Un giorno di fumetto spagnolo a Bologna

di Serena Di Virgilio

Giovedì 26 maggio BilBOlbul Primavera/Estate 2016, anteprima del festival di fumetto bolognese, ha dedicato un incontro a Olaf Ladousse, Klari Moreno, Roberto Massó e Martín López Lam, e una mostra ai lavori più recenti di quest’ultimo.
I quattro autori, perlopiù sconosciuti in Italia, vivono in Spagna e autoproducono le proprie creazioni. A parte questo, si tratta di un gruppo piuttosto eterogeneo che presenta una stimolante varietà di immaginari ed esperienze.

In questo periodo López Lam è in Italia per una residenza alla Reale Accademia di Spagna a Roma, come pure i curatori Jaime González Cela e Manuela Pedrón Nicolau.
Insieme, i tre hanno selezionato gli autori per l’incontro e realizzato la mostra, che verte sulla produzione di López Lam durante la sua permanenza nella capitale italiana.

L’incontro

Ad intervistare gli ospiti nell’aula magna dell’Accademia di Belle Arti c’erano Cristina Portolano e Andrea Bruno, due autori italiani anch’essi dediti alla pubblicazione indipendente, e Alessio Trabacchini dell’associazione culturale Hamelin. Di seguito un sunto della chiacchierata.

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Enrico Fornaroli, Alessio Trabacchini, Cristina Portolano, Roberto Massò, Silvia Silvestrini, Klari Moreno

Klari Moreno (Madrid, 1993) e Roberto Massó (Càceres, 1987) hanno iniziato a disegnare e ad autopubblicare i propri lavori nel corso degli studi d’arte, prima da soli poi anche all’interno di collettivi e microeditori perché, ha detto Massó, “fare fanzine è anche fare cose insieme agli amici”. Lui ha pubblicato un libro con Dehavilland Ediciones e lei sta lavorando al suo primo fumetto lungo, che richiederà un editore, ma entrambi continuano a portare avanti anche l’autoproduzione.

Entrambi i fumettisti partecipano a molti festival, viaggiando quasi tutti i mesi. Il contatto con gli organizzatori, con altri autori e collettivi con cui si collabora è molto diretto, come pure con il pubblico che compra i loro fumetti. La promozione su internet non porta molte vendite online, ma c’è chi li cerca ai festival dopo essersi accorto di loro sul web.

Moreno ha affermato che l’immediatezza di una fanzine fotocopiata è “quasi una necessità” per i suoi lavori più brevi. Tematiche ricorrenti nella sua produzione sono il “sesso bestiale”, l’acqua, il fuoco e i cani, tutti presenti anche in Suspensión Líquida, albetto pubblicato dall’etichetta di López Lam, Ediciones Valientes, che racconta una sessione magica di bondage.

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Alcune autoproduzioni di Klari Moreno

Portolano ha individuato delle similitudini tra i lavori di Massó e Moreno e quelli, rispettivamente, della tedesca Anne Vagt e dei francesi Ruppert & Mulot, portati in Italia da BilBOlbul e Canicola ma sconosciuti ai due giovani spagnoli. Una parte del lavoro di Massó infatti è astratta, un tratto che usa per rivolgersi anche al mondo delle gallerie d’arte, mentre le figure di Moreno sono stilizzate e spesso non hanno un volto.

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Alcune autoproduzioni di Roberto Massó

Oltre a fare fumetto astratto, Massó è ossessionato dai Power Rangers, a cui ha infatti dedicato il volume Medieval Rangers, che Trabacchini ha definito un incrocio tra un “erbario medievale”, il “racconto mitico” e “uno di quegli albi narrativi con i personaggi dei giocattoli”.

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Andrea Bruno, Martín López Lam, Silvia Silvestrini, Olaf Ladousse

Martín López Lam (Lima, 1981) e Olaf Ladousse (Parigi, 1967) sono rispettivamente peruviano e francese, ma entrambi vivono in Spagna da molto tempo, seppure in città diverse.

Ladousse è arrivato a Madrid nel 1992, alla ricerca di un lavoro che non ha trovato. In compenso ha conosciuto molti artisti e presto li ha coinvolti nella sua fanzine Qué Suerte, un’antologia di fumetti e illustrazioni a tema assemblata a mano, con copertina stampata artigianalmente (serigrafia e poi linoleografia) e interni fotocopiati. La pubblicazione esce tuttora, dopo ben venticinque anni, più o meno al ritmo di un numero all’anno, sempre con lo stesso spirito punk e la sua vena divertita e dissacratoria.

L’approccio do-it-yourself viene applicato da Ladousse anche alla musica e alla comunicazione. El Cartel è un progetto che produce e attacca manifesti in giro per la città, una pratica che Bruno definisce “più invasiva” rispetto alla fanzine, rivolta “non solo ad un pubblico di appassionati ma idealmente a chiunque”. E infatti i poster suscitano varie reazioni, da chi li strappa via a chi li colleziona.
Partito originariamente alla fine degli anni Novanta come gesto di protesta contro affissioni di estrema destra, El Cartel nasce dall’esigenza di esprimersi senza censure su questioni politiche, sopratutto da parte di Ladousse e altri artisti immigrati che non hanno diritto di voto nella nazione in cui vivono.

Infine, Ladousse è anche musicista e costruttore di piccoli strumenti musicali elettrici, i doorag, con cui fa performance da solo e con il suo gruppo Los Caballos De Düsseldorf, e a cui dedica piccole fanzine e il manuale di autocostruzione Sopa de ortiga.

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Alcune autoproduzioni di Olaf Ladousse

López Lam ha riferito che in Perù negli anni Novanta non c’era un’editoria autoctona di fumetto, e quella estera arrivava poco e in ritardo. L’autoproduzione era l’unica strada per pubblicare. Le copisterie si rifiutavano di sprecare toner, quindi lui e i suoi amici erano costretti ad usare uno stile molto chiaro. Arrivato in Spagna nel 2003, andò subito a cercare fumetti recenti, e sentiva di aver tutto da imparare.
Dopo aver frequentato l’Accademia a Valencia, lo scorso anno López Lam è giunto a Roma grazie a una borsa di studio presso la Reale Accademia di Spagna. Il progetto era di ripercorrere le tracce del poeta peruviano Jorge Eduardo Eielson, vissuto prima a Roma e poi a Milano. Il percorso si è presto fatto più personale.

Nel suo lavoro di fumettista, López Lam a un certo punto ha iniziato a cercare di “distruggere il tempo e la linea narrativa” nelle proprie opere, creando un lavoro astratto non a livello visivo ma di storia, come si può notare in Sirio e Gialla.
Quando è arrivato a Roma, non conoscendo la città, ha passato i primi tempi a girarla. Non voleva fare un diario di viaggio (genere che ama poco), ma piuttosto creare una storia in cui non ci sono personaggi a cui succede qualcosa ma semplicemente cose che succedono, riportando la realtà che vedeva.

Bruno ha fatto notare che questo approccio è vicino a certo cinema, Nouvelle Vague in testa. López Lam ha confermato che la sua intenzione è proprio di adattare al medium fumetto elementi presi dal cinema e dalla musica, sopratutto elettronica, come il concetto di campionamento.
Sebbene abbia “un’impronta molto forte”, il disegno di López Lam comprende l’utilizzo di “tecniche diverse, dalla china al pastello, a retini e interventi fotografici”, che usa proprio per integrare i diversi elementi sulla pagina.

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Alcune autoproduzioni di Martín López Lam

Oltre a produrre i propri fumetti, López Lam svolge anche il ruolo di micro editore. Ediciones Valientes era partita come un collettivo di illustrazione con dei compagni dell’Accademia di Valencia. Ora è l’etichetta personale di López Lam, che ha pubblicato anche gli italiani Filosa e Fanelli e, recentemente, il bell’albo Ceniza di Serena Schinaia (di cui ha già parlato Gabriele).

La mostra

Dopo gli incontri in Accademia e un momento per acquistare e farsi dedicare le fanzine, ci si è spostati al Museo della Musica per l’inaugurazione della mostra di López Lam, Parco Falafel, e il concerto di Ladousse.

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Martín López Lam e Klari Moreno che dedicano gli albi

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L’ingresso della mostra

Avevo già avuto occasione di incontrare López Lam alla mostra-mercato del festival Ratatà a Macerata ed ero rimasta colpita dall’impatto visivo dei suoi fumetti, al punto da comprarne uno, il recentissimo “Gialla”, anche se non conosco lo spagnolo. Diversi dei materiali che compongono proprio quell’albo, realizzato a Roma lo scorso autunno, sono presenti anche nella mostra Parco Falafel.

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Una pagina di “Gialla” e disegno originale

La prima cosa che si nota una volta entrati nella sala principale è che si tratta una mostra di fumetto piuttosto inusuale, che dice tanto del processo creativo e poco del prodotto finito. Infatti sono esposti i singoli disegni che vanno a comporre le vignette, piccoli dipinti di cui si nota la forza, l’autonomia.
Le immagini sono riunite tematicamente in pannelli che, mi spiegano i curatori González Cela e Pedrón Nicolau, fungono un po’ da tavole, da “pagine giganti”, su cui López Lam ha scritto a mano non dialoghi o didascalie ma piuttosto delle dichiarazioni d’intenti.

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La Roma colta da López Lam è notturna, composta da insegne, autobus affollati, reperti archeologici, particolari architettonici e gente in movimento. E piante, lussureggianti piante che spuntano da ogni pezzo di terra lasciato a sé stesso.

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Colpiti da questa vegetazione spontanea in mezzo alla quale “vive gente, succedono cose”, artista e curatori hanno scelto il Museo della Musica per i suoi soffitti decorati da festoni fioriti e per il suo giardino di banani, e hanno allestito la mostra con pratini e piante.

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A fronte di albi vivacissimi, gli originali appaiono quasi sempre dipinti in nero e grigio. Nella terza stanza, un tavolo luminoso su cui sono disposti fogli di acetato dipinti mostra come López Lam lavori con il colore, attraverso sovrapposizioni che vanno a trovare forme e tinte nuove.

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La serata si è conclusa in allegria, con un concerto di Olaf Ladousse che ha suonato i suoi doorag fatti in casa.

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BilBOlbul ha pubblicato altre foto dell’inaugurazione.

La mostra Parco Falafel di Martín López Lam è rimasta aperta fino a giovedì 9 giugno 2016 al Museo Internazionale e Biblioteca della Musica di Bologna, in Strada Maggiore 34.

Grazie a organizzatori e volontari, e a Nicola.

Toronto Comic Arts Festival 2016

Sono stato al Toronto Comic Arts Festival approfittando dell’ospitalità di Michele Nitri della Hollow Press, che presentava all’evento canadese Tract di Shintaro Kago alla presenza dell’autore, con tanto di mostra delle tavole originali del volume. Oltre a presenziare al tavolo e alla mostra, ho ovviamente approfittato dell’occasione per vagabondare per Toronto (ma vi risparmio i dettagli) e per vedere un po’ di eventi collegati al festival, ricchissimo di ospiti e di appuntamenti. Di seguito un breve reportage, per lo più fotografico, di quanto di fumettistico è successo dal mio punto di vista. Più in là, con molta calma, troverete sul sito una serie di approfondimenti, in primis sul negozio The Beguiling e Steven Gilbert. Le foto sono mie e di Michele Nitri, che ringrazio per la collaborazione.

Iniziamo proprio da The Beguiling, punto di riferimento per la scena fumettistica cittadina e non solo. Non ho una conoscenza così vasta dei negozi di fumetti del nostro pianeta, ma so che The Beguiling straccia tutti quelli da me visitati in precedenza con estrema facilità, grazie a un catalogo costruito con passione e dedizione dal proprietario Peter Birkemoe, principale organizzatore del TCAF insieme a Christopher Butcher, e dai preparatissimi ragazzi che lavorano nella sede di Markham Street. Qui sotto un paio di foto, antipasto di un più ampio servizio che potrete leggere dopo che l’avrò scritto.

