Just Indie Comics al Treviso Comic Book Festival

L’ampia selezione di fumetti internazionali di Just Indie Comics arriva anche quest’anno al Treviso Comic Book Festival, una delle rassegne dedicate al fumetto più interessanti d’Italia e che per il 2017 ha allestito un programma ambizioso ricco di ospiti internazionali, a partire da Jesse Jacobs, protagonista della mostra Cosmogonia e autore della locandina. In occasione della mostra mercato del 23 e 24 settembre troverete al tavolo di Just Indie Comics non solo il materiale già disponibile nel webshop ma anche, in esclusiva per il TCBF e in anteprima italiana, tutte le nuove uscite dell’inglese Breakdown Press, che in concomitanza con il Safari Festival di Londra dello scorso agosto ha pubblicato una lista di fumetti impressionante per quantità e qualità.

Le novità più corpose sono senz’altro Good News Bible di Shaky Kane, volume extra-size che raccoglie tutti i lavori dell’artista britannico per la rivista Deadline, e Showtime, nuovo graphic novel di Antoine Cossé, di cui saranno disponibili anche la raccolta Palace 0 e la ristampa della storia breve Nwai.

“Good News Bible” di Shaky Kane

“Showtime” di Antoine Cossé

Altra importante novità è il lancio di una nuova rivista di fantascienza, Berserker, che debutta con un primo numero che propone un approccio tutt’altro che classico al genere con articoli, interviste, illustrazioni e ovviamente fumetti a firma Anya Davidson, Lando, Lane Milburn, Benjamin Marra, Jon Chandler. Da segnalare tra le altre cose un’intervista di Sammy Harkham all’artista Robert Beatty e un bell’approfondimento di Jamie Sutcliffe sulla space-opera Galactic Nightmare di Alan Jefferson.

Anya Davidson da “Berserker” #1

Conditioner è invece una raccolta di tre storie di Liam Cobb, che con Breakdown aveva già pubblicato The Fever Closing. Lo stile di Cobb è nel solco di una tendenza contemporanea che al rigore della composizione, quasi architettonico, unisce suggestioni irrazionali.

“Conditioner” di Liam Cobb

Altro titolo è il quarto numero di Windowpane di Joe Kessler, ideale seguito del precedente di cui non riprende però esplicitamente personaggi e trama – sempre astratti nei fumetti del britannico – per richiamarne invece scelte stilistiche e tematiche.

“Windowpane” #4 di Joe Kessler

E anche il Klaus di Richard Short, visto in Italia su Linus, prosegue la sua marcia con un terzo numero pieno di strisce e di guest star come il nostro Fabio Tonetto, Lando, Anna Haifisch e altri.

“Klaus” #3 di Richard Short

Oltre ai titoli di Breakdown troverete al tavolo di Just Indie Comics altre esclusive per il TCBF, come i numeri dal 3 al 6 del Crickets di Sammy Harkham con l’inizio e lo sviluppo della storyline Blood of the Virgin, una selezione di numeri arretrati del King-Cat di John Porcellino e altro ancora.

“Crickets” #6 di Sammy Harkham

“King-Cat” #70 di John Porcellino

E non mancheranno ovviamente i fumetti già disponibili sul sito, dalle ultime uscite Retrofit Comics (Iceland di Yuichi Yokoyama, How To Be Alive di Tara Booth, Steam Clean di Laura Ķeniņš, Combed Clap of Thunder di Zach Hazard Vaupen) all’ultima autoproduzione di Conor Stechschulte Tintering, dal volume The Complete Strange Growths 1991-1997 di Jenny Zervakis (ne ho parlato in questo post) ai comic-book di Noah Van Sciver Blammo #9 e My Hot Date.

“How To Be Alive” di Tara Booth

“Tintering” di Conor Stechschulte

Chiudo la lista segnalandovi infine i fumetti di Diego Lazzarin e Alessandro Galatola, i due autori protagonisti delle mostre del Just Indie Comics Fest lo scorso giugno. Di Diego Lazzarin ci sarà Aminoacid Boy and the Chaos Order, di Galatola l’albo Dio di me stesso coprodotto da Just Indie Comics e CO-CO.

“Aminoacid Boy and the Chaos Order” di Diego Lazzarin

“Dio di me stesso” di Alessandro Galatola

Se siete a Treviso venite almeno a dire CIAO, e nel frattempo date un’occhiata al pirotecnico programma di mostre, incontri e eventi sul sito ufficiale del festival.

10 fumetti dalla Small Press Expo 2017

(English text)

La Small Press Expo è il più importante festival statunitense dedicato al mondo del fumetto indipendente e alternativo, dove vengono assegnati anche gli Ignatz Awards agli autori più interessanti e ai libri più riusciti della stagione passata. La prossima edizione si terrà sabato 16 e domenica 17 settembre, sempre nella solita location di Bethesda, vicino Washington. In occasione della SPX gli editori concentrano le più importanti novità dell’anno, dando vita a un’impressionante lista di cosiddetti “debut books”, di cui potete trovare maggiori dettagli in questa lista. In questo post cerco di selezionare, dal mio personale punto di vista, i dieci libri più interessanti tra quelli annunciati, elencandoli in ordine alfabetico. Alcuni ho avuto già la possibilità di leggerli e quindi ne parlo – per quanto possibile – con cognizione di causa, altri invece sono lavori inediti su cui cerco di far valere le mie capacità di indovino. Prendete dunque questo “best of” come un gioco, come d’altra parte lo sono quasi tutte le liste. Buona lettura.

1. Anti-Gone di Connor Willumsen

Tra Sammy Harkham e Lando, per rimanere ai contemporanei, lo stile del canadese Connor Willumsen esplode in tavole di assoluta bellezza in Anti-Gone, visione di una realtà altra che riprende le atmosfere della serie Treasure Island proiettandole in un contesto metropolitano futuribile quanto decadente. Droghe sintetiche, post-consumismo, rivolte di strada e soprattutto un grande assente, cioè internet… Che si sia davvero rotto, infine? Letto in anteprima e solo in PDF per ora, Anti-Gone sintetizza le tensioni di tanto fumetto contemporaneo ed è già uno dei libri dell’anno.

2. Architecture of an Atom di Juliacks

Al Crack! del 2015 a Roma si era vista The Whole Shabang-Arch Atom, video-opera dell’artista multimediale statunitense Juliacks, classe 1986. Ora esce per 2d cloud l’imponente volume Architecture of an Atom, coronamento di un progetto pluriennale – tra proiezioni, performance, mostre in gallerie e musei d’arte contemporanea – che supera con facilità i confini del fumetto per giungere in un territorio sconosciuto quanto affascinante. Definito eccessivo, misterioso, crudo e sognante, Architecture of an Atom è una delle novità più attese di questo 2017.

3. Francine di Michiel Budel

Ho un debole per i fumettisti che fanno sempre le stessa cosa (come d’altronde per i gruppi che suonano sempre la stessa canzone) e Michiel Budel è uno di questi. Il suo webcomic Slechte Meisjes era già stato adattato in formato comic-book da Secret Acres nei due numeri di Wayward Girls e adesso dallo stesso editore arriva anche un nuovo volume di 80 densissime pagine, Francine. “Teens can be deceiving, and Francine is exceptionally so – recita la cartella stampa – She murders her bully, fakes her own death, steals her best friend’s mother and makes any situation uncomfortably sexual. She’s awful. Everyone loves her. You will, too”. Uno di quei fumetti-mondo in cui non è facile entrare ma da cui è ancor più difficile uscire.

4. Good News Bible di Shaky Kane

Preparatevi a riempirvi gli occhi, perché qui di cose da vedere ce ne sono davvero tante. Dopo il debutto in patria al Safari Festival sbarca negli Stati Uniti Good News Bible, la raccolta in grande ed elegante formato delle strisce e delle illustrazioni che il britannico Shaky Kane realizzava tra fine ’80 e inizio ’90 per la storica rivista Deadline. Per chi se lo ricorda un tuffo nel passato a cui non si può rinunciare, per gli altri un’occasione imperdibile per scoprire un artista che ha riletto in chiave punk la lezione di Jack Kirby.

