“Crickets” #4 di Sammy Harkham

I primi due numeri di Crickets, l’antologia realizzata da Sammy Harkham per la Drawn & Quarterly, uscivano rispettivamente nel 2006 e nel 2007 e contenevano i due capitoli di Black Death più alcune strisce e storie brevi. Nel 2010 arrivò il terzo numero, questa volta autoprodotto, dove veniva pubblicato il primo capitolo di Blood of the Virgin, ambientato nella Los Angeles dei primi anni ’70 e incentrato sulle avventure di Seymour, mestierante e aspirante regista nell’industria dei b-movie. Da allora la storia è rimasta in sospeso, almeno fino a qualche settimana fa, quando finalmente Harkham è riuscito a dare alle stampe il tanto atteso quarto numero di Crickets, 48 pagine che abbandonano definitivamente il formato antologia per dedicarsi esclusivamente al seguito di Blood of the Virgin.
Quest’ultima è la prova più ambiziosa di Harkham finora. Il giovane autore californiano, classe 1980, conosciuto anche per la sua attività di editor dell’antologia Kramers Ergot, non aveva mai realizzato una storia così lunga e impegnativa, capace di lavorare con pazienza su personaggi e atmosfere. C’è da dire che i risultati raggiunti in passato erano tutt’altro che deludenti, anzi per me fumetti come Somersaulting e Poor Sailor sono veri e propri capolavori in cui lo stile apparentemente classico ma in realtà di rottura di Harkham riusciva a delineare in 20-30 pagine personaggi, atmosfere, sensazioni grazie a pochi tocchi di matita. E anche quando le pagine erano soltanto quattro – come in The New Yorker Story, raccolta come la gran parte della produzione breve dell’autore nell’antologia Everything Together (in italiano Golem Stories, edizioni Coconino) – ciò che Harkham riusciva a mettere dentro le sue certosine vignette era molto di più di quello che altri autori avrebbero raccontato in 400 pagine.
In Blood of the Virgin convivono due temi centrali nella produzione di Harkham e cioè l’interesse per le situazioni familiari e la passione per i b-movie, tanto che il personaggio di Seymour, ventisettenne sposato e già con un figlio, è un alter ego dell’autore che trasuda particolari autobiografici. Se nel primo capitolo avevamo assistito in parallelo sia ai problemi coniugali del protagonista che al suo coinvolgimento nella produzione della pellicola del titolo, questa nuova puntata si concentra per lo più sul secondo aspetto, mostrandoci un Seymour che si fa timidamente strada nell’industria filmica e riesce finalmente a coronare il suo sogno di diventare regista. Le matite sinuose di Harkham ricordano i grandi classici delle strip americane come Frank King ed E.C. Segar, ma questo classicismo della linea è bilanciato da una narrazione sincopata, dominata da dialoghi incalzanti, da un susseguirsi di personaggi e situazioni come se fossimo in un film di Robert Altman. Il ritmo dei dialoghi è ben reso dalla moltiplicazione delle vignette, che nella parte centrale, quella della lavorazione del film a Palm Springs, sono venti per pagina, disposte su cinque file di quattro riquadri ciascuna.
Prima e dopo, come se fossimo in una sinfonia, le pagine seguono strutture più ariose e non a caso le scene più intense sono all’inizio e alla fine dell’albo, rappresentate rispettivamente da una bella sequenza in cui la moglie di Seymour si masturba sul divano mentre il figlio piange disperato e da sei pagine quasi completamente mute in cui il protagonista gira in macchina per la notte di Los Angeles. E’ quest’ultimo uno dei momenti più alti di Blood of the Virgin finora, una sequenza cinematica, in cui l’uso della prospettiva è efficacissimo e in cui il lettore è invitato a identificarsi con il protagonista, a condividere i suoi pensieri, anche se sulla pagina si vedono solo le insegne, le case, i ponti, i lampioni, i semafori, i benzinai di una Los Angeles finalmente deserta. E Los Angeles, dove Harkham vive e gestisce la libreria Family, è senz’altro un tema in questa storia, con il suo traffico incessante, i suoi luoghi, le abitudini legate al mondo dello spettacolo.
Ma un tema ben più importante è la vicenda personale di Seymour, in particolare il problematico rapporto con la moglie e la sua dimensione di giovane padre. In Crickets #3 lo avevamo visto baciare una giovane attrice, Joy, e in tutto il capitolo successivo la guarda, la ammira, aspetta un suo cenno mentre lei sembra ignorarlo. E forse continuerà a farlo, mentre Harkham non mancherà certo di approfondire la relazione tra Seymour e la moglie, destinata a esplodere nel prosieguo della storia. Ma per scoprirlo bisognerà ancora aspettare qualche anno, dato che di recente lo stesso Harkham ha annunciato che Blood of the Virgin proseguirà per altri tre o quattro numeri di Crickets.
