Definire uno stile: One Percent Press
Ci sono, e ancor più c’erano, etichette discografiche che definivano uno stile, accompagnando contenuti musicali classificabili in un genere specifico con una precisa estetica delle copertine e degli LP: un paio di esempi a me cari sono la Factory e la Sarah Records, ma se ne potrebbero citare tanti altri. Nel campo del fumetto, questo fenomeno non può certo esistere secondo gli stessi canoni, perché se nella musica è già difficile demarcare le linee tra un genere e l’altro, figuriamoci in una forma d’arte così articolata e complessa come la nostra. La distinzione classica che viene fatta nel fumetto statunitense è molto più generica e riguarda la suddivisione tra prodotti mainstream, legati economicamente al mondo delle corporation ed esteticamente a contenuti apprezzati dal grande pubblico, e quelli “indie”, che invece nascono fuori dalla produzione di massa. Va da sè che il mondo indie dovrebbe anche veicolare contenuti alternativi a quelli mainstream, cosa che ormai non è più vera perché etichette indipendenti come l’Image sono dei colossi che producono sì materiale diverso dai fumetti di supereroi della Marvel o della Dc, ma tutt’altro che rivoluzionario o anticonvenzionale. Ecco dunque che “indie” e “alternative” non sono più sinonimi, tanto che per cercare prodotti fuori dagli schemi bisogna per forza esplorare l’underground, intenso non più come genere nato negli anni ’60 e caratterizzato dalla satira dello status quo, dalla presenza di sesso, droghe e oscenità varie, ma letteralmente come un sottobosco di micro-produzioni che nella realtà nord-americana è sempre più florido e interessante.
Tra le tante piccole case editrici di cui ho parlato su Just Indie Comics, ce n’è una, la One Percent Press, che non solo pubblica fumetti senza preoccuparsi dell’eventuale riuscita commerciale, ma che ha anche il merito di fare le proprie cose secondo il modus operandi di un’etichetta discografica di altri tempi. E non a caso oltre a pubblicare e distribuire fumetti il marchio fondato nel 2004 da Stephen Floyd e JP Coovert pubblica e distribuisce anche LP e CD di band come Wooden Waves e Tin Armor, in uno spirito che prende pieno spunto dalla filosofia Do It Yourself. E questo con una certa continuità, dato che in questi dieci e passa anni i due hanno fatto uscire oltre 50 fumetti e 25 dischi.
A definire il sound dei fumetti made in One Percent Press non è né la confezione, diversa a seconda dei casi, né la linea pulita dei disegni, che eppure costituisce una costante. Il punto di contatto tra un’uscita e l’altra riguarda piuttosto la tematica, dato che la gran parte degli albi si propone come una rilettura del genere “romanzo di formazione”, esplorando le inquietudini di bambini e adolescenti oppure mostrandoci dei venti-trentenni che cercano ancora la loro strada nel mondo. In questo senso l’albo migliore per capire l’idea dietro a questo progetto editoriale è Salad Days di JP Coovert. Brandon arriva a Minneapolis per incontrare un vecchio amico e passare un weekend di “movies, videogames, and pizza”. Uno è costretto a indossare la cravatta per il lavoro di designer in una corporation, l’altro ancora non sa bene che tipo di carriera intraprendere, ma entrambi hanno ormai famiglia e non riescono più a dedicarsi alle loro passioni. Il ricordo dei tempi passati li spinge a uscire dalla solita routine, a fare qualcosa di diverso, tanto che si ritrovano inseguiti da una macchina della polizia.
Non so quanto di autobiografico ci sia dietro le linee spigolose e il tratto essenziale di Coovert, ma uno dei due personaggi potrebbe essere proprio l’autore, ansioso di rimanere fedele ai sogni dell’adolescenza, di coltivare le proprie passioni e di non diventare una persona come tante. D’altronde la storia della One Percent Press è più o meno questa, cioè quella di due ragazzi che si sono conosciuti a vent’anni e che vivendo sempre in città diverse (la sede dell’etichetta è attualmente tra Minneapolis e Buffalo) hanno creato questa micro-realtà per rimanere in contatto e fare qualcosa insieme. Per quanto riguarda il nome, One Percent Press si riferisce al fatto che soltanto l’1% della vita è veramente eccezionale, soltanto l’1% del cibo è buonissimo e solo l’1% dei fumetti e della musica è realmente degno di nota: un concetto che per ammissione dello stesso Stephen Floyd è da ventenni, da giovani che cercano la propria affermazione non tanto nel mondo, ma contro il mondo.
