Un’intervista a Conor Stechschulte

(English text)

In occasione della prossima imminente edizione di BilBOlbul, dal 24 al 26 novembre a Bologna, Conor Stechschulte sarà protagonista di una mostra intitolata Il peso dell’acqua, che inaugurerà presso la galleria Spazio & il 24/11 alla presenza dell’autore, per poi prolungarsi fino al 20 dicembre. Negli stessi giorni troverà pubblicazione in Italia per 001 Edizioni I dilettanti, traduzione di The Amateurs, graphic novel edito nel 2014 da Fantagraphics dopo una prima versione autoprodotta. E a breve è prevista inoltre l’uscita del terzo capitolo di Generous Bosom, la serie che il cartoonist americano sta realizzando per gli inglesi di Breakdown Press.

Per presentare Conor al pubblico italiano gli abbiamo rivolto qualche domanda sulla sua formazione, le sue opere e il suo processo creativo. L’intervista è stata realizzata via e-mail tra settembre e ottobre 2017 da Alessio Trabacchini e Gabriele Di Fazio, cui si è aggiunta in seguito Elisabetta Mongardi. La traduzione in italiano è di Mauro Meneghelli. Buona lettura.

The Amateurs mostra la tua capacità di far scorrere il mistero nel quotidiano, sembra che attraverso i vari personaggi (nella storia principale e nella cornice) la storia illustri diverse modalità di rapportarsi all’elemento misterioso e non razionale dell’esistenza. Non sappiamo se sei d’accordo con questa lettura ma vorremmo cominciare proprio dal tuo rapporto con questo elemento e da come pensi che possa essere trasmesso, mostrato o evocato attraverso l’arte.

Le storie di fantasia possono aiutare a guardare da altri punti di vista ciò che viviamo. Questo è un grande dono che ho ricevuto dell’arte, e che cerco di trasmettere. Inoltre mi piace molto quando sogno qualcosa di veramente banale – come aver spostato un oggetto nel mio appartamento o aver ritrovato qualcosa in macchina – e poiché si adatta perfettamente alla realtà è come una strana ma noiosa bomba a orologeria che esplode all’improvviso. Rende il resto della mia giornata un po’ irreale. Mi è successo anche di recente, ho sognato di aver inviato alcune foto sul mio cellulare a un estraneo, che ha risposto semplicemente “Ah!”. Qualche giorno dopo il sogno, ho avuto un momento di assoluto panico al pensiero che questa cosa leggermente imbarazzante fosse successa davvero.

Quindi, se sognare oggetti comuni è importante per la tua arte, è anche vero che l’incipit di The Amateurs mostra il processo contrario, dato che qualcosa di insolito si materializza nella vita di tutti i giorni. La testa ritrovata nel fiume innesca infatti una serie di eventi straordinari, come succede con l’orecchio tagliato trovato nel campo all’inizio di Velluto blu di Lynch. Se i tuoi fumetti svelano la permeabilità tra il mondo reale e quello onirico, puoi raccontarci meglio come l’esperienza del sogno influenza il tuo lavoro? Inoltre, ci sono autori che ami particolarmente tra coloro che hanno percorso questa strada?

Mi piacerebbe parecchio fare dei sogni lucidi, ma finora non ci sono riuscito se non in quei momenti, la mattina presto, in cui posticipo continuamente la sveglia. Ho trovato molte soluzioni a problemi di sceneggiatura o di disegno in questo “spazio” (mi ricordo per esempio l’immagine finale di The Dormitory con il ragazzo che fuma alla finestra del seminterrato).

Un autore che mi viene subito in mente a questo proposito è Jesse Ball. Ho avuto il privilegio di averlo come tutor durante il mio semestre alla School of the Art Institute di Chicago la scorsa primavera e ho appena letto Sleep, Death’s Brother, il suo libro sul sogno lucido. Le sue idee sui sogni sono molto più interessanti delle mie e mi piace particolarmente la sua concezione dello spazio onirico come un territorio dove allenare la volontà; il suo libro è infatti destinato ai bambini e ai detenuti per l’esercizio della forza di volontà in circostanze particolari.