5. I Am Not Okay With This di Charles Forsman

Charles Forsman torna allo stile da comic strip che lo ha consacrato con The End of the Fucking World, recentemente diventato una serie tv trasmessa nel Regno Unito da Channel 4, per raccontare un’altra storia di adolescenza disagiata. Ma stavolta la giovane Sydney ha anche dei poteri telecinetici… Che questo nuovo I Am Not Okay With This sia la sintesi perfetta tra il primo Forsman e l’autore citazionista visto all’opera di recente in Revenger e Slasher? Lo sapremo leggendo questo volume, raccolta di mini-comics creati dall’autore per i suoi sostenitori su Patreon.

6. N di Andrew White

Sperimentali, poetici, sempre alla ricerca della novità formale ma senza perdere di vista le emozioni, i fumetti di Andrew White guardano alle teorie di Frank Santoro e al filone dei comics-as-poetry. L’albo di 46 pagine a colori N, seguito ideale di M del 2015, è definito dallo stesso autore “a comic about storytelling, family, and coming home”, oltre che “three short stories drawn in different styles but actually one long story drawn in the same style”. E non è tutto, perché sempre al festival di Bethesda White darà sfogo anche alla sua attività parallela di critico con la pubblicazione di All There Is, un albetto di disegni, diagrammi e saggi a proposito di Ganges di Kevin Huizenga.

7. Night Business di Benjamin Marra

L’uscita ufficiale è prevista solo a dicembre, ma in occasione della SPX Fantagraphics renderà disponibili in anteprima alcune copie di Night Business di Benjamin Marra, hardcover di 250 pagine che raccoglie i primi quattro numeri autoprodotti dell’omonima serie, rimasta incompiuta dal 2011, e sei nuovi capitoli interamente inediti. Meno paradossale di Terror Assaulter, ma comunque esagerata e ironica, Night Business è un viaggio nella New York del 1983 tra serial killer mascherati, ballerine di night club, uomini d’affari viscidi e spietati, giustizieri senza paura ed eroine motocicliste.

8. Now #1

Il debutto di una nuova antologia fa sempre notizia di questi tempi, dato che il classico formato del magazine che assembla periodicamente contributi di diversi autori rappresenta ormai un suicidio commerciale. Ma la Fantagraphics per fortuna non si arrende alle leggi del mercato e concepisce Now, ancora a cura di Eric Reynolds, già editor della compianta Mome. Nel primo numero, che sarà presentato in esclusiva alla SPX, troviamo i contributi di artisti noti e meno noti, americani e internazionali, in un mix micidiale che include Eleanor Davis, Noah Van Sciver, Gabrielle Bell, Dash Shaw, Sammy Harkham, Malachi Ward, J.C. Menu, Conxita Herrerro, Tobias Schalken, Antoine Cossé, Tommi Parrish, Sara Corbett, Daria Tessler, Kaela Graham e Rebecca Morgan (autrice della cover). La speranza è che l’antologia mantenga le promesse di qualità e anche di periodicità, dato che si prefigge di uscire tre volte l’anno.

9. Old Ground di Noel Freibert

Altra casa editrice che ha un programma di tutto rispetto in occasione della SPX è la canadese Koyama Press. Al già citato Anti-Gone è inevitabile aggiungere almeno Everywhere Disappeared, raccolta di storie brevi di Patrick Kyle, e Language Barrier, che mette insieme una serie di zine di Hannah K. Lee. Ma se devo selezionare un altro libro da inserire in questa top ten la mia scelta va senz’altro su Old Ground, graphic novel di Noel Freibert, uno dei fondatori del collettivo Closed Caption Comics nonché editor del fondamentale magazine Weird. Alla prova sulla lunga distanza, Freibert mette in scena con il suo tratto liquido e inimitabile una slapstick comedy che è in realtà un sequel contemporaneo al più tragico dei romanzi gotici.

10. TRUMPTRUMP vol.1 di Warren Craghead III

Sulla pagina trumptrump.tumblr.com, Warren Craghead III condivide ogni giorno ritratti iconoclasti di Donald Trump, accompagnati da citazioni dei suoi discorsi o interviste. L’effetto è parodistico, straniante, spesso orrorifico. Alcuni di questi disegni sono stati raccolti in un voluminoso hardcover di 200 pagine che Retrofit Comics fa uscire per la SPX insieme a Tales from the Hyperverse di William Cardini, How To Be Alive di Tara Booth e Iceland di Yuichi Yokoyama.

10 debut books from SPX 2017

(Italian text)

The Small Press Expo is the major US festival dedicated to the world of independent and alternative comics, and the home of the Ignatz Awards, a prize that recognizes the most interesting authors and books of the past season. This year’s event will take place next 16th and 17th September in the usual location of Bethesda North Marriott Hotel, near Washington DC. During SPX publishers present an impressive number of “debut books”, showcased from the same SPX organization in this list. Here I’m trying to select – from my humble, personal and very far point of view – the ten most interesting books announced until now, listing them in alphabetical order. If I already had the opportunity to read some of them, some others are totally new and I can only imagine their content. So, take this “best of” as a sort of game, like a lot of “top ten” lists are.

1. Anti-Gone by Connor Willumsen

Between Sammy Harkham and Lando, to mention two contemporary cartoonists, the style of the Canadian Connor Willumsen explodes in all its majesty in Anti-Gone, a vision of a dystopian future that reshapes the atmosphere of the Treasure Island series projecting them into a futuristic as decadent metropolitan environment. Synthetic drugs, post-consumerism, street riots but no internet… Did it broke down, finally? I’ve read it only in PDF at the moment but Anti-Gone is already one of the books of the year for its capacity to synthesize tons of contemporary comics in one perfect story.

2. Architecture of an Atom by Juliacks

The publication of the massive hardcover book Architecture of an Atom by 2dcloud is the culmination of a long-running project by multi-disciplinary artist Juliacks, carried out with projections, performances, exhibitions in galleries and contemporary art museums. Defined as excessive, mysterious, poetic, crude and dreamy, the book overcomes the boundaries of the comics world to reach an unknown as fascinating territory.

3. Francine by Michiel Budel

I have a thing for cartoonists who do the same thing over and over again (as well as for bands who play always the same song) and Michiel Budel is one of them. His webcomic Slechte Meisjes was already translated in the comic book format by Secret Acres in two issues of Wayward Girls and now by the same publisher comes Francine, a new volume of 80 densely-penciled pages. “Teens can be deceiving, and Francine is exceptionally so – says the press kit – She murders her bully, fakes her own death, steals her best friend’s mother and makes any situation uncomfortably sexual”. One of those comics where it’s difficult to enter but, once you did it, it’s impossible to get out.

4. Good News Bible by Shaky Kane

Keep your eyes open, because there is a lot to see here. After the debut at the Safari Festival in London, the collection of strips and illustrations by British master Shaky Kane arrives in North America. Good News Bible showcases the work created for the ground-breaking Deadline magazine. When I saw Deadline in the early ’90s, Kane’s art was a portal in another world filled with dreams and expectations, and now it’s a pleasure to come back there. But if you aren’t familiar with this material, the large-sized format book published by Breakdown Press will offer an unmissable opportunity to appreciate an artist who interpreted with a punk feeling the Jack Kirby’s lesson.

5. I Am Not Okay With This by Charles Forsman

Charles Forsman returns to the comic strips style used in the critically acclaimed The End of the Fucking World, recently a tv show on the UK’s Channel 4, to tell another story of struggling teenagers. But this time the young Sydney has also telekinetic powers… Could I Am Not Okay With This be the perfect blend of the first Forsman and the one recently seen in Revenger and Slasher? We will find out reading this book, a collection of mini-comics created by the author for his Patreon supporters.

6. N by Andrew White

Experimental, poetic, steadily looking for new formal solutions but without losing sight of emotion, Andrew White’s comics look to Frank Santoro’s teachings and comics-as-poetry. N is a new 46-page color comic, the ideal follow-up to M from 2015, described by the same artist as “a comic about storytelling, family, and coming home” as well as “three short stories drawn in different styles but actually one long story drawn in the same style”. And that’s not all, because at the SPX White will also debut with All There Is, a mini-comic collecting drawings, diagrams and essays about Kevin Huizenga’s Ganges.