Ma facciamo un po’ di cronologia. Arrivato a Toronto la sera di sabato 7 maggio, la mia prima visita da The Beguiling è stata domenica 8. Il giorno successivo l’ho invece dedicato a Steven Gilbert, l’autore di Colville, fumetto che alcuni di voi conosceranno e avranno anche letto (ne aveva parlato Ratigher su queste pagine). Gilbert gestisce un negozio di fumetti a Newmarket, una cittadina facilmente raggiungibile in auto da Toronto. Ho così colto la palla al balzo per dedicargli una lunga intervista, che spero di riuscire a trascrivere presto, e per fare un giro nei luoghi in cui ha ambientato The Journal of the Main Street Secret Lodge, libro del 2013 di cui è previsto il seguito per l’anno prossimo. In basso le foto dell’esterno e dell’interno del negozio, quest’ultima con Gilbert tra i “suoi” fumetti.

Non ricordo alla perfezione gli eventi di martedì 10, probabilmente poco significativi per voi lettori. Invece il giorno successivo ho visitato la galleria Weird Things, che tenendo fede al nome unisce originali di artisti/cartoonist più o meno famosi a svariate chincaglierie e a un onnipresente gatto. A gestire la baracca è Jonathan Petersen, scultore, fumettista e illustratore che ha pubblicato qualche tempo fa Space Basket per la Domino Books di Austin English. Mercoledì 11 maggio era tra l’altro l’ultimo giorno per vedere la mostra di Patrick Kyle e Michael DeForge. Belli soprattutto gli originali di Kyle, geometrici e a volte colorati, mentre quelli di DeForge rappresentavano una serie di figure umane in piedi, distorte e tappezzate dai ghirigori tipici del cartoonist canadese.

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E siamo così a giovedì 12, giorno dell’inaugurazione della mostra di Shintaro Kago alla Narwhal Gallery, organizzata da The Beguiling, TCAF e Hollow Press. Per la prima volta si potevano ammirare tutti gli originali del nuovo, devastante e apocalittico Tract, raccolta di quattro storie brevi interamente a colori. Tanti i presenti all’evento, con le 45 copie disponibili del libro andate a ruba nel giro di un’ora o poco più e Kago sempre pronto a firmare dediche con la sua imperturbabile cortesia.

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Eccoci dunque a venerdì 13. Con il TCAF alle porte è ormai tempo dell’allestimento dei tavoli e di qualche evento-antipasto, come un reading di fumetti organizzato da Hazlitt e 2D Cloud con cartoonist come MariNaomi, Mark Connery, Andy Burkholder e Gina Wynbrandt (sono riuscito a vederne soltanto una parte). Ho mancato invece completamente l’inaugurazione di Manuele Fior all’Istituto Italiano di Cultura e mi è dispiaciuto molto non riuscire a recuperare la mostra neppure in seguito (o meglio, ci ho provato ma sono arrivato quando era già chiusa). Il TCAF si svolge nella Toronto Reference Library, la biblioteca centrale della città, un edificio immenso a più piani con scale, ascensori e corridoi che scorrono sinuosi. Di seguito qualche foto della mattina di sabato 14, dagli ultimi preparativi fino all’arrivo del pubblico, numerosissimo (tra l’altro l’ingresso è libero) ma che non impedisce comunque la fruizione del festival. Magari non proprio una scampagnata all’aria aperta ma nemmeno Lucca Comics, per capirci.

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Qui sopra una foto del tavolo della Hollow Press, che ha esaurito l’80% delle pubblicazioni il primo giorno. In particolare i libri di Kago hanno registrato un rapidissimo sold out, segno che il cartoonist giapponese era davvero atteso da quelle parti. Qualche coda per le firme delle maggiori guest star del festival (come Seth e Chester Brown, nonostante qui siano di casa) e tante novità al debutto tra i tavoli degli editori, che rappresentavano il meglio dell’editoria nord-americana di settore. Numerosi anche gli ospiti e gli espositori internazionali. L’Italia era rappresentata anche dalle ragazze di Teiera, che in questa occasione nessuno è riuscito a fotografare. Le ricordiamo dunque così, all’Elcaf di Londra del 2015.

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Dopo questa immagine degna di un Intervallo Rai, torniamo al TCAF per dire che erano tre i piani della biblioteca occupati da case editrici e fumettisti, mentre in contemporanea una serie di artisti più mainstream esponevano nel vicino Masonic Temple (una ex sede della Massoneria locale) e una serie di presentazioni, interviste e dibattiti avevano luogo nell’adiacente Hotel Marriott di Bloor Street. Insomma, impossibile riuscire a vedere e a seguire tutto, soprattutto per chi, come me, doveva anche stare dietro a un tavolo e tenendo conto degli orari di apertura piuttosto ridotti (dalle 9 alle 17 il sabato, dalle 10 alle 17 la domenica). Non ho capito molto di quello che è successo ma la cosa sicura è che c’erano un sacco di gente e un sacco di fumetti. E che l’organizzazione è veramente impeccabile, fatta di persone squisite e disponibilissime. Tra gli eventi serali segnalo il bel concerto di sabato con  i Creep Highway del duo Michael DeForge/Patrick Kyle, Mickey Zacchilli alias Dungeon Broads e Brian Chippendale in versione Black Pus per il gran finale tutto drones e percussioni. Nei giorni successivi al festival sono invece riuscito a tornare da Weird Things per vedere la mostra di Matthew Thurber, autore di 1-800-Mice e Infomaniacs, che esponeva con il suo suggestivo progetto parallelo MT Shelves, fatto di strani animali in bianco e nero, lucine, macchie colorate. E con questo è tutto.

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Cosa è successo a Ratatà 2016

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Alla sua terza edizione, dal 14 al 17 aprile 2016, il Ratatà Festival ha “invaso” la città di Macerata, portando il disegno come mezzo espressivo e l’autoproduzione come metodo in spazi istituzionali, commerciali e sociali.
Un evento decisamente interessante realizzato e promosso da un gruppo di artisti e microeditori, teso a favorire scambio e conoscenza tra chi è già nell’àmbito o vi si avvicina, ma anche ad ampliarne la visibilità esterna.

Il povero Gabriele è perlopiù rimasto crocifisso al suo banchetto alla mostra-mercato del Festival, quindi la qui presente testimonianza vi viene resa da Serena Di Virgilio, articolista per Panorama.it e Fumettologica.it.
Le foto sono fatte con mezzi scarsi, ma son meglio di niente.
Il report verte sopratutto sul fumetto e sull’illustrazione, ed è quindi visione parziale di un evento molto ricco composto anche da interventi urbani, laboratori per adulti e bambini, performance, incontri e occasioni conviviali.

Mostre

Il festival comincia nel primo pomeriggio di giovedì 14 aprile, all’apertura dei negozi, con l’inaugurazione di alcune piccole mostre ospitate da attività commerciali delle vie più centrali di Macerata.

Nella vetrina di Tandem ci sono matrici e stampe delle belle copertine in xilografia di Coppie Miste #2, serie di volumetti a fumetti autoprodotti dal collettivo La Trama. A Coppie Miste #3 è dedicata una mostra più ricca, di cui parlo più avanti.

La Trama

La Trama

La Trama

La Trama

Da Ultrafragola, le tavole del libro Quasi signorina di Cristina Portolano, uscito da poco per Topipittori, sono giustapposte a oli e saponi del negozio e a pupazzetti che evocano l’infanzia negli Ottanta e Novanta raccontata nel fumetto.
Come già nella precedente mostra Romagna Carioca a BilBOlBul 2015, Portolano media amabilmente tra l’ambiente e il visitatore parlando a quest’ultimo da piccoli autoritratti lasciati in giro, sui muri o sullo specchio, invitandolo a visitare la mostra e a farsi selfie insieme a lei.
Il libro mi è piaciuto molto, motivo per cui attendo l’occasione di una mostra più ampia e ricca di materiali, possibilmente con uno sguardo più approfondito sul processo creativo e sulla lavorazione delle tavole.

Cristina Portolano

Cristina Portolano

Cristina Portolano

Cristina Portolano

Al piano superiore del negozio di musica Jukebox all’idrogeno, in cima ad un paio di ripide rampe di scale, una parete viene dedicata a Only Fucking Vinyl, selezione di dischi prodotti dalla scena indipendente italiana con copertine illustrate.

Only Fucking Vinyl

Only Fucking Vinyl

Sugli specchi del negozio d’abiti Ibro c’è invece la serie di illustrazioni Le beffe delle donne a cura del collettivo Le Vanvere, ispirate alla settima giornata del Decamerone di Boccaccio.

Le Vanvere

Le Vanvere

Si scende al piano interrato di Cada1 per incontrare il pantheon del collettivo Uomininudichecorrono, ovvero le divertenti e orrorifiche divinità di Deus ex novo – Ora et colora, un libro da colorare di forme umanoidi composte da accozzaglie di oggetti a tema, pieno di dettagli interessanti, buffi o schifosi. Lo stretto corridoio conduce al luogo di culto dall’autoironico sapore satanista: una nicchia dove ci si può inginocchiare e colorare il libro con i pennarelli alla luce di candele rosse, magari dopo aver lasciato il proprio ex voto su di un Post-It.

Uomininudichecorrono

Uomininudichecorrono

Le illustrazioni di Marco Somà e i pupazzi di feltro di Liza Rendina condividono le pareti della saletta dalle luci soffuse di Cose da Té, come pure linee tenui, colori gentili e l’immaginario da fiaba di animali antropomorfi in foreste sognanti.

Marco Somà e Liza Rendina

Marco Somà e Liza Rendina

La Galleria Antichi Forni, uno spazio ampio e suggestivo proprio sotto la Torre civica, ospita ben quattro mostre.

La personale dell’artista francese Céline Guichard presenta parecchi disegni originali che coprono gli anni recenti di attività, compresi i libri di illustrazioni pubblicati dalla micro casa editrice di libri artigianali Strane Dizioni. Si tratta perlopiù di immagini sgradevoli e affascinanti che parlano di morte, sesso, malattia, deformità, ma anche di una profonda fascinazione per i corpi e la loro biologia attraverso il filtro di un immaginario grottesco.
Nella serie Sublime Maladie, Guichard parte da terribili foto di particolari anatomici tratti da manuali di patologia e vi ricostruisce la persona intorno.
La serie a carboncino Dans les hautes herbes è composta da ritratti di creature mostruose e sofferenti che riempiono lo spazio offerto dai grandi fogli, immerse in un una oscura vegetazione di segni.

Céline Guichard

Céline Guichard

Céline Guichard

Céline Guichard

Céline Guichard

Céline Guichard

Una stanza è riservata al Mild North di quattro fumettiste lettoni pubblicate dalla micro casa editrice kuš! komiksi, a cui viene dedicata una parete ciascuna.

Līva Kandevica (che ho intervistato su Fumettologica.it insieme alla co-editrice di kuš! komiksi, Sanita Muižniece) narra qui una storia meno giocosa di quello che è suo solito, con un’atmosfera tesa di dolorosa incomprensione tra due amici, mentre graficamente va avanti ad esplorare l’uso del digitale come nella bella copertina della recente antologia š! #24.

Līva Kandevica, kuš! komiksi

Līva Kandevica, kuš! komiksi

Dopo il racconto Swimming Pool (mini kuš! #24) Anna Vaivare prosegue sulla strada già intrapresa con un episodio che intreccia quotidiano e fantasia, uno sguardo benevolo sull’umanità, tavole dipinte vivaci di colori. Stavolta Vaivare passa a una divisione in vignette che le permette di raccontare efficacemente la storia senza parole, pur senza sacrificare i tanti piccoli dettagli che portano il lettore ad assumere quell’atteggiamento di osservatore che sembrerebbe esser caro all’autrice.

Anna Vaivare, kuš! komiksi

Anna Vaivare, kuš! komiksi

Meno interessata a storie lineari, Zane Zlemeša presenta una visita alle stanze di un museo, sconfinando dalla sua parete per portare le immagini anche fuori dall’immediato percorso visivo del visitatore. Palette desaturate e forme semplici fanno apparire il lavoro quasi cupo, salvo poi rivelare la propria ironia ad un esame più attento.

Zane Zlemeša, kuš! komiksi

Zane Zlemeša, kuš! komiksi

Notevole l’esposizione dei disegni originali della divertente e crudele storia Three Sisters di Ingrīda Pičukāne, pubblicata nel mini kuš! #38 (già recensito da Gabriele), in cui tre sorelle passeggiano tra gli alberi ammirando e giocando con ciò che trovano: fiori, frutti, abiti, un uomo nudo.
Laddove l’albetto è nel consueto formato della serie, ovvero uno spillato A6 di 24 pagine, l’originale viene esposto con i fogli tutti affiancati, mettendo in evidenza come il disegno proceda dall’inizio alla fine senza soluzione di continuità. Questa visione d’insieme permette di apprezzare meglio il raffinato gioco compositivo di Pičukāne, che racconta la storia come una lunga passeggiata nella foresta, senza divisioni di vignetta ma con una scansione perfettamente leggibile.
L’effetto complessivo ricorda certi arazzi medievali; visto anche il tratto netto e sottile, follemente vedrei bene il tutto ricamato su di una sciarpa. O più realisticamente stampato come leporello.