La gran parte dei miei autori e artisti preferiti ha “percorso questa strada”. Uno dei più importanti per me è Kobo Abe, e per Generous Bosom mi sto ispirando molto al suo libro Secret Rendezvous. Nei suoi quaderni Werner Herzog non fa distinzione tra avvenimenti quotidiani e immaginario onirico (sebbene affermi di non sognare la notte). L’idea seminale per The Amateurs è scaturita da una scena che ho letto nei suoi diari in cui descrive dei macellai incapaci sulle sponde di un fiume a Iquitos. Nell’ambito del fumetto penso che Olivier Schrauwen sia un maestro delle situazioni sognanti/fantasiose/soggettive e nel giocare con il loro scarto umoristico rispetto alla realtà circostante. Altri libri/autori/artisti per me importanti in questo filone sono L’allegra compagnia del sogno di J.G. Ballard, Solaris di Stanislaw Lem, Il pellegrinaggio in Oriente di Hermann Hesse, L’uccello che girava le viti del mondo di Haruki Murakami, chiaramente Borges, Philip K. Dick,  Apichatpong Weerasethakul, Tarkovsky, sicuramente Lynch… E molti altri che sto dimenticando.

L’edizione Fantagraphics di The Amateurs presenta alcune differenze dalla prima versione che ti sei autoprodotto nel 2011. La più significativa è la sostituzione dell’introduzione scritta a mano con una storia completamente nuova di due studentesse che trovano la testa di un uomo nel fiume, lo stesso fiume dove faranno un rito per celebrare la promozione insieme alle compagne di scuola. Perché hai deciso di modificare l’originale e come hai creato questa nuova storyline?

Ero semplicemente insoddisfatto della lettera da un punto di vista estetico. Era una delle ultime cose che avevo aggiunto al fumetto e più la guardavo meno mi convinceva. Un paio di mesi dopo aver pubblicato l’albo ho avuto l’idea di questa seconda storyline e ho pensato: “Se mai avrò modo di ristamparlo l’aggiungerò”. Così quando Fantagraphics me ne ha dato l’opportunità è stata una delle prime cose che ho fatto.

Gli animali hanno un ruolo chiave in The Amateurs, sembrano forti e consapevoli, mentre Jim e Winston, i due macellai protagonisti della storia, sono deboli e confusi. Inoltre la violenza brutale di alcune sequenze in cui gli animali sono considerati semplicemente come cibo sembra condannare la scelta di mangiare carne animale. Volevi comunicare una sorta di “messaggio” con questa storia? O l’interpretazione è più metaforica?

Ho deciso che Jim e Winston dovessero essere dei macellai perché volevo facessero un lavoro intimamente correlato con la morte. Volevo raccontare come le persone, invece di fare i conti con la morte, la considerano una cosa che non li riguarda e finiscono per collocarla nel corpo altrui. E questo porta sempre a un danno per se stessi e per gli altri.

Detto questo, quando ho realizzato il libro ero vegetariano da dodici anni. Ma poi ho ricominciato a mangiare carne. Ahah, non so se questo spiega qualcosa della storia… Se qualcuno decidesse di diventare vegetariano dopo aver letto il libro sarebbe fantastico.

Leggendo The Amateurs, l’impressione è che il genere dei tuoi personaggi non sia casuale. Oltre ad alcuni indizi evidenti (la scuola femminile, le due clienti), tutti gli animali che ad un certo punto si ribellano contro gli umani sono femmine (la scrofa, la giumenta, la mucca) mentre i maschi sono più sottomessi (il maiale va nel mattatoio di sua iniziativa, la tartaruga viene torturata nel bosco). Sembra anche che il potere minaccioso del fiume, quale che sia, non colpisca le donne: lo usano per fare il bagno, lavare i panni, fare dei riti senza che gli succeda nulla. Quando, invece, Winston e Jim entrano nell’acqua vengono letteralmente fatti a pezzi. C’è anche una scena in cui Winston, subito dopo essersi macinato le dita, urla alle due clienti che non tollererebbe mai che una donna criticasse il suo lavoro. Per non parlare del fatto che gli torna in mente che quando erano bambini le due clienti lo avevano vestito da femmina. Ci sembra dunque che il tuo libro sia pieno di sottili riferimenti alle relazioni tra uomini e donne (o alla concezione generale di mascolinità e femminilità). Tutto ciò è intenzionale o lo stiamo sovrainterpretando? E il fiume c’entra qualcosa con la rappresentazione della femminilità nel libro?

Grazie per questa lettura così accurata. È assolutamente vero che, almeno nelle mie intenzioni, il genere era un aspetto fondamentale che volevo affrontare.

Anche a rischio di spiegare troppo o escludere interpretazioni migliori e più interessanti, direi che The Amateurs è un tentativo di prendere in giro, ridicolizzare e fare a pezzi (letteralmente, ahah) la concezione di una mascolinità autosufficiente, non-relazionale, quella dell’uomo che ha tutte le risposte. È questo ciò che Jim e Winston tentano di rappresentare per i personaggi femminili del fumetto.

