“Boiled Angel” di Mike Diana in pre-order

I più attenti tra voi ricorderanno che un paio di anni fa apparve brevemente sul Big Cartel di Just Indie Comics la raccolta dei primi 4 numeri del Boiled Angel di Mike Diana, confezionata in un elegante cartonato celeste edito dai macedoni di Crna Hronika. Ebbene, da qualche mese è finalmente stato pubblicato il secondo e ultimo volume, ancora cartonato e persino più massiccio del precedente (sono più di 400 pagine), ed è così giunto il momento di renderlo disponibile al pubblico italiano. Ma se vi interessa affrettatevi: i volumi sono infatti oggetto di un pre-order limitatissimo, che si chiuderà il 19 marzo o forse anche prima (dipende dalla quantità di ordini che arriveranno), e al termine del quale i due libroni non saranno più disponibili, forse per un bel po’ di tempo o forse per sempre (chissà). Ma cosa ci trovate dentro? Semplicemente alcuni dei fumetti più offensivi, deviati e perversi di sempre, in cui non manca una buona dose di ironia ma che comunque all’epoca – tra il finire degli anni ’80 e l’inizio dei ’90 – fecero scalpore per oscenità e audacia. E forse già saprete che proprio per Boiled Angel Diana venne processato e infine condannato, dando vita a una lunga causa legale che fu al centro delle cronache fumettistiche dell’epoca (il Comics Journal, allora ovviamente nella sua versione cartacea, la seguì approfonditamente). Ma all’interno di queste raccolte non ci sono soltanto i fumetti di Diana, dato che Boiled Angel era una vera e propria fanzine in cui l’autore raccoglieva racconti, illustrazioni e vignette che collaboratori occasionali, sparsi ai diversi angoli degli Stati Uniti, gli mandavano con il preciso scopo di esagerare e scioccare più degli altri, tra violenze ed efferatezze varie, mutilazioni corporee, insulti contro la religione, dettagliate descrizioni dei modus operandi dei serial killer, ecc. ecc. Niente di politically correct insomma, anzi, siamo dalle parti dell’underground puro e marcio, in cui il fumetto va a braccetto con l’Apocalypse Culture e con quella passione per l’estremo che dominò la controcultura angloamericana di quel periodo. Se siete interessati fatevi un giro sul Big Cartel di Just Indie Comics e approfondite la vicenda, dato che lì ci sono anche una serie di istruzioni e informazioni relative al pre-order. Se invece state leggendo queste righe quando è troppo tardi, beh, peggio (o forse meglio) per voi.

 

Vi presento Joe Matt/3

Si conclude con questa terza puntata lo speciale Joe Matt. Non ne sapete niente? Bene, allora andatevi subito a leggere la PRIMA e la SECONDA parte e poi tornate qui.

E’ l’aprile del 1994 quando esce Peepshow #6 e Matt si è dimostrato fino a quel punto un cartoonist dai ritmi piuttosto serrati, con 6 comic book pubblicati in 2 anni. Raccontate con discreta minuzia le sue vicissitudini sentimentali, si rende conto che è tempo di cambiare e di passare ad altro, magari a una storia lunga che tutti possano leggere dall’inizio alla fine senza sapere assolutamente nulla di lui. Matt pensa già al graphic novel: in testa ha il volume, ancor più dei singoli albi, anticipando un approccio (anche di marketing) che sarà fatto proprio dalla stessa Drawn & Quarterly. Peepshow #7, pubblicato a marzo del 1995, è così il primo episodio di Fair Weather, una storyline – da noi tradotta da Coconino con il titolo Il bel tempo – che si svilupperà in quattro puntate, fino al #10 datato luglio 1997. Siamo sempre dalle parti del fumetto autobiografico ma stavolta l’attenzione non è sul presente ma sul “dorato” periodo della gioventù. In questa nuova storia si raccontano infatti le vicende di un weekend estivo degli anni ‘70 in quel di Lansdale, Pennsylvania, dove il giovane Joe è un ragazzino biondo già collezionista di fumetti e gadget, egoista, pigro e codardo. La prima parte si apre con tre pagine di corsa in bicicletta di Dave, amico di Joe e comprimario della storia, che i lettori più fedeli avevano già conosciuto – a dire il vero sotto tutt’altro aspetto fisico – in una pagina di Peepshow! – The Cartoon Diary of Joe Matt intitolata appunto My Best Friend… (As a Kid) “Dave”. La corsa del ragazzino tra villette a schiera, salite, discese e strade sterrate ci sintonizza subito sulle giuste frequenze tematiche ed emotive, facendoci quasi sentire l’aria di quella lontana estate nei sobborghi. E a pagina 4 ecco arrivare il giovane Joe, capelli un po’ lunghi e riga da una parte, che sale dietro alla bicicletta dell’amico. Gli ha chiesto un passaggio in bici perché spaventato da Rizzo, un bullo del quartiere, che in realtà – si scoprirà in seguito – non aveva tutti i torti a prendersela con lui, dato che si era accorto consultando la classica Comic Book Price Guide di essere stato fregato in diversi scambi di fumetti. Insomma, abbiamo subito a che fare con il solito Joe Matt: attaccato alle cose materiali, tirchio, avido, cacasotto. E anche politicamente scorretto: come in Peepshow #1 faceva un occhio nero a Trish, qui si mette insieme a Dave a prendere di mira Gail, una ragazzina mentalmente disabile che i due prima costringono a cantare e poi deridono senza pietà. E poi lo definivamo avido e attaccato alle cose materiali? Eccolo qui perseguitare un ragazzino del paese che sembra avere in casa una copia di Action Comics #1. O maltrattare la nonna perché gli ha regalato dei fumetti mezzi rovinati, che non sono “mint” come piacciono a lui.

Siamo a questo punto già al numero successivo, in cui altre situazioni ci ricordano del Joe Matt che abbiamo conosciuto da adulto. L’accidia è una delle sue caratteristiche e qui la vediamo già bell’e pronta, dato che si rifiuta in tutti i modi di accontentare la madre falciando il prato di casa e per punizione lei gli fa sparire tutti i fumetti dalla libreria. “Dove sono” urla in lacrime dopo aver trovato la cameretta vuota. E poi, in un’escalation, quando lei gli dice che li ha buttati: “Stai mentendo! Bugiarda! Bugiarda!”. E ancora “Non avevi nessun diritto”, “Mi devi diecimila dollari!”, “Mi auguro per te che siano nella tua stanza!”. L’episodio rispecchia un rapporto con i genitori non certo idilliaco, oltre che l’insolenza di Joe, sempre pronto a rispondere male, a lamentarsi, a ribellarsi. Quando all’inizio del #10 la madre vuole portarlo a messa, lui nel tentativo di ritrovare i suoi fumetti rintraccia in un cassetto la copia del libro Helter Skelter di Bugliosi e Gentry, che gli era stata sottratta perché poco adatta alla sua età (d’altronde è sul caso Manson), e fuori di testa apostrofa la madre con un sonoro “Fuck you!”. Non manca l’altra caratteristica del Matt adulto, il voyeurismo, di cui vediamo una sorta di prequel quando spia le donne di un centro benessere prendere il sole in topless. Si tratta di un posto segreto suggeritogli da Dave, ma saprà Joe tenere la cosa per sé o la userà come merce di scambio per procurarsi altri fumetti? La risposta la conoscete già.