Ingrīda Pičukāne, kuš! komiksi

Ingrīda Pičukāne, kuš! komiksi

Ingrīda Pičukāne, kuš! komiksi

Ingrīda Pičukāne, kuš! komiksi

La personale di Bill Noir, artista francese, si snoda in un lungo corridoio con numerosi esempi dei suoi collage fatti a partire da materiali d’epoca e alcune delle sue fanzine.

Bill Noir

Bill Noir

Più piccola ma più varia è la collettiva Graphiste, a cui hanno partecipato illustratrici italiane contemporanee con una o due opere ciascuna.

Graphiste

Graphiste

In un vicoletto del centro cittadino è installata la mostra Farmafumetto degli studenti del corso di Alessandro Baronciani all’Accademia di Belle Arti di Macerata. L’idea comune è di inventare un farmaco capace di effetti straordinari, completo di nome, packaging e una storia a fumetti esplicativa in vece del bugiardino. A promuoverli sono presenti le giovani autrici e autori, in camice da farmacista.

Farmafumetto

Farmafumetto

La personale dell’illustratore francese Blexbolex allo Spazio Duma è particolarmente riuscita: lavori significativi di un autore interessante, ben allestiti in un ambiente all’altezza.
La varietà di materiali è stimolante, con opere di periodi e stili diversi ed esempi di varie delle tecniche utilizzate. Ci sono tanti di quegli spunti sul colore, sulla composizione, sul segno, sul passaggio da analogico a digitale da affascinare e dar da pensare a chiunque sia vagamente interessato al disegno. Personalmente, mi diverto a confrontare le pagine stampate con gli originali dipinti esposti sui grossi tavoli nella stanza principale, cercando di capire che lavoro sia stato fatto in fase di ritocco digitale.
Ci starebbe proprio bene del materiale informativo, anche solo dei cartellini a fornire punti fermi come date, titoli, tecniche.

Blexbolex

Blexbolex

Blexbolex

Blexbolex

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La mostra più “istituzionale” tra quelle che visito è Erotica e Satirica, la personale dell’illustratore e vignettista Riccardo Mannelli, nello spazio dell’Accademia di Belle Arti che dà sulla piazza principale della città.
La prima stanza è dedicata ai nudi, femminili ma anche maschili, il cui stile dialoga con analoghi lavori di Schiele. Nel realismo e nel dettaglio delle anatomie trovo che il valore di “testimonianza” sia preponderante, e che l’erotismo e la sensualità siano limitati solo ad alcuni pezzi. Per quanto le pose possano essere impudiche e i corpi esposti, gli sguardi e il portamento sono perlopiù distaccati. Come visitatore mi sento mantenuta ad una distanza di sicurezza dai soggetti, con la sensazione di star davanti ad un qualche tipo di ritratto ufficiale o a una scena in cui non vengo invitata.
Fanno eccezione alcuni disegni, tra cui quello scelto per la riproduzione serigrafica del festival con una bella sensualità data dal sorriso appena accennato del volto insieme alle morbide texture delle stoffe, della pelle e dei capelli.

Riccardo Mannelli

Riccardo Mannelli

Riccardo Mannelli

Riccardo Mannelli

Sempre in tema di ritratto, la stanza successiva è piena di quelli di politici e personaggi vari dell’attualità, e nel loro dinamismo e sulla composizione concentrata sui volti sono molto diversi dai precedenti. L’effetto complessivo è inquietante e un po’ aggressivo. Mannelli è un ritrattista formidabile, e proprio per questo quello che c’è di inventato o esagerato nei suoi disegni diventa tanto più efficace.

Riccardo Mannelli

Riccardo Mannelli

Una mostra che attendevo particolarmente è quella degli originali di Coppie Miste #3 del collettivo La Trama (presente anche con la vetrina dedicata a Coppie Miste #2 di cui ho scritto prima). Rispetto alle edizioni precedenti della serie, le quattro ‘tramette’ e altri sei fumettisti/illustratori hanno letteralmente lavorato insieme per produrre le cinque storie, condividendo gli stessi spazi e le stesse tavole, cosa che ha solleticato la mia curiosità.
Purtroppo l’esposizione è allestita in uno Studio Disderi un po’ piccolo e male illuminato. L’idea di usare delle porte scardinate come supporto è anche carina, ma limita un po’ troppo lo spazio. Alcuni materiali finiscono per essere relegati in una vetrinetta, mentre sarebbe stato più interessante vederli vicino agli altri.

La Trama

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Le tavole di Alice Milani e Tuono Pettinato hanno prevedibilmente lo stesso aspetto della stampa finale. Per quanto gli stili siano diversi, da mostre precedenti avevo già potuto apprezzare quanto entrambi i fumettisti lavorino in modo molto pulito sui definitivi. Qui, la divisione dei compiti appare netta, e i due convivono senza sgomitare. Una piccola sorpresa è stato scoprire gli spazi lasciati in bianco per l’aggiunta (in digitale?) di alcune texture.
Proprio per la compresenza tra analogico e digitale ero curiosa degli originali della collaborazione tra Francesca Lanzarini e Matteo Berton, ma purtroppo sono esposti solo i definitivi. Peccato.
Viola Niccolai e Federico Manzone sembrano condividere i fogli in maniera piuttosto armoniosa, con un certo grado di fusione. Peccato manchino proprio alcune pagine dove sembrava fossero stati fatti degli interventi di collage del lavoro di lui su quello di lei. I balloon sono stati evidentemente aggiunti dopo.

La Trama

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Quanto esposto dell’albo di Silvia Rocchi e Anna Deflorian è invece più disuguale. Ci sono pagine complete fatto salvo per il lettering, mentre di altre viene presentata una fase su cui evidentemente poi l’altra è intervenuta, non so se digitalmente o su altro foglio. Laddove trovo verosimile che gli interventi pittorici siano di Rocchi, è divertente che non mi sia sempre chiarissimo chi abbia disegnato cosa, e quanto l’una abbia potuto imitare lo stile dell’altra.
Gli originali più lontani dal prodotto finito sono quelli di Victor Lejeune e Luca Caimmi, che espongono invece i materiali di lavorazione scomposti: fondali verdi di piante di puro colore di Caimmi da un lato, onde e personaggi al tratto di Lejeune dall’altro, magari su fogli di carta da lucido. Ci sono perfino cose che mi sembra non siano poi state utilizzate nel libro. Molto interessante!

La Trama

La Trama

Alcune mostre che purtroppo non sono riuscita a vedere ma di cui ho sentito parlar bene da altri visitatori del Festival sono quelle di Arianna Vairo e Igor Hofbauer, oltre alla collettiva organizzata da Crack! Fumetti Dirompenti. (Ho mancato anche io, purtroppo, la mostra della Vairo ma sono riuscito a vedere le altre due. Quella di Hofbauer allo Sferisterio metteva insieme illustrazioni, poster e locandine di concerti fornendo una bella visione d’insieme sullo stile dell’artista croato, che reinventa le suggestioni del costruttivismo russo in chiave dark. Bella soprattutto una sequenza di tre grandi illustrazioni circolari ambientate nello stesso mondo post-apocalittico. La mostra di Crack! occupava una sala del Csa Sisma e presentava un maxi-disegno di Bambi Kramer incollato su un’intera parete, l’ironia esistenzialista delle storie brevi di Sonno e una serie di serigrafie di Martin López Lam – ndr).

Eventi

La sera di giovedì 14 ho il piacere di assistere alla versione teatrale di Scarabocchi di Maicol&Mirco, portato in scena dal gruppo Teatro Rebis. Ero curiosa di vedere come delle strisce a fumetti senza personaggi fissi né una trama o un’ambientazione potessero essere traslate da un medium all’altro.
L’oretta di rappresentazione si traduce in un fuoco di fila di scene brevi recitate da tre interpreti, giustapposte in un modo che effettivamente mi ricorda l’esperienza di leggere le strisce una dopo l’altra. La notevole fisicità dei due attori e dell’attrice contribuisce nel farmeli accettare nel ruolo di “scarabocchi”, come pure l’illuminazione che fa emergere i corpi dal buio praticamente in assenza di scenografia.
L’umorismo è quello tagliente e bruciante di Maicol&Mirco, di quelli che fa ridere mentre ti fa star male, ma paradossalmente fruirlo recitato da umani invece che scarabocchiato e letto me lo rende più distante, meglio sopportabile, ipotizzo perché la voce e l’interpretazione prodotte dalla mia mente mi restano effettivamente più vicine.

Maicol&Mirco, Teatro Rebis

Maicol&Mirco, Teatro Rebis

Maicol&Mirco, Teatro Rebis

Maicol&Mirco, Teatro Rebis

La sera di venerdì 15, aperitivo con Marco Taddei, Simone Angelini e i personaggi del loro libro Anubi, già alla sua seconda edizione per GRRRZ. L’installazione Anubi vattene porta vignette dal fumetto ai muri dentro e intorno al Roxy Bar, e sagome di Anubi, Horus, Enrico, Bill in mezzo agli avventori e davanti al barista, simbolicamente trascinando gli umani dentro le situazioni dell’opera. La serata è un successo e il bar è pieno di gente che beve e si diverte; sul tardi, restano le maschere in un vaso e la saletta vuota con piattini e bicchieri abbandonati.

Marco Taddei, Simone Angelini

Anubi vattene

Marco Taddei, Simone Angelini

Anubi vattene

Nel pomeriggio di sabato 16 si tiene un incontro sul fumetto autoprodotto e microeditoria che viene moderato da Gabriele invece che da Maurizio Ceccato che ha dato forfait. Vi partecipano Cristina Portolano, Marco Taddei, il trio Milani, Rocchi e Lanzarini de La Trama, Martoz, Nadia Bordonali e Luigi Filippelli di MalEdizioni.
Purtroppo la chiacchierata avviene in condizioni sfavorevoli, all’interno dello spazio dedicato alla mostra-mercato, tra un laboratorio di lavori in legno, sessioni di videogiochi e nel bel mezzo di un black-out. Nonostante questo, l’incontro è vivace.
Si parla dell’esperienza di ciascuno, di come gli autori abbiano lavorato sia in autonomia che con case editrici più o meno grandi, della libertà creativa garantita dall’autoproduzione sia al creatore che all’editore e di come l’esperienza sia un ottimo modo per conoscere tutti gli aspetti della realizzazione di un libro (utilissimo se poi si vuole mantenere il controllo sull’opera). Viene sottolineato il valore della produzione artigianale, come pure della “propagazione di idee differenti” da parte di un piccolo editore.

Incontro autoproduzioni:

Incontro autoproduzioni: da sinistra Portolano, Di Fazio, Taddei, Rocchi, Lanzarini, Milani

Incontro autoproduzioni:

Incontro autoproduzioni: da sinistra Bordonali, Filippelli, Martoz, Portolano, Di Fazio

Mostra-mercato

La mostra-mercato è il cuore del Festival. Si tiene dal pomeriggio di venerdì 15 alla sera di domenica 17 aprile all’interno dei centralissimi locali dell’ex Upim e ospita non solo i libri e le stampe degli autori in mostra, ma anche quelli di tante realtà di auto e micro-produzione creativa. Lo spazio è piuttosto ampio e ospita anche un angolo videogiochi, il laboratorio di falegnameria e una mini mostra delle stampe della serie Making space di Andy Leuenberger.
Appena si entra si viene accolti dall’attrezzatura del laboratorio di serigrafia di Coffeeshirt, che si occupa di stampare sul momento borse e magliette con il ratto simbolo del festival. È un’ottima occasione per vedere come funziona questa tecnica di stampa, e il telaio di grande formato, preparato per l’occasione per decorare a vivo tutto il fronte di una maglietta, è davvero bello.