Il meglio del web – 18/6/2015

Inizio questa rassegna ricordando a tutti che dal 25 al 28 giugno a Roma, come sempre al Forte Prenestino, c’è il Crack!, il festival dei “fumetti dirompenti” che raduna ogni anno tantissime autoproduzioni da tutta Europa e a volte anche da tutto il mondo. Il tema di quest’anno è il Capitale e non a caso collegato all’evento c’è un invito a tutti gli autori partecipanti a disegnare false banconote. Valerio Bindi racconta la storia del festival, il tema e le novità di quest’anno in un’intervista a Zero, che potete leggere qui. Mi raccomando se potete andateci, perché con la sua struttura libera e a volte caotica il Crack! è un festival unico nel suo genere e dà l’opportunità di conoscere dal vivo realtà minori che non trovano spazio veramente da nessun’altra parte.
E a proposito di festival, questo weekend a Londra arriva l’Elcaf. Tra i vari ospiti, che potete leggere nel poster a firma Jillian Tamaki, c’è anche il nostro Manuele Fior. Su Comics & Cola Zainab Akhtar propone la sua buy guide.
Come riportato da Bleeding Cool, il numero di agosto di Heavy Metal uscirà con due diverse copertine, entrambe a firma Jack Kirby. All’interno troveranno spazio una serie di disegni di Barry Geller e dello stesso Kirby raccolti sotto il titolo di Lord of Light. Si tratta dell’artwork realizzato per l’Operation Argo, con cui la CIA riuscì a liberare gli americani rimasti bloccati nell’ambasciata iraniana durante il golpe del 1979. E sì, è la stessa storia raccontata da Ben Affleck in quella cagata di Argo. Sempre su Bleeding Cool potete trovare un’ampia anteprima delle tavole del Re, che come al solito fanno la loro splendida figura sia in bianco e nero che a colori. Da non perdere.
Ancora novità editoriali. In occasione del suo venticinquesimo anniversario, la Drawn & Quarterly ha annunciato alcune uscite dell’anno prossimo, tra le quali spicca Mary Wept Over the Feet of Jesus, un nuovo libro inedito di Chester Brown, che come anticipato da Fumettologica uscirà anche in Italia per Bao Publishing.
Tra gli altri libri che l’editore canadese farà uscire nel 2016 ci sono anche Fire!! The Zora Neale Hurston Story di Peter Bagge, Art Comic di Matthew Thurber, una raccolta di sei racconti di Nick Drnaso intitolata Beverly, Big Kids di Michael DeForge, Panther di Brecht Evens e Carpet Sweeper Tales di Julie Doucet, in cui l’autrice di Dirty Plotte partirà dalle immagini dei fotoromanzi italiani anni ’60 per raccontare storie originali.
Belle le illustrazioni di Heather Benjamin per questo articolo sulle orge a New York pubblicato su Vice Usa. Della Benjamin avevo già parlato, ma sempre di sfuggita, per l’ottimo lavoro fatto nel confezionamento dell’edizione 2013 dell’antologia Monster. Detto che su Vice aveva già illustrato altri articoli, vi invito a dare un’occhiata alle fanzine, alle stampe, ai poster e ai vestiti che realizza per conto proprio e di cui trovate ottimi esempi sul suo Tumblr.
Da Vice passo al sito del New Yorker, dove in tempi di Expo milanese è attualissimo questo nuovo fumetto di Julia Wertz sui resti dell’esposizione universale newyorkese del 1964-1965. Lo consiglio a chi come me è appassionato di luoghi abbandonati, argomento che Julia tratta abitualmente sulle pagine di Adventure Bible School, dove trovate anche parecchie foto dei luoghi utilizzati per disegnare After the New York World’s Fair. Se poi volete approfondire i suoi fumetti, vi rimando a juliawertz.com, ricco di estratti dai vari Museum of Mistakes, The Infinite Wait and Other Stories e Drinking at the Movies.
Il Wall Street Journal dedica una puntata della rubrica House Call a Robert Crumb, che racconta le case e i luoghi in cui ha vissuto dall’infanzia a oggi.
Tante le interviste che ho visto in giro negli ultimi tempi e molte di queste devo ancora leggerle anche io: vi segnalo comunque quelle a Anders Nilsen (nella foto qui sotto), Julie Doucet (in spagnolo), Chris Cilla (ancora in spagnolo) e Gabrielle Bell, che in un video di The Paris Review racconta la sua serie Book of…, con cui debuttò alla fine degli anni ’90.
E ancora a proposito di interviste, continua la lunga serie di chiacchierate con Daniel Clowes. L’ultima che mi è capitata sott’occhio è di The Nerdist. Intanto Ken Parille, autore di The Daniel Clowes Reader, racconta la produzione di Clowes del periodo 1988-1998 in un articolo ricco di riflessioni, spunti, aneddoti.