Di grande ispirazione per The Amateurs è stato il libro di Kaja Silverman Flesh of my Flesh, che propone di sostituire il mito di Edipo con quello di Orfeo per quanto riguarda il genere – una storia basata sulla mortalità invece che sulla castrazione. Afferma che la nostra mortalità ci permette di relazionarci gli uni con gli altri per analogia, attraverso le nostre somiglianze, piuttosto che metaforicamente, cosa che presuppone sempre una gerarchia. Ho utilizzato molte di queste idee e ho preso in prestito l’immaginario del mito di Orfeo (ad esempio la testa trascinata sulla riva).

Grazie per aver evidenziato l’aspetto del genere a proposito degli animali ma non penso di averlo fatto intenzionalmente. Credo che un modello simile emerga anche in Generous Bosom, dove il protagonista e “eroe” della storia è in realtà molto passivo.

Quanto all’acqua, credo sia rappresentativa di uno stato estatico/trascendente/indefinito e non riferita al concetto di genere.

L’acqua è un elemento ricorrente nei tuoi fumetti, e talvolta ha un ruolo fondamentale. Può essere il fiume rituale in The Amateurs, la pioggia da cui prende forma Generous Bosom, il lago delle tensioni acute ma impalpabili di Glancing, il mare che accoglie i giochi di Water Phase e il flusso narrativo di Christmas in Prison. Se la consideriamo come un simbolo, l’acqua è necessariamente sfaccettata, fluida, e sembra collegata al desiderio, al cambiamento, all’epifania. È dove succedono le cose, dove si raccontano le storie e si svelano i segreti. Perché l’acqua è così importante per te?

Grazie per aver rintracciato in maniera così completa questa immagine nei miei lavori! Avete delineato così bene il modo in cui ho utilizzato l’acqua che non so se posso aggiungere altro…

Dei significati simbolici che avete elencato mi identifico maggiormente con l’idea di cambiamento. L’acqua è dove i confini si infrangono, le cose si dissolvono, le definizioni si spostano.

Per quanto si debba essere chiari ed esplicativi nel raccontare una storia, soprattutto con i fumetti (ecco un tizio, ed eccolo di nuovo, vedi? Porta le stesse scarpe e lo stesso cappello, a parte il fatto che gli è caduto l’ombrello, ed eccolo, è di nuovo lui che si sta chinando per raccoglierlo), l’acqua concede uno spazio necessario alla vaghezza.

È un luogo che permette di sospendere l’interruzione tra le varie vignette (o forse è un modo di rappresentare quel non-spazio tra loro). Puoi raffigurare un personaggio con tratti puliti e decisi per la maggior parte della tua storia ma, se pensi allo stesso personaggio in una vasca piena d’acqua, le linee diventano tutte ondulate. E possono essere diverse, dunque.

Questo conferma la tua tendenza a cercare modalità sempre nuove per raccontare una storia. Per esempio anche il tuo ultimo lavoro, Tintering, è innovativo, perché invece di disegnare i personaggi racconti la storia di cinque artisti autodidatti attraverso diversi oggetti rotti e usando vignette molto simili tra loro, mentre il contenuto è veicolato soprattutto attraverso il testo. Come sei arrivato a questo e perché è importante per te puntare l’attenzione sugli oggetti?

L’ispirazione per il soggetto del fumetto è stata una lezione di storia dell’arte di Lisa Stone, che è un’insegnante incredibile, generosa e acuta sul tema degli artisti autodidatti e vernacolari. Il modo in cui questi artisti si rapportavano agli oggetti era diverso da come noi abitualmente facciamo (o dobbiamo fare) nella quotidianità. Kea Tawana, per esempio, smontava con meticolosità e attenzione quei vecchi edifici di Newark. Aveva un’enorme sensibilità per l’artigianato e non poteva sopportare che dei materiali utili andassero sprecati. Buona parte del lavoro di questi artisti autodidatti è una risposta alla produzione massiva di oggetti tipica della nostra cultura, e all’incuria e spreco successivi.

Inizialmente pensavo che il fumetto dovesse essere come quelle sezioni di Christmas in Prison in cui il personaggio fa una sorta di monologo rivolto al lettore. Allora ho disegnato un tipo dietro un albero e poi ho pensato che avrebbe allungato una mano e spezzato un ramo. A quel punto mi è sembrato più corretto che fosse il ramo a parlare. La maggior parte delle storie di questi artisti iniziano e finiscono tragicamente – subiscono una perdita, creano qualcosa di bello che viene distrutto. Mi è sembrato giusto che fosse qualcosa di rotto a raccontare queste storie e che parlasse dalla parte della ferita.