7. Night Business by Benjamin Marra

The official release is due only in December, but at SPX Fantagraphics will make available some preview copies of Benjamin Marra’s Night Business, a 250-page hardcover book that reprints the first four self-published issues of the same series, unfinished since 2011, and six new chapters. Less absurd than Terror Assaulter but still excessive and ironic, Night Business is an exciting trip to 1983’s New York City populated by knife-wielding killers, nightclub dancers, hideous businessmen, drugged heroes, and motorcycle heroines. So, what else do you need?

8. Now #1

The debut of a new anthology is good news today, since the classic format of the magazine collecting miscellaneous contributions from different artists is at least a commercial risk by now. But fortunately Fantagraphics doesn’t care about market laws and is starting a new ongoing series with Now, still curated by Eric Reynolds, formerly editor of the fondly remembered Mome. The first issue will include new works by well-known artists and promising new talents from around the globe, such as Eleanor Davis, Noah Van Sciver, Gabrielle Bell, Dash Shaw, Sammy Harkham, Malachi Ward, JC Menu, Conxita Herrerro, Tobias Schalken, Antoine Cossé, Tommi Parrish, Sara Corbett, Daria Tessler, Kaela Graham, and Rebecca Morgan. The hope is that the anthology will keep the promises of high quality and also of periodicity, as it is intended to be published three times a year.

9. Old Ground by Noel Freibert

Another publishing house with an impressive schedule for SPX is Koyama Press. To the aforementioned Anti-Gone I’ve to add at least Everywhere Disappeared, an anthology of short stories by Patrick Kyle, and Language Barrier, a collection of comics and zines by Hannah K. Lee. But if I have to select another book for this top ten, my choice goes to Old Ground by Noel Freibert, one of the founders of the Closed Caption Comics collective and editor of Weird magazine. Working on a graphic novel, Freibert staged with his liquid and inimitable line a slapstick comedy that is actually a contemporary sequel to the most tragic of gothic novels.

10. TRUMPTRUMP vol.1 by Warren Craghead III

On the trumptrump.tumblr.com page, Warren Craghead III shares every day Donald Trump’s iconoclastic portraits, accompanied by quotations from his speeches or interviews. The effect is parodic, strange, often horrific. Some of these drawings are now collected in a massive 200-page hardcover that Retrofit Comics is releasing for SPX along with other cool books as Tales from the Hyperverse by William Cardini, How To Be Alive by Tara Booth, and Yuichi Yokoyama’s Iceland.

The Complete Strange Growths 1991-1997

Tra la pubblicazione dei primi numeri di Eightball, il debutto dell’Hate di Peter Bagge, la nascita della Drawn and Quarterly con il lancio di serie regolari a firma di autori come Seth, Chester Brown e Joe Matt, il periodo a cavallo degli anni ’80 e ’90 ha segnato una notevole rivoluzione per il fumetto nord-americano, trasformando definitivamente il concetto di fumetto “underground” e “indipendente” come era concepito fino a quel momento. Innanzitutto le storie di questi cartoonist si proponevano con un linguaggio nuovo e meno autoreferenziale rispetto al passato a un pubblico più vasto, e in secondo luogo alcuni di questi autori uscivano dagli schemi abituali del fumetto “alternativo” come veicolo di contenuti esclusivamente anticonvenzionali, sarcastici, iconoclasti, provocatori. Se la qualità di quel materiale rimane uno dei vertici raggiunti dal fumetto nei suoi tanti anni di storia (almeno dal limitato punto di vista di uno che quella “roba” ha cominciato a leggerla in piena adolescenza, rimanendone irrimediabilmente colpito), è doveroso dire che gli autori citati in precedenza non erano gli unici a portare nuova linfa nel panorama del fumetto a stelle e strisce. Sotto, nel più profondo dei mondi della micro-editoria di cui in Italia poco si sapeva nell’epoca pre-internet – a meno di non incappare in una pubblicità o addirittura in una recensione su The Comics Journal – si muovevano una serie di autori misconosciuti che consapevoli della rivoluzione del do it yourself applicavano i principi produttivi del punk alle loro esigenze, dando vita alla cosiddetta “zine revolution”. Tra questi una delle prime fu Jenny Zervakis, chicagoana di origini greche che nel 1991 cominciò a autoprodursi la fanzine Strange Growths, “strana” come il titolo suggerisce per il modo in cui mette in pagina senza mediazioni racconti autobiografici, aneddoti raccolti sull’autobus, poesie scritte a macchina, ritratti degli abitanti del quartiere, dettagliate descrizioni di sogni, diari di viaggio, riflessioni, saggi in forma di fumetto, disegni di animali, piante, giardini. Il tutto rappresentato con uno stile che definire scarno è poco, dato che la bozza, l’approssimazione, la semplicità erano conseguenze dirette dell’urgenza espressiva, e la ricerca della perfezione formale o della bellezza semplicemente non interessava.

Dei primi 13 numeri di Strange Growths è uscita da poco una raccolta assemblata da John Porcellino e pubblicata dalla sua Spit and a Half, prima opera di un altro autore che esce per l’etichetta (e distribuzione) dell’autore di King-Cat Comics. La scelta non è casuale, perché la Zervakis è stata una fonte di ispirazione per Porcellino e per tutto il movimento dei comics as poetry. “I suoi fumetti sembravano come una trasmissione da un altro pianeta – scrive l’editore nella sua introduzione al volume – un mondo di ironica compostezza, suggestione poetica, raffinata capacità di osservazione, a volte caldi e altre freddi, oppure tutte e due le cose insieme. Forse non c’è bisogno di dirlo, ma per chi non conosce i fumetti che venivano pubblicati in quegli anni, non c’era niente di simile. Mentre la gran parte dei fumetti “alternativi” dell’epoca erano chiassosi e sarcastici, quelli di Jenny erano calorosi, emozionanti, sinceri e sorprendentemente complessi”. “Jenny Zervakis – aggiunge Rob Clough nell’intervista all’autrice che chiude la raccolta – è nata nel 1967 nel West Side di Chicago, e fa parte di una generazione di artisti che reagì alla prima ondata di cartoonist alternativi dell’inizio degli anni ’80, oltre che di una cultura legata al punk, alle fanzine e al do it yourself che è esplosa con la nascita del desktop publishing. Le sue attente riflessioni e la propensione a rappresentare l’immobilità sulla pagina furono tra i primi esempi di comics-as-poetry”.

Come accennato, nel volume troviamo tutto il ventaglio dell’offerta della Zervakis, che alla molteplicità degli argomenti e dei toni unisce varietà nella composizione della pagina e nella costruzione dei diversi pezzi. Le storie non sono mai banali né ripetitive, anzi esprimono voglia di sperimentare e curiosità nelle mille possibilità del medium. I testi ricchi di passaggi poetici e di consapevolezza letteraria fanno capire chiaramente che la Zervakis è più scrittrice che disegnatrice, ma sua è anche una notevole capacità di mettere in scena inquadrature e soluzioni stilistiche “sorprendentemente complesse”, come scriveva Porcellino nell’introduzione, oltreché di regalarci alcune tavole più dettagliate e intense delle altre, soprattutto quando la natura diventa la vera protagonista della rappresentazione. I risultati migliori sono raggiunti quando il particolare, apparentemente insignificante, diventa occasione di riflettere sull’universale, catturando la poesia e anche la complessità delle piccole cose con una scrittura lirica, pregnante, emozionante: Passing Time è il ritratto di una donna anziana intenta a lavorare a maglia (She sits knitting as if she is done living her life and instead pours herself out, stitch by stitch, into some future generation / She has grown her hair, plaited on her head, past any usefulness, past admiration of its beauty to the sheer oddity of persistence), in Silent Passenger una coppia torna a casa di notte mentre la donna (con tutta probabilità la Zervakis stessa) viene colta contemporaneamente da meraviglia e insicurezza (Coming home it was 2 AM beautiful / Someone’s singing / It’s only humans that make music for the sheer joy, the need of it, maybe so / I wish I could seduce you, all over again), Chuparrosa guarda al mondo animale per riflettere sulla vita umana (Sometimes I feel there is a world beyond our petty concerns / While I sit, consumed with my thoughts and worries, birds fly overhead through the rows of backyards). The Complete Strange Growths non è soltanto un pezzo di storia del fumetto autoprodotto statunitense ma anche una lettura appassionante, uno sguardo su un mondo intimo e personale capace di trascende la cronaca del quotidiano per emozionare ancora, a distanza di oltre vent’anni.