Se a qualcuno fosse sfuggito, Paperina era una femminista. Dal canto suo Rom potrebbe essere il miglior fumetto di fantascienza di tutti i tempi.
Anteprima di “Qviet” di Andy Burkholder

Ha debuttato al CAKE di Chicago lo scorso weekend del 5-6 giugno Qviet, un volume pubblicato dalla 2D Cloud di Minneapolis che raccoglie una serie di strip realizzate a partire dal 2011 da Andy Burkholder su Tumblr, poi ristampate in alcuni mini-comics. Misterioso all’inizio, anche perché l’autore chicagoano si firmava semplicemente “Tracy”, il lavoro di Burkholder si è via via fatto notare per uno stile inconfondibile, che in brevi flash di una pagina rivisitava e rileggeva con piglio avanguardistico il linguaggio sintetico e convulso delle strip. I segni, le linee, le forme sono senz’altro il centro del suo lavoro, soprattutto nella produzione iniziale, ma al tempo stesso rappresentano un punto di partenza per passare dall’astratto al corporeo, andando a sviscerare tematiche sessuali con ironia e affilato realismo. Nel corso del tempo il segno si è fatto più corposo ed è arrivato così a creare tavole estremamente efficaci e più compiute esteticamente. Di seguito alcune pagine in anteprima di Qviet, la cui data di uscita ufficiale è il 15 giugno.
Annunciato “Kramers Ergot” #9

Dopo la pubblicazione dell’ottavo numero di Kramers Ergot nel 2011 per Picture Box, nel giugno dell’anno successivo l’editor Sammy Harkham annunciava con un tweet un imminente seguito, descrivendolo come “350 pages of wicked wanda and Ian Svenonius essays” (Svenonius, conosciuto ai più come frontman dei Nation of Ulysses e dei Make-Up aveva già contribuito al numero 8 con il saggio Notes on Camp, part 2). Da allora Picture Box ha chiuso, Harkham ha pubblicato dopo un’altra lunga attesa il quarto numero di Crickets, e di Kramers Ergot non si è saputo più nulla, almeno fino a oggi, quando su Amazon è comparsa questa copertina (che credo sia opera di John Pham) e la possibilità di prenotare il nono numero della fondamentale antologia che nel corso degli ultimi quindici anni ha ospitato i migliori talenti dell’underground statunitense e non solo. Il nuovo editore sarà Fantagraphics e la data di uscita prevista è il 18 marzo 2016, per 250 pagine (e non 350 a quanto pare) a opera di Michael DeForge, Noel Freibert, Steve Weissman, Anya Davidson, Stefan Marx, Abraham Diaz, Leon Sadler, Julia Gfrörer, Adam Buttrick, Kim Deitch, Ben Jones, Andy Burkholder, Antony Huchette, Trevor Alixopulos, Antoine Cossé, Archer Prewitt, Kevin Huizenga, Renée French e altri che verranno annunciati in seguito. Che dire, la lista è come al solito impressionante e a questo punto non ci resta che attendere.
Il meglio del web – 4/6/2015

Dopo qualche settimana di assenza, torna questa scintillante rubrica, in cui cercherò di mettere insieme le notizie e i link più interessanti degli ultimi tempi. Iniziamo dai festival in giro per il mondo, che questo weekend sono davvero tanti. A Chicago c’è uno dei principali eventi del fumetto underground, il CAKE, con un poster di Ivan Brunetti, ospiti come Gilbert e Jamie Hernandez, Dash Shaw, Lale Westvind, Eleanor Davis, Keiler Roberts, Zak Sally, Jillian Tamaki, incontri, disegno dal vivo, lezioni di tecniche di stampa e tante novità al debutto. Per approfondimenti vi rimando al blog della manifestazione. Gli artisti ed editori americani che non potranno raggiungere Chicago si divideranno tra la terza edizione del Grand Comics Fest di Brooklyn, l’Olympia Comics Festival e il New South Festival of Literary Arts & Cartooning di Austin in Texas, con un bel poster disegnato da Inés Estrada.
In Europa sono invece in programma il Copenhagen Comics, con ospiti di altissimo livello come Art Spiegelman, David Lloyd, Herr Seele, Simon Hanselmann, Tommi Musturi, il Munchen Comic Festival, incentrato su autori inglesi come Dave McKean e Bryan Talbot, e il Crouch End Cartoon Arts Festival di Londra, di cui Andy Oliver ci fornisce un’esauriente anteprima. Dall’11 al 13 giugno arriverà poi l’Oslo Comics Expo, che avrà come ospite ancora Hanselmann ma anche Ed Piskor, Lando, Aisha Franz, Paul Paetzel, Antoine Cossé, Joe Kessler. Passando ai festival già conclusi, su Broken Frontier ci raccontano del Klaxon di Anversa, mentre Robyn Chapman di The Tiny Report e Zainab Akhtar di Comics&Cola scrivono da Toronto. Sempre su Comics&Cola vi segnalo un paio di articoli su un’artista che a me piace parecchio e di cui prima o poi vi parlerò, Lala Albert: si parla del recente R.A.T. e della sua libreria.