Al di là di qualche screzio inevitabile a quell’età, il rapporto tra Joe e Dave è senz’altro la nota positiva della storia, oltreché il fulcro della stessa. “Volevo fare un fumetto che parlasse di due persone e non di una sola – racconta Matt a The Comics Journal nel ‘96 – Non so se si capisce, se è chiaro che parla di questi due amici, o sembra che sia solo su di me. Ma nella mia testa volevo concentrarmi sul rapporto di amicizia”. Con Dave il protagonista condivide la passione per i film dell’orrore presentati dal Dr. Shock, anfitrione di un popolare show televisivo andato in onda in Pennsylvania in quegli anni e che sarà ospite proprio quel fine settimana alla fiera di Lansdale. Passo dopo passo la trama converge verso quella domenica sera, che però alla fine non ci sarà mostrata, perché il finale di Peepshow #10, numero speciale lungo 32 pagine, è il classico anticlimax. Fair Weather è un autentico ritratto dell’artista da giovane, incentrato su episodi che descrivono una gioventù ma senza segnarla: qui non si racconta un’avventura alla Stand By Me ma un fine settimana qualsiasi. E quindi sarebbe sbagliato definire questa storia come un romanzo di formazione, perché alla fine il protagonista rimane esattamente come prima, anzi, potremmo dire che in queste pagine si gettano le basi della personalità disfunzionale del Joe Matt adulto.
Pur non riuscendo a far ridere come lo story-arc precedente (e francamente sarebbe stato impossibile, visti i temi in gioco), la storia ospitata su Peepshow #7-10 è una lettura divertente che dimostra ancora la capacità di Matt nel raccontare. Qui il suo cartooning è fluido come pochi, fatto di inquadrature semplici ma efficaci, di un’espressività senza eguali, di tempi narrativi e comici scanditi da un metronomo. Insomma, si finisce a girare le pagine alla velocità della luce, ed è quasi un peccato, perché divorare queste storie così in fretta non fa nemmeno apprezzare la qualità intrinseca dei disegni, più ariosi e meno compressi rispetto al passato, grazie all’utilizzo di vignette più grandi e di pagine costruite sempre in maniera diversa. A livello artistico, Fair Weather è la summa del perfezionismo di Matt, l’esaltazione del suo segno pulito e chiaro, reminiscente dei classici della strip americana. Ed è anche la massima espressione del suo maniacale perfezionismo, che lo porta a cancellare e a ritoccare ogni singolo particolare, principale causa – insieme alla pigrizia – della cadenza sempre meno regolare delle sue pubblicazioni.

“Ti senti molto più libero quando sei solo. Nessuno ti guarda. Nessuno mi guarda mentre spreco intere giornate. Nessuno mi guarda mentre sto lì a non fare niente. E soprattutto nessuno mi giudica. Ma comunque penso di dare il meglio di me in una relazione, perché stare insieme a qualcuno comporta delle responsabilità e quindi anche io mi sento più responsabile. Da solo, sono autoindulgente e masturbatorio. Ma sono felice! In un certo senso sono felice, in quel modo lì. Ma non a lungo termine… A un certo punto non ne puoi più”. Questa riflessione, pubblicata nella già citata intervista di The Comics Journal #183 del gennaio 1996, potrebbe essere considerata in qualche modo un preludio a Spent, la nuova storyline di Matt. E’ una storia frammentata, caratterizzata da un’unità tematica e stilistica più che di azione. Se con Fair Weather l’autore aveva aderito in tutto e per tutto al format emergente del graphic novel, in Spent già lo rompe presentando ai lettori non una narrazione nel senso classico del termine ma una digressione su un tema. Le vicende si svolgono su piani temporali differenti ma ugualmente utili a fotografare la condizione dell’autore/protagonista. E non è una condizione eccellente, come si potrà intuire dal titolo. Spent (letteralmente “esausto”) rimanda da una parte allo stato del protagonista dopo che si è masturbato anche venti volte al giorno, dall’altra a una più generale sensazione di “non poterne più”, che lo porta a percorrere il circolo vizioso della pigrizia e dell’infelicità. Alle sonore risate, inevitabili a ogni rilettura, è impossibile non accompagnare di tanto in tanto un sorriso amaro. Il primo capitolo esce su Peepshow #11 del giugno 1998, in cui la serie cambia formato, abbandonando quello del classico 17×26 cm per passare al più piccolo 15×23 cm. Inoltre appare per la prima volta il colore. I numeri dall’11 al 14 di Peepshow sono stampati in bianco, nero e rosso, a differenza della raccolta in volume, in cui il rosso scomparirà per lasciare spazio a un verde tenue che non colorerà solo i dettagli ma anche gli sfondi: una scelta non certo riuscita, che avrà l’effetto di penalizzare la linea pulita ed elegante di Matt, appiattendo notevolmente le tavole.

E’ il 1994 e in un negozio di libri usati, a Toronto, Matt trova una raccolta della striscia Birdseye Center, di cui gli aveva parlato Seth, e la soffia all’amico acquistandola per soli 10 dollari. Seth va su tutte le furie e ne nasce il solito battibecco tra i due, in cui Matt mette in mostra come sempre taccagneria e grande cocciutaggine, mentre Seth – dopo aver visto un tipo che parla ad alta voce al cellulare – distoglie l’attenzione dal fumetto per lanciarsi nel suo solito sproloquio contro il presente, a favore dei magici “tempi che furono” (“I fuckin’ hate this modern world we’re livin’ it” esclama in una vignetta). Dopo un flashback che riprende il giovane e impacciato Matt di Fair Weather alle prese con una bambina bionda, la scena cambia e assistiamo all’adulto protagonista che incontra il suo spacciatore di VHS porno. Ma l’atmosfera non è certo idilliaca e se Omar è un erotomane guardone compulsivo, Matt si fa prendere dai sensi di colpa e comincia a interrogarsi sulla sua dipendenza dalla pornografia. “Si tratta solo di soldi – riflette il nostro – e persone come me e te sono dei complici. Siamo noi i consumatori. Sono i nostri soldi a pagare queste ragazze. E’ proprio squallido, se ci pensi… Pagare della gente perché si faccia guardare mentre fa sesso…”.
Per Peepshow #12 bisogna aspettare quasi due anni, dato che esce nell’aprile del 2000. E’ lo stesso protagonista a spiegarcene il motivo, leggendo la biografia di Frank King pubblicata su The Smithsonian Collection of Newspaper Comics e paragonandola alla sua: se l’autore di Gasoline Alley realizzò una striscia al giorno per oltre 40 anni, lui ha avuto un crollo della produttività da quando è finita la sua relazione con Trish. La storia alterna il tempo presente a Toronto con un flashback di un episodio del passato, a Lansdale nel 1980. Il parallelismo è dato dalla condizione di Matt: chiuso in camera con due videoregistratori per montare la VHS porno perfetta (ossia senza volti maschili), l’ormai ultratrentenne Matt è soltanto una versione adulta del bambino che si chiudeva in bagno ad aspettare l’inizio di Bedazzled (Il mio amico il diavolo in italiano) per toccarsi davanti a Raquel Welch. Per tutto l’episodio il protagonista non esce dalla stanza, al punto che – quando si accorge che la sua “pee bottle” è piena fino all’orlo – arriva a pisciare in una tazza da tè per non correre il rischio di incontrare la sua coinquilina o, peggio ancora, la padrona di casa. Insomma, la trama latita e può essere ricondotta alla frase “il protagonista sta chiuso in una stanza a masturbarsi”, come se Matt avesse deciso di rinunciare al racconto per mostrare ai lettori quanto è caduto in basso.