Misunderstanding Comics #9

Iniziamo questa nuova puntata dell’usuale ma aperiodica rubrica di segnalazioni varie con Steam Clean, un volumetto brossurato di 84 pagine a firma Laura Ķeniņš, cartoonist metà lettone e metà canadese di cui avevo già segnalato l’ottimo mini-kuš! #42 Alien Beings. Con questa nuova uscita, stavolta targata Retrofit Comics, la Ķeniņš conferma quanto di buono fatto vedere in precedenza, trasformando una situazione apparentemente ordinaria come una sauna tra donne in una meditazione sull’identità di genere, la sessualità, i rapporti interpersonali, il conflitto tra tradizione e modernità.

La rappresentazione tutta colori pastello dell’ambiente nordico e la regolarità quasi schematica delle vignette restituiscono un’atmosfera rilassata, in cui sembra di percepire con le nostre orecchie il silenzio di sottofondo. E neanche i dialoghi fitti rompono questa sensazione di pace, inalterata persino quando si esplicitano tensioni nascoste ed emerge un’aura di sovrannaturale mistero, con un’apparizione divina e spiriti dai contorni naif che aleggiano tra i fumi del vapore. La Ķeniņš propone ancora una volta un cartooning consapevole, rigoroso e maturo, capace come pochi di raccontare personaggi in una fase di transizione. E anche di farci sentire lassù, in quella sauna tra i boschi.

Se il volumetto della Ķeniņš sembra ricordare i film del norvegese Bent Hamer, il secondo numero dell’antologia-libro Mirror Mirror edita da 2d Cloud guarda a tutt’altro immaginario cinematografico, come la presenza di alcuni contributi a firma Clive Barker lascia intuire. Sotto la cura congiunta di Sean T. Collins e Julia Gfrorer, il volume mette in fila 230 pagine di fumetti e illustrazioni incentrate su un’idea di orrore legata al quotidiano, al corpo e infine alla pornografia. Eccellenti premesse dunque anche se l’antologia è appunto… un’antologia, con i suoi alti e i suoi bassi, e una buona metà dei lavori che risultano piuttosto ordinari, per niente disturbanti né trasgressivi come lascerebbe intendere il progetto, nel complesso troppo pretenzioso rispetto a quanto proposto. Nonostante ciò, di cose buone qui dentro ce ne sono eccome, per esempio il solito subdolo horror delle meschinità umane a firma Josh Simmons – particolarmente a suo agio con i campi lunghi, quasi a sottolineare anche graficamente l’abituale distanza emotiva – oppure Black Flame, un racconto in cui ritroviamo la Megg di Simon Hanselmann alle prese con il suo “lato oscuro” e che è l’occasione per vedere l’autore australiano confrontarsi al tempo stesso con testi altrui (Sean T. Collins) e con un bianco e nero massimalista fatto di pennellate ben più corpose del solito. Al Columbia (con i suoi Pim & Francie), Uno Moralez, Noel Freibert e Dame Darcy danno a loro volta un notevole contributo, pur attingendo ispirazione al loro rispettivo e usuale canone.

E veniamo a una nostra vecchia conoscenza, cioè Noah Van Sciver, che è tornato di recente al suo personaggio Fante Bukowski pubblicando per Fantagraphics il secondo capitolo delle sue avventure, séguito del debutto del 2015 tradotto in Italia da Coconino. Come lascia intendere lo pseudonimo che si è scelto, il protagonista è uno “scrittore” che vive nelle camere di hotel e usa ancora la matita o al massimo la macchina da scrivere, va con le prostitute e beve solo per darsi un tono. Fante non ha nessuna voglia di scrivere e soprattutto non ha talento: la sua missione è raggiungere lo status di artista, essere amato e invidiato dagli altri come lui invidia i “colleghi” che ce l’hanno fatta. Se la prima uscita originale ricalcava il formato romanzo tascabile, la seconda amplia i centimetri e sceglie una grafica retrò in odore di anni ’60, mutuata dall’edizione Black Sparrow Press di Factotum.

Ma soprattutto se nella prima parte si sorrideva, in questa si ride di gusto, e a me è sembrato di non divertirmi così tanto dai tempi dell’Hate di Peter Bagge, pietra miliare dei comics anni ’90 uscita sempre per Fantagraphics. Vi anticipo solo qualche gag iniziale per non rovinarvi troppo la lettura, come quella in cui Fante rompe una matita in due perché è “troppo gialla” e non riesce a concentrarsi sulla scrittura. E il capitolo in cui decide di pubblicarsi una fanzine di poesia (“Sì, sarò l’editor! Sarò il boss! Accetterò tutte le mie proposte!”) è esilarante. Il trasferimento del protagonista da Denver a Columbus sembra anche autobiografico, ma poi a un certo punto ecco spuntare l’autore in carne e ossa, vittima di una divertentissima auto-parodia, nonché rivale in amore di Fante. Sullo sfondo, e neanche troppo, si muovono riflessioni sulla scrittura, il successo, l’ambizione e la vanità che non lasciano affatto il tempo che trovano, rendendo questo Fante Bukowski Two una delle migliori prove a firma Van Sciver.

Quando viveva a Denver, Van Sciver lavorava da Kilgore Books, negozio di libri e fumetti che è anche una small press dedita alla stampa di mini-comics e non solo. Prodotto di punta è il Kilgore Quarterly, antologia tutt’altro che quadrimestrale uscita di recente con un settimo numero molto più ricco del solito, nascosto dietro a una bella copertina di Jason (rilettura di Le Mal du Pays di Magritte) e come sempre a cura del padrone di casa Dan Stafford.

Il volumetto, che propone in parte storie già pubblicate altrove o di prossima pubblicazione, si apre con Dappled Light di Summer Pierre, una storia di 5 pagine leggera e al tempo stesso malinconica, ritratto autobiografico di una bambina che grazie al fumetto può finalmente rifugiarsi, in senso letterale, nel mondo dei vecchi telefilm. Si prosegue con la solita intervista scritta a mano (vezzo di Stafford da sempre, come testimonia la raccolta I Hope This Finds You Well con interviste a Crumb, Tomine, Bagge ma anche a Ian MacKaye, Doug Martsch, Dan Fante e altri) al cover artist Jason e si raggiunge l’apice con Steve McQueen Has Vanished, storia “vera” della sparizione dell’attore raccontata con il solito dettagliatissimo stile da Tim Lane, anticipazione del prossimo lavoro dell’autore di Happy Hour in America e The Lonesome Go. Dopo una inaspettata quanto sintetica chiacchierata con Grace Slick, si passa a un più canonico ma validissimo pezzo underground di Joseph Remnant, tra sfighe quotidiane e ricerca dell’amor perduto, dunque ecco Sam Spina con quattro divertentissime pagine metanarrative che vedono il suo alter-ego pesce alle prese con app e sesso occasionale, e infine la riproposizione di un fumetto di Leslie Stein, The Desk, già uscito in formato mini per Oily Comics e forse il contributo meno significativo del lotto. La terza di copertina è dedicata a qualche nota autobiografica nel solco della più piacevole tradizione del self-publishing a stelle e strisce, a ricordarci che di antologie così curate e con un feeling do it yourself ne vorremmo ancora e ancora.