Veniamo dunque a qualche approfondimento di rito sugli ultimi articoli pubblicati su JustIndieComics e in particolare sulla chiacchierata con Dylan Horrocks dello scorso 22 maggio alla libreria Giufà di Roma. Il passaggio di Horrocks in Italia per il tour di presentazione di Sam Zabel e la penna magica ha prodotto qualche altra interessante intervista, come quelle pubblicate su Bad Comics e Fumettologica, in cui vengono toccati anche temi rimasti fuori dalla conversazione romana.
A proposito di interviste, ormai non si contano più quelle a Daniel Clowes e forse me ne sono persa anche qualcuna: tra le ultime ci sono quelle a Boing Boing, a Vulture e a The Guardian, secondo cui l’autore di Eightball “scrive i più divertenti fumetti tristi o i più tristi fumetti divertenti del mondo”. Inoltre Clowes ipotizza anche di ritornare, un giorno o l’altro, ai suoi vecchi personaggi, come Enid e Rebecca di Ghost World, o anche Lloyd Llewelyn, mentre Wilson diventerà un film con Woody Harrelson e Laura Dern. Intanto l’organizzazione del Comic Arts Brooklyn, in programma il prossimo 7 novembre, annuncia che Clowes sarà ospite del festival e che in quell’occasione si vedranno in anteprima le prime copie del suo nuovo libro, Patience. Come già saprete a pubblicarlo sarà la Fantagraphics, che nel frattempo ha rinnovato il suo sito. La stessa casa editrice di Seattle annuncia la raccolta di Wimmen’s Comix, fondamentale antologia underground.
Mentre su Boing Boing anticipano qualche pagina da un lavoro inedito – e purtroppo ancora incompiuto – di Joe Matt tratto dal libro celebrativo per i venticinque anni della Drawn & Quarterly (di cui spero di parlare prossimamente), a Pittsburgh esce l’ottavo numero del sempre interessante Comics Workbook Magazine, con un’intervista agli editor di š! a firma Laila Milevski, un saggio su Julie Doucet a opera di Daryl Seitchik e un’intervista al cartoonist “misterioso” GG di Jamie McMorrow. La rivista è distribuita da Copacetic Comics, nel cui shop virtuale potete trovare anche BW, una nuova zine assemblata dal cartoonist Jim Rugg che mette insieme una serie di spettacolari immagini tratte da misconosciuti fumetti anni ’80 e di cui ha parlato anche Frank Santoro sul sito del Comics Journal.
Cinque tavole da “UDWFG” #3

Di Under Dark Weird Fantasy Grounds ho parlato a più riprese su queste pagine, prima con la recensione del numero di debutto, poi inserendo le prime due uscite tra le migliori cose lette nel 2014 e quindi traducendo in inglese un’intervista a Michele Nitri realizzata da Matteo Stefanelli e pubblicata su Fumettologica. Se negli scorsi mesi la Hollow Press ha ampliato le sue proposte editoriali con due libri a firma Shintaro Kago e Tetsunori Tawaraya (qui ne avevo fatto un’anteprima), il terzo numero di UDWFG inizialmente previsto per aprile ha subito un paio di mesi di ritardo a causa degli impegni di alcuni degli artisti coinvolti. Ma adesso le pagine sono tutte pronte e tra qualche giorno saranno dati alle stampe i nuovi capitoli delle storie di Mat Brinkman, Miguel Angel Martin, Tetsunori Tawaraya, Ratigher e Paolo Massagli. Di seguito, senza far torto a nessuno, una tavola per ogni artista. Buona visione.
Everything is ending “Here”

“Di tanto in tanto arriva un artista che prende il potenziale accumulato dalla sua disciplina e lo rielabora in nuovi modi di vedere e sentire. Cézanne ci è riuscito nella pittura, Stravinskij nella musica, Joyce nella scrittura – e penso che Richard McGuire lo abbia fatto con i fumetti”.
Basterebbe questa frase di Chris Ware per capire l’importanza della prima incarnazione di Here di Richard McGuire, una storia di 6 pagine apparsa nel 1989 in Raw vol. 2 #1 e che è possibile leggere qui. Era quello il famoso fumetto – rivoluzionario, stracitato, oggetto di saggi, convegni e persino di un cortometraggio – in cui l’artista statunitense – copertinista del New Yorker, bassista della band Liquid Liquid, autore di libri per bambini e film d’animazione, grafico e altro ancora – raccontava con un approccio estetico essenziale la storia di un angolo di mondo in diversi momenti storici, definiti di volta in volta da una data. Ma la caratteristica principale di Here erano le finestre che apparivano e si affastellavano creando il caos nelle sei ordinate vignette di ogni pagina, dando vita a passaggi temporali repentini che portavano il lettore a spostarsi in meno di un batter d’occhio dalla preistoria al futuro, mostrandoci per lo più l’angolo di una stanza ma a volte anche cosa c’era e cosa ci sarà in quell’angolo, come uno scenario lavico nel 500.957.406-073 a.C., l’edificio ancora in costruzione nel 1902, pompieri che spengono un incendio nel 2029, una cerimonia all’aperto nel 2033.