L’opera più rilevante uscita finora è la versione inglese de L’Âge Dur di Max de Radiguès, tradotta con il titolo Rough Age che purtroppo perde il bel gioco di parole dell’originale. Il contenuto però non cambia e così anche i lettori americani hanno potuto godersi in questo volumetto datato 2014 il materiale pubblicato dal cartoonist belga tra il 2009 e il 2010. Lo stile è apparentemente pulito ma sotto sotto nervoso, mostra delle deviazioni dai contorni rassicuranti della ligne claire, come se i tremolii del pennino riflettessero le inquietudini dei protagonisti, ragazzi in età scolastica che pensano soprattutto ai rapporti con l’altro sesso e che litigano, fanno a botte, copiano i compiti, sparlano gli uni degli altri. Una serie di storie si intrecciano tra loro con un susseguirsi continuo di personaggi, come Roman, che è preso di mira da un compagno e inventa una fidanzata immaginaria, oppure Gary, che sta con Louise ma è segretamente innamorato di Marc, o anche Ron, che viene lasciato dalla ragazza ma mostra un’aria da duro pur soffrendo in segreto. Con leggerezza ci si avvicina al finale, quando i ragazzi arrivano a posare per la fotografia di classe con i nasi rotti, i musi imbronciati, gli occhi neri dopo tutto quello che è successo nelle pagine del volume. Rough Age è per molti versi un classico fumetto franco-belga ma per l’aspetto minimalista si avvicina alle produzioni “indie” statunitensi: alla fine ne viene fuori una storia universale, che potrebbe raccontare le vicende dei bambini della gran parte del mondo occidentale.
L’albo della One Percent Press che più rappresenta il genere “romanzo di formazione” è però Immovable Objects di James Hindle, autore che finora conoscevo per la breve Yellow Plastic pubblicata sul quarto numero dell’antologia Irene (qui la mia recensione). E i punti in comune tra le due storie non mancano, dato che entrambe fanno ampio uso di didascalie a mò di voce fuori campo per raccontare un rapporto tra un ragazzo impacciato e una ragazza ben più sveglia di lui, sicura nei modi di fare ma comunque tormentata. Qui in particolare seguiamo le ordinarie avventure di Steven Price, un tipo “anonimo”, “cresciuto dalla madre in una casa perfettamente normale in una città di medie dimensioni nel New England”. Steven “ha ricevuto voti decenti a scuola ed è stato ammesso in un accettabile college privato soltanto a un’ora da dove è cresciuto”, un college che era “adeguatamente piccolo e senza pretese”. Isolato dai compagni di scuola, solitario e meditabondo nonché con il pensiero ricorrente rivolto a un padre che non ha mai conosciuto, Steven è inizialmente raffigurato seduto sulla panchina di un parco, da solo, mentre le foglie degli alberi gli si poggiano sulla spalla. Le cose cambiano quando incontra Caroline, una compagna di scuola con cui costruisce un rapporto confidenziale ma privo di ogni risvolto sessuale. Come succede spesso in questi casi, l’amicizia si sfalda quando entra in gioco una terza persona, un professore di disegno da cui Caroline è sempre più attratta. Le battute e i cenni di intesa lasciano spazio a gelosie e desideri repressi, così che Steven è costretto a superare il facile appiglio della relazione con la ragazza per guardare dentro se stesso, acquisire sicurezza e forse maturare.
Anche Hindle come i già citati Coovert e de Radiguès ha un tratto semplice e pulito, anche se più rotondo rispetto a quello dei colleghi. Al di là del disegno in se stesso, ciò che colpiscono in Immovable Objects sono le soluzioni grafiche, spesso ottenute con la contrapposizione del bianco, del nero e del verde chiaro. La madre di Steven è raffigurata attraverso una sagoma bianca con contorni neri, ma non è definita come i protagonisti, rimane un personaggio sullo sfondo. Anche la figura del padre è indefinita, ma questa volta è nera, ancora più misteriosa. E quando la vicenda arriva alla sua conclusione anche la figura di Steven è diventata indefinita, del verde chiaro che costituisce l’altro colore dell’albo. Il cerchio si è chiuso e anche il protagonista non è più nulla per noi. Eppure Hindle è riuscito a farcelo diventare familiare in 36 pagine, regalandoci una storia profonda e piena di sfumature.
Altri titoli recenti pubblicati dalla One Percent Press sono Hollow In The Hollows del canadese Dakota McFadzean, un racconto che vede protagonisti due bambini alle prese con oscuri presagi (ne avevo parlato l’anno scorso), e Present Tense dell’illustratrice e fotografa di Buffalo Emily Churco, che raccoglie storie di una pagina autobiografiche, tra momenti di riflessione e gag estemporanee. Le prossime novità sono attese per la Small Press Expo di Bethesda del 19-20 settembre, quando debutteranno la raccolta del Jeremiah di Cathy G. Johnson (tra l’altro vincitrice dell’Ignatz come miglior talento emergente proprio all’ultima SPX) e il ventesimo numero della serie Simple Routines di JP Coovert, oltre alla ristampa dell’esaurito The Aeronaut di Alexis Frederick-Frost, autore visto in Italia con il libro Avventure tra le nuvolette pubblicato da Proglo.
“mini kuš!” #34-37
Nuova serie di mini kuš!, tutti in uscita il 22 agosto insieme al 22esimo numero della più massiccia antologia, che questa volta ha scelto il “fashion” come tema. In attesa di vedere come i vari cartoonist hanno esaltato, deriso, reinventato il mondo della moda, vediamo adesso cosa ci riservano questi nuovi quattro albetti, tutti di 28 pagine a colori, spillati in formato A6 e stampati su una bella carta spessa e opaca.
