band come Mudhoney, Fu Manchu, Melvins, Sonic Youth, Dinosaur Jr. e di albi autoprodotti. Se Häcksler del 2010 era uno spillato che raccoglieva una serie di gag estemporanee, il nuovo Steroid Max è invece un più corposo brossurato di 48 pagine che racconta una storia completa sullo sfondo della Los Angeles del 1982. Folgorato dalla visione di Conan il Barbaro, il giovane e sfigato Max diventa fan accanito di Arnold Schwarzenegger, tanto che quando si diffonde la notizia del rapimento dell’attore si lancia alla sua ricerca. Il tratto caricaturale ed espressivo del cartoonist di Vienna è al servizio di una storia leggera e divertente raccontata senza parole, un tributo agli action movie degli anni ’80 pieno di sangue e soprattutto sudore. Di seguito le prime pagine dell’albo, che potete ordinare direttamente dal webshop dell’autore.
Una storia da “Dressing” di Michael DeForge
Ormai la gran parte di voi conosceranno Michael DeForge, autore canadese a dir poco prolifico, di cui si susseguono webcomics, mini-comics, numeri della sua serie personale Lose, antologie, volumi di storie inedite e chi più ne ha più ne metta. Se le sue opere maggiori possono essere considerate la stessa Lose, di cui il volume A Body Beneath raccoglie i numeri dal 2 al 5, e Ant Colony, fumetto pubblicato on line e poi stampato da Drawn and Quarterly, DeForge non si risparmia di certo nelle storie brevi realizzate per le occasioni più disparate. Proprio queste verranno riunite a settembre in Dressing, volume simile a Very Casual del 2013, ancora una volta pubblicato da Koyama Press e dove troverete questa Christmas Dinner, che contrappone disegni colorati e apparentemente “carini” a un testo di tutt’altro tono, restituendo quel mix di crudeltà e ironia che è la cifra stilistica dell’autore. Se poi non conoscete ancora bene l’opera di DeForge, sul vecchio blog ho parlato brevemente di Lose #5, Very Casual e Lose #6. Per chi volesse un’analisi più valida e approfondita della mia segnalo invece questo lungo articolo del critico americano Rob Clough del blog High-Low. Buona lettura.
Un’anteprima di “Black Rat” di Cole Closser
Nove storie brevi legate dall’apparizione di un topo nero, un animale che si annida nell’ombra, si muove tra i boschi, viaggia nel tempo. A raccontarle è Cole Closser, già autore di Little Tommy Lost, storia dickensiana delle disavventure di un ragazzino raccontata secondo lo stile delle newspaper strip (ne avevo parlato qui). In questo nuovo Black Rat, 160 pagine a colori in uscita a settembre per la canadese Koyama Press al prezzo di 15 dollari, Closser rompe ogni schema e trasforma il suo stile retrò in un trionfo di creatività. Se l’intero volume sarà al livello di queste prime immagini, gentilmente inviatemi dalla Koyama, ne vedremo delle belle.