“Avevo realizzato due strisce che erano state pubblicate poco prima di Here – ha raccontato McGuire in un’intervista a Thierry Smolderen pubblicata sull’ottavo numero di Comic Art del 2006, dove è stato ristampato anche il fumetto originale e dove è apparso il saggio di Ware citato in apertura – in un piccolo magazine chiamato Bad News, curato da Mark Newgarden e Paul Karasik. L’idea iniziale mi venne dall’appartamento in cui mi ero appena trasferito. Pensavo a chi aveva vissuto lì prima di me. Feci alcuni sketch di una pagina divisa in due parti verticali, dove sulla sinistra il tempo si muoveva avanti, mentre sulla destra si muoveva all’indietro. All’epoca, stavo frequentando delle lezioni tenute da Newgarden e Karasik sul fumetto (dopo una serie di conferenze di Spiegelman che avevo già seguito poco prima), e loro mi incoraggiarono ad andare oltre i semplici sketch per svilupparli in una storia. Un giorno ero in giro con un mio amico, Ken Claderia – con cui andavo a scuola e che adesso è uno scienziato che lavora per la Stanford University – e fu un suo commento che fece a proposito di Windows che mi portò a pensare che poteva trattarsi di una vista multipla piuttosto che di uno split screen. Fu quello il momento “eureka”. L’idea è basata su una concezione multi-dimensionale del tempo – nel pensare il tempo non come lineare, ma come se tutto il tempo esistesse simultaneamente. Volevo che lo spettatore pensasse all’immagine più ampia, al fatto che noi entriamo in contatto soltanto con una parte della realtà. I dinosauri stanno ancora camminando da qualche parte in questo spazio ma in un altro tempo”.
Da allora il fumetto di McGuire è stato paragonato a tante opere che hanno rivoluzionato la forma delle arti, ognuna ovviamente a suo modo. Ware lo paragona all’Ulisse di Joyce o anche a Fuoco pallido di Nabokov, citato per l’uso delle note a pié pagina, soluzione poi portata alle estreme conseguenze da David Foster Wallace. Matt Seneca in una bellissima recensione per The Comics Journal del nuovo Here utilizzava Il pasto nudo di William Burroughs e Viaggio nella luna di Méliès come opere altrettanto fondamentali per la loro ambizione formale. L’uso dello split screen nel cinema ha avuto sicuramente un ruolo importante nello sviluppo dell’idea iniziale di Here: esempi celebri sono Lo strangolatore di Boston, Il caso Thomas Crown, Carrie – Lo sguardo di Satana, probabilmente ben noti a McGuire. Per rimanere ai fumetti, invece, lo stesso Ware citava come possibili ispirazioni di McGuire The Malpractice Suite di Art Spiegelman e A Short History of America di Robert Crumb, il primo per la scomposizione quasi cubista della vignetta, il secondo per il modo in cui mostra l’evoluzione di uno stesso punto dello spazio nel corso del tempo. Di seguito le due opere citate (quella di Crumb è nella sua versione più recente, con l’aggiunta delle ultime tre vignette).
A me, innanzitutto appassionato dei comics nella loro declinazione anglo-americana, quando per la prima volta lessi Here venne banalmente in mente il quarto capitolo di Watchmen di Alan Moore e Dave Gibbons, non solo per il modo in cui la memoria del Dottor Manhattan salta da un anno all’altro, ma anche per come Moore dava veste divulgativa a quel concetto di simultaneità poi diffusissimo nella cultura popolare degli ultimi vent’anni, dal cinema al fumetto alle serie tv. Sicuramente le conoscerete già a memoria, ma queste sono le due pagine iniziali di Watchmen #4.
Subito dopo assistiamo alla scena del 7 agosto 1945 in cui il padre del Dottor Manhattan, dopo aver mostrato al protagonista la prima pagina del New York Times con la notizia della bomba atomica su Hiroshima, prende gli ingranaggi di un orologio e li butta dalla finestra. “Questo cambierà tutto. Ci saranno altre bombe. Sono loro il futuro. E mio figlio dovrà proseguire il mio lavoro obsoleto? (…) La scienza atomica… E’ di questo che il mondo ha bisogno! Basta con gli orologi! Il professor Einstein dice che il tempo varia da luogo a luogo. Hai idea? Se il tempo non è reale, a che servono gli orologiai, eh?”. Se il tempo è obsoleto nella realtà, figuriamoci nel fumetto, dove poco ci vuole a rompere il concetto tradizionale secondo cui i fatti raccontati in una vignetta siano precedenti a quelli che si vedranno nella successiva. E lo stesso vale nella letteratura, dove ci vuole ancor meno ad abbandonare l’idea di romanzo come successione di eventi per raccontare la storia di un luogo, come tra gli altri ha fatto lo stesso Alan Moore con la sua bellissima e sghemba storia di Northampton contenuta in La voce del fuoco.
