Anteprima di “See You Next Tuesday” di Jane Mai
Jane Mai è una cartoonist di Brooklyn che alterna un tratto dalle eleganti linee manga a momenti di assoluta spontaneità, in cui le linee diventano poco controllate e tendono quasi allo scarabocchio. Ne vengono fuori diary comics capaci di comunicare al lettore un senso di immediatezza e spontaneità, incentrati su situazioni tratte dal quotidiano. Il tono è per lo più comico, ma tra le varie gag si insinuano momenti più profondi e altri persino disturbanti. Dopo Sunday in the Park with Boys, uscito nel 2012, Koyama Press pubblicherà una nuova raccolta dei fumetti della Mai, See You Next Tuesday, di cui potete leggere alcune pagine in anteprima. Il volume sarà brossurato, di 128 pagine, al costo di 12 dollari. Intanto per conoscere meglio il mondo dell’autrice potete dare un’occhiata al suo Tumblr.
L’incipit di “Steroid Max” di Michael Hacker
Michael Hacker è un fumettista e illustratore austriaco classe ’81, autore di illustrazioni pubblicitarie, di manifesti per concerti di band come Mudhoney, Fu Manchu, Melvins, Sonic Youth, Dinosaur Jr. e di albi autoprodotti. Se Häcksler del 2010 era uno spillato che raccoglieva una serie di gag estemporanee, il nuovo Steroid Max è invece un più corposo brossurato di 48 pagine che racconta una storia completa sullo sfondo della Los Angeles del 1982. Folgorato dalla visione di Conan il Barbaro, il giovane e sfigato Max diventa fan accanito di Arnold Schwarzenegger, tanto che quando si diffonde la notizia del rapimento dell’attore si lancia alla sua ricerca. Il tratto caricaturale ed espressivo del cartoonist di Vienna è al servizio di una storia leggera e divertente raccontata senza parole, un tributo agli action movie degli anni ’80 pieno di sangue e soprattutto sudore. Di seguito le prime pagine dell’albo, che potete ordinare direttamente dal webshop dell’autore.
Una storia da “Dressing” di Michael DeForge
Ormai la gran parte di voi conosceranno Michael DeForge, autore canadese a dir poco prolifico, di cui si susseguono webcomics, mini-comics, numeri della sua serie personale Lose, antologie, volumi di storie inedite e chi più ne ha più ne metta. Se le sue opere maggiori possono essere considerate la stessa Lose, di cui il volume A Body Beneath raccoglie i numeri dal 2 al 5, e Ant Colony, fumetto pubblicato on line e poi stampato da Drawn and Quarterly, DeForge non si risparmia di certo nelle storie brevi realizzate per le occasioni più disparate. Proprio queste verranno riunite a settembre in Dressing, volume simile a Very Casual del 2013, ancora una volta pubblicato da Koyama Press e dove troverete questa Christmas Dinner, che contrappone disegni colorati e apparentemente “carini” a un testo di tutt’altro tono, restituendo quel mix di crudeltà e ironia che è la cifra stilistica dell’autore. Se poi non conoscete ancora bene l’opera di DeForge, sul vecchio blog ho parlato brevemente di Lose #5, Very Casual e Lose #6. Per chi volesse un’analisi più valida e approfondita della mia segnalo invece questo lungo articolo del critico americano Rob Clough del blog High-Low. Buona lettura.
Un’anteprima di “Black Rat” di Cole Closser
Nove storie brevi legate dall’apparizione di un topo nero, un animale che si annida nell’ombra, si muove tra i boschi, viaggia nel tempo. A raccontarle è Cole Closser, già autore di Little Tommy Lost, storia dickensiana delle disavventure di un ragazzino raccontata secondo lo stile delle newspaper strip (ne avevo parlato qui). In questo nuovo Black Rat, 160 pagine a colori in uscita a settembre per la canadese Koyama Press al prezzo di 15 dollari, Closser rompe ogni schema e trasforma il suo stile retrò in un trionfo di creatività. Se l’intero volume sarà al livello di queste prime immagini, gentilmente inviatemi dalla Koyama, ne vedremo delle belle.