Il 33esimo mini kuš! è appannaggio di Mikkel Sommer, artista danese classe ’87 che si è già fatto notare pubblicando in Francia per Casterman e in Inghilterra per Nobrow. Al debutto assoluto per l’editore lettone, Sommer tira fuori in Limonchik una storia quasi del tutto muta (ci sono solo 2 pagine su 24 con un accenno di testo) che immagina il ritorno sulla terra della cagnetta “lost in space” Laika, altrimenti nota proprio come Limonchik. I fulmini che escono dagli occhi dell’animale, già mostrati in copertina, preludono a una seconda parte dell’albetto piena di tempeste e distruzioni, in uno scenario apocalittico che alterna tavole su sfondo rosa ad altre blu scuro, in una giustapposizione tra giorno e notte, terra e spazio profondo. L’uomo è qui totalmente assente, ci sono solo un cane e una civiltà prima addormentata, poi devastata.
Se l’idea di Sommer è efficace ma al tempo stesso piuttosto semplice, lo statunitense Theo Ellsworth viaggia su coordinate più complesse e persino psichedeliche. Sarà che quando ho scoperto il mondo dei comics e dell’arte underground le sue cose erano un po’ dappertutto, ma io in questi giochi visionari che rimandano a riti di rinascita mentale e corporea rivedo sempre l’eco del nostro Matteo Guarnaccia, in questo caso mixato con l’altro americano Jim Woodring. Paragoni a parte, Ellsworth crea in queste pagine una storia totalmente muta ma che riesce al tempo stesso a essere divertente, inquietante e alla fine liberatoria.
Ma non fatevi incantare soltanto dalle atmosfere oniriche e dalle linee intrecciate di questo Birthday, perché l’autore di Capacity e di The Understanding Monster è un maestro anche nel disegnare volti umani ed espressioni, come la faccia disperata del protagonista nella prima pagina, il suo timore mentre accetta di sottoporsi al rito iniziatico a pag.4, l’incredulità quando capisce cosa gli sta succedendo nella sequenza finale.
Dato che non c’è due senza tre, anche Lai Tat Tat Wing non fa uso di parole nel suo mini-albo. L’artista di Hong Kong è presenza quasi fissa nelle antologie lettoni e non poteva mancare prima o poi un mini kuš! a lui interamente dedicato. Pages to Pages vede i due protagonisti senza volto ridere, litigare e poi infine inseguirsi, in un crescendo di situazioni degne di un cartone animato ma in cui non mancano elementi surrealisti. Sembro scemo se dico di vedere qua e là l’eco della Doom Patrol di Grant Morrison? Beh, forse sì, ma i libri che si aprono impazziti e le mani che piovono dal cielo possono suggerire questa improbabile analogia. Presente anche il tema metanarrativo del conflitto fra pagina disegnata e tecnologia, che trova degno compimento nella scena finale. A mio parere visto il tono della storia dei colori più incisivi non avrebbero guastato, ma probabilmente è solo una questione di gusti.
Chi sicuramente non ha fatto economia di colori sgargianti è il veterano del fumetto underground europeo Tommi Musturi, per cui il 2015 è un anno particolarmente importante, dato che a novembre uscirà la raccolta del suo The Book of Hope per Fantagraphics. L’albo si apre con una bionda signora intenta a bere un cocktail e fumare, fino a che qualcosa non le cade in testa… Non vi dirò di che si tratta, ma vi assicuro che è una scena che ben rappresenta l’astio del protagonista nei confronti del mondo intero, degno di un personaggio di Ivan Brunetti. Ma alla fine quest’uomo non è poi così terribile come sembra se sogna arcobaleni e unicorni e se si trova a ballare tutto nudo sulle note di Like a Virgin di Madonna… Al di là della trama, comunque divertente, il lavoro del cartoonist finlandese si esalta in alcune tavole geniali che uniscono inventiva e storytelling: si veda per esempio quella in cui inscena una serie di possibili suicidi per il suo protagonista o tutta la coloratissima sequenza onirica. Insieme a quello di Ellsworth, Snake in the Nose è il mini kuš! più riuscito di questa infornata estiva.
I quattro albetti sono già disponibili qui al prezzo di $6 l’uno incluse spese di spedizione.
Anteprima di “See You Next Tuesday” di Jane Mai
Jane Mai è una cartoonist di Brooklyn che alterna un tratto dalle eleganti linee manga a momenti di assoluta spontaneità, in cui le linee diventano poco controllate e tendono quasi allo scarabocchio. Ne vengono fuori diary comics capaci di comunicare al lettore un senso di immediatezza e spontaneità, incentrati su situazioni tratte dal quotidiano. Il tono è per lo più comico, ma tra le varie gag si insinuano momenti più profondi e altri persino disturbanti. Dopo Sunday in the Park with Boys, uscito nel 2012, Koyama Press pubblicherà una nuova raccolta dei fumetti della Mai, See You Next Tuesday, di cui potete leggere alcune pagine in anteprima. Il volume sarà brossurato, di 128 pagine, al costo di 12 dollari. Intanto per conoscere meglio il mondo dell’autrice potete dare un’occhiata al suo Tumblr.