Peepshow #13 esce a febbraio 2002 e consta di ben 32 pagine, 8 più del solito. Si tratta di un altro episodio tematico ma, se nel numero precedente il set era la stanza di Matt, adesso è il ristorante Tony’s di Toronto, dove va in scena una conversazione lunga tutto il comic book, in cui il protagonista viene preso continuamente in giro da Seth e Chester Brown. Al centro i soliti temi (masturbazione, porno, collezionismo, fumetti, soldi, misoginia e la fascinazione per una ragazza sin troppo giovane), sviscerati con dialoghi frizzanti e un crescendo di gag che porterà al divertentissimo finale, diretto seguito delle vicende del numero precedente. Forse uno dei fumetti non sperimentali più statici di sempre – al pari della prima parte del Clyde Fans di Seth – Peepshow #13 riesce anche ad essere, grazie al talento di Matt, uno dei più divertenti della serie e dimostra come si può fare ottimo fumetto con pochi elementi e senza grosse trovate formali. Lo stesso discorso vale d’altronde per tutta la storyline, raccontata interamente con una griglia di otto vignette sviluppate in orizzontale, senza nemmeno una pagina diversa dalle altre: un ritorno alla regolarità dopo la libertà che l’autore si era concesso in Fair Weather.
Se qualcuno si lamentava perché Peepshow usciva assai di rado, le cose con il #14 andarono anche peggio. Il nuovo numero arriva infatti a quasi 5 anni dal precedente, ossia nel novembre del 2006, quando l’autore si è già trasferito a Los Angeles. “Questo numero porta a conclusione la mia storia più recente – scrive Matt nella pagina della posta – ambientata a Toronto. E sì, sarà raccolta in volume l’anno prossimo. E per rispondere alla tua domanda a proposito delle mie intenzioni a proposito di questa storia… Beh, essenzialmente ho voluto riassumere o lasciare traccia di un particolare periodo della mia vita. Ovviamente il mio obiettivo iniziale era molto più ambizioso… Speravo di raccontare con precisione l’esasperazione e la schizofrenia che derivano dalla dipendenza… Il continuo andirivieni tra il tentare di uscirne fuori e il rassegnarsi definitivamente ad essa abbracciandola”. Questa analisi raggiunge il suo compimento in queste pagine, dove l’autore si fa strada tra le sue compilation porno e le strisce di Gasoline Alley per riflettere amaramente su nevrosi, depressione e addirittura morte. Non si risparmia Matt, e senza alcun pudore si descrive com’è, con una consapevolezza che sfocia a volte nell’autodenigrazione, tanto da apparire come una specie di reietto depresso pieno di disprezzo per la vita e per se stesso. Anche il suo lavoro passato viene preso di mira, e così lo vediamo sfogliare i volumi di The Poor Bastard e Fair Weather inorridendo per alcune scelte di disegno e di scrittura. E coglie anche l’occasione per confessare al lettore che non tutto quello che ha raccontato è successo veramente, definendo The Poor Bastard “half fabrication” e ammettendo di essersi completamente inventato la scena finale del ménage à trois. Ma non c’è da stupirsi: basta leggere i fumetti di Matt per rendersi conto che non tutto può essere vero, perché le gag sono così perfettamente costruite da dover essere necessariamente fiction. “Non credo che il mio lavoro rispecchi la realtà in tutto e per tutto – aveva detto Matt nell’intervista pubblicata nel #162 di The Comics Journal – I miei fumetti hanno una componente fittizia, nel senso che è normale mettere insieme degli eventi distanti nel tempo o inventarsi qualche particolare per dare un po’ di pepe alla storia. E poi io tendo a drammatizzare le cose (…). E’ normale esagerare per far ridere i lettori”. Insomma, se non fosse ancora chiaro il Joe Matt autore e il Joe Matt personaggio non sono affatto la stessa cosa, per quanto noi lettori tendiamo inevitabilmente a identificarli. Peepshow #14 si conclude con Maude, la gatta della sua vicina di casa e unico motivo di gioia per Matt, che caga addosso all’autore. Un finale davvero esplosivo, nel senso letterale del termine.

Ma che fine ha fatto Joe Matt? La domanda è lecita, perché stiamo parlando a tutti gli effetti di un autore uscito dai radar del fumetto. Se, come abbiamo detto, il #14 di Peepshow è del 2006, dell’anno successivo è Spent, raccolta dei #11-14, in italiano profeticamente tradotto da Coconino come Al capolinea. Nel frattempo il nostro si è trasferito a Los Angeles, ha una nuova fidanzata, si è più volte iscritto e cancellato da Facebook e ora ha anche un account Instagram e un gatto bianco di nome Seymour. Se poi vogliamo parlare di fumetti, beh, non si è visto granché di suo, a parte un paio di fugaci apparizioni. Nel 2015 è uscito un fumetto inedito a firma Matt sulla voluminosa celebrazione dei 25 anni di Drawn & Quarterly (Drawn & Quarterly: Twenty-Five Years of Contemporary Cartooning, Comics, and Graphic Novels), che doveva essere inizialmente la prima parte di Peepshow #15. “E’ difficile immaginare che un’era del genere sia mai esistita – scrive nell’introduzione l’editore Chris Oliveros – ma sì, c’è stato un breve periodo in cui Joe Matt era un fumettista prolifico”. Seguono 15 pagine di fumetto suddivise in brevi episodi, in cui Matt racconta del suo trasferimento a Los Angeles, ci aggiorna sulla sua situazione sentimentale, discute dell’opera di Robert Crumb e disegna il discorso d’addio dedicatogli da Seth al momento di lasciare Toronto. 
Nel 2016 la piccola casa editrice di Denver Kilgore Books ha invece pubblicato l’esilarante Paid for It, un mini-comic di sole 8 pagine in cui Matt ribalta le situazioni di Paying for It di Chester Brown assegnando all’amico il ruolo del gigolò. Da allora più niente, anche se va detto che nel 2020 sono cominciati ad apparire dei post su Instagram che mostravano altre pagine destinate a Peepshow #15. Il progetto precedente – quello visto sul volume celebrativo di Drawn & Quarterly –  è stato infatti abbandonato a favore di una nuova storia, ambientata almeno in parte nel 2002, e di un racconto breve sull’esperienza dell’autore con la HBO. Anche in questo caso però, nonostante le pagine fossero addirittura già inchiostrate e letterate, non si hanno più novità e l’ultimo post in questo senso è del settembre 2020. Chissà a questo punto se, tra un’interruzione e un ripensamento, Matt riuscirà a far ripartire una serie ferma al momento da ben 17 anni. Io ovviamente spero di sì, e sono convinto che sarebbe bello e al tempo stesso strano, come assistere alla reunion di una band che non avresti mai pensato di riveder suonare.

De(a)t(h) Grymma Svärdet

Il titolo di questo post sembrerà criptico e illeggibile ma in realtà è un (brillante) gioco di parole per annunciare la chiusura di un’antologia che da un paio d’anni è diventata ospite fissa del Big Cartel e dei banchetti di Just Indie Comics. Ma innanzitutto guardiamo il filmato!