Coffeeshirt

Coffeeshirt

Due corridoi di tavoli ospitano autoproduzioni di singoli, collettivi, laboratori e micro editori locali, italiani e anche stranieri. Alcune delle persone presenti con una mostra sono anche qui: Céline Guichard ha diversi libri con le sue illustrazioni, Uomininudichecorrono propongono il loro volume da colorare contornato di lumini.
Io punto sul fumetto e inizio il mio giro.
kuš! ha i suoi librini (antologie e storie singole in inglese, di autori internazionali) nel caratteristico formato A6.
Il gruppo di studenti di Macerata che hanno partecipato alla collettiva Farmafumetto hanno il loro banchetto pieno di scatoline.
Sono presenti alcuni gruppi di giovani autori provenienti dall’Accademia di Belle Arti Bologna: le ragazze di Blanca che fanno bei fumetti per tutte le età (con in consegna la ristampa dell’horror psicologico Habitat di Sorrentino di Canemarcio), gli attivissimi Brace con due nuovi albetti, i Doner Club che ancora non avevo avuto modo di incontrare.
C’è Marta Baroni, che porta avanti da diversi anni Tentacoli, autoproducendo fumetto, illustrazione e oggettistica.
Faccio conoscenza con Serena Schinaia che presenta il bell’albo nuovo Ceniza, e con lo spagnolo Martín López Lam, attualmente a Roma e il mese prossimo a Bologna per un incontro e la mostra Parco Falafel all’interno di BilBOlBul Primavera/Estate 2016.
MalEdizioni di Brescia ha il suo nutrito banchetto di libri a fumetti, prosa e poesia, mentre Martoz rappresenta la rivista Crisma del gruppo Lab. Aquattro e del centro sociale La Torre di Roma.
Il banchetto di Gabriele (ovvero il signor Just Indie Comics) è atipico ma benvenuto, portando in Italia fumetto indipendente americano. Ma se siete qui a leggere già lo sapete.

Ratatà mostra-mercato

Ratatà mostra-mercato

La mostra-mercato di Ratatà è una buona vetrina di autoproduzioni. Ci sono fumetti di ogni formato, da albetti fotocopiati di poche pagine a volumi in offset stampati in tipografia. L’illustrazione viene proposta sotto forma di poster e libri stampati artigianalmente o in digitale, ma anche di cartoline e oggettistica.
È il tipo di mercato dove si compra direttamente dai produttori o tutt’al più dai loro amici, si può parlare e stringer loro la mano, farsi fare un autografo o una dedica.
Si incontrano persone impegnate nella creatività, si trovano oggetti, immagini e storie altrimenti difficili da incontrare e reperire, ampliando gusti e idee.
Mi ha fatto quindi molto piacere vedere un bel movimento di persone di tutte le età che chiaramente vedevano qualcosa di nuovo: perplessi, incuriositi, entusiasti. Spero anche che gli studenti delle locali scuole d’arte e illustrazione abbiano colto questa bella opportunità.

Grazie a organizzatori e volontari del Festival Ratatà, a Gabriele e a Nicola.

Cosa è successo a BilBOlbul 2015

La pigrizia mi spingeva a pensare che non avrei mai scritto un reportage da BilBOlbul, tant’è che sono partito per Bologna senza macchina fotografica e non ho utilizzato il cellulare per scattare foto nemmeno una volta in tutto il festival. Una volta tornato a casa, la responsabilità ha avuto però la meglio sulla pigrizia, perché sarebbe stato davvero un peccato non scrivere di un festival con un programma così ricco, delle mostre così curate, degli ospiti così interessanti. E così mi sono messo alla tastiera e ho immolato qualche ora della mia vita per scrivere queste righe. Mi scuso anticipatamente per sciatterie, approssimazioni o eventuali inesattezze, dovute probabilmente alla fretta con cui ho buttato giù il tutto. Ho sopperito all’assenza di foto chiedendone alcune in prestito e ringrazio tutti coloro che hanno contribuito. Ah, per chi non lo sapesse BilBOlbul si è svolto dal 19 al 22 novembre scorsi ed è stato organizzato come sempre dall’associazione culturale Hamelin. Alcune delle mostre sono ancora aperte e quindi avete ancora la possibilità di visitarle se avete mancato l’evento dello scorso weekend.

VENERDI’ 20 NOVEMBRE – Salto il programma del giovedì perché non c’ero e mi sono perso diverse cose interessanti, come la tavola rotonda Sociali o dissociati, l’incontro con Giacomo Nanni che fungeva da preludio all’inaugurazione della sua personale, la serata Il racconto breve a fumetti con ospiti Bianca Bagnarelli, Lilli Carré, Joe Kessler. Venerdì sono  arrivato a Bologna durante le ultime battute di un’altra tavola rotonda, Draw It Yourself, in cui un gruppo di autori ed editori coordinati da Volker Zimmermann discuteva delle diverse modalità di fare autoproduzione. L’ultima parte della chiacchierata è andata ad approfondire l’interazione autoproduzioni-istituzioni, tra apocalittici (Breakdown Press, la Ion Editions di Benoît Preteseille) e integrati (i lettoni di kuš!, per esempio). Il tutto si svolgeva all’Accademia di Belle Arti, e così ne ho approfittato per scendere le scale e guardare la mostra di Giacomo Nanni, insieme a quella di Magnus (ne parlerò in seguito) indubbiamente la più curata e completa delle mostre di BilBOlbul, con tantissime tavole originali, un bell’apparato critico e la possibilità alla fine di sedersi a leggere uno dei libri dell’autore. Curiosa la parte finale con alcuni quadri datati 2015 in cui è possibile ammirare un Nanni in chiave completamente pop art. Di seguito, dopo aver dovuto rinunciare all’incontro Anubi con il duo Taddei-Angelini e Spugna, che tardava purtroppo a iniziare, mi sono spostato alla Scuola di Lettere per Stop and Motion, conversazione con Lilli Carré guidata da Ilaria Tontardini in cui si è parlato del fascino della storia breve, di animazione e molto altro, in una sala gremitissima, mentre fuori risuonavano le urla sconsiderate di giovanotti appena diventati dottori (erano in corso le sessioni di laurea), opponendosi in maniera netta all’estrema compostezza della Carré.

Lilli Carré

L’incontro con Lilli Carré (foto di Emanuele Rosso)

Eccomi dunque a Modo Infoshop ad ascoltare Olivier Schrauwen, per me uno dei migliori autori sulla piazza al momento, anche se in questa occasione non è stato certo spumeggiante, forse perché annoiato da qualche domanda troppo ripetitiva, forse perché non ama parlare del suo lavoro in pubblico, forse perché chissà… Nonostante tutto sono emerse diverse cose interessanti sul processo creativo del suo capolavoro Arsène Schrauwen, edito da Fantagraphics e che avevo messo in prima linea nel mio Best of dell’anno scorso. La mancanza del dono dell’ubiquità mi ha invece impedito di presenziare al contemporaneo incontro per la presentazione del nuovo B Comics, intitolato Gnam! e dedicato al cibo, con la partecipazione dell’editore Maurizio Ceccato e di parecchi degli autori dell’antologia. Peccato. La sera è proseguita con una serie di inaugurazioni nel quartiere San Vitale, a partire dal Museo della Musica dove c’era Movimento minimo di Lilli Carré, autrice che stilisticamente non è proprio la mia “cup of tea”, anche se la mostra era ben curata con alcune storie brevi addirittura tradotte in italiano per l’occasione, un po’ di illustrazioni e anche qualche lavoro di animazione. Mi sono dunque spostato alla mostra Breakdown Press, gremitissima, con le tavole appiccicate al muro con lo scotch e senza nessuna protezione, cosa che lasciava intendere l’energia, la voglia di fare, la praticità di questi ragazzi inglesi. Forse un po’ di contesto e di apparato critico in più non avrebbero guastato, ma pazienza, non si può avere tutto dalla vita. Le tavole erano di Antoine Cossé, Joe Kessler e Richard Short, tutte belle e interessanti, anche se a essere particolarmente degne di nota erano quelle di Kessler, che mettevano in luce il processo di disegno e “ridisegno” che porta al risultato finale delle pagine del suo Windowpane (di cui esordiva a Bologna il terzo numero). Uscito da lì, mi sono diretto al vicino Museo Davia Bargellini per la curiosa mostra di Benoît Preteseille, che si è divertito a spostare gli oggetti del museo intervallandoli a volte con i suoi disegni, tanto che sembrava di giocare a Where’s Wally?. Le idee e le trovate di Preteseille erano meglio chiarite in un libretto stampato appositamente dalla sua Ion Editions, di cui potete vedere la copertina qui sotto.

E' tutto vero

 

Ho perso invece, e non sono più riuscito a recuperarla, la mostra Poema barocco di Renato Calligaro ad ABC Arte Bologna Cultura (me ne hanno parlato tutti benissimo), e l’inaugurazione della Porta del Sì (appunto all’Atelier Sì) disegnata da Martoz, che però sono riuscito a vedere subito dopo. Questo qui sotto è lo stesso Martoz che dipinge sulla porta, immortalato da Emanuele Rosso.

Martoz Sì

SABATO 21 NOVEMBRE – La giornata inizia nella Biblioteca Salaborsa, dove oltre alla lunga tavolata in cui si vendevano fumetti vari, con un occhio di riguardo agli autori presenti al festival, c’era anche uno spazio dediche e BBBZine, cioè la mostra mercato di autoproduzioni internazionali con Breakdown Press, Tieten Met Haar, kuš!, Peow Studio, Jean Guichon Editeur, Ion Editions. Ma nemmeno il tempo di dare un’occhiata ai prodotti cartacei che bisognava già prendere posto per Qui e oltre, incontro o meglio conferenza di Richard McGuire, artista che ha talmente tante cose da dire che non ha bisogno che gli vengano poste domande, infatti fa tutto da solo, riuscendo anche a ridere alle sue stesse battute. La scaletta, scandita di tanto in tanto dagli interventi di Franco Minganti, ha ripreso grosso modo quella dell’incontro di Lucca, concentrandosi però più su Here e meno sulle altre opere come le copertine del New Yorker. Si sono invece visti alcuni dei lavori fatti sulle copertine della sua band Liquid Liquid, che a Lucca erano rimasti nel cassetto (anzi, nell’hard disk). Ma la principale differenza rispetto a Lucca è stata la presenza del pubblico, infatti se un mesetto fa gli ascoltatori scarseggiavano, l’Auditorium della Salaborsa era strapieno con gente anche in piedi. Ma non c’è da stupirsi, tanta è la differenza di target e di contenuti tra le due manifestazioni.

Here Bologna

“Qui e oltre”, qualche minuto prima (foto di Roberta Muci)

Stesso scenario dell’Auditorium per Mirabilia, conversazione tra Preteseille e David B coordinata da Alessio Trabacchini. La discussione è stata viva e interessante, buona anche per approfondire un autore come Preteseille che francamente conoscevo pochissimo prima di BilBOlbul. David B ha parlato un po’ dei suoi progetti futuri e un po’ de Il grande male, cosa che non guasta mai. Ma si è parlato anche di sogni, di Alfred Kubin e molto altro ancora. Se non sbaglio è a questo punto che, affrontando la pioggia torrenziale e ininterrotta di sabato, sono andato a vedere la mostra di Martoz aperta presso la galleria/negozio di dischi/libreria/bar Ono Arte Contemporanea, ben consapevole che il giorno successivo non avrei potuto presenziare all’inaugurazione a causa dell’orario non in linea con quello del mio treno di ritorno. Poche le tavole, otto se non sbaglio, ma comunque bellissime per il modo in cui sono disegnate selvaggiamente a matita, tanto che sembrano realizzate sui banchi di scuola. Tutte erano tratte dal nuovo libro dell’autore, Remi Tot in STUNT, presentato in anteprima a Bologna da MalEdizioni. Tutto ciò mi ha impedito di seguire l’incontro con Vincenzo Filosa (che avevo però già ascoltato a Lucca) ma non quello tra Giacomo Nanni e il duo Enrico Fornaroli-Gino Scatasta, segnato da un’approfondita analisi dell’ultimo lavoro dell’autore, Prima di Adamo, edito da Canicola. Al calare della sera è arrivato nuovamente il momento dei vernissage, in primis quello assolutamente mondano di Magnus e l’altrove. Favole, Oriente, leggende presso una Fondazione del Monte piena di pellicce, permanenti, cravatte e non so cos’altro, con gli ospiti intenti a sgomitare per accaparrarsi bevande e vivande, nemmeno fossimo in un film di Ferreri o di Fantozzi (scegliete voi l’opzione preferita). A parte questo, la mostra è assolutamente notevole, e dato che è aperta fino a gennaio se passate per Bologna vi consiglio di andarla a vedere. La prima parte era dedicata al Magnus prima di Magnus, come suggerisce il titolo del libro edito da Alessandro Distribuzioni e regalato a tutti i presenti all’inaugurazione (troppa grazia), focalizzandosi su alcune illustrazioni realizzate per favole per ragazzi. La seconda invece era incentrata sul Magnus maturo con una serie di tavole tratte da I Briganti, Le 110 Pillole, Le femmine incantate ed era davvero pazzesca.