L’incipit di “Steroid Max” di Michael Hacker

Michael Hacker è un fumettista e illustratore austriaco classe ’81, autore di illustrazioni pubblicitarie, di manifesti per concerti di band come Mudhoney, Fu Manchu, Melvins, Sonic Youth, Dinosaur Jr. e di albi autoprodotti. Se Häcksler del 2010 era uno spillato che raccoglieva una serie di gag estemporanee, il nuovo Steroid Max è invece un più corposo brossurato di 48 pagine che racconta una storia completa sullo sfondo della Los Angeles del 1982. Folgorato dalla visione di Conan il Barbaro, il giovane e sfigato Max diventa fan accanito di Arnold Schwarzenegger, tanto che quando si diffonde la notizia del rapimento dell’attore si lancia alla sua ricerca. Il tratto caricaturale ed espressivo del cartoonist di Vienna è al servizio di una storia leggera e divertente raccontata senza parole, un tributo agli action movie degli anni ’80 pieno di sangue e soprattutto sudore. Di seguito le prime pagine dell’albo, che potete ordinare direttamente dal webshop dell’autore.
Una storia da “Dressing” di Michael DeForge
Ormai la gran parte di voi conosceranno Michael DeForge, autore canadese a dir poco prolifico, di cui si susseguono webcomics, mini-comics, numeri della sua serie personale Lose, antologie, volumi di storie inedite e chi più ne ha più ne metta. Se le sue opere maggiori possono essere considerate la stessa Lose, di cui il volume A Body Beneath raccoglie i numeri dal 2 al 5, e Ant Colony, fumetto pubblicato on line e poi stampato da Drawn and Quarterly, DeForge non si risparmia di certo nelle storie brevi realizzate per le occasioni più disparate. Proprio queste verranno riunite a settembre in Dressing, volume simile a Very Casual del 2013, ancora una volta pubblicato da Koyama Press e dove troverete questa Christmas Dinner, che contrappone disegni colorati e apparentemente “carini” a un testo di tutt’altro tono, restituendo quel mix di crudeltà e ironia che è la cifra stilistica dell’autore. Se poi non conoscete ancora bene l’opera di DeForge, sul vecchio blog ho parlato brevemente di Lose #5, Very Casual e Lose #6. Per chi volesse un’analisi più valida e approfondita della mia segnalo invece questo lungo articolo del critico americano Rob Clough del blog High-Low. Buona lettura.
Un’anteprima di “Black Rat” di Cole Closser
Nove storie brevi legate dall’apparizione di un topo nero, un animale che si annida nell’ombra, si muove tra i boschi, viaggia nel tempo. A raccontarle è Cole Closser, già autore di Little Tommy Lost, storia dickensiana delle disavventure di un ragazzino raccontata secondo lo stile delle newspaper strip (ne avevo parlato qui). In questo nuovo Black Rat, 160 pagine a colori in uscita a settembre per la canadese Koyama Press al prezzo di 15 dollari, Closser rompe ogni schema e trasforma il suo stile retrò in un trionfo di creatività. Se l’intero volume sarà al livello di queste prime immagini, gentilmente inviatemi dalla Koyama, ne vedremo delle belle.
Gli altri cocktail dello Studio Pilar
Se con Pre-Dinner – di cui avevo parlato in questo post dedicato ai fumetti di Lucca Comics – avevamo sorseggiato l’aperitivo, dopo qualche mese la cena è sicuramente finita e può così essere servito il secondo volume dei Cocktails editi da Studio Pilar, dedicato alle bevande After-Dinner. Presentata mercoledì 8 luglio allo Spazio Bk di Milano, la nuova antologia ospita i lavori di Andrea Chronopoulos (a cui è stato affidato lo Stinger), Amanda Baeza (Rusty Nail), Alexis Nolla (White Russian), Alberto Fiocco (Godfather), Lauren Humphrey (Grasshopper) e Umberto Mischi (Champs Elysées), oltre a Hedof che ha illustrato la copertina e curato il design della testata. Quella di Cocktails sarà una tetralogia e i prossimi volumi si intitoleranno Anytime e Longdrink, richiamando la classificazione ufficiale dei cocktail. Lo Studio Pilar è un’associazione di illustratori con base a Roma ed è formato da Giulio Castagnaro, Andrea Chronopoulos, Andrea Mongia e Giulia Tomai. A seguire alcune illustrazioni da After-Dinner, 48 pagine a colori in italiano e inglese, 13.5×21 cm, brossurato, disponibile presto sul webstore dello Studio Pilar oppure alla mail hello@studiopilar.it.
Arriva “Volcan” (Lagon #2)
Non ho fatto in tempo a preparare questo post che le 100 copie destinate alla vendita on line del secondo numero di Lagon, intitolato questa volta Volcan, sono già esaurite. Se non l’avete ancora fatto, è dunque già troppo tardi per ordinare uno dei 400 esemplari dell’antologia francese, che propone il lavoro di 30 artisti internazionali, alcuni sicuramente ben noti ai lettori di Just Indie Comics. Le copie restanti verranno vendute ad alcuni festival in giro per il mondo e cioè al Safari Festival di Londra (22 agosto), al Cultures Maison di Bruxelles (11-13 settembre), alla New York Art Book Fair (17-20 settembre), al Fanzines di Parigi (ottobre), al Central Vapeur di Strasburgo (dicembre) e infine ad Angoulême (gennaio). Volcan costa 40 euro ed è un volume risografato di 216 pagine formato 17×24 cm, con testi in francese e traduzioni in inglese nel libretto allegato, a cura di Séverine Bascouert, Alexis Beauclair, Bettina Henni e Sammy Stein. I 30 fumettisti e illustratori che contribuiscono al libro, alcuni con inediti e altri con lavori già pubblicati altrove, sono Jean-Philippe Bretin, Carlos Gonzalez, Hugo Ruyant, Sammy Stein, Tom Lebaron Khérif, Fletcher Hanks, Stefanie Leinhos, Léo Quievreux, Alexis Beauclair, Aidan Koch, Roxane Lumeret, Lasse & Russe, Noel Freibert, Louis Granet, C.F., Nacho García, Amandine Meyer, Amanda Baeza, Léon Maret, Leon Sadler, Jérémy Piningre, Olivier Schrauwen, Jeremy Perrodeau, Baptiste Virot, Antoine Cossé, Acacio Ortas, Stathis Tsemberlidis, Jonny Negron, Bettina Henni, Yuichi Yokoyama. Di seguito qualche promettente e in alcuni casi strabiliante immagine tratta dall’antologia. Buona visione.