PopOok! Un’intervista con Hamo Bahnam

PopOok! è una fanzine di Los Angeles nata nel 2012 dalla mente di Hamo Bahnam, che ne è l’editore e il curatore, oltreché uno degli artisti presenti nei quattro numeri usciti fino a oggi. Quando Hamo mi ha contattato per mostrarmi il suo progetto, io non ne sapevo assolutamente nulla, e penso che lo stesso valga ancora oggi per tante persone che seguono con assiduità il mondo dell’autoproduzione e del fumetto underground statunitense. In una scena dove ogni artista conosce i suoi colleghi e tutto passa sotto la lente di ingrandimento dei social network, Pop Ook! è una delle poche eccezioni rimaste, una zine fatta per “il puro piacere di”, senza sentire il bisogno di promuoverla con l’aggressività e la ripetitività che tutti noi conosciamo e spesso utilizziamo. Dentro i quattro numeri usciti fino a oggi di PopOok! troviamo contenuti che non si preoccupano affatto di piacere al pubblico e spesso anche molto diversi tra loro: ci sono fumetti che guardano direttamente alla rivoluzione underground come quelli dello stesso Bahnam, gli strani cartoon di Rusty Jordan (avevo parlato del suo Alamo Value Plus sul vecchio blog), gli incubi di Marcel Dejure e i “wet dreams” di Yara Zair. E poi collage, illustrazioni, inserti su carta colorata, bellissime copertine stampate a mano e un cd di musica ambient-noise-sperimentale-rock che accompagna ogni uscita. I fumetti e le illustrazioni non sono tutti allo stesso livello, ci sono alcune pagine che sembrano soltanto abbozzate, di artisti immaturi e con uno stile ancora indefinito, ma sfogliando i diversi numeri di PopOok! c’è la sensazione di toccare con mano un amore autentico e sincero per i fumetti, l’illustrazione, la carta stampata, la musica. Ho parlato di PopOok! con Hamo Bahnam in un’intervista condotta via mail negli ultimi mesi e che è disponibile in inglese cliccando qui.

PopOok! An interview with Hamo Bahnam

PopOok! is a Los Angeles-based zine self-published by Hamo Bahnam since 2012 and now arrived at its fourth and recent issue. When Hamo introduced me to his project, I wasn’t aware of it and I think a lot of other people really into self-publishing, zines etc. still don’t know about Pop Ook!. In fact, in a world where you can find almost everything on the social networks and in a scene where every cartoonist knows his peers, PopOok! is an exception, the kind of publication that can’t live anywhere else but on paper and whose creators don’t aggressively promote it, because they simply want to do it, without caring too much about the audience’s acceptance. Inside the issues of PopOok! there are very different contents: comics looking directly to the underground revolution like the ones created by Bahnam, the strange cartoons of Rusty Jordan already known for Alamo Value Plus published by Revival House Press (I talked about it on the old website), the nightmares of Marcel Dejure and the “wet dreams” of Yara Zair. And then collages, illustrations, inserts on colored paper, plus a cd of ambient-noise-experimental rock music coming with every issue. All this comes wrapped up in hand printed covers. Not every page is completely accomplished but there is a feeling here of something going on, a love for the subject matter that isn’t related to self-realization but only to real love for comics, music and illustration. I’ve talked about PopOok! with its master Hamo Bahnam in an interview conducted via e-mail in the latest months.

The first issue of PopOok! was published in Spring 2012 but you made comics long before. Can you tell me when you started to create comics, where you published them and how the idea of starting PopOok! was born?

Comics have always been a big part of who I am as an artist. Not really as a fan knowing the hippest books and artists but as an aesthetic, a way of working. I’m more interested in music as a fan than I am in any kind of art. But my wanting to be an artist comes from buying my first copy of Mad magazine when I was 10 years old. I put out my first comic in 1994. I called it Grow Up! (comix and funnies). That first comic was a precursor to what I’m doing with PopOok!. The idea that I could publish my own comics and zines came out of the punk/hardcore culture I grew up around. Comics and degenerate music have a long history together. From 50’s horror comics and juvenile delinquents listening to rock’n’roll to the 60’s underground comix and psychedelic music to punk (Punk magazine’s John Holmstrom and Gary Panter) to 90’s garage and even noise music has artists and cartoonists involved. Low forms of culture breads other low forms. In the early 90’s met two artists, Amos and Marcel Dejure, who were publishing books under the No (Know) information Network. They published me first in their HO! Comix. They hooked me up with other artists and that’s where the idea of Grow Up! came from. I stopped making comics for a while and concentrated on painting and printmaking, however, comics were usually a theme in the format I was working in. Around 2005 I started making comics again for a leftist newspaper in Knoxville TN. The comic came out twice a month. It was called Juicy Pork Head. About a corrupt industrialist named Harry Bowels, who hypnotized children into killing their parents, then turned the dead parents into ice cream. That scenario would fit into todays’ political climate quite well actually.

I started PopOok! in 2010 when I moved back to Los Angeles after being gone for 12 years. I needed an artistic direction and a focus after separating from my ex-wife. I met Meredith Wallace who was a co-worker with me at a local library. We began talking and it turned out she had a small zine distribution company. She eventually became instrumental in starting the L.A. Zine fest and I just figured this would be a great moment to start making comix again. I invited some old friends to contribute and met some new folks and Bingo! PopOok! was born. I took what I learned from years of printmaking, comix reading and my love for music and now I’m working on a fourth and fifth issue.

“PopOok!” #1 and #2

The zine is “a lack of Product production”, while the music cds coming with every issue are credited to Plastic Factory Records. Are only you behind these labels or there is someone else?

Yes, it’s just me behind those labels. Artist and musicians send me their work and I put it all together. I create comics and music too then I assemble the whole thing, I hand print the covers then cut, staple or glue. I’m the owner/publisher/editor/labor and janitorial staff. But I couldn’t do it without all the talented people who contribute to it. I make enough money from sales to cover my costs and the contributors get no salary. They do it for free and I guess they trust me to make a product they can stand behind. I love them all for believing in this project.

And so, how you select these artists? Are they people you know in the “real life” or you contact them on the internet? Because, seeing it from the outside, PopOok! seems the expression of a scene and it could seem a zine of another time, when social networks still didn’t exist. I don’t see in it “famous internet people”…

Most of the people involved are friends and acquaintances that I’ve known for some time. Some of these friendships go back 20-30 years. Others I’ve just recently met because of my doing PopOok! Or friends at work who are creative types. Some people I meet at zinefests and music spaces where I see/hear their work or they see mine. And also others are people I’ve never met that I have admired their work from seeing/hearing it on the internet. As far as a “scene” goes most of the artists/musician have never met each other! Some do know and are aware of each others work but it’s mostly a scene comprised of many cities and countries and PopOok! provides the glue that binds them together.

What are your inspirations both as an editor and as a cartoonist? Ok, you were influenced by Mad magazine but I guess you also love the underground comics from the 60’s or the 70’s, because most of the works in PopOok! can rememeber Zap Comix and sometimes they have a psychedelic style or a punk feeling. On the whole your zines seem a sort of “old school” work, as if the people who created them love the classics while they aren’t really interested in the latest tendencies of cartooning. And this is pretty strange in a world where everything looks like something else…

Yes, Punk and Underground Comix culture are two big influences on me. As a cartoonist my influences are many and they are one’s that I’ve held on to for a long time. Robert Crumb is godhead to me. He’s just an incredible talent and genius that changed me forever. Of course with Crumb comes the Zap artists: Clay Wilson is fantastic as well as Gilbert Shelton. The Harvey Kurtzman years at Mad, especially the cartoonists Will Elder and Jack Davis. Later Mad artist Don Martin was a childhood favorite only replaced when Crumb walked into my life. George Herriman and the absurdity of Krazy Kat. I love absurdity in everything! And also the raw energy of Savage Pencil and Gary Panter are always present for me.

Hamo Bahnam

As an editor my two influences would be Robert Crumb and Art Spiegelman. Crumb’s embrace of punk cartoonists and punk culture when he published Weirdo plays a huge part on me with PopOok! And Art Spiegelman’s RAW magazine is great too. The multifaceted aspects of Spiegelman’s work is top notch. As an editor my influences do come through in the contents of the comic and music cd. I think the old school aesthetic comes from my age and what I grew up on. I’m old enough to have been alive for those things to be new. Those artists are my teachers.

Another feature of the zine is that every issue is very “physical”, the packaging is really accurate and there are a lot of inserts, you use different paper colors, the covers are mostly printed using linoleum blocks and hand stenciling, and one is silkscreened (#3). These are books you absolutely can’t read as a PDF…

Right. And that goes back to Spieglman’s Raw. I have a copy of #7 where he tore a piece of the cover off and taped it to the inside. And the original chapters of Maus where printed and stapled inside the bigger comic as a mini book. So that playing with the medium, how he deconstructed/tore-apart comics is fascinating to me. I’m also a printmaker and make assemblage paintings so the physical object is very important to me. The human artifact speaks to me and the need to touch things to have an actual experience with art is what I’m going after. I’m strictly a 20th Century boy. PDF comics are bullshit.