Gli altri cocktail dello Studio Pilar
Se con Pre-Dinner – di cui avevo parlato in questo post dedicato ai fumetti di Lucca Comics – avevamo sorseggiato l’aperitivo, dopo qualche mese la cena è sicuramente finita e può così essere servito il secondo volume dei Cocktails editi da Studio Pilar, dedicato alle bevande After-Dinner. Presentata mercoledì 8 luglio allo Spazio Bk di Milano, la nuova antologia ospita i lavori di Andrea Chronopoulos (a cui è stato affidato lo Stinger), Amanda Baeza (Rusty Nail), Alexis Nolla (White Russian), Alberto Fiocco (Godfather), Lauren Humphrey (Grasshopper) e Umberto Mischi (Champs Elysées), oltre a Hedof che ha illustrato la copertina e curato il design della testata. Quella di Cocktails sarà una tetralogia e i prossimi volumi si intitoleranno Anytime e Longdrink, richiamando la classificazione ufficiale dei cocktail. Lo Studio Pilar è un’associazione di illustratori con base a Roma ed è formato da Giulio Castagnaro, Andrea Chronopoulos, Andrea Mongia e Giulia Tomai. A seguire alcune illustrazioni da After-Dinner, 48 pagine a colori in italiano e inglese, 13.5×21 cm, brossurato, disponibile presto sul webstore dello Studio Pilar oppure alla mail hello@studiopilar.it.
Arriva “Volcan” (Lagon #2)
Non ho fatto in tempo a preparare questo post che le 100 copie destinate alla vendita on line del secondo numero di Lagon, intitolato questa volta Volcan, sono già esaurite. Se non l’avete ancora fatto, è dunque già troppo tardi per ordinare uno dei 400 esemplari dell’antologia francese, che propone il lavoro di 30 artisti internazionali, alcuni sicuramente ben noti ai lettori di Just Indie Comics. Le copie restanti verranno vendute ad alcuni festival in giro per il mondo e cioè al Safari Festival di Londra (22 agosto), al Cultures Maison di Bruxelles (11-13 settembre), alla New York Art Book Fair (17-20 settembre), al Fanzines di Parigi (ottobre), al Central Vapeur di Strasburgo (dicembre) e infine ad Angoulême (gennaio). Volcan costa 40 euro ed è un volume risografato di 216 pagine formato 17×24 cm, con testi in francese e traduzioni in inglese nel libretto allegato, a cura di Séverine Bascouert, Alexis Beauclair, Bettina Henni e Sammy Stein. I 30 fumettisti e illustratori che contribuiscono al libro, alcuni con inediti e altri con lavori già pubblicati altrove, sono Jean-Philippe Bretin, Carlos Gonzalez, Hugo Ruyant, Sammy Stein, Tom Lebaron Khérif, Fletcher Hanks, Stefanie Leinhos, Léo Quievreux, Alexis Beauclair, Aidan Koch, Roxane Lumeret, Lasse & Russe, Noel Freibert, Louis Granet, C.F., Nacho García, Amandine Meyer, Amanda Baeza, Léon Maret, Leon Sadler, Jérémy Piningre, Olivier Schrauwen, Jeremy Perrodeau, Baptiste Virot, Antoine Cossé, Acacio Ortas, Stathis Tsemberlidis, Jonny Negron, Bettina Henni, Yuichi Yokoyama. Di seguito qualche promettente e in alcuni casi strabiliante immagine tratta dall’antologia. Buona visione.
Il meglio del Web – 13/7/2015
Ormai già lo avrete letto altrove, ma vi dico comunque che al Comic-Con di San Diego sono stati annunciati i vincitori degli Eisner Awards, notizia di cui tra l’altro ci interessa fino a un certo punto. Personalmente ammetto di non conoscere la gran parte del materiale nominato, che non è propriamente la mia “cup of tea”, comunque la notizia è che la gran parte dei riconoscimenti sono andati alle varie Image, Dark Horse, Boom! ecc., mentre la Marvel non si è aggiudicata nemmeno un Eisner e la DC si è dovuta accontentare dei premi dati a J.H. Williams III come Best Painter/Multimedia Artist e a Darwyn Cooke come Best Cover Artist. A me ha fatto particolarmente piacere la vittoria di Ed Piskor con Hip Hop Family Tree vol.2 (qui la mia recensione del primo volume, l’unico finora pubblicato in Italia) nella categoria Best Reality-Based Work e nella foto in alto potete vedere proprio il suo premio. Da segnalare anche il trionfo del Little Nemo di Winsor McCay, vittorioso nella categoria Best Archival Collection/Project-Strips con le storie originali ristampate nel volume Taschen, tra le Limited Series con Little Nemo: Return to Slumberland di Eric Shanower e Garbriel Rodriguez e anche come Best Anthology e Best Publication Design con l’antologia tributo Little Nemo: Dream Another Dream pubblicata negli Usa da Locust Moon. L’Artist Edition del Nick Fury Agent of S.H.I.E.L.D. di Jim Steranko ha avuto la meglio nella sezione Best Archival Collection/Project-Comic Books su una serie di titoli altrettanto validi, tra cui la collezione completa di Zap edita l’anno scorso da Fantagraphics.