Ovviamente non c’era nessun filmato ma solo questa splendida e coloratissima copertina di Tara Booth tratta da Det Grymma Svärdet #43, un elegantissimo cartonato di 180 pagine rilegato in tela che replica il formato del #40. Anche i contenuti sono sulla stessa falsariga, perché all’interno troviamo un mix di fumetti di autori internazionali con l’aggiunta di qualche articolo: il tutto in svedese ma con un libretto di traduzioni in inglese allegato. Per leggere questo Det Grymma Svärdet #43 ci vuole un po’ di pazienza insomma, ma vi dico che ci si riesce persino da sdraiati, quindi in realtà non è poi così complicato.
Ultimo numero dicevamo, ma perché? La decisione era già stata anticipata dall’editor Fredrik Jonsson nel numero precedente dell’antologia. In sostanza, il motivo è legato all’inevitabile e triste destino delle antologie/riviste, un tipo di prodotto oggi poco premiato dai lettori, soprattutto se paragonato ai graphic novel. Jonsson è infatti il deus ex machina di Lystring Förlag, casa editrice svedese che pubblica in patria autori come Simon Hanselmann, Olivier Schrauwen, Tommi Parrish e tanti altri, trovando un soddisfacente riscontro di vendite. Det Grymma invece, pur beneficiando di finanziamenti statali, a malapena andava in pareggio, non riuscendo a volte nemmeno a recuperare i costi di stampa (i numeri hanno di volta in volta un formato e un concept diverso ma sono sempre ben confezionati) e il pagamento dei diritti agli autori.

Jerome Dubois

In attesa di un prossimo e già annunciato “best of” della serie, godiamoci intanto questo numero finale, disponibile da qualche giorno nel Big Cartel di Just Indie Comics. E vi assicuro che è uno dei migliori Det Grymma di sempre, curatissimo nell’editing e con più di qualche perla. Cito per esempio i contributi di Jerome Dubois, che apre e chiude le danze con due estratti dai suoi due libri gemelli, Citéville e Citéruine, usciti in Francia nel 2020 rispettivamente per Cornélius e Editions Matière, il primo con dialoghi e personaggi rappresentati in bianco e verde e tratti manga, il secondo che mostra le stesse situazioni in bianco e nero ma disegnandone solamente gli sfondi e le ambientazioni. Notevoli le 16 pagine di Louka Butzbach, che racconta la ribellione giovanile con colori tenui e atmosfere favolistiche. I figli di Werewolf Jones, Diesel e Jaxon, sono protagonisti delle due storie realizzate dal duo Simon Hanselmann e Josh Pettinger, che negli USA hanno già trovato spazio in alcune fanzine autoprodotte (occhio al loro Werewolf Jones & Sons Deluxe Summer Fun Annual, in uscita a luglio per Fantagraphics): entrambe divertentissime, con il picco raggiunto da Spit Game, una gara di sputi tra i due ragazzini che a un certo punto diventa una gara di schizzi (vabbè, se conoscete Hanselmann già sapete dove si va a parare). Altri pezzi forti sono le 16 pagine a firma Teddy Goldenberg con atmosfere stranianti degne del suo recente City Crime Comics, Anna Haifisch che in 1992 ricostruisce le visite allo zoo di Lipsia in compagnia della madre con un tratto più spesso rispetto al passato e decisamente interessante (dalle parti del Joe Kessler del bellissimo Le Gull Yettin/Måsvarrelsen), Marko Turunen (ricordate il suo La morte alle calcagna per Canicola?) che in bianco, nero e verde ci regala un pezzo focalizzato più sulle atmosfere che sulla trama, con protagonisti una suora fotografa, un tizio incontrato alla fermata dell’autobus e una specie di robot che officia un funerale. Mancano da citare i contributi di HTMLflowers, Nathan Cowdry, Melek Zertal, Sara Kupari e una pagina a firma Tommi Parrish ma insomma, avete capito che il livello è alto e che questo numero di Det Grymma Svärdet riesce ampiamente nel tentativo di mettere insieme lavori fuori dagli schemi, capaci di restituirci un po’ di fiducia nei confronti del fumetto “alternativo” contemporaneo.

Anna Haifisch

Per quanto riguarda i pezzi scritti, non ha molto senso approfondirli in questa sede, dato che tutti e quattro sono soltanto in svedese, senza traduzione. Peccato soprattutto per l’intervista di Robert Aman a due degli autori di Historieboken, un best seller a fumetti svedese degli anni ’70 che rilegge la storia dell’Occidente in chiave marxista. E’ invece tradotto il testo illustrato di Jaakko Pallasvuo, sullo stile dei contenuti che il fumettista finlandese sta pubblicando di recente su Instagram. Il tema caldo dell’intelligenza artificiale viene usato per tornare sul concetto di automazione e sul ruolo dell’artista nel mondo contemporaneo, con la definizione di arte come “una sorta di sviluppo lineare che segue in parallelo la tecnologia, la politica e la storia” che mi sembra davvero il modo migliore per chiudere un dibattito complesso quanto a volte fine a se stesso. Per leggere il testo completo potete appunto ordinare Det Grymma Svärdet #43 nel Big Cartel di Just Indie Comics, dove trovate anche qualche numero arretrato di una delle più riuscite antologie internazionali degli ultimi anni.

Teddy Goldenberg

10 fumetti (circa) del 2022

Solita lista – approssimativa, parziale, idiosincratica – dei fumetti migliori che ho letto nel 2022. Prendetela come sempre con le pinze, perché viene dal mio piccolo angolo di mondo. E il “circa” è dovuto al fatto che in realtà sono 11, ma mi sono preso la libertà di considerare i due numeri di Crickets di Sammy Harkham usciti quest’anno come un unico fumetto. Ok, adesso bando alle ciance e cominciamo, in ordine alfabetico.

2120 di George Wylesol (Avery Hill/Coconino) – Autore statunitense (di Philadelphia) ed editore londinese per questo librogame concettuale, a metà tra fumetto e videogioco, già uscito in italiano per Coconino. Non aggiungo altro perché ne ho parlato in questo post.

Crickets #7 e #8 di Sammy Harkham (Secret Headquarters) – Chi è abbonato alla newsletter di Just Indie Comics (piccolo spazio pubblicitario: se non lo siete potete rimediare immediatamente QUI) non ce la fa più a sentirmi parlare di Sammy Harkham e del suo Crickets. La storia lunga che si è conclusa nel #8, Blood of the Virgin, sarà raccolta in volume da Pantheon nel 2023 ed è candidata a imperversare nelle classifiche dell’anno prossimo. Ma qui a Just Indie Comics arriviamo prima degli altri e quindi in questa lista trovate già uno dei migliori fumetti del 2023! Per il resto non ho voglia di riscrivere sempre le stesse cose, quindi se non avete proprio idea di cosa si parli potete leggervi questa recensione di Crickets #4 datata 2015. Ah, vi segnalo anche che quest’anno è uscita sempre per Secret Headquarters la ristampa della storia pubblicata nel 2019 da Harkham su Kramers Ergot 10 (ne avevo parlato da queste parti), sotto forma di Crickets Colour Special #1: ne trovate qualche copia nel negozio online di Just Indie Comics (i Crickets sono invece tutti esauriti, ahimè).

Five Perennial Virtues #12 di David Tea (autoprodotto) – Ognuno ha le sue perversioni e la mia (o meglio, una delle tante) si chiama David Tea, autore misterioso e inclassificabile di albetti autoprodotti in bianco e nero altrettanto misteriosi e inclassificabili. Rubo da me stesso, sperando di non farmi causa da solo in un momento di schizofrenia, riportando quanto scritto nel #4 della newsletter: “Un altro fumetto che vi consiglio caldamente è Five Perennial Virtues #12, il nuovo numero – inedito, autoprodotto e datato giugno 2022 – dell’inclassificabile serie di David Tea rilanciata prima con alcune ristampe e poi con storie realizzate ex novo dopo diversi anni di stop. Sono fumetti che i più si limiterebbero a definire “disegnati male” ma chi come me si è già seduto al Bronze Table of the Blade Masters avrà tutt’altra idea. Stavolta il misterioso autore ci porta in un futuro distopico in cui l’uomo ha colonizzato Marte mentre dei ragni marziani sono arrivati sulla Terra per diffondere una pozione curativa che in realtà – scopriremo a un certo punto – tiene sotto scacco gli esseri umani. Dai ragni fugge il protagonista Dave, che insieme alla bella Pearl prende un treno diretto verso il futuro dopo essere stato opportunamente consigliato dagli Antichi dei miti di Cthulhu. Il tutto è inframmezzato come sempre da momenti di pura saggistica con riflessioni sull’Apocalisse di San Giovanni, la simbologia dei tarocchi e la nascita della fantascienza. E forse mi dimentico pure qualcosa”.