Would you like to present to the readers of Just Indie Comics some of the cartoonists you’re working with for PopOok!?

Sure. All the artists are worth mentioning and there are so many but we can talk about some of them.

Alex Chiu and Rusty Jordan are two artists I met while they lived here in Los Angeles. They both moved up to the state of Oregon a while back. Alex is a prolific artist who creates complex, fanatical drawings in a crazed, almost a free associative, doodle style. He not only paints, teaches, does comics, runs a small publication press called Eyeball Burp but also is creating illustrations for children’s books all while having a YouTube cooking show with his daughter!

Alex Chiu

Rusty is a cartoonist whose work features characters who remind me of the people that occupy the world of writer Bohumil Hrabal. With absurdist, lonely yet loveable “everyman” losers in a very American setting. Rusty is a sign painter by trade but also publishes comics. I first saw his work in a collaborative comic named Moulger Bag Digest. He also puts out Alamo Value Plus and created the anthology series Shitbeams on the Loose.

Rusty Jordan

Marcel Dejure and Amos. Marcel’s comics are claustrophobic punk rock acid trips. Roller skaters, burnouts, porno queens, meth-heads, drugged out animals and other Los Angeles dissidents make up his transgressive world. Marcel rarely makes comics anymore but when he does they’re for Popook! He spends countless hours working on a fashion line of clothing that combines the erotic with cartooning. He’s also the creator of the live puppet performance group Cinnamon Roll Gang.

Amos’ work mixes dystopian landscapes with bebop jazz and drugs. He loves his cats who once in a while make it into his comics. I’ve been a great admirer of his work for many, many years. He’s a printmaker as well and has worked for the legendary print collective Self-Help Graphics in East Los Angeles.

David James-Dimitrov is a Canadian cartoonist and painter. I met him online and he sent me copies of his incredible no text comic A Sunburned Heart in the Skin Celled Desert. His work is incredibly detailed and lovingly rendered. Science fiction dream stories… Mixing a weird combo of Twilight Zone and Alejandro Jodorowsky.

David James-Dimitrov

And what about the musicians?

Bryan Davis makes music as Bleeding Gorgon. I first met Mr. Davis in Knoxville, Tennessee when he was video taping my band for his public access show Kill Your Television. An artist and filmmaker, I never knew he made music until he submitted some prerecorded, phone called, industrial noises to the first PopOok! His more rockin’ tunes are a combination of the bands Chrome and the Humpers. He writes songs of loss, rejection, abandonment and loves horror movies and punk.

In the years 2005-2011 Grant Capes co-ran the alternative art/music space Echo Curio in Los Angeles.  The Echo is where the seeds of PopOok! germinated as I met artists and musicians that would fill the pages and sounds of the comic/cd. His current project is Borne on a Train, a podcast series where he showcases live performances from some of Los Angeles’ premier experimental musicians. He has contributed to the first four issues of PopOok!, mostly under the Sleepwalkers Local moniker. Sleepwalkers Local is an improv situation involving Grant and whatever instruments are about. The set of songs included in the new issue of PopOok! comes from an old piano and a newly acquired harmonium and chord organ all processed for your enjoyment.

I’ve been waiting a long time now for Charlie Finch (Professor Husband) to release the vinyl debut of his The Diamond Trip multimedia project. A bit ambient, a bit spacerock, some motoric and krautrock via the American South whatever it is it’ll be monumental! Charlie is a musician and graphic designer living in Knoxville, Tennessee. The Diamond Trip consists of the Electric Jeanni and Professor Husband, who play music and visuals. They say some influences include birds, grains, grass, ghosts and mirrors…

The Diamond Trip

Another Knoxvillian, Jason Bowman, is the first person I ever knew who made music with a sliver mac. A musician, filmmaker and artist, he is amassing a warehouse of “library” music: incidental soundtracks for all your living pleasure. I’m always looking forward to hearing what he creates.

Mark Cannariato is an artist and sound maker from Brooklyn, NY. I first encountered him in the swamp hell that is Tampa Florida. All black rubber and wood assemblage. Imagine yourself in the last trek of Disneyland’s train ride through the primordial landscape. Giant mosquitoes buzz passed your head in the sweltering heat and the natives are restless… all set to a crazed beat created by the roar of the train.

I’ve yet to meet Maria or Dylan, a duo known as The Vaginals. I’ve yet to see them play live. They live about 3 hours away from me in the city of San Diego. I’m afraid that if they met me they would want to beat me up. They might be street tuffs with switchblades. Their music is categorized as danceable confrontation. I love it!

The Vaginals

I haven’t seen it yet but I know you recently published a fourth issue… What can we expect from it?

More of the same quality artwork. Lots of new people are joining the troupe. I’m reaching out to woman. I think they are under appriacted in comics. Also woman musicians are playing a bigger part in the next few issues. The ugliness and hate of the current world political climate is also effecting my work. I’m hoping to voice some truth against these hateful bastards. Hopefully some of the other artists will voice their opinions as well.

To buy PopOok or for any info, you can visit the Facebook page or contact Hamo Bahnam through his Instagram account.

“PopOok!” #4

“PopOok!” #4 interior pages

JICBC PT. 3 – “Our Mother” di Luke Howard

Dopo Blammo #9 di Noah Van Sciver e Get Out Your Hankies di Gabrielle Bell, è Our Mother di Luke Howard il terzo fumetto “uguale per tutti” del Just Indie Comics Buyers Club, il servizio di sottoscrizione entrato nel vivo della sua seconda edizione. Per chi ancora non sapesse di cosa sto parlando, il Buyers Club è un abbonamento annuale che permette a chi ha aderito entro lo scorso 10 gennaio di ricevere 4 oppure 8 fumetti all’anno in quattro spedizioni a cadenza trimestrale. L’idea è quella di rendere disponibili al pubblico italiano comic book, antologie e mini-comic autoprodotti difficilmente reperibili in Europa, dato che escono fuori dalle logiche distributive e commerciali del fumetto di massa, ormai standardizzate nel formato graphic novel. Se per le spedizioni di gennaio e aprile ho scelto due autori sicuramente noti a chi ha seguito le evoluzioni del fumetto indipendente e d’autore statunitense degli ultimi anni, con la terza mandata ho fatto una scelta di nicchia, dato che Luke Howard è autore meno conosciuto al grande pubblico. Diplomato al Center for Cartoon Studies di White River Junction nel Vermont, Howard ha iniziato ad autoprodurre i suoi fumetti e a collaborare a riviste e antologie sin dagli anni passati nella scuola di James Sturm. Seppur stilisticamente altalenanti, queste prove avevano già diversi spunti interessanti, basti pensare a Junior, Dance Yourself to Death (per Irene #3, che avevo recensito qui) e Trevor, pubblicato nel secondo numero dell’antologia in scatola Dog City e nominato agli Ignatz Awards. Howard, diventato nel frattempo insegnante del CCS, si è così fatto notare agli occhi degli editori di settore ed è riuscito a pubblicare lo scorso anno due fumetti di maggiore ambizione e portata, ossia Talk Dirty to Me, graphic novel uscita per AdHouse Books, e appunto Our Mother, dato alle stampe da Retrofit Comics proprio sul finire del 2016. Se la prima prova sulla lunga distanza ha pregi e difetti e non convince ancora appieno, con Our Mother Howard ha mostrato tutt’altro passo, raccontando con una struttura frammentata e sghemba una serie di storie legate alla figura della madre, vittima di disturbi d’ansia e attacchi di panico, senza mai finire nell’autobiografico e cercando anzi la strada della metafora, dell’ellissi, del fantastico. Su Our Mother mi ero già brevemente soffermato in questa puntata di Misunderstanding Comics. Qui sotto trovate invece le prime 4 pagine del fumetto, che a giorni gli abbonati potranno leggere nella sua completezza e che vi mostro grazie alla collaborazione dell’editore. Buona lettura.