Dopo la pubblicazione del pre-order su Amazon, di cui avevo già parlato qui, arriva l’annuncio ufficiale della Fantagraphics riguardo l’uscita del nono numero di Kramers Ergot, atteso per il marzo prossimo. Il volume sarà di 250 pagine in grande formato e costerà 45 dollari. In questa intervista al Comics Reporter l’editor Sammy Harkham parla dell’evoluzione dell’antologia e della sua speranza di farla uscire con maggiore regolarità in futuro. Sempre il sito di Tom Spurgeon anticipa qualche tavola, tra cui quella di Lale Westvind che vedete qui sotto.
Dopo aver riscritto la storia dei maggiori personaggi Marvel e Dc, Grant Morrison non si ferma più e ora vuole mettere il suo marchio anche su Heavy Metal, versione americana della francese Metal Hurlant, che nei suoi giorni di gloria pubblicava artisti come Moebius, H.R. Giger, Bernie Wrightson, Richard Corben e tanti altri. I recenti sviluppi dell’antologia mi sembrano tutt’altro che esaltanti ma il recupero di materiale d’annata di Jack Kirby previsto nel numero di agosto (ne ho parlato nella puntata precedente di questa rubrica) e l’ingaggio di Morrison come editor-in-chief fanno sperare in un rilancio. Da seguire con curiosità, a partire dal prossimo febbraio. Qui intanto trovate qualche notizia in più.
A Londra il 22 agosto torna il Safari Festival organizzato dalla Breakdown Press, casa editrice tra le mie preferite del momento. Tanti gli espositori, per lo più inglesi, come Decadence Comics, Jack Teagle, Eyeball Comix, Famicon Express, Joseph P Kelly, Landfill Editions, Laura Callaghan e tanti altri.
Qualche settimana dopo, e precisamente l’11, il 12 e il 13 settembre, a Bruxelles ci sarà Cultures Maison, il festival belga che guarda con maggiore attenzione all’universo delle autoproduzioni e del fumetto alternativo, con una cinquantina tra case editrici, artisti e ospiti internazionali.
Sempre a settembre uscirà il nuovo lavoro del francese Léo Quievreux, pubblicato dalle Éditions Matière. Si intitola Le Programme Immersion e potete vedere qualche immagine sull’apposita pagina Facebook. Il lavoro di Quievreux è onirico, immaginifico, stimolante e non vedo l’ora di leggere questo tomo di 150 pagine.
Ancora in tema di novità editoriali, qualche giorno fa l’Alternative Comics, etichetta che coordina e distribuisce il materiale di una serie di case editrici minori come Hang Dai Studios, Revival House Press, Hic & Hoc e via dicendo, ha annunciato i libri in uscita nei prossimi mesi. Il programma è ricchissimo e di tutto livello, forse anche meglio di quello di Fantagraphics e Drawn and Quarterly. Qui potete vederlo nel dettaglio, dal canto mio vi consiglio di dare particolare attenzione a Conditions On The Ground di Kevin Hooyman, Sky In Stereo di Mardou, Compulsive Comics di Eric Haven e all’antologia Alternative Comics Are Dead, di cui potete vedere qui sotto la cover di Hellen Jo. Ma anche il resto non è da meno.