Prima ho usato in modo un po’ criptico l’aggettivo “nuovo” riferendomi a Here. Ma d’altronde ormai ben saprete che McGuire ha rivisitato il concept originale in una nuova edizione, che dopo una lunga gestazione è uscita lo scorso anno sotto forma di un libro a colori di oltre 300 pagine pubblicato da Pantheon Books e arrivato anche in Italia da qualche settimana grazie a Rizzoli Lizard con il prevedibile titolo di Qui. Se qualche fedele lettore di queste pagine si fosse chiesto perché non avevo incluso il volume nella lista dei migliori fumetti del 2014, è perché all’epoca ancora non avevo letto il nuovo Here, dato che una copia spedita in anteprima grazie a qualche aggancio oltreoceano si era perduta nei meandri del sistema postale mondiale e si era infine palesata dopo mesi di attesa, quando il libro era già da un bel po’ di tempo nelle librerie.
Here parla dell’essere umano, sia nel senso di “umanità” che in quello di “uomo” e l’opposizione o meglio la giustapposizione di questi due concetti è ancora più evidente nella versione graphic novel. Se le sei pagine originali sfoggiavano una narrazione convulsa, veloce, dinamica, rappresentando come nessun fumetto aveva mai fatto prima le dinamiche del pensiero, le 300 pagine della versione 2014 sono lente, pacate, a tratti malinconiche nel modo di accostare l’inesorabilità del Tempo e della Storia alle piccole vicende quotidiane delle persone comuni, a ricordarci, come diceva McGuire, che noi sperimentiamo soltanto una parte delle possibilità di questo mondo, che quello che accade nel nostro piccolo è niente rispetto alle ere geologiche, all’estinzione delle specie, a un futuro che – almeno secondo quanto dicono queste pagine – riporterà la Terra indietro, verso le sue origini. Il tutto è ovviamente riportato secondo la sensibilità di un uomo occidentale che ha vissuto e vive tra il XX e il XXI secolo, ma non potrebbe essere altrimenti, dato che pur trattando di temi universali si tratta sempre di un’opera personale, in cui l’autore ci ha inevitabilmente messo del suo.
Il solito Chris Ware è tornato su Here per parlare delle sua nuova incarnazione, dicendo che “con quelle prime sei pagine nel 1989, McGuire ha introdotto un modo nuovo di fare una striscia a fumetti, ma con questo volume, nel 2014, ha introdotto un nuovo modo di fare un libro”. Ma cosa c’è, dunque, dentro queste 300 pagine? Innanzitutto c’è una visione più ampia di quel famoso spicchio di realtà. Se nella striscia infatti l’unità narrativa era rappresentata dalla vignetta, qui è costituita dalla doppia pagina, cosa che permette all’autore di allargare la prospettiva mostrandoci non solo quell’angolo in alto a sinistra (secondo la nostra percezione) ma anche altre porzioni delle stanza. Per esempio guardando la prima versione non avevamo mai visto il camino, lo specchio, quel tavolino, quell’abat-jour. Inoltre non avevamo mai visto i colori, realizzati grazie all’aiuto di Min Choi, Maëlle Doliveux, Keren Katz, definiti come “Team Here” perché hanno aiutato l’autore negli aspetti più tecnici del processo creativo, portando alla realizzazione di un affascinante ibrido tra matite, computer grafica, colori digitali e splendidi acquerelli. L’uso del colore cambia l’estetica della storia e anche se la tavolozza cromatica è molto ampia, a prevalere sono i temi tenui del giallo/marrone/ocra, che ricreano un mood simile a quello dei quadri di Edward Hopper. E spesso, vedendo quel salotto e le sue evoluzioni nel corso del Novecento, sembra di stare in un libro di qualche maestro del racconto americano come Richard Yates o Raymond Carver.