Cos’è successo al Just Indie Comics Fest

Alcuni di voi avranno già visto le foto sui social o meglio ancora avranno partecipato all’evento, ma mi sembra comunque doveroso pubblicare su queste pagine un sintetico reportage dal festival nato come diretta emanazione di questo sito e che ho organizzato insieme a Serena Schinaia e Donato Loforese dello studio di progettazione grafica Co-Co e con la collaborazione di Serena Dovì. Proprio la sede di Co-Co al Pigneto a Roma è stato il luogo in cui si è svolto il Just Indie Comics Fest dal 2 al 4 giugno scorsi. Per la genesi del progetto vi rimando alla presentazione che ho pubblicato tempo fa, mentre qui mi limito a farvi la cronaca di quanto successo. E prima di iniziare colgo l’occasione per ringraziare tutti coloro che hanno collaborato e che ci sono venuti a trovare.

Venerdì 2 giugno

Il programma del primo giorno era incentrato sull’inaugurazione delle personali di Diego Lazzarin e Alessandro Galatola, entrambi ospiti del festival in carne e ossa. In breve, le mostre. Quella di Lazzarin, autore del volume Aminoacid Boy and the Chaos Order autoprodotto nel 2015 con una campagna di crowdfunding, si incentrava su alcuni originali tratti dal libro e su stampe appositamente realizzate per l’occasione, anticipazioni del prossimo lavoro Protector of the Kennel, tuttora in lavorazione. In più trovavano spazio quattro sculture in argilla che raffiguravano i personaggi dei lavori di Lazzarin, mostri, alieni ed esseri deformi che in realtà nascondono la visione del mondo del loro demiurgo e persino autobiografia.

La mostra di Diego Lazzarin

Nelle pareti dedicate a Galatola spiccavano invece le tavole originali tratte dall’albo Dio di me stesso, coprodotto da Just Indie Comics e Co-Co in occasione del festival, con il loro bianco e nero netto e dettagliato. In più una selezione di stampe a colori, che davano conto delle recenti sperimentazioni del nostro con brevi narrazioni di quattro vignette. E in un paio di casi era possibile vedere gli originali in bianco e nero di tavole poi trattate con la colorazione digitale.

Gli originali di Alessandro Galatola

Il pubblico, che non è mancato nonostante il giorno festivo, si è potuto godere anche il dj set di “musica sbagliata” a firma MICA e MICS, che alternava Thurston Moore al trio Morandi-Tozzi-Ruggeri, i Blonde Redhead a Partiti adesso di Giusy Ferreri.

Sabato 3 giugno

Sabato è stata sicuramente la giornata migliore per affluenza di pubblico, tra l’altro curioso e preparato. Le mostre e il bookshop di Just Indie Comics sono rimasti aperti dalle 16 fino a tarda sera, mentre nel corso del pomeriggio si è tenuta una presentazione condotta da me e Alessio Trabacchini su alcuni fumetti statunitensi che ben rappresentano i temi di Just Indie Comics. Si è passati quindi da Puke Force di Brian Chippendale ai fumetti di Conor Stechschulte finendo con le pubblicazioni della Domino Books di Austin English.

Alessio Trabacchini su Puke Force: “E’ un libro che ti sorprende continuamente, perché riesce ad essere super-profondo e super-scemo nello stesso momento, alternando per esempio un lunghissimo flashback sulla formazione di un terrorista della destra fondamentalista americana alla descrizione dettagliata di una partita a solitario. Con la costruzione bustrofedica della pagina e i suoi salti avanti e indietro nel tempo, Puke Force è leggibile all’infinito, come tutti i fumetti belli d’altronde”.

Alessio Trabacchini parla di “Puke Force”

Subito dopo ho fatto un po’ di domande a Diego Lazzarin e Alessandro Galatola sul loro lavoro e sulle opere in mostra al festival. Ho già pubblicato la trascrizione di questa intervista informale in un altro post, quindi non mi dilungo ulteriormente.

Da sinistra Galatola, Lazzarin, Di Fazio, Trabacchini

Di seguito vino, birra, chiacchiere varie, un po’ di acquisti dei fumetti di cui si era appena parlato e che erano tutti disponibili per l’occasione, e soprattutto il live di Marco Bonini in arte uBiK con la sua chitarra e i suoi effetti, le sperimentazioni noise che finiscono per formare avvolgenti melodie.

uBiK

Domenica 4 giugno

E’ un’assolata domenica di giugno ma gli avventori sono sempre attenti e interessati. Chi non aveva visto le mostre ne ha approfittato, altri ancora sono venuti per assistere all’ultimo incontro della serie, con Serena Schinaia che giocava in casa per parlare della sua nuova storia breve Souvenir e i ragazzi di Studio Pilar per la prima presentazione “ufficiale” della loro ultima fatica, l’Atlante illustrato delle nuove Costellazioni, al debutto soltanto una settimana prima all’Arf!.

Da sinistra Schinaia, Tomai, Castagnaro, Chronopoulos, Di Fazio

Con Serena si è parlato di storie mentali, sintesi narrativa, comics as poetry, storytelling fotografico e Frank Miller, e se un giorno leggerete Souvenir (presto disponibile on line nel webshop) capirete perché.

Serena Schinaia sul suo metodo di lavoro: “Preferisco raccontare storie che non si compiono o che probabilmente non sono neanche storie. L’utilizzo di un testo sintetico crea ritmo all’interno della pagina e dà vita a un’energia silenziosa. Quando inizio ho un testo leggermente più lungo ma poi tendo ad eliminarlo passo dopo passo, perché mi piace arrivare al nocciolo delle cose. Le mie storie non hanno un personaggio definito, il protagonista non ha un nome, non ha un volto, è un universale e quindi una voce così sintetica è più adatta a un racconto universale che a uno particolare“.

Con Giulia Tomai, Andrea Chronopoulos e Giulio Castagnaro (mancava Andrea Mongia, in trasferta all’Inchiostro Festival di Alessandria) siamo invece entrati nei dettagli del nuovo progetto di Studio Pilar, che ha visto 62 illustratori internazionali confrontarsi con la creazione di una nuova immaginaria costellazione realizzando poi un disegno ispirato alle sue forme. Ne è venuto fuori un libro affascinante, molto vario nei contenuti ma fortemente coeso nel suo insieme, grazie soprattutto alla decisione di utilizzare il bianco e nero.

Dopo l’incontro ancora qualche ora per tenere aperte le mostre, poi serrande abbassate e arrivederci – magari, chissà – al 2018.

Quattro chiacchiere con Lazzarin e Galatola

Sabato 3 giugno durante il Just Indie Comics Fest ho fatto qualche domanda a Diego Lazzarin e Alessandro Galatola a proposito delle mostre allestite in quell’occasione e del loro lavoro, soffermandomi in modo particolare su Aminoacid Boy and the Chaos Order e Dio di me stesso. Ne è venuta fuori una chiacchierata che mi è sembrata interessante e che ho dunque trascritto ed editato con la collaborazione dello stesso Galatola. Non vi dico di più perché probabilmente, se seguite questo sito, già sapete di cosa si sta parlando. Per ulteriori dettagli vi rimando a un prossimo reportage dal festival. Buona lettura.

Gabriele Di Fazio: Allora, partiamo da te Diego per ordine di età, dato che sei sicuramente più anziano di lui.

Diego Lazzarin: Sì, sono il papà…

GDF: Beh, non fino a questo punto… Diego è autore di Aminoacid Boy and the Chaos Order, un libro di cui in Italia non si è parlato tanto quanto avrebbe meritato, forse perché nel nostro mondo del fumetto cosiddetto “indipendente” ci sono tante persone, tanti collettivi che si conoscono tra loro e che ricevono più attenzioni perché sono nella “scena”, mentre Diego è un outsider che non conosce nessuno e non legge neanche tanti fumetti, quasi per niente anzi…

DL: No, qualcosa… Chippendale!