Passo e chiudo parlando di Helena Hauss, un’artista con base a Parigi che disegna utilizzando la penna biro. Inizialmente i suoi lavori non mi hanno colpito molto, ma a forza di rivederli devo dire che il mix tra il retrò anni ’50 e il punk, il realismo dei volti, la morbosità di alcuni dettagli hanno sciolto ogni mia riserva. Oltre al suo sito, potete andare a vedere una serie di articoli che hanno parlato ultimamente della Hauss, pubblicati su It’s Nice That, Juxtapoz e Dangerous Minds.
I mille mondi del Crack!
Sì, il titolo è ambiguo ma non ha niente a che vedere con viaggi indotti da sostanze stupefacenti, qui si parla del festival che dal 25 al 28 giugno ha popolato il Forte Prenestino di Roma con fumetti, stampe e dipinti a opera di decine e decine di artisti internazionali. Le mie foto in bassa fedeltà, scattate con una macchinetta portatile perché l’altra pesava troppo e non mi andava di portarmela dietro, le avete già viste qui, adesso preferisco piuttosto parlare di cosa è stato il Crack! 2015. E per fare questo parlerò inevitabilmente di cosa non è stato, perché il Crack! è tutto e il contrario di tutto, un festival che nella sua filosofia libera e anticonvenzionale lascia ampio spazio ai partecipanti, avvicina artisti e pubblico come pochi altri eventi, non detta linee guida ma si ispira a una filosofia autogestita che rende impossibile definirlo con precisione. Quello che trovate in queste righe è stato il mio festival ma se qualcun altro racconterà il suo Crack! potrebbe parlare di tutt’altro e in termini ben diversi.
Innanzitutto diciamo che il Crack! non è solo fumetto, anzi. Sui tavoli si trovava veramente di tutto e in particolare tra gli italiani erano diffuse non solo le stampe e le serigrafie, ma anche calendari, cartoline, magliette, borse e via dicendo, confermando una predominanza dell’accessorio che personalmente mi innervosisce un po’ ma che è un fenomeno frequente in festival di questo genere. Certo, c’è da dire che l’evento è dedicato non solo al fumetto ma anche alla cosiddetta “arte disegnata e stampata”, cosa ben evidente nella decorazione delle celle del Forte. I dipinti e le installazioni degli artisti trasformano ogni anno i sotterranei in una vera e propria mostra d’arte, donando al festival una valenza estetica fine a se stessa, non legata soltanto alla vendita delle “merci”. C’era dunque chi ne approfittava per riprodurre la Bocca della Verità, chi come Tony Cheung dipingeva dal vivo, chi allestiva una mostra in miniatura come i ragazzi di Squame con alcuni originali tratti da Rock Motel (ne avevo già parlato qui).
La poliedricità delle intenzioni e delle espressioni attrae tante persone estranee al fumetto, che con tutta probabilità frequentano il Crack! più dei veri appassionati, quelli che i fumetti li seguono, li comprano e li leggono. Questo fattore è un bene perché diffonde produzioni artistiche poco conosciute, ma secondo alcuni è anche un male, perché il fatto di avere a che fare con un’audience “profana” viene visto da una parte degli espositori come la principale causa delle scarse vendite. Quello delle vendite non è però un problema specifico del Crack! e, senza allargare il discorso ad altri settori economici e a considerazioni più generali sullo stato dei consumi, si può dire che anche altri festival rinomati, in Europa come oltreoceano, non rappresentano per nessuno la certezza di vendere un tot di copie e di tornarsene a casa pareggiando le spese del viaggio. In più il Crack! offre a chi vuole la possibilità di dormire al Forte Prenestino e non fa pagare nulla per lo spazio espositivo. Francamente mi sembra che ci sia poco da lamentarsi, anche perché lo scopo principale del festival non è quello di essere un “mercatino” ma di far incontrare artisti, collettivi, pubblico e tutte le realtà che gravitano intorno al mondo dell’autoproduzione.