Il meglio del Web – 13/7/2015
Ormai già lo avrete letto altrove, ma vi dico comunque che al Comic-Con di San Diego sono stati annunciati i vincitori degli Eisner Awards, notizia di cui tra l’altro ci interessa fino a un certo punto. Personalmente ammetto di non conoscere la gran parte del materiale nominato, che non è propriamente la mia “cup of tea”, comunque la notizia è che la gran parte dei riconoscimenti sono andati alle varie Image, Dark Horse, Boom! ecc., mentre la Marvel non si è aggiudicata nemmeno un Eisner e la DC si è dovuta accontentare dei premi dati a J.H. Williams III come Best Painter/Multimedia Artist e a Darwyn Cooke come Best Cover Artist. A me ha fatto particolarmente piacere la vittoria di Ed Piskor con Hip Hop Family Tree vol.2 (qui la mia recensione del primo volume, l’unico finora pubblicato in Italia) nella categoria Best Reality-Based Work e nella foto in alto potete vedere proprio il suo premio. Da segnalare anche il trionfo del Little Nemo di Winsor McCay, vittorioso nella categoria Best Archival Collection/Project-Strips con le storie originali ristampate nel volume Taschen, tra le Limited Series con Little Nemo: Return to Slumberland di Eric Shanower e Garbriel Rodriguez e anche come Best Anthology e Best Publication Design con l’antologia tributo Little Nemo: Dream Another Dream pubblicata negli Usa da Locust Moon. L’Artist Edition del Nick Fury Agent of S.H.I.E.L.D. di Jim Steranko ha avuto la meglio nella sezione Best Archival Collection/Project-Comic Books su una serie di titoli altrettanto validi, tra cui la collezione completa di Zap edita l’anno scorso da Fantagraphics.
Dopo la pubblicazione del pre-order su Amazon, di cui avevo già parlato qui, arriva l’annuncio ufficiale della Fantagraphics riguardo l’uscita del nono numero di Kramers Ergot, atteso per il marzo prossimo. Il volume sarà di 250 pagine in grande formato e costerà 45 dollari. In questa intervista al Comics Reporter l’editor Sammy Harkham parla dell’evoluzione dell’antologia e della sua speranza di farla uscire con maggiore regolarità in futuro. Sempre il sito di Tom Spurgeon anticipa qualche tavola, tra cui quella di Lale Westvind che vedete qui sotto.
Dopo aver riscritto la storia dei maggiori personaggi Marvel e Dc, Grant Morrison non si ferma più e ora vuole mettere il suo marchio anche su Heavy Metal, versione americana della francese Metal Hurlant, che nei suoi giorni di gloria pubblicava artisti come Moebius, H.R. Giger, Bernie Wrightson, Richard Corben e tanti altri. I recenti sviluppi dell’antologia mi sembrano tutt’altro che esaltanti ma il recupero di materiale d’annata di Jack Kirby previsto nel numero di agosto (ne ho parlato nella puntata precedente di questa rubrica) e l’ingaggio di Morrison come editor-in-chief fanno sperare in un rilancio. Da seguire con curiosità, a partire dal prossimo febbraio. Qui intanto trovate qualche notizia in più.
A Londra il 22 agosto torna il Safari Festival organizzato dalla Breakdown Press, casa editrice tra le mie preferite del momento. Tanti gli espositori, per lo più inglesi, come Decadence Comics, Jack Teagle, Eyeball Comix, Famicon Express, Joseph P Kelly, Landfill Editions, Laura Callaghan e tanti altri.
Qualche settimana dopo, e precisamente l’11, il 12 e il 13 settembre, a Bruxelles ci sarà Cultures Maison, il festival belga che guarda con maggiore attenzione all’universo delle autoproduzioni e del fumetto alternativo, con una cinquantina tra case editrici, artisti e ospiti internazionali.
Sempre a settembre uscirà il nuovo lavoro del francese Léo Quievreux, pubblicato dalle Éditions Matière. Si intitola Le Programme Immersion e potete vedere qualche immagine sull’apposita pagina Facebook. Il lavoro di Quievreux è onirico, immaginifico, stimolante e non vedo l’ora di leggere questo tomo di 150 pagine.