In Generous Bosom esplori in maniera approfondita un tema per te ricorrente. Potremmo chiamarlo “voyeurismo” ma sarebbe semplicistico, è piuttosto la questione continua di “chi guarda” e delle dinamiche del guardare. Questo tema è presente in molte delle tue opere ed è fondamentale nel tuo albo autoprodotto The Dormitory. Ma chi è il vero voyeur, l’autore o il lettore? O qualcun altro?

Difficile rispondere brevemente a questa domanda, soprattutto perché la considero una questione aperta, su cui sto ancora lavorando… Non credo che qualcuno possa semplicemente guardare qualcosa senza, consapevolmente o meno, partecipare o alterare ciò che sta guardando. Non penso di poter dire chi sia il “vero” voyeur.

Forse i fumetti si basano proprio sul fatto che l’atto di osservare influenza ciò che si guarda. Ci puoi parlare della tua esperienza di lettore? Come ti piace leggere/guardare i fumetti?

Sì, credo che questa sia una giusta considerazione. In un fumetto non si sfugge al fatto che qualsiasi cosa si trovi sulla pagina è stata messa lì da qualcuno e nel disegnare non c’è differenza tra ciò che si vede e come lo si vede.

Detto questo, come lettore mi piace molto considerare il fumetto come un medium in cui mettere del tuo. Non è la stessa cosa di guardare un film, qui è il pubblico/lettore ad animare l’azione. Per rispondere alla domanda, penso che Generous Bosom indaghi la dinamica della lettura dei fumetti – puoi pensare di osservare qualcosa che succede sia come lettore che come autore ma in realtà sei tu a far succedere quella cosa.

Mi piace leggere più volte i fumetti. E mi piace il fumetto perché è un mezzo che incoraggia questo processo; è sempre facile ritrovare una scena preferita, è a portata di mano. E inoltre leggendo i fumetti si può passare velocemente dall’oggetto della storia al mezzo con cui è raccontata. La densità e la profondità di un fumetto davvero bello sono immediatamente accessibili.

I tuoi fumetti bilanciano flusso e struttura in una maniera unica e originale e in genere è molto difficile capire se sei partito dalla trama o dai disegni. Glancing, un’opera basata sull’accostamento di acquerelli senza testo, potrebbe essere un ottimo esempio. Qual è la tua concezione di fumetto e narrazione?

Grazie! Sulla mia concezione di fumetto e narrazione penso si possa tornare a ciò che ci siamo detti sull’acqua e sulla comparsa del misterioso e dell’irrazionale nel quotidiano. Struttura=Vita quotidiana=Narrazione principale di un fumetto/Disegni lineari/Chiarezza, mentre Flusso=Mistero=Acqua/Cambiamento/Irrazionalità.

Nei miei fumetti tento di mettere tutti i pezzi in fila, di raccontare una storia, e per farlo bisogna stabilire delle regole che il lettore possa seguire e su cui possa fare affidamento (credo che questo sia ciò che intendete con “struttura”). Queste regole si accumulano e possono presto diventare ostacoli alla libertà e alle potenzialità proprie del mondo che ho creato, che sono la fonte di energia per il seguito della storia. Per me a questo punto è il momento di cambiare le regole, o di lavorare a un altro progetto con regole diverse o ancora imprecise.

Lavorare a Glancing è stato in questo senso molto divertente e dinamico, perché facevo tre o quattro disegni e poi potevo inserirne altri nel mezzo, o dopo, o prima. Potevo osservare tutto il lavoro disposto sul pavimento e farmene un’idea complessiva. Voglio lavorare ad altri fumetti in questo modo.

Un altro aspetto interessante del tuo lavoro è che in genere eviti l’opposizione tra fumetti narrativi e non-narrativi – e tra “fiction” e “poetry comics” – alternando le due modalità o dimostrando la loro sostanziale identità nel campo del fumetto. Concordi con questo punto di vista?

Grazie di nuovo! Sì, ritengo che anche questo aspetto sia collegato alla domanda di prima. Aggiungerei che le decisioni sulla struttura, se qualcosa debba essere “poetico” o “narrativo” e così via, sono prese seguendo l’entusiasmo per ciò su cui sto lavorando. Spesso inserisco qualcosa di misterioso/poetico/irrazionale/non-narrativo perché mi sto per annoiare di una fase della storia o perché voglio evitare una scena che non mi sembra interessante da realizzare o da leggere.