Passiamo ora a parlare delle cose più interessanti che ho visto e letto durante e dopo il festival. Iniziamo citando qualcuno dei tanti ospiti internazionali, a partire dagli spagnoli del Projecte Úter, nato da una costola del Beehive Collective per protestare contro un disegno di legge spagnolo sull’aborto. Per sostenere la causa è stato così realizzato un mega-poster esposto nei sotterranei del Forte e di cui venivano vendute delle riproduzioni in formato ridotto allo scopo di finanziare la mobilitazione. Per ulteriori dettagli vi rimando al sito di Úter, dove trovate l’analisi approfondita dell’artwork, tradotta anche in italiano. Accanto al posterone appena citato, nella zona della Cattedrale, c’era la mostra dei croati di Komikaze, che sotto il titolo di Femicomix radunava 15 autrici femminili e in particolare Ivana Pipal, Petra Balekić, Amandine Meyer, Petra Brnardić, Amanda Baeza, Ivana Armanini, Petra Varl, Katie Woznicky, Anna Ehrlemark, Nina Bunjevac, Neja Tomšič, Agniezska Piksa, Ena Jurov, Lina Rica, Dunja Janković. Sempre da quelle parti l’area riservata ai francesi della Dernier Cri, tornati a Roma dopo un anno sabbatico, mostrava i poster di Mangaro e i dipinti di Pakito Bolino.
Oltre alle mostre c’erano ovviamente anche gli eventi, a partire dai dj set, tra cui cito quello dei portoghesi dell’Istituto Fonografico Tropical, e dai concerti live di svariati gruppi noise, elettronici, surf, industrial, ecc. che accompagnavano costantemente lo svolgersi del festival. Tra le proiezioni segnalo la presentazione di Architecture of an Atom, un video dell’artista multimediale francese Juliacks, che portava anche i suoi fumetti dalle soluzioni grafiche suggestive e affascinanti, pubblicati in Usa da Sparkplug. Per quanto riguarda gli incontri, citazione inevitabile per quello con gli organizzatori del Borda!Fest, festival alternativo a Lucca Comics organizzato negli stessi giorni del più famoso evento e che è balzato agli onori della cronaca per l’occupazione e il conseguente sgombero di un immobile (tra l’altro abbandonato da anni) del centro storico. La storia è raccontata nel libro Rise of the Subterraneans ed è interessante perché parla di un’altra idea di manifestazione legata al fumetto, per capirci più simile al Crack! che a Lucca Comics, e rende espliciti desideri ed esigenze di un universo, quello connesso al mondo delle autoproduzioni, spesso repressi dagli eventi ufficiali. Speriamo che l’anno prossimo le istituzioni lucchesi si decidano a dare spazio anche al Borda!, d’altronde da anni Angoulême ha il suo festival off (il Foff, appunto) e non mi sembra che in Francia abbiano smesso di leggere fumetti. Reprimere la voce degli altri per rendere la propria più grossa non è mai una bella cosa, nel fumetto e nella vita in generale.
Veniamo adesso alle inevitabili segnalazioni di materiale cartaceo, a partire dalla pubblicazione ufficiale del Crack!, il solito albo spillato in formato gigante che quest’anno invece delle solite illustrazioni e fumetti contiene banconote false realizzate da artisti e collettivi internazionali. Il tema di quest’anno era infatti il Capitale nelle sue accezioni più negative, non a caso lo slogan ricorrente che campeggiava qua e là era “Lotta anale contro il capitale”. Come si legge nell’introduzione scritta da Valerio Bindi, “dopo la trilogia della distruzione (Apocalisse/Orda/Genesi) ora nella sua undicesima edizione CRACK!, il festival di Fumetto e Arte Disegnata e Stampata, si confronta con la macchina CAPITALE, la macchina (in)finita di produzione di schiavitù, il Necromante finale del tempo presente”. “La questione dell’autoproduzione – prosegue Bindi nell’intro – il perno intorno al quale lavorano fanzine riviste libri serigrafie collettivi e individui che sono il cuore pulsante del Festival, non può essere e non è mai stata una macchina di produzione di denaro ma un concatenamento che crea cooperazione, condivisione, e visioni del futuro. Un laboratorio prezioso, unico nel pianeta Terra e che mettiamo qui a disposizione di tutti quelli che ci verranno a trovare, poveri ma ricchissimi”. Aperto da una copertina di Bambi Kramer che include un gioco do-it-yourself ispirato ai concetti di creazione e distruzione realizzato in un workshop alla Fanzinothèque di Poitiers, l’albone si sviluppa in una serie di pagine indipendenti da cui si possono ritagliare le diverse banconote false.