Ancora in tema di novità editoriali, qualche giorno fa l’Alternative Comics, etichetta che coordina e distribuisce il materiale di una serie di case editrici minori come Hang Dai Studios, Revival House Press, Hic & Hoc e via dicendo, ha annunciato i libri in uscita nei prossimi mesi. Il programma è ricchissimo e di tutto livello, forse anche meglio di quello di Fantagraphics e Drawn and Quarterly. Qui potete vederlo nel dettaglio, dal canto mio vi consiglio di dare particolare attenzione a Conditions On The Ground di Kevin Hooyman, Sky In Stereo di Mardou, Compulsive Comics di Eric Haven e all’antologia Alternative Comics Are Dead, di cui potete vedere qui sotto la cover di Hellen Jo. Ma anche il resto non è da meno.
Passo e chiudo parlando di Helena Hauss, un’artista con base a Parigi che disegna utilizzando la penna biro. Inizialmente i suoi lavori non mi hanno colpito molto, ma a forza di rivederli devo dire che il mix tra il retrò anni ’50 e il punk, il realismo dei volti, la morbosità di alcuni dettagli hanno sciolto ogni mia riserva. Oltre al suo sito, potete andare a vedere una serie di articoli che hanno parlato ultimamente della Hauss, pubblicati su It’s Nice That, Juxtapoz e Dangerous Minds.
I mille mondi del Crack!
Sì, il titolo è ambiguo ma non ha niente a che vedere con viaggi indotti da sostanze stupefacenti, qui si parla del festival che dal 25 al 28 giugno ha popolato il Forte Prenestino di Roma con fumetti, stampe e dipinti a opera di decine e decine di artisti internazionali. Le mie foto in bassa fedeltà, scattate con una macchinetta portatile perché l’altra pesava troppo e non mi andava di portarmela dietro, le avete già viste qui, adesso preferisco piuttosto parlare di cosa è stato il Crack! 2015. E per fare questo parlerò inevitabilmente di cosa non è stato, perché il Crack! è tutto e il contrario di tutto, un festival che nella sua filosofia libera e anticonvenzionale lascia ampio spazio ai partecipanti, avvicina artisti e pubblico come pochi altri eventi, non detta linee guida ma si ispira a una filosofia autogestita che rende impossibile definirlo con precisione. Quello che trovate in queste righe è stato il mio festival ma se qualcun altro racconterà il suo Crack! potrebbe parlare di tutt’altro e in termini ben diversi.
Innanzitutto diciamo che il Crack! non è solo fumetto, anzi. Sui tavoli si trovava veramente di tutto e in particolare tra gli italiani erano diffuse non solo le stampe e le serigrafie, ma anche calendari, cartoline, magliette, borse e via dicendo, confermando una predominanza dell’accessorio che personalmente mi innervosisce un po’ ma che è un fenomeno frequente in festival di questo genere. Certo, c’è da dire che l’evento è dedicato non solo al fumetto ma anche alla cosiddetta “arte disegnata e stampata”, cosa ben evidente nella decorazione delle celle del Forte. I dipinti e le installazioni degli artisti trasformano ogni anno i sotterranei in una vera e propria mostra d’arte, donando al festival una valenza estetica fine a se stessa, non legata soltanto alla vendita delle “merci”. C’era dunque chi ne approfittava per riprodurre la Bocca della Verità, chi come Tony Cheung dipingeva dal vivo, chi allestiva una mostra in miniatura come i ragazzi di Squame con alcuni originali tratti da Rock Motel (ne avevo già parlato qui).
La poliedricità delle intenzioni e delle espressioni attrae tante persone estranee al fumetto, che con tutta probabilità frequentano il Crack! più dei veri appassionati, quelli che i fumetti li seguono, li comprano e li leggono. Questo fattore è un bene perché diffonde produzioni artistiche poco conosciute, ma secondo alcuni è anche un male, perché il fatto di avere a che fare con un’audience “profana” viene visto da una parte degli espositori come la principale causa delle scarse vendite. Quello delle vendite non è però un problema specifico del Crack! e, senza allargare il discorso ad altri settori economici e a considerazioni più generali sullo stato dei consumi, si può dire che anche altri festival rinomati, in Europa come oltreoceano, non rappresentano per nessuno la certezza di vendere un tot di copie e di tornarsene a casa pareggiando le spese del viaggio. In più il Crack! offre a chi vuole la possibilità di dormire al Forte Prenestino e non fa pagare nulla per lo spazio espositivo. Francamente mi sembra che ci sia poco da lamentarsi, anche perché lo scopo principale del festival non è quello di essere un “mercatino” ma di far incontrare artisti, collettivi, pubblico e tutte le realtà che gravitano intorno al mondo dell’autoproduzione.
Passiamo ora a parlare delle cose più interessanti che ho visto e letto durante e dopo il festival. Iniziamo citando qualcuno dei tanti ospiti internazionali, a partire dagli spagnoli del Projecte Úter, nato da una costola del Beehive Collective per protestare contro un disegno di legge spagnolo sull’aborto. Per sostenere la causa è stato così realizzato un mega-poster esposto nei sotterranei del Forte e di cui venivano vendute delle riproduzioni in formato ridotto allo scopo di finanziare la mobilitazione. Per ulteriori dettagli vi rimando al sito di Úter, dove trovate l’analisi approfondita dell’artwork, tradotta anche in italiano. Accanto al posterone appena citato, nella zona della Cattedrale, c’era la mostra dei croati di Komikaze, che sotto il titolo di Femicomix radunava 15 autrici femminili e in particolare Ivana Pipal, Petra Balekić, Amandine Meyer, Petra Brnardić, Amanda Baeza, Ivana Armanini, Petra Varl, Katie Woznicky, Anna Ehrlemark, Nina Bunjevac, Neja Tomšič, Agniezska Piksa, Ena Jurov, Lina Rica, Dunja Janković. Sempre da quelle parti l’area riservata ai francesi della Dernier Cri, tornati a Roma dopo un anno sabbatico, mostrava i poster di Mangaro e i dipinti di Pakito Bolino.