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Altra inaugurazione di sabato quella di Ciao, sono O. Schrauwen, bella personale del fumettista belga che permetteva di studiare il lavoro di taglia e incolla fatto sulle tavole originali di Arsène Schrauwen, di guardare un po’ di pagine da Il mio bimboMowgli’s Mirror Greys, e anche di leggere le versioni stampate di Cartoonify, pubblicato da Squadro Stamperia in edizione limitata e firmata dall’autore in occasione della mostra, e del comic book Zaadmat Magazine uscito negli USA per Desert Island. E visto che mi trovavo lì, ho anche potuto dare un’occhiata ai lussuosi portfolio realizzati da Squadro per la Galerie Martel di Parigi, come quelli di Burns, McGuire e Spiegelman. La raffica di inaugurazioni continuava con quella di Andrea Bruno a Dynamo alle 22, ma la folla era veramente tanta e la mostra era strutturata in modo da permettere l’entrata soltanto a un numero limitato di persone per volta. Alla fine ho rinunciato, rimandando il tutto alla mattina seguente.

DOMENICA 22 NOVEMBRE – E infatti ho iniziato la giornata di domenica proprio andando a vedere Cinema Zenit di Andrea Bruno, dove le tavole originali erano del tutto assenti per lasciare spazio a una performance che, cito dal programma ufficiale, “vuole ricreare con video, sonorizzazioni e scenografie l’atmosfera e gli eventi della storia”. E posso dire che ci riesce egregiamente, a partire dalla location, una serie di caverne oscure dove inizialmente il visitatore si trova al buio, senza riferimenti né coordinate, e da cui pian piano emergono installazioni, proiezioni e musiche, con un effetto complessivo avvolgente e ben riuscito. Di seguito un paio di foto che spero possano rendere almeno un po’ l’idea.

Andrea Bruno 1

Foto di Roberta Muci

Andrea Bruno 2

Foto di Elena Orlandi

Uscito da Cinema Zenit, mi sono diretto verso Les Libellules, studio di sartoria artigianale che ospitava Wislawa Szymborska. Si dà il caso che io sia qui, con le tavole tratte dall’ultimo lavoro di Alice Milani per Becco Giallo sulla poetessa e artista polacca premio Nobel nel 1996. La Milani si è divertita non solo a ricreare lo stile dei collage dell’artista polacca all’interno del suo libro, ma anche ad abbellire le pareti dello spazio espositivo, come potete vedere qui sotto.

Alice Milani 1

Foto di Roberta Muci

Alice Milani 2

Foto di Roberta Muci

A quel punto era quasi mezzogiorno e dopo una breve sosta nell’epicentro della Salaborsa, era ora di spostarsi verso la libreria Trame per vedere la presentazione di Cocktails – After Dinner, secondo capitolo della quadrilogia sui cocktail ideata da Studio Pilar. Presenti i quattro artisti del collettivo, ossia Giulio Castagnaro, Andrea Chronopoulos, Andrea Mongia e Giulia Tomai, intervistati da Simone Sbarbati di Frizzifrizzi e con Alessio Trabacchini in versione barman. Infatti trattandosi di cocktail, si è ben pensato non solo di parlarne ma anche di farli assaggiare al pubblico, che così ha potuto sperimentare classici come il White Russian o chicche misconosciute come lo Champs-Élysées. Confidenziale, vivace, allegra, la conversazione è filata liscia tra un bicchierino colorato e l’altro.

pilar a bilbolbul

BilBOlbeve (foto di Studio Pilar, gioco di parole tutta colpa mia)

Neanche il tempo di finire la chiacchierata e sono passato al Cinema Lumière per la proiezione/incontro che vedeva protagonista ancora Richard McGuire, questa volta non per parlare di Qui ma dei suoi lavori di animazione. Sono stati proiettati l’episodio del film collettivo Fear of the Dark firmato da McGuire, caratterizzato da una forte opposizione bianco/nero e da uno stile retrò, e il corto Micro Loup che utilizzava la stessa visuale dall’alto di cui McGuire si servì per il suo fumetto breve ospitato sul tredicesimo numero di McSweeney’s, quello dedicato al fumetto e curato da Chris Ware. E non a caso l’incontro si intitolava Points of View. A seguire una conversazione con l’autore, sollecitato da Andrea Martignoni, interessante anche per chi come me non ama particolarmente (forse è un eufemismo nel mio caso) il cinema di animazione. Peccato aver dovuto abbandonare la discussione prima del tempo per spostarmi alla Feltrinelli Ravegnana per assistere all’incontro con Alessandro Tota. Argomento Il ladro di libri, ultimo lavoro uscito per Coconino, frutto della collaborazione con Pierre Van Hove, che doveva essere presente all’evento ma che è rimasto in albergo fermato dalla febbre. L’autore di Yeti e Fratelli è riuscito comunque a cavarsela benissimo da solo, raccontando l’incontro con Van Hove, la genesi del libro, lo scenario culturale in cui è ambientato, il modo in cui sono stati costruiti i personaggi e tanto altro. Il prolungarsi dell’incontro con Tota mi ha fatto perdere l’inizio di Breakdown Press. Il nuovo fumetto a Londra, in cui Richard Short e Joe Kessler dialogavano con Volker Zimmermann dei loro lavori e del progetto editoriale Breakdown, una delle migliori realtà editoriali internazionali del momento. Pur arrivando da Modo Infoshop in ritardo sono comunque riuscito a sentirne una parte, in cui si è detto del modo di Short di inserire citazioni nelle vignette del suo Klaus, della storia scritta insieme a Reuben Mwaura pubblicata su Windowpane #2 di Kessler e di qualche altro argomento che ora non mi sovviene. A quel punto, mentre si inaugurava la stanza disegnata da Alice Socal all’hotel Al Cappello Rosso e si proiettava il documentario Ho conosciuto Magnus, io ero sul treno di ritorno.

APPROFONDIMENTI – Il blog della manifestazione sta pian piano pubblicando diversi reportage fotografici. Per guardare qualche altra foto e leggere un esaustivo resoconto che approfondisce soprattutto le diverse mostre, vi consiglio questo articolo di Alessandra Ioalè. A proposito di Here di Richard McGuire, potete leggere la mia recensione e questo reportage da Lucca. Sulla Breakdown Press vi rimando all’approfondimento di Valerio Stivé su Fumettologica, mentre sulla pagina dedicata alla casa editrice londinese del negozio di Just Indie Comics trovate un po’ dei loro libri in vendita (e altri sono in arrivo a breve). Per Remi Tot in STUNT di Martoz date un’occhiata alla mia anteprima. Anche di Cocktails After-Dinner avevo mostrato qualche tavola.

Cartoline da Lucca: Richard McGuire

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Uno degli ospiti più importanti della recente edizione di Lucca Comics è stato Richard McGuire, illustratore, musicista, regista e ovviamente cartoonist statunitense ben conosciuto agli amanti del fumetto per il suo Here, opera rivoluzionaria pubblicata nel 1989 sul magazine Raw ed espansa in una nuova versione uscita lo scorso anno negli Stati Uniti e qualche mese fa in Italia per Rizzoli Lizard (ne ho parlato qui). McGuire è stato protagonista di una personale a Palazzo Ducale incentrata principalmente sul suo ultimo lavoro e ricca di gustosi retroscena, su tutti le foto di famiglia riprodotte con minuziosa cura, oltre ad appunti, bozzetti, quadri che raffiguravano i particolari di alcune vignette. Un video mostrava inoltre il funzionamento dell’ebook, non una semplice versione digitale del libro ma un suo remake, come ha spiegato lo stesso autore nell’incontro di venerdì 30 ottobre alla Chiesa di San Giovanni, condotto con la solita puntualità e preparazione da Paolo Interdonato. In questa occasione, dopo una mezz’ora dedicata interamente a Here, McGuire si è soffermato su altri suoi lavori, come le tante copertine realizzate per il New Yorker, i libri per bambini e le opere video. Peccato che queste ultime non si siano potute apprezzare perché sul computer utilizzato per le proiezioni non era installato Quick Time. E peccato anche per una traduzione spesso imprecisa quando si dovevano adattare termini tecnici riguardanti il fumetto o riferimenti ad autori, riviste, libri, ecc., non certo colpa di Interdonato, che anzi spesso si trovava costretto a sopperire alle lacune dell’interprete messo a disposizione dall’organizzazione.

Avevo intenzione di riportare l’intera conversazione, ma il continuo riferimento alle immagini proiettate (pagine di fumetto, copertine, ecc.) renderebbe impossibile una piena comprensione. Mi limito così a trascrivere alcune frasi, intervallate da qualche foto scattata alla mostra, intitolata Richard McGuire: il tempo, lo spazio, l’uomo. Ma prima di lasciarvi a tutto ciò vi segnalo che McGuire è ancora in Italia per una serie di appuntamenti che culmineranno il prossimo fine settimana a Bilbolbul, dove incontrerà Franco Minganti per una conversazione intitolata Qui e oltre (sabato 21 novembre ore 11 all’Auditorium della Biblioteca Salaborsa) e dove verranno finalmente proiettate le sue creazioni in animazione nell’ambito di una retrospettiva intitolata Points of View (domenica 22 novembre ore 14 al Cinema Lumière).

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“La prima versione di Here è stata ispirata da una conferenza in cui Art Spiegelman descriveva i fumetti come dei diagrammi. Questa è stata una delle scintille da cui è nata l’idea e quando sono tornato a casa ho guardato l’angolo della mia stanza e ho pensato alla linea che divideva l’angolo della parete come se dividesse lo spazio in un lato che andava avanti nel tempo e un altro che andava indietro. In seguito un amico mi ha parlato del programma Windows e a quel punto ho capito che potevo dar vita a un’esplosione di finestre temporali. E a quei tempi era una cosa piuttosto strana, perché adesso è normale guardare cose di questo genere quando si è al computer, ma allora si trattava di qualcosa di nuovo”.

“Ho usato fotografie della mia famiglia, per esempio quello nell’angolo in basso a sinistra è mio fratello in tre diverse fasi della sua vita (si riferisce a pag. 3 della versione originale di Here, ndr). Ho realizzato la prima versione di Here nel 1989, allora non c’era internet e le foto di famiglia erano una sorta di database”.

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“All’inizio Raw era una rivista di dimensioni veramente enormi, ma quando Art Spiegelman ebbe successo con l’edizione in volume di Maus, che era stata pubblicata in un formato più piccolo, decise di ridurre anche Raw, magari perché pensava che quello fosse il formato più adatto a un fumetto per adulti… La mia storia inizialmente aveva delle tavole più grandi ed era di sole tre pagine, ma poi ho dovuto riadattarla per farla andare bene per il nuovo formato di Raw… Nell’originale per esempio c’erano tre vignette per riga”.

“Quando ho inziato a pensare alla nuova versione di Here, avevo intenzione di farla come l’originale, cioè con molte vignette, ma poi ho capito che era meglio in questo modo, perché si poteva entrare direttamente nello spazio della stanza. In passato ho realizzato alcuni libri per bambini e probabilmente mi hanno influenzato nel realizzare il nuovo Here solamente con delle doppie pagine”.

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“Mentre lavoravo al libro, lavoravo anche all’ebook, che non è un ebook tradizionale, perché funziona con dei programmi specifici che sono stati scritti appositamente. In realtà l’ebook è una sorta di remake del libro. Potete scorrere le pagine normalmente, ma se cliccate sulle date si aprono nuove finestre in modo casuale, dando vita a combinazioni sempre diverse tra gli sfondi e le vignette. C’è anche un po’ di animazione, per esempio il gatto che si lecca la zampa, ma è comunque una parte marginale del libro, perché ho voluto che fosse più un’esperienza di lettura che la semplice visione di un filmato. Per questo non ho voluto utilizzare suoni”.