D’altronde Here è a suo modo un libro di racconti, in cui brevi storie si accumulano, si sviluppano e a volte si intrecciano. Ma è anche un susseguirsi di associazioni di idee, di temi che vengono trattati per qualche pagina per poi lasciare spazio ad altri, mentre le finestre si aprono e si incastrano tra loro e gli anni vanno avanti, indietro, avanti e ancora indietro. Dentro c’è la rappresentazione di panorami astratti dai colori vivacissimi nel 3.000.500.000 a.C., di animali preistorici nel 10.000 a.C., di splendidi e incontaminati scenari lacustri nell’8000 a.C. come nel 1203 e nel 1307, di due indigeni che fanno l’amore nel 1609, di Benjamin Franklin che discute di politica con il figlio nel 1775, di case che vengono costruite nel 1907, della vita secondo le forme ben conosciute del XX secolo (poi raccontata da una guida turistica nel 2213), del mondo dopo un non meglio identificato evento catastrofico nel 2313, di animali a noi sconosciuti che vagano nell’oscurità del 10175, di forme di vita nuove e colorate che appaiono nel 22175. Ci sono foto di famiglia fatte in anni diversi sullo stesso divano, madri che tengono in braccio i loro figli nel 1924 come nel 1945, nel 1949 e nel 1988, feste di carnevale, party, bambine che ballano. C’è una bellissima pagina ambientata nel 1949 in cui lo specchio sopra al camino cade e mentre una vignetta più grande ci mostra l’acqua che entra in casa dalla finestra in una notte del 2111, ci sono tantissime finestrelle che ci mostrano piatti e bicchieri che si rompono e insulti che volano letteralmente in aria, neanche fossimo in un trattato sociologico sull’evoluzione del linguaggio. E poi c’è la storia della stanza, con la carta da parati che viene sostituita nel 1949 per poi essere coperta dalla pittura nel 1960, lo specchio sopra al camino che lascia spazio a un quadro, poi sostituito da un altro specchio, quindi da un televisore da parete che diventerà obsoleto nel 2050 davanti alle nuove tecnologie da salotto. C’è anche il dramma in Here, dato che nelle prime pagine siamo nel 1989 e un uomo dopo aver ascoltato una barzelletta inizia a ridere, quindi a tossire e infine cade a terra, anche se per vedere la reazione dei familiari dovremo aspettare di arrivare quasi a metà volume, in una pagina ambientata sempre nel 1989 ma in cui c’è anche una donna che nel 1960 dice “Did you lose something?”, collegandosi alla morte dell’uomo e contemporaneamente dando il via a una sequenza di diverse pagine con personaggi che perdono oggetti personali oppure la testa, la vista, l’udito.
Capita raramente di trovare delle opere formalmente innovative che siano in grado al tempo stesso di parlare al cuore del lettore. Here è una di queste e l’effetto ottenuto da McGuire è ancora più straordinario se pensiamo che riesce a pungolare, a emozionare, a stupire senza fare uso di trame né di protagonisti, ma semplicemente raccontando la Storia e le storie, il grande e il piccolo, il grave e l’irrilevante, il serio e il faceto. La metafora più efficace di tutto ciò è nelle pagine iniziali, quando nel 1957, l’anno da cui partiva la versione originale di Here, una donna entra nella stanza e si chiede “Hmm… Now why did I come in here again?”. La domanda – autobiografica e metanarrativa – rimane in sospeso mentre leggiamo e la risposta arriva soltanto alla fine: la donna è entrata per prendere un libro. E – come cantavano i Pavement – tutto finisce qui.
Le prime pagine di “Frontier” #8 di Anna Deflorian

Ha esordito lo scorso fine settimana al Toronto Comic Arts Festival l’ottavo numero di Frontier, l’antologia monografica pubblicata dalla Youth In Decline di San Francisco, realizzato dalla nostra Anna Deflorian. Ryan Sands, patron della casa editrice, aveva conosciuto la Deflorian grazie al contributo dell’illustratrice trentina al nono numero dell’antologia baltica š!. Le tematiche di quel breve racconto e le inquietudini, le pulsioni, le emozioni nascoste delle protagoniste di Roghi, volume del 2013 targato Canicola Edizioni, tornano in queste pagine. Due donne, un uomo incontrato in palestra, un cellulare smarrito con qualche foto osé sono gli elementi di una narrazione scandita attraverso tavole finemente decorate e dalle geometrie inusuali. Di seguito le prime pagine di Faith in Strangers.
“Salz and Pfeffer” di Émilie Gleason, un’anteprima

Nata in Messico, Émilie Gleason ha vissuto tra Belgio e Francia e sbarca ora negli Stati Uniti con il suo primo libro per il mercato nord-americano, pubblicato dalla 2D Cloud di Minneapolis e presentato lo scorso fine settimana al Toronto Comic Arts Festival alla presenza dell’autrice. Un uomo baffuto, ordinato, rispettabile, Pfeffer sogna di fare il disegnatore per bambini ma una notte viene rapito dagli alieni, in realtà tre versioni oblunghe e cattive di Mickey Mouse. Salz and Pfeffer è un libro divertente, disegnato con uno stile a matita d’altri tempi e dotato di un forte senso della dinamicità. Il lavoro della Gleason rilegge in chiave cartoon quello di autori come C.F. e Gabriel Corbera e questo viaggio di 76 pagine violento, ironico, surreale merita la vostra attenzione, come d’altronde i lavori autoprodotti dall’autrice, disponibili nel suo negozio online. Di seguito le prime pagine del volume.