Oltre alle mostre c’erano ovviamente anche gli eventi, a partire dai dj set, tra cui cito quello dei portoghesi dell’Istituto Fonografico Tropical, e dai concerti live di svariati gruppi noise, elettronici, surf, industrial, ecc. che accompagnavano costantemente lo svolgersi del festival. Tra le proiezioni segnalo la presentazione di Architecture of an Atom, un video dell’artista multimediale francese Juliacks, che portava anche i suoi fumetti dalle soluzioni grafiche suggestive e affascinanti, pubblicati in Usa da Sparkplug. Per quanto riguarda gli incontri, citazione inevitabile per quello con gli organizzatori del Borda!Fest, festival alternativo a Lucca Comics organizzato negli stessi giorni del più famoso evento e che è balzato agli onori della cronaca per l’occupazione e il conseguente sgombero di un immobile (tra l’altro abbandonato da anni) del centro storico. La storia è raccontata nel libro Rise of the Subterraneans ed è interessante perché parla di un’altra idea di manifestazione legata al fumetto, per capirci più simile al Crack! che a Lucca Comics, e rende espliciti desideri ed esigenze di un universo, quello connesso al mondo delle autoproduzioni, spesso repressi dagli eventi ufficiali. Speriamo che l’anno prossimo le istituzioni lucchesi si decidano a dare spazio anche al Borda!, d’altronde da anni Angoulême ha il suo festival off (il Foff, appunto) e non mi sembra che in Francia abbiano smesso di leggere fumetti. Reprimere la voce degli altri per rendere la propria più grossa non è mai una bella cosa, nel fumetto e nella vita in generale.
Veniamo adesso alle inevitabili segnalazioni di materiale cartaceo, a partire dalla pubblicazione ufficiale del Crack!, il solito albo spillato in formato gigante che quest’anno invece delle solite illustrazioni e fumetti contiene banconote false realizzate da artisti e collettivi internazionali. Il tema di quest’anno era infatti il Capitale nelle sue accezioni più negative, non a caso lo slogan ricorrente che campeggiava qua e là era “Lotta anale contro il capitale”. Come si legge nell’introduzione scritta da Valerio Bindi, “dopo la trilogia della distruzione (Apocalisse/Orda/Genesi) ora nella sua undicesima edizione CRACK!, il festival di Fumetto e Arte Disegnata e Stampata, si confronta con la macchina CAPITALE, la macchina (in)finita di produzione di schiavitù, il Necromante finale del tempo presente”. “La questione dell’autoproduzione – prosegue Bindi nell’intro – il perno intorno al quale lavorano fanzine riviste libri serigrafie collettivi e individui che sono il cuore pulsante del Festival, non può essere e non è mai stata una macchina di produzione di denaro ma un concatenamento che crea cooperazione, condivisione, e visioni del futuro. Un laboratorio prezioso, unico nel pianeta Terra e che mettiamo qui a disposizione di tutti quelli che ci verranno a trovare, poveri ma ricchissimi”. Aperto da una copertina di Bambi Kramer che include un gioco do-it-yourself ispirato ai concetti di creazione e distruzione realizzato in un workshop alla Fanzinothèque di Poitiers, l’albone si sviluppa in una serie di pagine indipendenti da cui si possono ritagliare le diverse banconote false.
Tra i vari disegnatori di denaro falso c’è anche Verónica Felner. Portoghese residente a Berlino e autrice del poster di quest’anno, la Felner ha portato al Crack! il suo How U Really Fuck Me, albo in bianco e nero che parte da atmosfere degne di una commedia sexy all’italiana per sfociare nel porno-cannibalismo. Non conoscevo la Felner prima d’ora, ma la sua linea spessa e rotonda, le sue invenzioni grafiche, l’esplosione finale a dir poco dionisiaca me l’hanno già fatta amare. Andate a dare un’occhiata al suo blog oppure contattatela alla mail contradictora@gmail.com per ordinare i suoi fumetti.
Altra autrice femminile, proveniente dalla Francia e nello specifico dalla Normandia, è Lison de Ridder, che ho incontrato allo stand dell’HSH Crew di Rouen. La de Ridder mi ha mostrato i suoi fumetti in cui rappresenta situazioni quotidiane, viaggi, panorami, raccontati per lo più con piccolissime immagine prive di bordi, minuziose, dettagliate, ricche di particolari. In una pagina ho contato 648 disegni diversi e per chi come me è un feticista delle vignette piccole (ognuno ha le sue fisse, ma posso confortarvi dicendo che non è l’unica) albi come il suo Geste 2013, ambientato tra la Francia, l’Italia, la Germania, la spiaggia e i caffè, sono un’autentica gioia per gli occhi. Spero di poterci tornare in maniera più accurata in seguito.