Tra i vari disegnatori di denaro falso c’è anche Verónica Felner. Portoghese residente a Berlino e autrice del poster di quest’anno, la Felner ha portato al Crack! il suo How U Really Fuck Me, albo in bianco e nero che parte da atmosfere degne di una commedia sexy all’italiana per sfociare nel porno-cannibalismo. Non conoscevo la Felner prima d’ora, ma la sua linea spessa e rotonda, le sue invenzioni grafiche, l’esplosione finale a dir poco dionisiaca me l’hanno già fatta amare. Andate a dare un’occhiata al suo blog oppure contattatela alla mail contradictora@gmail.com per ordinare i suoi fumetti.
Altra autrice femminile, proveniente dalla Francia e nello specifico dalla Normandia, è Lison de Ridder, che ho incontrato allo stand dell’HSH Crew di Rouen. La de Ridder mi ha mostrato i suoi fumetti in cui rappresenta situazioni quotidiane, viaggi, panorami, raccontati per lo più con piccolissime immagine prive di bordi, minuziose, dettagliate, ricche di particolari. In una pagina ho contato 648 disegni diversi e per chi come me è un feticista delle vignette piccole (ognuno ha le sue fisse, ma posso confortarvi dicendo che non è l’unica) albi come il suo Geste 2013, ambientato tra la Francia, l’Italia, la Germania, la spiaggia e i caffè, sono un’autentica gioia per gli occhi. Spero di poterci tornare in maniera più accurata in seguito.
Uno degli stand più interessanti era senz’altro quello delle valenti Ediciones Valientes, editori di Valencia (le allitterazioni e le ripetizioni sono del tutto volute) che pubblicano quasi annualmente l’antologia Kovra (ne ho parlato brevemente qui). L’occasione mi è servita a recuperare qualche uscita recente, come Balada di Martin López Lam, peruviano trapiantato a Valencia che è la mente dietro la casa editrice. Ispirato a un sogno dell’autore, Balada è la storia di un uomo che segue una donna, scandita da splendide inquadrature e impreziosita dall’uso della serigrafia nei toni del blu e del viola. Il finale sovverte le aspettative del lettore portandolo in territori irreali e misteriosi. Recentissima anche la pubblicazione di un altro mini-comic, El Problema Francisco di Francisco Sousa Lobo, noto ai più per il graphic novel The Dying Draughtsman pubblicato da Chili Com Carne. Il cartoonist portoghese gioca ancora con l’autobiografia, questa volta anche in maniera più esplicita che in passato. Il formato breve e l’uso del colore impreziosiscono una storia perfettamente centrata, che a mio parere è quanto di più efficace realizzato dall’autore: se ancora non lo conoscete, iniziate da qui. Miedo è invece opera degli italiani Vincenzo Filosa e Ciro Fanelli ed è un bel libretto che include due storie mute incentrate su una testa mostruosa, dalle atmosfere manga underground e con un senso del dinamismo che ricorda il maestro Yuichi Yokoyama ma anche lo spagnolo Gabriel Corbera. D’altronde la fascinazione di Filosa per il Giappone è cosa nota e il suo Viaggio a Tokyo, in uscita per Canicola, va inserito di diritto nelle uscite più attese del prossimo autunno.
Dato che sono in tema ne approfitto per parlare di un titolo pubblicato dalle Ediciones Valientes che già faceva parte della mia collezione, realizzato da una delle mie cartoonist contemporanee preferite, la messicana Inés Estrada. Protagonista di Traducciones è un alter ego dell’autrice che si tiene a galla tra lavoro, piatti sudici, amori a distanza, sesso, sogni e visioni carichi di simboli imperscrutabili. Il tratto riesce a risultare sporco e gradevole al tempo stesso e si amalgama perfettamente ai contenuti, delineando uno stile del tutto definito. Positivo anche il fatto che lo stand delle Ediciones Valientes fornisse accesso al Crack! a tante realtà provenienti dal Sud America: se la Estrada rappresentava il Messico, Berliac con l’ottimo Playground dava voce all’Argentina, mentre le antologie autoprodotte Prego e Carboncito rappresentavano rispettivamente il Brasile e il Perù.