Il meglio del Web – 7/5/2015

Secondo appuntamento con questa rassegna di notizie, link e segnalazioni varie. Iniziamo dalle novità in casa Youth In Decline. La casa editrice di San Francisco ha da poco pubblicato il settimo numero della serie monografica Frontier, a firma Jillian Tamaki, autrice insieme alla cugina Mariko della pluripremiata graphic novel This One Summer, tradotta da Bao Publishing con il titolo E la chiamano estate. Ancora non ho potuto vederlo di persona, ma la recensione di Alex Hoffman su The Sequential State non fa che incuriosirmi ulteriormente. SexCoven, questo il titolo della storia, è ambientata all’inizio dell’epoca del file sharing e parla di un culto legato a un misterioso file mp3. Intanto sono disponibili le prime immagini dell’ottavo albo di Frontier, firmato dall’italiana Anna Deflorian. E sul blog della casa editrice di Ryan Sands vengono riproposte le interviste agli autori dei precedenti numeri della serie.
A proposito di novità editoriali, diventa sempre più ricca (ed è anche parziale, dato che mancano gran parte dei mini-comics) la lista dei fumetti che debutteranno al Toronto Comic Arts Festival del 9 e 10 maggio. Tra questi Worst Behaviour di Simon Hanselmann, una nuova avventura di circa 50 pagine di Megg, Mogg e Owl, in uscita per la Pigeon Press di Alvin Buenaventura, già editore di In the Garden of Evil di Burns e Killoffer. Intanto Fantagraphics annuncia per l’autunno il seguito del fortunato Megahex. Il nuovo volume si intitola Megg & Mogg in Amsterdam e raccoglie le storie pubblicate su Vice.com. Hanselmann ha parlato di recente dei suoi progetti futuri e del suo processo creativo in un’intervista al magazine Darling Sleeper.
Rimanendo in tema, arrivano finalmente sul canale You Tube della Small Press Expo i video dell’edizione 2014 del festival statunitense, tra cui potete trovare anche quello che riproduce il divertente incontro con Hanselmann, Michael DeForge e Patrick Kyle. Tra gli altri vi segnalo quello con Charles Burns, che parla della sua infanzia e legge alcuni passaggi da Sugar Skull, di prossima uscita per Rizzoli Lizard.
Il nuovo fumetto di Jordan Crane si intitola The Dark Nothing e sarà pubblicato in un’edizione limitata di 200 copie. La storia verrà poi ristampata, in una versione leggermente diversa, sul quinto e voluminoso numero di Uptight, in uscita per Fantagraphics. Per chi non conoscesse Crane, sul sito What Things Do potete leggere alcuni dei suoi fumetti.
Nel post su Daniel Clowes di qualche giorno fa, dicevo che la scritta “Patience” diffusa come prima immagine del suo nuovo fumetto, in uscita a marzo 2016, sembrava più un invito ai lettori che il titolo del libro. E invece il titolo di questa storia di 180 pagine che avrà come tema il viaggio nel tempo sarà proprio Patience, come ha anticipato lo stesso autore in questa intervista al New York Times. Ieri è arrivato anche l’annuncio ufficiale di Fantagraphics, che ha definito Patience “an indescribable psychedelic science-fiction love story”. Intanto l’autore continua a rilasciare interviste, tra cui vi segnalo quella realizzata da Ray Pride per il sito Newcity Lit, che si differenzia dalle altre dato che verte sul rapporto tra l’autore e la sua città di origine, Chicago.
Il sito internet Broken Frontier ha lanciato una campagna Kickstarter per la pubblicazione di una lussuosa antologia di 250 pagine a colori, in formato gigante e copertina rigida. Oltre 40 gli artisti coinvolti, dagli stili più disparati. Tra questi Noah Van Sciver, autore di una storia di 10 pagine su un clown con problemi di rabbia che diventa schiavo degli uomini talpa.
Lo stesso Van Sciver è uno degli autori chiamati da Vice a rileggere i Blobby Boys di Alex Schubert. Tra gli altri Ron Regé Jr., Antoine Cossé, Hellen Jo.
Un Tumblr assolutamente da vedere è quello di Samplerman, di cui potete ammirare un’immagine qui sotto. Per approfondire vi rimando all’intervista su It’s Nice That.
Con l’uscita di Avengers: Age of Ultron, fioccano articoli, immagini e quant’altro in qualche modo legati ai contenuti del film. Una delle proposte migliori è del sempre interessante blog Diversion of the Groovy Kind, che porta con orgoglio il sottotitolo “1970’s Comic Books Nostalgia”. Sembrerà fuori tono su un sito che si chiama Just Indie Comics, ma non posso fare a meno di consigliarvi questa sequenza di splash page con protagonisti Scarlet, Quicksilver e Visione a firma John e Sal Buscema, Don Heck, Barry Windsor-Smith, Rich Buckler, John Byrne e altri ancora.