Il tuo lavoro guarda sia ai fumetti letterari degli anni ‘90 sia alla sperimentazione formale che si distingue dagli standard del graphic novel, come Fort Thunder e gli art comics in genere. Ma qual è il tuo background? Anche al di fuori dei fumetti, ovviamente.

La mia più grande influenza sono gli amici che ho trovato al Maryland Institute College of Art, le persone che facevano parte del gruppo Closed Caption Comics. Da giovani abbiamo imparato tutti insieme a fare fumetti. Era il periodo in cui stava nascendo PictureBox e molte delle cose di Fort Thunder stavano emergendo ed era perfetto – sembrava che l’immediatezza di quei lavori e la loro forza visuale si rivolgessero proprio a noi. Kramers Ergot 4 e 5, il vecchio sito di Fort Thunder e conoscere CF e Brian Chippendale alla Small Press Expo ci fece capire che quello era il mondo dell’arte in cui potevamo trovare il nostro spazio. Direi che per un bel po’ quella è stata la dimensione che mi interessava: la mia cerchia di amici e quel paio di spiriti guida là fuori.

Oltre a questo, crescere nella Pennsylvania rurale ha avuto una grande influenza sui mondi immaginari dei miei libri. Ho letto anche molta letteratura. Ho appena terminato un master alla School of the Art Institute di Chicago. Non so se però siete più interessati alla mia formazione e alle mie influenze o alla mia biografia…

Soprattutto alle tue influenze, ma anche all’aspetto biografico nella misura in cui ha influenzato il tuo lavoro…

Oltre a Closed Caption Comics, ho partecipato ad altri progetti artistici che hanno avuto un grande impatto sulla mia vita. Appena finita la scuola, ho dato una mano alla creazione della galleria Open Space a Baltimora. Abbiamo curato degli spettacoli, ospitato performance, creato una biblioteca di fanzine e abbiamo messo in piedi la Publications and Multiples Fair. Sto anche aiutando a organizzare la prima Chicago Art Book Fair.

Per sette anni sono stato anche in una band chiamata Witch Hat che ho fondato con Noel Freibert e Lane Milburn. Dopo tre anni Lane ha lasciato la band e si è unito a noi Chris Day. Chris e io ora siamo in una nuova band che si chiama Lilac, con Anya Davidson e Kenny Rasmussen, qui a Chicago (io e Chris ci siamo trasferiti nello stesso periodo). Quando sono entrato nella scena underground dei fumetti c’erano molti punti di contatto con la scena musicale underground. Ho incontrato molti musicisti grazie ai fumetti e molti fumettisti grazie alla musica.

Pensi che la tua arte o il tuo approccio all’arte siano cambiati da quando non sei più a Baltimora? A Chicago c’è una scena fumettistica importante e una lunga tradizione di arte contemporanea che sicuramente ti avranno stimolato, ci viene da pensare agli Hairy Who ma ci sono probabilmente molte cose che in Europa sono poco conosciute.

La mia arte e il mio approccio sono sicuramente cambiati molto da quando ho lasciato Baltimora. Ho frequentato una nuova scuola negli ultimi due anni e l’essere in contatto con tantissime nuove opere, persone e idee è stato incredibilmente rinvigorente e travolgente. Penso che per digerire tutto ciò mi ci vorranno degli anni.

Quanto allo stile di vita, trasferirmi qui e frequentare la scuola mi ha permesso di evitare i lavori non artistici (almeno per ora). È una grande opportunità che prima non pensavo di potermi permettere. Ora sono più concentrato sull’idea di fare arte a tempo pieno, o almeno di farla e insegnarla.

Chicago è una città fantastica per i fumettisti. C’è una comunità splendida, di grande supporto, e realtà come la serie di reading Zine Not Dead gestita da Matt Davis e Brad Rohloff, che porta avanti la tradizione delle letture performative di fumetti avviata da Lyra Hill con Brain Frame. E poi a soli cinque isolati da casa mia vivono tutti insieme Anya Davidson, Lane Milburn, Margot Ferrick e Andy Burkholder (anche Edie Fake viveva lì, nella mansarda). A due isolati di distanza ma in un’altra direzione vivono i miei cari amici Molly O’Connell e Chris Day – i quali fanno entrambi cose molto belle, nell’ambito dei fumetti e non solo.

Abbiamo già parlato di Conor Stechschulte qui:

Qualche fumetto dalla Small Press Expo (Mountain Comic & Generous Impression)

Best Comics of 2014: The List (The Amateurs, Generous Bosom, Glancing)

Generous Bosom #1-2

Christmas in Prison

Misunderstanding Comics #8 (The Fence)

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