Keeping Two di Jordan Crane (Fantagraphics/Oblomov) – Pubblicato negli USA da Fantagraphics, il nuovo fumetto di Jordan Crane è anche il primo a uscire in italiano. Crane riesce a trarre da un banalissimo intreccio momenti di puro ed esaltante fumetto, in cui è soprattutto la forma a compiere il miracolo di emozionare il lettore: sfida solitamente difficilissima, ma che a lui riesce con disarmante semplicità. E il finale filosofico, anzi direi addirittura metafisico, non fa che confermare l’essenza puramente metanarrativa dell’opera, una sorta di saggio sulle infinite potenzialità del medium.

Måsvarrelsen di Joe Kessler (Lystring Förlag)  E a proposito della forma che determina il contenuto, quasi a ricordarci che nel fumetto l’abito E’ il monaco, cosa dire di questo fumetto muto di Joe Kessler, capace di raccontare una storia densissima senza una sola parola e utilizzando come strumenti narrativi il segno e il colore? E soprattutto perché dire altro quando ho già detto un po’ di cose in questo post? E se volete procurarvelo ne trovate ancora qualche copia nel Big Cartel di Just Indie Comics.

Meskin and Umezo di Austin English (Domino Books)– Alcune delle opere scelte per questo Best Of sfidano le dinamiche di mercato e le convenzioni formali del fumetto contemporaneo, cercando di portare il medium verso nuove direzioni. Ma se tra tutti devo scegliere un autore che si è spinto ben oltre i confini della consuetudine beh, questo è sicuramente Austin English, che ha pubblicato in proprio con la sua Domino Books un fumetto alieno sin dall’impaginazione, con le tavole incastonate in una cornice come se si trattasse di un catalogo d’arte. Meskin and Umezo è un’opera talmente personale da risultare in alcuni passaggi di difficile comprensione, ma rimarrà negli annali come un monolite capace di ricordarci che il fumetto, al pari di tutte le altre arti, non può assoggettarsi a set di regole o libretti di istruzioni. Avevo speso qualche parola in più in questo post, in occasione del pre-order del libro.

Mr. Colostomy di Matthew Thurber (Drawn and Quarterly) – Chi conosce i fumetti di Matthew Thurber (1-800-MICE, Infomaniacs, Art Comic: tutti e tre consigliatissimi) sa già che il cavallo parlante Mr. Colostomy è uno dei personaggi ricorrenti delle sue storie, capace di apparire quando meno te l’aspetti. Qui Drawn and Quarterly raccoglie le strisce realizzate da Thurber tra il 2017 e il 2019 nei bar, nei locali o comunque in luoghi pubblici, per lo più a Brooklyn, in cui Colostomy è assoluto protagonista e impegnato a risolvere misteri sempre più assurdi. Le trame si sviluppano striscia dopo striscia ma spesso vengono lasciate in sospeso e rimangono persino senza una conclusione. Non c’è niente di premeditato in questo divertentissimo volume: sono solo vignette scritte di getto, a volte su quaderni o tovaglioli, in un alternarsi di situazioni che potrebbero essere state spunto per almeno altre 1000 storie e in un’altalena di soluzioni grafiche, tanto che si passa da tavole a colori ad altre in cui il disegno è soltanto abbozzato o la linea è tremolante. Un libro quasi impensabile viste le esigenze del mercato di oggi, e che per questo ci piace ancora di più.

Swag #4 di Cameron Arthur (autoprodotto) – Il fumetto che consiglio a tutti ma che non compra praticamente nessuno. A Lucca l’ho fatto vedere a decine di persone ma alla fine della fiera mi sono reso conto di non averne venduta neanche una copia. Eppure è davvero un bel fumetto. Se volete saperne di più (ma viste le premesse, non credo) ne ho parlato in questo post.

The Path Away di Kevin Hooyman (Magma Bruta) – Ho conosciuto i ragazzi di Magma Bruta, due portoghesi trapiantati ad Amburgo, al Crack! di quest’anno e sono rimasto abbagliato dalla qualità e dalla confezione delle loro produzioni. Questa è dello statunitense Kevin Hooyman, già noto per la serie Conditions on the Ground e che qui realizza un fumetto autoconclusivo su un uomo che vive da solo in mezzo alla natura con il suo gatto. Tutto scorre tranquillo e senza sussulti finché cominciano a succedere strani fatti e un giorno il gatto esce per dirigersi spedito chissà dove… Ok, forse non ho reso benissimo l’idea e mi rendo conto che detta così sembra una storia come tante, ma vi assicuro che siamo davanti a un piccolo fumetto perfetto, poetico e profondo, disegnato divinamente e stampato altrettanto bene. Procuratevene una copia finché siete in tempo perché un uccellino mi ha detto che la tiratura è in via di esaurimento.

Time Zone J di Julie Doucet (Drawn and Quarterly) – Il ritorno al fumetto, personalissimo e fuori dagli schemi, di una delle più grandi cartoonist di tutti i tempi. Non ne sapete ancora niente? Allora vuol dire che non avete letto questa pseudo-recensione di qualche mese fa.

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Le prime pagine di “Anti Baby” di Karla Paloma

Karla ha 34 anni, è danese e abita a Berlino insieme al suo cane Lilsky e all’ex fidanzato italiano, Francesco, che ha a sua volta un cane di nome Dexter. Karla è sposata con Bue, ma i due hanno una relazione aperta e non vivono neanche insieme. La telefonata della sua amica Astrid, che le annuncia di essere incinta, è solo il primo di tanti eventi che sembrano cospirare contro Karla, che non ha mai voluto saperne dei bambini. E così, quando si rende conto che tutte le sue amiche sono già diventate mamme o sono in procinto di farlo, decide di scappare da Berlino e tornare a Copenaghen per qualche giorno. Ma anche lì si troverà circondata dai ragazzini e anzi, dovrà pure sopportare i discorsi della madre, sul genere “datti una mossa che alla tua età è ora di fare un figlio”. Se aggiungiamo che persino il suo cane le dice che ormai “non è proprio giovanissima”, ecco qua che la frittata è fatta e le paranoie su età, maternità e quant’altro cominciano a tormentare la povera Karla…
Volete sapere come andrà a finire? Allora non vi resta che leggere Anti Baby, fumetto autoprodotto di Karla Paloma, di cui qui sotto potete vedere le cinque pagine iniziali. Anti Baby è uno dei fumetti del Buyers Club 2023 e se volete riceverlo con la prima spedizione di gennaio basta abbonarsi QUI entro il prossimo 31 dicembre. Intanto, buona lettura.

Just Indie Comics Buyers Club 2023

Il Just Indie Comics Buyers Club supera anche il fatidico settimo anno, l’inflazione, la crisi energetica e il Qatar tagliando il traguardo dell’ottava edizione, appena lanciata su Big Cartel. L’abbonamento 2023 sarà per modalità e costi identico a quello dello scorso anno, con un’unica formula che prevede l’invio con cadenza trimestrale (a gennaio, aprile, luglio e ottobre) di un fumetto e del nuovo numero della newsletter. Non torno quindi sui miei passi ma confermo il format 2022. D’altronde l’ultima edizione ha segnato il record di abbonamenti e squadra che vince non si cambia anzi, dirò di più, l’attaccante che fa gol va sempre messo in campo. Anche perché si tratta di un affarone degno di una televendita: con un semplice pezzo di carta arancione da 50€ vi troverete ogni tre mesi nella buca delle lettere un fumetto scelto da me che normalmente nessuno comprerebbe – in lingua inglese, autoprodotto o pubblicato da un piccolo editore – e una newsletter piena di digressioni senza senso. Che volete di più dalla vita?