“E’ difficile spiegare come ho costruito la nuova versione di Here, molte decisioni sono state dettate dall’istinto ma ci sono state un sacco di cose che mi hanno aiutato durante la stesura, per esempio le fotografie, oppure il lungo pezzo di carta che avevo nel mio studio e su cui ho costruito una linea temporale dove appuntavo gli eventi significativi mentre facevo le mie ricerche. Inizialmente, quando pensavo a come espandere la versione breve di Here in quella più lunga, credevo di dover seguire un unico filo narrativo. In seguito ho capito che questa idea avrebbe rallentato di gran lunga il libro, così ho cominciato a tagliare e a tagliare per far sì che tutto accadesse più velocemente, per tenere vive le emozioni. Alla fine è stata una specie di esperienza musicale, perché avevo attaccato le diverse pagine del libro alle pareti del mio studio e potevo passare dall’una all’altra come in una partitura musicale”.

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Cartoline da Lucca: “Tuoneide”

Tra le cose viste a Lucca quest’anno, la personale di Tuono Pettinato – a cura dello stesso autore e di Jacopo Moretti – è stata sicuramente una delle migliori. Raramente capita di vedere una mostra così curata nei minimi dettagli, non un semplice assemblaggio di tavole, disegni e quant’altro ma un percorso ben strutturato in cui è il fumettista stesso a guidare il visitatore grazie al suo alter ego disegnato. Ecco un paio di esempi di Tuono Pettinato novello Virgilio.

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Oltre a mostrarci bozzetti, schemi narrativi e tantissime tavole originali tratte dai vari Garibaldi, Corpicino, Nevermind, la mostra si concentrava sulla figura dell’artista a 360 gradi, con tanto di playlist utilizzate durante la lavorazione dei diversi libri. Mi sono così divertito a scoprire molti punti in comune con Tuono, favoriti probabilmente anche dalla vicinanza anagrafica, che spaziano dai classici dei miei 14-20 anni (Pearl Jam, Soundgarden, Nirvana, Radiohead, Blur) all’indie rock americano di cui ancora sono un convinto fautore (Beat Happening, Built To Spill, Dinosaur Jr., Pavement) fino a pietre miliari del cosiddetto post-rock (Mogwai, A Silver Mt. Zion, Godspeed You! Black Emperor). Nessuna coincidenza clamorosa, dato che non si tratta di misconosciuti gruppi di folk uzbeko, ma ritrovare in questo genere di liste album che ho ascoltato e riascoltato fa sempre piacere.

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Altro pezzo forte della mostra, la galleria di ritratti di personaggi famosi, che associava i soggetti più disparati riportandoli semplicemente ai loro corpi e alle loro espressioni facciali. Il trittico qui sotto Goethe-Cannavacciuolo-Twain ne è una chiara dimostrazione.

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P.s. Scusate per la qualità delle foto, scattate con il cellulare e senza pensare a un’eventuale pubblicazione.

I mille mondi del Crack!

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Sì, il titolo è ambiguo ma non ha niente a che vedere con viaggi indotti da sostanze stupefacenti, qui si parla del festival che dal 25 al 28 giugno ha popolato il Forte Prenestino di Roma con fumetti, stampe e dipinti a opera di decine e decine di artisti internazionali. Le mie foto in bassa fedeltà, scattate con una macchinetta portatile perché l’altra pesava troppo e non mi andava di portarmela dietro, le avete già viste qui, adesso preferisco piuttosto parlare di cosa è stato il Crack! 2015. E per fare questo parlerò inevitabilmente di cosa non è stato, perché il Crack! è tutto e il contrario di tutto, un festival che nella sua filosofia libera e anticonvenzionale lascia ampio spazio ai partecipanti, avvicina artisti e pubblico come pochi altri eventi, non detta linee guida ma si ispira a una filosofia autogestita che rende impossibile definirlo con precisione. Quello che trovate in queste righe è stato il mio festival ma se qualcun altro racconterà il suo Crack! potrebbe parlare di tutt’altro e in termini ben diversi.

Innanzitutto diciamo che il Crack! non è solo fumetto, anzi. Sui tavoli si trovava veramente di tutto e in particolare tra gli italiani erano diffuse non solo le stampe e le serigrafie, ma anche calendari, cartoline, magliette, borse e via dicendo, confermando una predominanza dell’accessorio che personalmente mi innervosisce un po’ ma che è un fenomeno frequente in festival di questo genere. Certo, c’è da dire che l’evento è dedicato non solo al fumetto ma anche alla cosiddetta “arte disegnata e stampata”, cosa ben evidente nella decorazione delle celle del Forte. I dipinti e le installazioni degli artisti trasformano ogni anno i sotterranei in una vera e propria mostra d’arte, donando al festival una valenza estetica fine a se stessa, non legata soltanto alla vendita delle “merci”. C’era dunque chi ne approfittava per riprodurre la Bocca della Verità, chi come Tony Cheung dipingeva dal vivo, chi allestiva una mostra in miniatura come i ragazzi di Squame con alcuni originali tratti da Rock Motel (ne avevo già parlato qui).

La poliedricità delle intenzioni e delle espressioni attrae tante persone estranee al fumetto, che con tutta probabilità frequentano il Crack! più dei veri appassionati, quelli che i fumetti li seguono, li comprano e li leggono. Questo fattore è un bene perché diffonde produzioni artistiche poco conosciute, ma secondo alcuni è anche un male, perché il fatto di avere a che fare con un’audience “profana” viene visto da una parte degli espositori come la principale causa delle scarse vendite. Quello delle vendite non è però un problema specifico del Crack! e, senza allargare il discorso ad altri settori economici e a considerazioni più generali sullo stato dei consumi, si può dire che anche altri festival rinomati, in Europa come oltreoceano, non rappresentano per nessuno la certezza di vendere un tot di copie e di tornarsene a casa pareggiando le spese del viaggio. In più il Crack! offre a chi vuole la possibilità di dormire al Forte Prenestino e non fa pagare nulla per lo spazio espositivo. Francamente mi sembra che ci sia poco da lamentarsi, anche perché lo scopo principale del festival non è quello di essere un “mercatino” ma di far incontrare artisti, collettivi, pubblico e tutte le realtà che gravitano intorno al mondo dell’autoproduzione.

Passiamo ora a parlare delle cose più interessanti che ho visto e letto durante e dopo il festival. Iniziamo citando qualcuno dei tanti ospiti internazionali, a partire dagli spagnoli del Projecte Úter, nato da una costola del Beehive Collective per protestare contro un disegno di legge spagnolo sull’aborto. Per sostenere la causa è stato così realizzato un mega-poster esposto nei sotterranei del Forte e di cui venivano vendute delle riproduzioni in formato ridotto allo scopo di finanziare la mobilitazione. Per ulteriori dettagli vi rimando al sito di Úter, dove trovate l’analisi approfondita dell’artwork, tradotta anche in italiano. Accanto al posterone appena citato, nella zona della Cattedrale, c’era la mostra dei croati di Komikaze, che sotto il titolo di Femicomix radunava 15 autrici femminili e in particolare Ivana Pipal, Petra Balekić, Amandine Meyer, Petra Brnardić, Amanda Baeza, Ivana Armanini, Petra Varl, Katie Woznicky, Anna Ehrlemark, Nina Bunjevac, Neja Tomšič, Agniezska Piksa, Ena Jurov, Lina Rica, Dunja Janković. Sempre da quelle parti l’area riservata ai francesi della Dernier Cri, tornati a Roma dopo un anno sabbatico, mostrava i poster di Mangaro e i dipinti di Pakito Bolino.

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Oltre alle mostre c’erano ovviamente anche gli eventi, a partire dai dj set, tra cui cito quello dei portoghesi dell’Istituto Fonografico Tropical, e dai concerti live di svariati gruppi noise, elettronici, surf, industrial, ecc. che accompagnavano costantemente lo svolgersi del festival. Tra le proiezioni segnalo la presentazione di Architecture of an Atom, un video dell’artista multimediale francese Juliacks, che portava anche i suoi fumetti dalle soluzioni grafiche suggestive e affascinanti, pubblicati in Usa da Sparkplug. Per quanto riguarda gli incontri, citazione inevitabile per quello con gli organizzatori del Borda!Fest, festival alternativo a Lucca Comics organizzato negli stessi giorni del più famoso evento e che è balzato agli onori della cronaca per l’occupazione e il conseguente sgombero di un immobile (tra l’altro abbandonato da anni) del centro storico. La storia è raccontata nel libro Rise of the Subterraneans ed è interessante perché parla di un’altra idea di manifestazione legata al fumetto, per capirci più simile al Crack! che a Lucca Comics, e rende espliciti desideri ed esigenze di un universo, quello connesso al mondo delle autoproduzioni, spesso repressi dagli eventi ufficiali. Speriamo che l’anno prossimo le istituzioni lucchesi si decidano a dare spazio anche al Borda!, d’altronde da anni Angoulême ha il suo festival off (il Foff, appunto) e non mi sembra che in Francia abbiano smesso di leggere fumetti. Reprimere la voce degli altri per rendere la propria più grossa non è mai una bella cosa, nel fumetto e nella vita in generale.

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Veniamo adesso alle inevitabili segnalazioni di materiale cartaceo, a partire dalla pubblicazione ufficiale del Crack!, il solito albo spillato in formato gigante che quest’anno invece delle solite illustrazioni e fumetti contiene banconote false realizzate da artisti e collettivi internazionali. Il tema di quest’anno era infatti il Capitale nelle sue accezioni più negative, non a caso lo slogan ricorrente che campeggiava qua e là era “Lotta anale contro il capitale”. Come si legge nell’introduzione scritta da Valerio Bindi, “dopo la trilogia della distruzione (Apocalisse/Orda/Genesi) ora nella sua undicesima edizione CRACK!, il festival di Fumetto e Arte Disegnata e Stampata, si confronta con la macchina CAPITALE, la macchina (in)finita di produzione di schiavitù, il Necromante finale del tempo presente”. “La questione dell’autoproduzione – prosegue Bindi nell’intro – il perno intorno al quale lavorano fanzine riviste libri serigrafie collettivi e individui che sono il cuore pulsante del Festival, non può essere e non è mai stata una macchina di produzione di denaro ma un concatenamento che crea cooperazione, condivisione, e visioni del futuro. Un laboratorio prezioso, unico nel pianeta Terra e che mettiamo qui a disposizione di tutti quelli che ci verranno a trovare, poveri ma ricchissimi”. Aperto da una copertina di Bambi Kramer che include un gioco do-it-yourself ispirato ai concetti di creazione e distruzione realizzato in un workshop alla Fanzinothèque di Poitiers, l’albone si sviluppa in una serie di pagine indipendenti da cui si possono ritagliare le diverse banconote false.

Tra i vari disegnatori di denaro falso c’è anche Verónica Felner. Portoghese residente a Berlino e autrice del poster di quest’anno, la Felner ha portato al Crack! il suo How U Really Fuck Me, albo in bianco e nero che parte da atmosfere degne di una commedia sexy all’italiana per sfociare nel porno-cannibalismo. Non conoscevo la Felner prima d’ora, ma la sua linea spessa e rotonda, le sue invenzioni grafiche, l’esplosione finale a dir poco dionisiaca me l’hanno già fatta amare. Andate a dare un’occhiata al suo blog oppure contattatela alla mail contradictora@gmail.com per ordinare i suoi fumetti.

Altra autrice femminile, proveniente dalla Francia e nello specifico dalla Normandia, è Lison de Ridder, che ho incontrato allo stand dell’HSH Crew di Rouen. La de Ridder mi ha mostrato i suoi fumetti in cui rappresenta situazioni quotidiane, viaggi, panorami, raccontati per lo più con piccolissime immagine prive di bordi, minuziose, dettagliate, ricche di particolari. In una pagina ho contato 648 disegni diversi e per chi come me è un feticista delle vignette piccole (ognuno ha le sue fisse, ma posso confortarvi dicendo che non è l’unica) albi come il suo Geste 2013, ambientato tra la Francia, l’Italia, la Germania, la spiaggia e i caffè, sono un’autentica gioia per gli occhi. Spero di poterci tornare in maniera più accurata in seguito.