Uno degli stand più interessanti era senz’altro quello delle valenti Ediciones Valientes, editori di Valencia (le allitterazioni e le ripetizioni sono del tutto volute) che pubblicano quasi annualmente l’antologia Kovra (ne ho parlato brevemente qui). L’occasione mi è servita a recuperare qualche uscita recente, come Balada di Martin López Lam, peruviano trapiantato a Valencia che è la mente dietro la casa editrice. Ispirato a un sogno dell’autore, Balada è la storia di un uomo che segue una donna, scandita da splendide inquadrature e impreziosita dall’uso della serigrafia nei toni del blu e del viola. Il finale sovverte le aspettative del lettore portandolo in territori irreali e misteriosi. Recentissima anche la pubblicazione di un altro mini-comic, El Problema Francisco di Francisco Sousa Lobo, noto ai più per il graphic novel The Dying Draughtsman pubblicato da Chili Com Carne. Il cartoonist portoghese gioca ancora con l’autobiografia, questa volta anche in maniera più esplicita che in passato. Il formato breve e l’uso del colore impreziosiscono una storia perfettamente centrata, che a mio parere è quanto di più efficace realizzato dall’autore: se ancora non lo conoscete, iniziate da qui. Miedo è invece opera degli italiani Vincenzo Filosa e Ciro Fanelli ed è un bel libretto che include due storie mute incentrate su una testa mostruosa, dalle atmosfere manga underground e con un senso del dinamismo che ricorda il maestro Yuichi Yokoyama ma anche lo spagnolo Gabriel Corbera. D’altronde la fascinazione di Filosa per il Giappone è cosa nota e il suo Viaggio a Tokyo, in uscita per Canicola, va inserito di diritto nelle uscite più attese del prossimo autunno.
Dato che sono in tema ne approfitto per parlare di un titolo pubblicato dalle Ediciones Valientes che già faceva parte della mia collezione, realizzato da una delle mie cartoonist contemporanee preferite, la messicana Inés Estrada. Protagonista di Traducciones è un alter ego dell’autrice che si tiene a galla tra lavoro, piatti sudici, amori a distanza, sesso, sogni e visioni carichi di simboli imperscrutabili. Il tratto riesce a risultare sporco e gradevole al tempo stesso e si amalgama perfettamente ai contenuti, delineando uno stile del tutto definito. Positivo anche il fatto che lo stand delle Ediciones Valientes fornisse accesso al Crack! a tante realtà provenienti dal Sud America: se la Estrada rappresentava il Messico, Berliac con l’ottimo Playground dava voce all’Argentina, mentre le antologie autoprodotte Prego e Carboncito rappresentavano rispettivamente il Brasile e il Perù.
Ho citato i portoghesi di Chili Com Carne, di cui tra l’altro ho già parlato approfonditamente in questa intervista a Marcos Farrajota. Il loro stand ospitava tutte le ultime uscite, come il numero più recente dell’antologia QCDI #3000, con contributi di André Pereira, Astromanta, Hetamoé e Mao, l’altro albo collettivo Malmö Kebab Party di Alfonso Ferreira, Amanda Baeza, Hetamoé, Rudolfo e Sofia Neto, e Askar, O General della colombiana Dileydi Florez. La cosa più bella che ho recuperato in questa occasione è però un albo uscito nell’ormai lontano dicembre 2011 e che avevo già adocchiato da tempo, Aspiração Horrifica/Vacuum Horror di Aaron Shunga, autore statunitense nato alle Hawaii ma il cui lavoro non avrebbe sfigurato nella fondamentale antologia Comics Underground Japan al fianco dei vari Yoshikazu Ebisu e Suehiro Maruo. L’incipit ricorda un po’ i Transformers e vede la razza aliena dei Vacuums arrivare sulla Terra sotto forma – appunto – di aspirapolveri per sterminare l’umanità prima che questa finisca di distruggere il pianeta. Dopo aver salvato la protagonista dallo stupro da parte del padre e dei suoi amici, gli elettrodomestici scatenano una spirale di omicidi truculenti in un crescendo di tavole tra l’orrorifico e il morboso (la giovane donna che lecca l’aspirapolvere mentre gli dichiara il suo amore), fino al trionfale e apocalittico finale.
Concludo questa rassegna parlando del debutto autoprodotto dell’italiano Alessandro Galatola, esteticamente molto vicino ai lavori di Michael DeForge ma realizzato interamente “a mano”, al contrario delle opere per lo più digitali del cartoonist canadese. Safe Space è un buon punto di partenza per un esordiente che sa già raccontare soltanto con le immagini, con picchi di ottimo livello nelle storie brevi Il potere mistico dei subwoofer, che ricorda l’altro canadese Jesse Jacobs, e In circolo, a metà tra i Lemmings e il lavoro del duo Most Ancient in Scaffold. L’unico episodio con dei testi veri e propri, Reality, preannuncia originali e intriganti sviluppi stilistici. Se vi interessa ordinare l’albo potete contattare Alessandro alla mail ale.galatola@gmail.com.




















































