Ho citato i portoghesi di Chili Com Carne, di cui tra l’altro ho già parlato approfonditamente in questa intervista a Marcos Farrajota. Il loro stand ospitava tutte le ultime uscite, come il numero più recente dell’antologia QCDI #3000, con contributi di André Pereira, Astromanta, Hetamoé e Mao, l’altro albo collettivo Malmö Kebab Party di Alfonso Ferreira, Amanda Baeza, Hetamoé, Rudolfo e Sofia Neto, e Askar, O General della colombiana Dileydi Florez. La cosa più bella che ho recuperato in questa occasione è però un albo uscito nell’ormai lontano dicembre 2011 e che avevo già adocchiato da tempo, Aspiração Horrifica/Vacuum Horror di Aaron Shunga, autore statunitense nato alle Hawaii ma il cui lavoro non avrebbe sfigurato nella fondamentale antologia Comics Underground Japan al fianco dei vari Yoshikazu Ebisu e Suehiro Maruo. L’incipit ricorda un po’ i Transformers e vede la razza aliena dei Vacuums arrivare sulla Terra sotto forma – appunto – di aspirapolveri per sterminare l’umanità prima che questa finisca di distruggere il pianeta. Dopo aver salvato la protagonista dallo stupro da parte del padre e dei suoi amici, gli elettrodomestici scatenano una spirale di omicidi truculenti in un crescendo di tavole tra l’orrorifico e il morboso (la giovane donna che lecca l’aspirapolvere mentre gli dichiara il suo amore), fino al trionfale e apocalittico finale.
Concludo questa rassegna parlando del debutto autoprodotto dell’italiano Alessandro Galatola, esteticamente molto vicino ai lavori di Michael DeForge ma realizzato interamente “a mano”, al contrario delle opere per lo più digitali del cartoonist canadese. Safe Space è un buon punto di partenza per un esordiente che sa già raccontare soltanto con le immagini, con picchi di ottimo livello nelle storie brevi Il potere mistico dei subwoofer, che ricorda l’altro canadese Jesse Jacobs, e In circolo, a metà tra i Lemmings e il lavoro del duo Most Ancient in Scaffold. L’unico episodio con dei testi veri e propri, Reality, preannuncia originali e intriganti sviluppi stilistici. Se vi interessa ordinare l’albo potete contattare Alessandro alla mail ale.galatola@gmail.com.
Le foto del Crack! 2015
In attesa di un reportage più completo e ragionato, che pubblicherò nei prossimi giorni, ecco un po’ di foto in bassa fedeltà fatte al Crack!, il festival dei fumetti dirompenti che ha invaso i tunnel, le celle e i giardini del Forte Prenestino di Roma da giovedì 25 a domenica 28 giugno. Quest’anno la qualità dei dipinti, delle stampe e dei vari artefatti esposti era veramente elevata e spero che le foto riescano a restituire almeno un’idea dell’atmosfera generale. Per vedere le foto in modo più comodo cliccate su una a caso. Buona visione.
“Hip Hop Family Tree” di Ed Piskor
di Ed Piskor, Panini 9L, maggio 2015, brossurato, 112 pagine a colori, 33×23.3 cm, euro 22
Inizialmente serializzata su Boing Boing, la serie Hip Hop Family Tree di Ed Piskor continua la sua cavalcata trionfale e, contemporaneamente all’annuncio della ristampa dell’intera saga in albi mensili da parte di Fantagraphics, sbarca dalle nostre parti con un’elegante edizione Panini 9L. Anche i lettori italiani possono così cominciare a leggere la storia dell’hip hop riadattata graficamente come se fosse un fumetto Marvel dell’epoca. E’ la prima metà degli anni ’70 quando la prima vignetta del volume ci mostra Dj Kool Herc in una sala del South Bronx mentre guarda la gente scatenarsi all’entrata di un giro di batteria. Da lì l’idea di mettere in loop i break strumentali delle canzoni, mixandoli gli uni con gli altri, e di arruolare un MC per aggiungere alla performance l’uso della voce. E’ la nascita di un genere, ulteriormente potenziato dall’invenzione dello scratch da parte di Grandwizard Theodore e da talenti come Grandmaster Flash e Afrika Bambaataa, che danno vita ai cosiddetti bloc party. L’hip hop esplode e porta alla formazioni di gruppi dall’aspetto simile a quello delle gang di strada, che si sfidano a colpi di dischi in “battle” epiche, attirando l’attenzione di produttori, discografici, distributori ma anche di artisti e musicisti rock. La carrellata di volti celebri che si succedono pagina dopo pagina è lunghissima e se è ovvio vedere personalità del mondo hip hop come DJ Hollywood, Sylvia Robinson, Lovebug Starski, Russell Simmons e tanti altri, meno scontata è la presenza di Keith Haring, Jean-Michel Basquiat, di Blondie e dei Clash. Piskor guarda al mondo dell’hip hop a 360 gradi e ne approfondisce le fonti di ispirazione, i riferimenti, le ibridazioni. Lo scopo è quello di offrire un contesto alla nascita e alla formazione di questa musica, prendendo in considerazione anche altri elementi della cultura pop del periodo ’70-’80.