Uno degli stand più interessanti era senz’altro quello delle valenti Ediciones Valientes, editori di Valencia (le allitterazioni e le ripetizioni sono del tutto volute) che pubblicano quasi annualmente l’antologia Kovra (ne ho parlato brevemente qui). L’occasione mi è servita a recuperare qualche uscita recente, come Balada di Martin López Lam, peruviano trapiantato a Valencia che è la mente dietro la casa editrice. Ispirato a un sogno dell’autore, Balada è la storia di un uomo che segue una donna, scandita da splendide inquadrature e impreziosita dall’uso della serigrafia nei toni del blu e del viola. Il finale sovverte le aspettative del lettore portandolo in territori irreali e misteriosi. Recentissima anche la pubblicazione di un altro mini-comic, El Problema Francisco di Francisco Sousa Lobo, noto ai più per il graphic novel The Dying Draughtsman pubblicato da Chili Com Carne. Il cartoonist portoghese gioca ancora con l’autobiografia, questa volta anche in maniera più esplicita che in passato. Il formato breve e l’uso del colore impreziosiscono una storia perfettamente centrata, che a mio parere è quanto di più efficace realizzato dall’autore: se ancora non lo conoscete, iniziate da qui. Miedo è invece opera degli italiani Vincenzo Filosa e Ciro Fanelli ed è un bel libretto che include due storie mute incentrate su una testa mostruosa, dalle atmosfere manga underground e con un senso del dinamismo che ricorda il maestro Yuichi Yokoyama ma anche lo spagnolo Gabriel Corbera. D’altronde la fascinazione di Filosa per il Giappone è cosa nota e il suo Viaggio a Tokyo, in uscita per Canicola, va inserito di diritto nelle uscite più attese del prossimo autunno.

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Dato che sono in tema ne approfitto per parlare di un titolo pubblicato dalle Ediciones Valientes che già faceva parte della mia collezione, realizzato da una delle mie cartoonist contemporanee preferite, la messicana Inés Estrada. Protagonista di Traducciones è un alter ego dell’autrice che si tiene a galla tra lavoro, piatti sudici, amori a distanza, sesso, sogni e visioni carichi di simboli imperscrutabili. Il tratto riesce a risultare sporco e gradevole al tempo stesso e si amalgama perfettamente ai contenuti, delineando uno stile del tutto definito. Positivo anche il fatto che lo stand delle Ediciones Valientes fornisse accesso al Crack! a tante realtà provenienti dal Sud America: se la Estrada rappresentava il Messico, Berliac con l’ottimo Playground dava voce all’Argentina, mentre le antologie autoprodotte Prego e Carboncito rappresentavano rispettivamente il Brasile e il Perù.

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Ho citato i portoghesi di Chili Com Carne, di cui tra l’altro ho già parlato approfonditamente in questa intervista a Marcos Farrajota. Il loro stand ospitava tutte le ultime uscite, come il numero più recente dell’antologia QCDI #3000, con contributi di André Pereira, Astromanta, Hetamoé e Mao, l’altro albo collettivo Malmö Kebab Party di Alfonso Ferreira, Amanda Baeza, Hetamoé, Rudolfo e Sofia Neto, e Askar, O General della colombiana Dileydi Florez. La cosa più bella che ho recuperato in questa occasione è però un albo uscito nell’ormai lontano dicembre 2011 e che avevo già adocchiato da tempo, Aspiração Horrifica/Vacuum Horror di Aaron Shunga, autore statunitense nato alle Hawaii ma il cui lavoro non avrebbe sfigurato nella fondamentale antologia Comics Underground Japan al fianco dei vari Yoshikazu Ebisu e Suehiro Maruo. L’incipit ricorda un po’ i Transformers e vede la razza aliena dei Vacuums arrivare sulla Terra sotto forma – appunto – di aspirapolveri per sterminare l’umanità prima che questa finisca di distruggere il pianeta. Dopo aver salvato la protagonista dallo stupro da parte del padre e dei suoi amici, gli elettrodomestici scatenano una spirale di omicidi truculenti in un crescendo di tavole tra l’orrorifico e il morboso (la giovane donna che lecca l’aspirapolvere mentre gli dichiara il suo amore), fino al trionfale e apocalittico finale.

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Concludo questa rassegna parlando del debutto autoprodotto dell’italiano Alessandro Galatola, esteticamente molto vicino ai lavori di Michael DeForge ma realizzato interamente “a mano”, al contrario delle opere per lo più digitali del cartoonist canadese. Safe Space è un buon punto di partenza per un esordiente che sa già raccontare soltanto con le immagini, con picchi di ottimo livello nelle storie brevi Il potere mistico dei subwoofer, che ricorda l’altro canadese Jesse Jacobs, e In circolo, a metà tra i Lemmings e il lavoro del duo Most Ancient in Scaffold. L’unico episodio con dei testi veri e propri, Reality, preannuncia originali e intriganti sviluppi stilistici. Se vi interessa ordinare l’albo potete contattare Alessandro alla mail ale.galatola@gmail.com.

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Le foto del Crack! 2015

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In attesa di un reportage più completo e ragionato, che pubblicherò nei prossimi giorni, ecco un po’ di foto in bassa fedeltà fatte al Crack!, il festival dei fumetti dirompenti che ha invaso i tunnel, le celle e i giardini del Forte Prenestino di Roma da giovedì 25 a domenica 28 giugno. Quest’anno la qualità dei dipinti, delle stampe e dei vari artefatti esposti era veramente elevata e spero che le foto riescano a restituire almeno un’idea dell’atmosfera generale. Per vedere le foto in modo più comodo cliccate su una a caso. Buona visione.

 

Le foto del Cake di Chicago

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Come avrete notato, da queste parti si parla soprattutto di fumetti (indie o underground o alternativi che dir si voglia) provenienti dal Nord America, venduti principalmente via posta, in negozi specializzati e ovviamente ai festival. Uno dei più importanti eventi del settore è senz’altro il Chicago Alternative Comics Expo, per gli amici CAKE, che raduna i principali editori e cartoonist degli Stati Uniti e del Canada, anche se quest’anno nello stesso weekend del 6-7 giugno oltre al CAKE c’erano festival “indie” anche a Brooklyn, Austin e Olympia. Tuttavia il CAKE è senz’altro quello più importante per dimensioni, eventi e uscite editoriali e così ho deciso di dedicargli una galleria fotografica. Ovviamente tutte le foto sono state pubblicate con l’autorizzazione degli autori, che ringrazio per la gentilezza e la collaborazione, ma se mi fosse sfuggito qualcosa scrivete pure a justindiecomics [at] gmail [dot] com. Ah, per aprire la galleria basta cliccare su una delle immagini qui sotto. Buona visione.

Dylan Horrocks e la penna ritrovata

A breve distanza dall’incontro con Charles Burns, di cui potete leggere qui, la Libreria Giufà di Roma ha ospitato lo scorso venerdì 22 maggio un altro fumettista di fama internazionale, il neozelandese Dylan Horrocks, che i più ricorderanno come l’autore dell’indimenticabile Hicksville. La tappa romana ha concluso una serie di quattro incontri in cui Horrocks ha presentato in Italia la sua nuova fatica, Sam Zabel e la penna magica, uscito da qualche mese per i tipi di Bao Publishing, dialogando con fumettisti italiani come Zerocalcare, Vanna Vinci e, proprio nell’occasione di venerdì 22, Roberto Recchioni. A presentare i diversi appuntamenti Michele Foschini di Bao, che faceva anche da interprete. Di seguito la trascrizione integrale della chiacchierata. Buona lettura.

Michele Foschini: Questo libro esce dopo diciassette anni dal precedente lavoro lungo di Dylan, Hicksville, che alcuni avranno letto nell’edizione Black Velvet e che un giorno Bao ripubblicherà. Lascio subito la parola a Roberto per le domande.

Roberto Recchioni: Partiamo subito con un argomento che hai appena toccato, la lunga pausa tra Hicksville e il nuovo libro. Diciassette anni sono tanti anche per gli standard di Axl Rose quando fa Chinese Democracy… Che cosa è successo in mezzo?

Dylan Horrocks: Ho perso le mie penne… Non sapevo dove erano finite e ci ho messo un sacco di tempo a ritrovarle… Beh, seriamente quello che è successo è che ho perso la mia fede nelle storie e nei fumetti. Quando uscì Hicksville ebbe più successo di quello che mi aspettavo, non economicamente perché non mi ha fatto fare molti soldi, ma di critica, perché ha avuto delle recensioni veramente buone ed è stato oggetto di tesi di laurea. In qualche modo l’idea di iniziare un nuovo libro dopo Hicksville mi intimidiva. Inoltre mi sono posto alcuni problemi, perché innanzitutto volevo imparare a disegnare meglio, cosa che mi ha portato a guardare agli autori che mi piacevano, e poi volevo cercare di scrivere una storia che fosse artisticamente e contenutisticamente più profonda di Hicksville. Tutto ciò mi ha in qualche modo prosciugato, al punto che mi sono bloccato completamente. La salvezza è arrivata sotto forma di un lavoro per la Dc Comics e così per quattro anni ho scritto dei comic-book mensili per la Dc (Batgirl e Hunter: The Age of Magic, ndr), una cosa positiva perché mi ha salvato dalla bancarotta totale, anche se in realtà scrivevo delle storie in cui non credevo, che non erano il mio genere. Da quel momento ho cominciato a interrogarmi sul significato delle storie, mi chiedevo cioè se le storie potessero essere utili o se fossero soltanto delle bugie, che distorcevano la realtà e il nostro modo di essere. A quel punto non riuscivo più non solo a disegnare i fumetti, ma non avevo neanche più la forza di leggerli, come non riuscivo nemmeno a leggere i romanzi e a vedere i film. Era come se avessi perso la mia fede nelle storie.

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Recchioni: Leggendo il romanzo, la prima parte sembra quasi la riproduzione letterale di ciò che ti è successo. Il protagonista è un fumettista che ha scritto un primo romanzo di successo, è molti anni che non ne fa un secondo e sta scrivendo una brutta serie di supereroi con una supereroina che mena alla gente ma che ha alle spalle un passato glorioso. Il libro è un esercizio di cura o un esercizio di analisi? Hai cercato di capire la situazione o hai cercato di curarti da quello che ti stava succedendo?

Horrocks: Beh, quando ho iniziato il libro stavo cercando di trovare un’uscita dalla trappola in cui ero caduto ma non sapevo come fare. Penso che il libro sia tutte e due le cose, perché mi volevo curare ma non sapevo qual era la medicina, di cosa avessi veramente bisogno. Sapevo qual era il problema e così ho creato una situazione per il mio personaggio simile al problema che stavo vivendo e l’ho esplorata, in un certo senso ho cercato di capire cosa avrebbe fatto il personaggio. E penso che questo mi abbia aiutato a trovare una via d’uscita. Alla fine ha funzionato…

Recchioni: Una cosa che ho notato nel libro, e l’ho notata in un senso un po’ critico, è che alla fine il tuo personaggio trova una via d’uscita ma la trova guardando a un passato che è molto dorato, i fumetti precedenti al sistema, quelli della golden age, una realtà diversa da quella attuale. E’ tutto molto incantato e attraverso questa visione più pura e più ingenua del mondo dei fumetti e delle storie ritrova la sua vena, ritrova se stesso. E’ davvero così, dobbiamo così tanto guardare a un passato che forse nemmeno esiste realmente?

Horrocks: Nel mio primo libro, Hicksville, una delle cose che ho fatto è stata immaginare nuove strade per il fumetto immaginando un nuovo passato. Hicksville presenta una storia immaginaria del fumetto, una serie di eventi che in realtà non sono mai successi ma che in qualche modo io volevo che fossero successi. Pensavo, se quello fosse il nostro passato, immagina i fumetti che potremmo creare ora… Con La penna magica mi sono sentito abbastanza intrappolato dal passato dei fumetti e anche dal presente. Il libro esplora la storia del fumetto ma introduce anche un personaggio, Alice, che è realmente il futuro dei fumetti, lei è quella che salva la situazione ogni volta, che ogni volta è così coraggiosa da tentare qualcosa di nuovo. La penna magica parla in realtà del futuro del fumetto e questo è piuttosto chiaro sin dall’inizio della storia… Ma non voglio anticipare troppo… Comunque ho un profondo rispetto per la storia del fumetto, anche per quei fumetti con cui ho dei problemi, che riflettono una visione del mondo sessista o in genere molto ristretta. Anche lì c’è qualcosa di magico da cui possiamo attingere e spero che questo filtri dalla mia storia.