Attenzione però che in realtà quest’anno una piccola novità c’è. Grazie infatti all’iniziativa Choose Your Own Comic potrete decidere direttamente VOI il primo fumetto del Buyers Club tra due diverse opzioni, segnalando quella preferita al momento dell’acquisto sul Big Cartel di Just Indie Comics. La prima opzione è The Essential Spread Love, un best of dell’omonima rivista canadese che da qualche tempo mette insieme un po’ di volti noti dell’underground di oggi e di ieri con qualche talento emergente. Il tutto è realizzato con un approccio dissacrante e trasgressivo, tanto che l’antologia è piena di sesso, vomito, voyeurismo, ubriachezza molesta e quant’altro: insomma, tutte cose ormai difficili da trovare nei fumetti perbene che girano oggi. Per quanto riguarda i nomi troverete, dietro una copertina di Peter Bagge, fumetti di Mike Diana, Pat Moriarity, Noah Van Sciver, Glenn Head, J Webster Sharp, illustrazioni di J.R. Williams, Sophie Crumb, Rebecca Morgan e tanto altro.

La seconda opzione è Anti Baby di Karla Paloma, albo autoprodotto in cui l’autrice danese residente a Berlino racconta con un tagliente bianco e nero le sfighe quotidiane del suo alter ego, tra le litigate con il coinquilino italiano, le amiche diventate mamme e l’ossessione di tutti quelli che la circondano per la maternità, fino a un rocambolesco e divertentissimo finale. Anti Baby è stata una delle migliori scoperte (almeno per me) del Crack! di quest’anno e ho così pensato di procurarmi qualche copia in più del fumetto per proporlo a voi futuri abbonati.

Per concludere vi ricordo che l’abbonamento al Buyers Club è disponibile fino al prossimo 31 dicembre, poi si chiuderà e non sarà più possibile iscriversi. Se state leggendo queste righe ma non siete residenti in Italia e vivete in Europa, potete comunque abbonarvi cliccando sull’apposito link in basso. Se vivete in un altro paese, tipo Saint Kitts e Nevis, provate a scrivermi e vedrò di trovare una soluzione apposta per voi. E vi dirò di più, se il Buyers Club non vi interessa potete anche abbonarvi soltanto alla newsletter: l’iscrizione in questo caso non ha scadenza, parte dal primo numero utile e costa 10€ per 4 numeri. Via ai link, dunque, e buona lettura.

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“2120” di George Wylesol

La collana Brick curata da Ratigher per Coconino si arricchisce di un nuovo volume che oltrepassa i confini del fumetto propriamente detto. Già il titolo d’esordio, Eldorado di Tobias Tycho Schalken, aveva sfidato le convenzioni proponendosi come un insolito mix tra una raccolta di storie brevi e un catalogo d’arte. 2120 di George Wylesol va anche oltre, dato che è una sorta di “avventura grafica” che ricorda da una parte i videogiochi punta e clicca alla Doom (l’uso della soggettiva e il movimento nello spazio) e dall’altra  le produzioni Lucasfilm come Maniac Mansion, Zak McKracken o Monkey Island. Non un semplice librogame a fumetti dunque, dove il lettore interpreta il protagonista limitandosi a decidere se andare alla pagina X o alla pagina Y, ma piuttosto una narrazione interattiva in cui tra una miriade di corridoi, porte e stanze ci sono indizi da raccogliere e rompicapi da risolvere: pena rimanere bloccati o ritrovarsi a girare in tondo senza riuscire a uscire né a tornare indietro. Il lettore si troverà davanti diverse tipologie di scelte o enigmi: dovrà quindi decidere se andare a destra o a sinistra, se aprire una porta o l’altra, se guardare un dettaglio in fondo a una stanza o tornare indietro e, nei casi più complessi, dovrà inserire una sorta di codice per aprire un lucchetto o fare login su un computer. I codici sono nascosti nelle pagine precedenti, o a volte in quelle successive, e non sono sempre facili da estrapolare. Comunque coincidono con il numero di pagina in cui prosegue l’avventura: per esempio se un lucchetto si apre con il codice 123, si dovrà andare a pagina 123. Non tutti gli enigmi sono di facile soluzione: se a volte basta trovare un numero da inserire poco dopo, altre bisogna dedurre il codice da una serie di indizi. Per questo vi consiglio di prendere appunti, utilizzare segnalibri o persino fotografare qualche pagina di particolare importanza. Io l’ho capito dopo la prima lettura, che si è risolta in un nulla di fatto. E anche con le dovute accortezze al tentativo successivo mi sono bloccato e ho dovuto barare per andare avanti. Ma io non faccio testo: sono una schiappa con gli enigmi, gli indovinelli e i giochi in genere e se provate a regalarmi una copia della Settimana Enigmistica scappo a gambe levate.

Ma torniamo al fumetto in questione. Perché 2120 innanzitutto? Il titolo, per quanto evocativo e capace di farci pensare a un futuro o a una sorta di distopia del nostro presente (come un anagramma di 2021), si riferisce in realtà al civico di McMillan Drive dove il tecnico 46enne Wade Duffy è stato chiamato per riparare un computer. Apparentemente si tratta della sede della DAC, un’azienda dove Wade era già passato una settimana prima senza che nessuno si degnasse di aprirgli la porta. E anche stavolta le cose non vanno diversamente, anzi, fuori c’è ancora l’avviso lasciato in precedenza da Wade. Ma il nostro alter ego non si arrende e trova il modo di entrare nell’edificio. Peccato che, appena varcata la soglia, la porta si chiuda dietro di lui. Dentro lo stabile è enorme, sporco, evidentemente in disuso ma soprattutto vuoto. Ed è proprio il vuoto l’altro protagonista di 2120, o meglio ancora l’antagonista nostro e di Wade: il vuoto di un edificio deserto, dall’aspetto ordinario ma non per questo meno angosciante, che assume prima i colori di un giallo tenue per poi passare agli spazi bui e neri del sotterraneo. In questo vuoto totale una qualsiasi ombra, o persino un foglio accartocciato in un angolo, possono essere al tempo stesso una possibilità di salvezza – una via d’uscita – o una minaccia, un presagio di qualcosa di brutto che ci sta per accadere. Nostro compito è quello di avere la meglio sul vuoto trovandovi una spiegazione o al limite tornando indietro al momento fatale, quello in cui abbiamo varcato la soglia del 2120 di McMillan Drive. Il nostro Wade è come un astronauta nello spazio, alla ricerca di forme di vita o, se le cose si mettono male, semplicemente alla ricerca del modo più rapido e indolore di tornare alla propria astronave.