Al di là della dimensione documentaristica, la grandezza dell’opera di Piskor è nello stile, che riesce a non stancare dopo le tante pagine che si sono accumulate in questi anni senza soluzione di continuità: su Boing Boing siamo arrivati al 1984 e negli Usa sta per uscire il terzo libro delle serie. Se la narrazione è infatti dettagliata, sono proprio il disegno vintage, i colori opachi e le tante trovate grafiche a renderla anche vivace e godibile, insieme a una predilezione per i dettagli, gli episodi, gli aneddoti che non fanno mancare una dimensione narrativa. Tra le cose migliori di questo primo volume c’è la tavola dedicata al black-out del 1977, quando l’oscurità porta a una notte di pistole puntate e furti di strada, oppure Grandmaster Flash che gira i dischi e le manopole lasciando scie come il quasi omonimo velocista dei fumetti, o anche le didascalie classiche da fumetto di supereroi che assumono nuove forme come BOMP, POP, DAP, BAP. Il genere supereroistico è qui utilizzato come mezzo espressivo proprio come facevano gli esponenti della pop art con il cinema, la pubblicità e ovviamente il fumetto stesso. Questa particolare affinità è sottolineata nell’appendice Il legame tra hip hop e fumetti, una delle cose più divertenti del volume, in cui Piskor ci racconta tra l’altro di aver risparmiato “9$ con i soldi del pranzo per comprare New Mutants 87, la prima apparizione completa di Cable, disegnata dal mio idolo, Rob Liefeld”. Per Piskor, classe ’82, era quasi scontato essere un fan di Liefeld, che negli anni ’90 prosperava insieme agli altri autori poi divenuti fondatori dell’Image. D’altronde tutta la produzione Marvel – quindi non solo i grandi classici degli anni ’60 – è stata attentamente rivalutata da tanti cartoonist dell’underground statunitense, basti pensare a Benjamin Marra e Tom Scioli, che contribuiscono a questo volume con le pin-up conclusive, o ad altri come Chuck Forsman (almeno per quanto riguarda la sua nuova serie Revenger) o Josh Bayer, del cui progetto All Time Comics ho già parlato su queste pagine.
In particolare Piskor guarda all’estetica dei fumetti metropolitani, quelli che hanno fatto conoscere New York ai ragazzini di tutto il mondo. E’ chiaro che il riferimento è più alla Marvel che alla Dc, perché in una storia dell’hip hop l’ambientazione deve essere non solo urbana, ma anche realistica. La sua è la New York delle pagine di Daredevil, di alcune storie di Capitan America, di un classico minore come Omega The Unknown, anche se l’azione non si svolge a Manhattan, location della gran parte dei titoli Marvel, ma soprattutto nel Bronx e ad Harlem, quest’ultima già scenario di un cult anni ’70 come la serie blaxploitation dedicata a Luke Cage/Power Man. Tra locali, palestre, sale da concerto, l’Apollo Theatre e negozi cult (il Bobby’s Happy House Records di Bobby Robinson), è tutto un susseguirsi di mattoni rossi, steccati, muri coperti da graffiti, vagoni della metro, recinzioni, tetti scoperti. Ecco così che Hip Hop Family Tree diventa anche storia di una città, oltre che storia di un genere musicale, di un certo modo di fare fumetti e dei legami tra arte, musica e cultura di strada.