Recchioni: Oltre che di magia io parlerei proprio di ingenuità, di una purezza che sembra il cuore portante della storia…

Horrocks: Sì, al cuore del libro c’è una domanda, che mi stava tormentando quando l’ho iniziato… Siamo moralmente responsabili per le nostre fantasie? E’ importante ciò su cui fantastichiamo? E penso di non avere una risposta a questa domanda ma la conclusione a cui sono giunto è che abbiamo la responsabilità di essere onesti, onesti a proposito delle nostre fantasie, dei nostri desideri, delle nostre paure e anche delle cose che ci danno semplicemente piacere… Mi rendo conto che da lettore le storie che amo veramente sono quelle che danno la sensazione di provenire da un luogo interiore, non quelle che vengono create perché la gente pagherà per leggerle o perché la gente si aspetta di leggerle o quelle che semplicemente ci eviteranno di finire nei guai, ma quelle di cui ci importa veramente.

Recchioni: Da italiano leggendo il libro ho sentito forte il tema del senso di colpa, della responsabilità rispetto alle nostre fantasie. Il libro è molto solare ma ha anche un forte conflitto all’interno del personaggio, che vive un costante dilemma morale a proposito delle sue fantasie, quelle che vorrebbe vivere come uomo, le fantasie sessuali… Vorrei chiederti qual è stata la tua formazione religiosa perché sembri quasi un cristiano per il senso di colpa che si percepisce…

Horrocks: A dire il vero sono stato cresciuto da degli hippy intellettuali che negli anni ’60 facevano parte di una cellula trotskista rivoluzionaria americana… (risate) Erano anche poeti, che hanno scelto il mio nome sia per Bob Dylan che per Dylan Thomas e che hanno chiamato mia sorella ispirandosi a Simone de Beauvoir. Così sono cresciuto senza alcuna educazione religiosa ma con un fortissimo senso di responsabilità personale, politica ed etica. Mio padre era un grande appassionato di fumetti e insegnava cinema, così ho potuto leggere Robert Crumb quando avevo solo dieci anni e più o meno alla stessa età ho visto Ultimo tango a Parigi, perché mio padre ne doveva parlare a scuola e lo ha portato a casa proiettandolo su una parete la sera prima della lezione per prendere appunti… Mi ricordo che lo vidi e pensai “ma cosa starà facendo con quel burro?”. Quindi sono cresciuto in un contesto molto liberale ma è anche vero che sono stato adolescente negli anni ’80, un periodo in cui la gente era molto coinvolta nella politica e si discuteva di argomenti importanti, come la pornografia… Io avevo sedici anni e ovviamente mi piaceva abbastanza la pornografia ma mi sentivo anche in colpa per questo e non a causa della morale cristiana ma per le politiche femministe. Sono cresciuto con dei genitori femministi e sembra strano definirmi femminista da uomo ma era come mi consideravo io e la discussione sulla pornografia mi metteva seriamente in difficoltà… Avevo volumi di Milo Manara nella mia libreria… E mi piacevano non poco…

Foschini: Sì, ne abbiamo parlato anche troppo l’altra notte… (risate)

Horrocks: Personalmente mi sono interrogato su questi argomenti per trent’anni ma di recente il dibattito su come vengono trattati i temi di genere è tornato di estrema attualità nel mondo dei fumetti anglofono. La penna magica inizia con due citazioni, una del poeta Yeats che dice “Nei sogni iniziano le responsabilità”, l’altra di Nina Hartley – una performer americana, produttrice di porno, che riesce a parlare con intelligenza di pornografia – che dice “Il desiderio non ha morale”… Ho voluto che il libro iniziasse con queste due citazioni, perché penso che siano vere entrambe anche se sono completamente contraddittorie. E mi interessava esplorare lo spazio tra le due affermazioni, per cercare di comprendere perché io le ritengo entrambe vere…

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Recchioni: Rimango sulla sessualità perché secondo me è un tema molto importante nel libro… Abbiamo due situazioni in particolare, una che riguarda delle donne che vengono violentate dai cattivi e si ribellano, ma poi decidono che tutto sommato gli piaceva e quindi fanno la pace, così che iniziano a farlo in modo consenziente e ricomincia una sorta di gioco… Quel tipo di fantasia delle donne inseguite dagli alieni, tipica degli anni ’50, viene alla fine vista con uno sguardo gentile, mentre dall’altro lato il cattivo è l’hentai, il fumetto porno giapponese, che invece è visto sotto un aspetto prettamente negativo.

Horrocks: Una delle cose che mi interessano è come possiamo utilizzare e interpretare in modi diversi anche le fantasie che troviamo moralmente problematiche. Mi è capitato di sentirmi attratto da arte che esprimeva idee veramente orribili, ma magari stava esprimendo un’ossessione o una fantasia che è potente, che ha un valore… Uno degli elementi centrali del mio libro è che alcuni fumetti presenti all’interno della storia sono reali, il personaggio li disegna con una speciale penna magica e quindi quando i personaggi ci entrano trovano altri personaggi reali, che stanno compiendo delle azioni vere e proprie. Uno dei personaggi del fumetto viene da una di queste storie che vengono visitate e non le piace per niente dove sta andando la trama, anche perché riesce a vedere cosa sta per succedere. Una delle mie intenzioni con il libro era anche quella di esplorare la relazione tra i personaggi e l’autore, perché io certe volte mi sento in qualche modo responsabile per i miei personaggi e così ho cercato di salvare questa ragazza da quella situazione che riecheggia certi manga, perché lei non è assolutamente contenta di ciò che gli sta capitando. Ogni volta che nel libro sta arrivando a una risposta semplice, a dire “questo è giusto” o “questo è sbagliato”, qualcosa sconvolge questa convinzione. Nello stesso modo, anche nella storia di ispirazione manga, ci sono scene che mi dava fastidio immaginare, ma le ho disegnate comunque perché volevo esplorare non solo i turbamenti morali ma anche i piaceri che possono derivare dalle fantasie. E in generale credo che quando si parla di fantasie erotiche ed etica, non si può avere una conversazione seria e onesta se non si parla anche della gioia e dei piaceri legati all’erotismo. E anche quel personaggio che non vuole essere la vittima della fantasia manga mostra un comportamento ambivalente… Conosco parecchie persone che hanno delle forti fantasie ma che non vorrebbero averle, e io volevo parlare proprio di cosa facciamo delle nostre fantasie, se le abbracciamo o se cerchiamo di sopprimerle…

Recchioni: Oppure le possiamo vivere…

Horrocks: Beh… (risate). Credo che la differenza tra disegnare una fantasia e viverla nella vita reale sia enorme. Negli ultimi mesi, da gennaio in poi, dopo gli eventi di Charlie Hebdo, c’è stato un intenso dibattito a proposito del potere dei disegni, e la domanda che ci si è posti è se certe cose debbano essere disegnate o meno… E durante questa discussione ci sono delle frasi che ho sentito spesso da persone diverse, “questi disegni fanno del male alla gente”, “questi disegni sono violenti”. E la cosa che mi ha disturbato è che molte persone stanno perdendo la distinzione tra le sensazioni che provi quando guardi un disegno e la vera violenza fisica. E questo è veramente fastidioso, è una cosa che non riesco a concepire e che mi fa pensare che ci stiamo muovendo in un territorio molto pericoloso…

Foschini: A questo punto il tempo è quasi finito, quindi lascerei spazio alle domande dal pubblico.

Recchioni: Ne vorrei prima fare un’ultima io, per concludere… Alla fine del libro sembra che ti sei riconciliato con te stesso, che hai trovato le tue penne…

Horrocks: Sì, erano sotto alla scrivania, prima o poi dovevo guardarci, no?! (risate) Più o meno a metà del libro mi sono reso conto che mi stavo divertendo disegnando un fumetto più di quanto avessi mai fatto in vita mia… Quindi sotto questo punto di vista l’atto di guarigione sicuramente ha funzionato.

Recchioni: Infatti il libro a un certo punto sembra proprio un atto di piacere, è un libro fatto con piacere e questo piacere traspare…

Horrocks: Beh, grazie! Per me è stato un viaggio di esplorazione, di scoperta, perché non sapevo quale fosse la medicina o la cura ma ne avevo bisogno. E hai ragione, parte di quello che ho trovato è stato il piacere, il piacere di raccontare una storia, il piacere di disegnare, il piacere della fantasia erotica… Ho riscoperto tutte queste cose e sono riuscito a metterle al centro di ciò che stavo facendo e penso che questo sia stato importante, significativo e profondo… E cazzo, è stato veramente divertente!

Dal pubblico: Non so quanto sarà contento della domanda, ma io volevo chiedere se questo processo di guarigione lo porterà a proseguire Atlas, che è il lavoro che ha interrotto da qualche anno a questa parte…

Horrocks: Vuole sapere di Atlas, vero? (risate) Mi piace la tua t-shirt degli Yo La Tengo… Beh, Atlas era una serie che ho iniziato dopo Hicksville, veniva pubblicata nell’omonima rivista formato comic-book (l’antologico interamente realizzato da Horrocks per la Drawn and Quarterly, tre numeri pubblicati dal 2001 al 2006, ndr) e doveva essere la mia successiva graphic novel. Ma nel secondo numero cominciai a serializzare anche La penna magica, che iniziò come una storia secondaria e non doveva diventare una storia lunga, ma poi prese il sopravvento, divenne la storia che volevo veramente raccontare e così Atlas venne messa da parte… La stessa cosa successe con Hicksville, che iniziò come una storia secondaria in un mio magazine (Pickle, di cui sono usciti dieci numeri dal 1993 al 1997 per Black Eye Books, ndr) in cui serializzavo una graphic novel molto più seria che si chiamava Café Underground… E non ho mai completato nemmeno Café Underground, Hicksville ha preso il sopravvento, ha cominciato a ossessionarmi e l’ho dovuto finire…

Foschini: A questo punto io dovrei tradurre il volume Incomplete Works (uscito l’anno scorso per la neozelandese Victoria University Press, ndr), così potete avere tutti questi pezzettini…

Horrocks: Ci sono un sacco di storie che ho iniziato ma non ho mai finito… Vorrei finire Atlas un giorno, ma non so quando succederà perché continuo a cambiare idea su dove deve andare la storia e altri progetti stanno prendendo la precedenza…

Dal pubblico: Potresti mettere Atlas come storia secondaria in una rivista, così la finirai sicuramente…

Horrocks: (risate) Questa è veramente una bella idea…

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Dal pubblico: Io vorrei chiedere invece, partendo dal ruolo della web artist presente in questo libro, cosa ne pensa lui del fumetto web e come ritiene che il fumetto digitale influenzerà l’editoria…

Horrocks: Amo l’idea dei web comics, penso che sia veramente eccitante. Negli anni ’80, quando iniziai a disegnare seriamente fumetti, c’erano le macchine fotocopiatrici, erano economiche e ti permettevano di fare i tuoi fumetti in economia… Il mio primo fumetto è stato stampato negli uffici della scuola, ero veramente gentile con le segretarie e loro mi facevano usare la fotocopiatrice… Ed è così che ho iniziato a pubblicare i miei fumetti.

Recchioni: Anche io, stessa storia…

Horrocks: A scuola? Con le segretarie? (risate) Le segretarie sono gli eroi mai celebrati del fumetto! Comunque questo ha portato a una rivoluzione del fumetto, perché la gran parte dei cartoonist che sono emersi negli anni ’80 a Sydney, in Nuova Zelanda, oppure negli Stati Uniti, in Canada o in Inghilterra, vengono dalle fanzine fotocopiate… La rivoluzione non era soltanto avere tanta gente che faceva fumetti, ma avere nuove persone che facevano fumetti e tanti tipi di persone diverse che facevano i fumetti, c’è stata un’esplosione di diversità nelle voci che producevano fumetti… Internet è come questa rivoluzione ma mille volte più potente, è straordinario quello che sta succedendo, ci sono cartoonist da tutto il mondo, ognuno con il suo background, ognuno che fa un fumetto diverso dall’altro, un sacco di donne, cartoonist transgender, omosessuali, asessuali, di tutto… E per me questo è fantastico… Anche io ho iniziato a pubblicare Sam Zabel e la penna magica come un web comic, soprattutto perché volevo vedere cosa si provava…

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