2120 è un fumetto potentissimo, con un’idea forte sviluppata fino in fondo e in cui tutto trova una spiegazione: basta non scoraggiarsi e leggerlo per intero, perché, nonostante abbia la struttura di un librogame, 2120 va letto tutto, senza lasciarsi sfuggire una sola delle sue quasi 500 pagine. I temi e le soluzioni formali già adottate da Wylesol in Ghosts, Etc. e Internet Crusader trovano qui il loro compimento, creando un unicum inscindibile tra forma e contenuto, come solo i grandi fumetti riescono a fare. I disegni, evidentemente tutti in digitale, sono realizzati con uno stile geometrico, asettico, in bassa fedeltà, finalizzato sia a restituire la sensazione di giocare con un videogioco vintage che a inquietare il lettore. E sulla forma aggiungerei qualcos’altro, visto che ci sono. A prima vista 2120 mi lasciava un po’ perplesso, perché non mi sembrava una grande idea unire la soggettiva – già una scelta azzardata – all’uso quasi totalizzante della splash page (le vignette sono presenti soltanto nelle ultime pagine). Ora, io non sono un tradizionalista ovviamente, anzi direi che amo la sperimentazione, ma quando la splash page viene utilizzata insieme alle didascalie annullando la stessa idea di sequenzialità che dovrebbe essere alla base di ogni fumetto che si rispetti, beh, lì storco un po’ il naso. E’ in questi casi che mi sembra di stare davanti a un graphic novel, cioè a un “romanzo grafico” appunto, che potrebbe essere un’espressione perfetta per definire qualcosa che non è del tutto fumetto, o forse un particolare tipo di fumetto (e non una qualsiasi storia autoconclusiva in volume). Ma Wylesol utilizza un processo ben diverso: la sequenzialità è infatti data dal movimento a cui assistiamo pagina dopo pagina, tanto che alcuni blocchi potrebbero sembrare degli insoliti flip book in soggettiva. Le splash di 2120 non sono immagini statiche catturate in un attimo fermo nel tempo ma per lo più “maxi-vignette” collegate l’una all’altra secondo una precisa idea di sequenzialità, in modo da mostrare gli spostamenti nello spazio del lettore/protagonista e da creare movimento. L’autore dimostra così una grande conoscenza e padronanza del medium e del suo linguaggio, perché lo piega alle sue esigenze – creare un fumetto diverso – mantenendone viva l’essenza. E creando così un’opera per tutti ma che i “grandi lettori” (di fumetti) ameranno e apprezzeranno ancora di più.

Just Indie Comics a Lucca

Per la prima volta Just Indie Comics approda a Lucca Comics & Games. Ci troverete allo stand di Rulez, al Padiglione Napoleone, con una selezione di fumetti dalla distribuzione e nuovi arrivi freschi freschi per l’occasione. Potrei iniziare qui un discorso sul perché saremo a Lucca ma in realtà non lo so nemmeno io, quindi figuratevi se riesco a spiegarlo a voi. Vi dico invece cosa avremo, ossia solo libri in lingua inglese, sia di editori americani come Fantagraphics, Drawn & Quarterly, Floating World, Uncivilized Books che di piccole realtà come Domino Books, Deadcrow, Bubbles. Inoltre ci saranno diverse produzioni europee, come i fumetti di The Mansion Press, Kuš!, Lystring Förlag, Ion. Volete qualche titolo? Ok, allora pesco dal mucchio Time Zone J di Julie Doucet, Parallel Lives di Oliver Schrauwen, Free Shit di Charles Burns, City Crime Comics di Teddy Goldenberg, i nuovissimi Dream of the Bat di Josh Simmons e Wet Market #1 di Johnny Ryan, i più recenti numeri dell’antologia lettone š! e gli ultimi mini kuš, l’antologia horror Vacuum Decay, un po’ di Frontier della Youth in Decline, svariati numeri della fanzine Bubbles, altre antologie come TinfoilCowlickJaywalk Reptile HouseSwag di Cameron Arthur, Nash di Johan Nørgaard Pedersen, Måsvarrelsen di Joe Kessler e tanto tanto altro. Cercateci dunque da Rulez, ci saremo tutti i giorni dal 28 ottobre all’1 novembre ma chi primo arriva i migliori fumetti trova.

“Swag” di Cameron Arthur

In attesa dell’ultimo invio del Buyers Club 2022, previsto a ottobre, ritorno sul protagonista della spedizione di luglio, ossia Cameron Arthur, fumettista texano 22enne che da qualche anno si autoproduce la serie Swag. Ci torno su anche perché nel Big Cartel di Just Indie Comics sono disponibili alcune copie del #3 e del #4 di Swag, che rappresentano – a mio modesto parere – tra le migliori autoproduzioni uscite di recente dall’underground statunitense.

Cameron Arthur si è formato alla scuola di Frank Santoro, prima per corrispondenza (uno dei fumetti contenuti su Swag #2 era stato creato per la Comics Workbook Composition Competition del 2016) e poi di persona, dato che è andato a Pittsburgh per studiare dall’autore di Storeyville e Pompei. L’influenza delle teorie di Santoro è evidente in Swag #3, che usa elementari soluzioni formali per sviluppare due narrazioni parallele alternate a blocchi di due pagine. Da una parte abbiamo la vicenda di Donald, che si sveglia una mattina senza un alluce, e dall’altra quella dello stesso dito antropomorfo che cerca di cavarsela per conto proprio, finendo coinvolto in un fattaccio di cronaca nera. La prima è raccontata con una griglia fissa di 6 vignette interamente in rosso, la seconda con una griglia a 9 colorata di blu. Il risultato è paradossale ma anche straniante e a tratti disturbante. L’abilità di Arthur è quella di cercare l’assurdo non per strizzare l’occhio al lettore, come è abitudine dei fumettisti “alternativi” contemporanei, ma per generare stupore, confusione, turbamento. Peraltro con una buona dose di ironia, che non guasta mai.

Anche nel secondo fumetto di Swag #3 succede lo stesso. La griglia stavolta è di 4 vignette e i colori usati sono il bianco, il nero e il rosso. Old Dog è incentrato su un gruppo di amici con il vizio della droga: uno di loro si è appena suicidato, l’altro spaccia ma spesso si tiene la coca per sé, un altro ancora vuole sempre sniffare e fare festa. Sono solo 17 pagine con una trama appena abbozzata e un finale che non può veramente definirsi tale, ma alla fine l’effetto è lo stesso che in Big Toe, tanto che non possiamo annoverare l’albo in un genere specifico né definirlo ironico o drammatico. E il superamento dei concetti di “genere” e “tono” del racconto non sono cosa da poco per un autore che, quando ha creato questi fumetti, era a cavallo dei suoi vent’anni.

Swag #4, scritto e disegnato tra febbraio e dicembre 2021 e pubblicato nel 2022, alza ulteriormente l’asticella. E’ questo l’albo che ho scelto per il Buyers Club, uno dei fumetti che mi è piaciuto di più negli ultimi tempi. L’albo, sempre formato magazine e su carta patinata come il precedente, è stavolta in un bianco e nero nettissimo, che non lascia spazio nemmeno a un accenno di grigio. All’interno troviamo una sola storia, intitolata Night. La griglia è più stretta ma anche meno rigida, perché di tanto in tanto Arthur si prende la libertà di rompere la struttura a 12 con qualche soluzione sviluppata in orizzontale. I disegni essenziali, che ritraggono i personaggi per lo più su sfondo bianco, sono totalmente funzionali al racconto e ricordano quelli di Paper Rad, la cui sensibilità pop viene però azzerata dalla totale assenza di colore. Per quanto riguarda i contenuti, l’ironia si asciuga rispetto alle storie precedenti per favorire l’analisi dei rapporti interpersonali e l’introspezione. La storia è incentrata sulla riunione di una famiglia texana, con i tre figli che vanno a trovare i genitori. In più ci sono i partner di due di loro, oltre a un vicino di casa il cui sguardo da esterno è inevitabilmente simile a quello del lettore. Come nella più classica delle situazioni, segreti vengono svelati, vecchie ruggini tornano a galla e il dramma viene sfiorato. I dialoghi sono ricchi e autentici, salvo poi arrivare a un punto in cui – in vignette memorabili – i personaggi se ne escono con frasi fatte degne di una soap opera. Ma le pronunciano sempre con sguardo vuoto, stralunato e smarrito, tanto da risultare più ridicoli che drammatici.

E’ incredibile come in 48 pagine questo giovane fumettista riesca a delineare in modo così preciso i diversi caratteri e soprattutto ad affrontare temi di non poco conto che fanno parte della storia di qualsiasi famiglia occidentale, con i figli che se ne vanno di casa, i genitori che diventano vecchi, nuove coppie che si formano, bambini che nascono, tradimenti, incomprensioni, l’alcolismo che diventa l’unico modo per affrontare tutto ciò. Lo ripeto, sono solo 48 pagine ma dentro c’è molto di più di quello che siamo abituati a trovare nella gran parte dei voluminosi graphic novel contemporanei. Night è una storia avvincente e raccontata egregiamente, contenuta in un albo spillato che ti puoi comodamente portare in bagno, senza prenderti un giorno di ferie per riuscire a leggerlo. Che volere di più da un fumetto?

Trovate i due numeri di Swag di cui ho parlato nel negozio online di Just Indie Comics: qui c’è Swag #3 e qui Swag #4. Vi segnalo inoltre: a) che nel #3 della newsletter cartacea di Just Indie Comics trovate un’intervista a Cameron Arthur; b) che se fate un ordine dal sito vi dovrebbe arrivare anche la newsletter (fino a esaurimento scorte); c) che se non volete perdere neanche un numero potete andare qui e abbonarvi alla newsletter a soli 10€ all’anno.

Conor Stechschulte on “Ultrasound”

Last year in December I interviewed Conor Stechschulte by e-mail to talk about the ending of his series Generous Bosom published in London by Breakdown Press and the adaptation of the comic in a movie called Ultrasound, directed by Rob Schroder and written by Conor himself. The interview was published in Just Indie Comics Newsletter #1 (in Italian), where Generous Bosom #4 was at the top of my Best of 2021 list. Conor was kind enough to provide the newsletter cover as well, sending a collage of the tracing paper drawings used in making Generous Bosom #4. Now that the comic has been published in the USA by Fantagraphics in a single 376-page volume (with the same title of the movie), I think it’s the moment to offer the original version of the interview. And sorry if the questions aren’t perfect but well, I’m Italian and always in a hurry. Note for Italian readers: the book will be published as Scollatura profonda by Coconino in the next few months.

Your comics reflect on the notion of identity. You manage to describe very well the moment in which we are no longer ourselves, in which everything we believe in seems wrong, decided by others, or meaningless. The moment in which we act like a different person. Or maybe in which we express our true hidden self. Even the plot of Generous Bosom has something schizophrenic, it starts in one way and then it takes a completely different direction. Now try to look back. It’s 2012 again. You are still living in Baltimore and you’re beginning to draw the first issue of the series. How much did you know then about the full story and how much did you figure out during the process?

When I first sat down, I had the first volume in my head and not a whole lot beyond that. Pretty soon into the process I figured out that I wanted the characters to end up at some kind of facility and that there was hypnotism involved though not much of the how or why. There was also a period where I was playing with the idea of Glen never being able to leave Art and Cyndi’s house, that the story would become a sort of surreal version of Misery.

I think the long period of time it took me to finish the book is largely to blame for why it’s somewhat schizophrenic. Personally, I often encounter the moment you describe at the top of your question so sometimes it felt like I was working on a book that a total stranger had begun. Because I changed so much over the course of nine years, it became necessary to reframe the focus of the narrative so that I could remain engaged with the material.

I know it’s hard to say because you worked on it yourself, but I guess that being on set and then watching the movie was also an experience in some way as a spectator for you, because you couldn’t help but compare what you saw to what you had imagined and then drawn. What was the best thing about watching your comic become a movie and what was the thing that you liked the least?

Yes, it was very strange and psychedelic! I think the best thing was getting to meet all of the people collaborating on the movie, not just the actors – though all the actors totally blew me away and gave me so much more ideas about their characters and story material to work with – but everyone was there trying to lend their expertise to telling the story from the focus puller to the costume designer. It was a fucking blast to talk to Katherine Doty, the script supervisor who had gone through the script and was nailing down the details for continuity to a granular level, so amazing! I think more than an editor, graphic novelists should sit down with a script supervisor and get grilled about what exact time of day each scene takes place!

The thing I liked the least was seeing what I’d written fall flat when a person had to actually say it out loud. It didn’t happen too much, and thankfully the actors all were so good, they could find ways to change the line or make their performance work. But it’s funny, working on comics you get a sense for what feels real and right on the comic page and that is different than what seems like it works on the page of a script and that is different from what works in someone’s performance. So I was building new muscles in that sense and thankfully everyone on set is there trying to make the better, so you’re not alone in solving problems the way you are at a drawing desk.

Generous Bosom will be released in the USA by Fantagraphics in 2022 as a single book called Ultrasound. You worked on this story for about 10 years, so there was probably something you wanted to change or maybe to add. Did you edit some dialogues or drawings? Or did you draw some new pages as you did for the Fantagraphics edition of The Amateurs

I just finished this process and it was really tricky. I thought of this metaphor the other day, I think an Italian reader will understand it better than most… Making a long comic (at least how I’ve drawn them) is a lot like painting a fresco: you have a very limited of time to get the ideas into/onto the material and then it hardens and you have to move on. As opposed to writing a movie script or a novel which, I think, is a lot more like oil painting where you’ve got a lot more flexibility: slower drying time, you can remove layers and glazes and adjust all parts of the painting right up until the end. If you want to go back and change something in a fresco, you’ve to sand down or crack off a whole section of the painting which will likely leave visible seams.

For this reason, I tried to be delicate about the older material and not try and make the comics I’d drawn eight years ago into the comics I would draw today. It’s my lettering that always embarrasses me, so I re-lettered a lot of stuff from the first two volumes. Eric Reynolds helped me correct grammatical mistakes, there are about 2-300 more commas in the collected edition! I also redrew two or three full pages and a lot of individual panels and details throughout, I changed some of the color coding to make more consistent sense across the whole book, and I added one page very close to the end that is the most dramatic intervention.

Now I want to ask you something very specific… In Raymond Chandler’s The Big Sleep there is a scene in which Philip Marlowe is driving in the rain and at a certain point he gets two flat tires. He gets out of the car and finds some nails on the road, near the repair shop of Art Huck. If I’m not wrong there are several details in common between this scene and the beginning of Generous Bosom. Is it a quote from the book or just a coincidence?

That’s really funny, I hadn’t read or seen The Big Sleep before starting on Generous Bosom, though I watched the Robert Mitchum movie this past summer (and totally missed that connection, by the way!). A weird thing was going on while I was completing the book during lockdown in 2020 where it felt like the things I was reading and watching were inspiring the book back in time or something. I read Who’s Afraid of Virginia Woolf? and it felt like the first volume of Generous Bosom is a funhouse mirror version of that play… There were other examples I can’t recall now. But now I do believe that artistic influence can travel backwards in time.

What are your next projects? Are you already working on something new?

Most recently, the edits for the collected edition have taken up all my time. I’ve got a lot of notes for new longer stories that I’m going to work on fleshing out and I’ve got about fifty pages of a wordless watercolor comic I was working on in 2019 that I want to finish soon. I’m looking forward to making some self-published comics in the near future, I’m itching to make some books with my own hands.