GDF: Ok, allora mi correggo… Dunque, Diego si è autoprodotto dal nulla questo libro ormai nel 2015 e ha fatto una campagna di crowdfunding su Indiegogo. Si era proposto di arrivare a 6500 euro e ne ha raccolti 9000, il libro è stato pubblicato direttamente in inglese e questo gli ha permesso di andare benissimo anche all’estero, dove è riuscito a vendere anche parecchie tavole originali. Al di là del risultato commerciale per me la cosa stupefacente, soprattutto perché questo è il tuo primo fumetto, è la capacità con cui ti sei confrontato sul formato lungo, perché Aminoacid Boy è una sorta di graphic novel se vogliamo chiamarlo così, ed è riuscito perché rispetta i tempi narrativi, c’è una storia, c’è un’inizio e una fine. Volevo capire come hai lavorato per realizzare questo libro, perché vedendo gli originali che sono in mostra qui in occasione del festival la cosa che salta agli occhi è che non ci sono le pagine finite ma soltanto immagini singole, tutte di formato diverso, che poi ritroviamo all’interno della narrazione. Sei partito dalla pittura, dall’aspetto visivo, o comunque avevi già in testa la storia?

DL: In realtà quando ho iniziato a lavorare al libro avevo in mente la storia da un sacco di tempo, da veramente tanti anni, ma io venivo dall’animazione, quindi ero abituato a un processo completamente diverso e in questo caso mi sono dovuto confrontare con il linguaggio della narrazione. Per me lavorare sulle illustrazioni è stata proprio una scuola. Le illustrazioni sono singole perché non ero in grado di fare una pagina intera, e soprattutto durante la lavorazione del primo capitolo le ho fatte e rifatte decine di volte. Soltanto dopo almeno tre capitoli ho cominciato a ragionare sul formato pagina e quindi sulla composizione. Successivamente mi sono stancato della composizione della pagina e anche un po’ della storia, della narrazione, così ho cambiato nuovamente metodo e ho voluto divertirmi con delle pagine piene di sola illustrazione.

GDF: Infatti il penultimo capitolo è composto interamente da splash page o addirittura da pagine doppie che però non sono fini a se stesse, dato che rappresentano anche quello che sta succedendo nella storia.

DL: Il cambiamento avviene in parallelo all’evolversi della storia, perché succedono delle cose caotiche non più legate al personaggio, ma all’ambientazione.

GDF: A questo punto mi sembra inevitabile riassumere qual è la trama del libro per chi non la conosce.

DL: Vai, provaci!

GDF: Allora, c’è questo mondo alieno o comunque una realtà diversa dalla nostra, in cui un dio fatto di carne e metallo invia Aminoacid Boy sulla Terra per capire come funziona il mistero della vita umana, cioè perché gli uomini fanno quello che fanno, perché sono dotati di volontà, di desiderio, insomma come fanno ad avere delle pulsioni che gli consentono di avere un obiettivo, di superare il caos naturale dell’esistenza…

DL: O anche di non superare…

GDF: Esatto… Insomma, il dio manda Amino sulla Terra con il compito di scoprire questo mistero e di comunicare le informazioni che raccoglie attraverso internet, solo che per un errore spazio-temporale il protagonista arriva sul nostro mondo tanti anni fa, così che la sua prima esperienza è l’incontro con il Pequod impegnato a dare la caccia a Moby Dick. Già questi primi sviluppi fanno anche un po’ ridere e infatti il libro, nonostante sia pieno di mostri ed esseri deformi, è raccontato con uno spirito naif, ironico. Poi nel corso del tempo Amino passa attraverso varie fasi, fino ad arrivare ai giorni nostri… Dico bene?

DL: Sì, passa attraverso varie fasi e di volta in volta muta cambiando il suo DNA, perché lui assorbe il DNA degli esseri che si trova vicino, come gli animali e infine l’uomo…

GDF: In una delle sue evoluzioni diventa cantante di un gruppo punk e dopo, in vecchiaia, un rispettabile padre di famiglia che guarda la tv sul divano. Il tutto si svolge con il personaggio principale che guarda la realtà sempre con gli occhi dell’alieno, in modo disincantato, facendo sembrare ridicoli o vani certi nostri costumi. Questo sembra contenere una critica sociale da parte tua, e mi chiedo se ti sia venuta così oppure se c’era intenzionalmente dal principio.

DL: In effetti nel libro c’è proprio la mia visione del mondo, la mia percezione della realtà, soprattutto quando verso la fine arriva il Caos sulla Terra. La visione del personaggio è invece la mia visione personale, è proprio un cammino di crescita, infatti vi sono rappresentate le varie fasi della vita e Amino è costantemente alla ricerca del motivo, della ragione del volere, ma non riesce mai a capirlo, solo a un certo punto guardandosi indietro si accorge che in una fase della sua vita stava provando la gioia dell’interesse nelle cose, ma poi perde di nuovo i punti di riferimento e la realtà lo confonde di nuovo.

GDF: Quindi c’è una vera e propria ricerca personale nel racconto, tanto che, pur se apparentemente fantastico, Aminoacid Boy è in realtà un libro autobiografico…

DL: Fanta-autobiografico!

GDF: Ok, a questo punto passiamo ad Alessandro. Anche con te vorrei iniziare un po’ su come lavori, perché leggendo le tue storie contenute in Dio di me stesso, l’albo che abbiamo pubblicato in occasione di questo festival, ci si rende conto che non sono storie vere e proprie, sono più che altro delle digressioni, quindi c’è un argomento, o piuttosto una situazione – non so, un uomo chiuso in una stanza – e da lì tu cominci a immaginare tutta una serie di cose che succedono. E poi è molto letterario, c’è un testo forte, ci sono delle visioni molto potenti a livello grafico, con tutti questi pattern, anche degli inserti del mondo dei cartoon, dei videogiochi e via dicendo. Quindi volevo sapere se tu di solito parti da un’idea o da una storia e se fai uno storyboard, perché in realtà sembra che questi fumetti siano realizzati seguendo una sorta di flusso di coscienza.

Alessandro Galatola: Sì, in effetti lavoro in maniera quasi del tutto casuale, magari parto da un’idea o da un’immagine che ho avuto, o da delle sensazioni che voglio descrivere, e quindi cerco di trovare le immagini giuste che possano rappresentarle. Tra le varie idee secondo me quelle che rendono meglio sono quelle mi girano in testa per un sacco di tempo: a volte mi rendo conto che in qualsiasi situazione mi trovo, qualsiasi problema mi trovo ad affrontare mi viene quell’immagine in testa, quindi quando ho una fissazione la metto lì e cerco di capire cosa ci può girare intorno, cosa può succedere. In particolare la storia che è ambientata tutta in una stanza chiusa e parla appunto di un tipo che è ingabbiato lì dentro…

GDF: Crocefisso su un letto di rose.

AG: Sì, la seconda storia dell’albo… Lì volevo fare una storia d’amore e quindi volevo divertirmi raccontandola, e non so perché quando non ho assolutamente nessuna idea su cosa fare, su cosa disegnare, mi vengono in mente le stanze chiuse perché le trovo molto confortevoli. E quindi mi sono detto ok, immaginiamo che ti trovi in una gabbia dentro una stanza chiusa, che diavolo può succedere in una situazione così estrema, che non puoi fare niente e non c’è nessuno insieme a te? E quindi da lì ho cercato di trovare tutte le possibili soluzioni a questo problema. Per quanto riguarda il metodo, questa era l’idea iniziale e avevo un senso generale della struttura e delle sensazioni che doveva trasmettere la storia, però fondamentalmente ho proceduto vignetta per vignetta ma aiutandomi comunque con uno schema di partenza, perché se non l’avessi avuto non sarei finito da nessuna parte. Dovevo avere per forza un qualche tipo di struttura che mi aiutasse a scrivere mentre disegnavo e quindi ho fatto semplicemente una griglia quadratissima, sono tutti quadrati e sono tutti uguali, e ho proceduto a riempire gli spazi volta per volta. Come? Dipende, dipende da quello che mi succedeva in quel periodo, quindi se mi girava un pensiero in testa o se avevo appena vissuto qualcosa, non so, con una ragazza o in qualsiasi altro modo che mi facesse venire un’idea che si potesse ricollegare a quel mondo, a quelle sensazioni, lo inserivo e poi cercavo di far quadrare tutto quanto. Quindi magari c’era qualcosa che veniva prima, qualcosa che veniva dopo, e io cercavo di cucire tutto insieme cercando di mantenere comunque un flusso costante e dinamico. Sicuramente ci sono delle parti un po’ più chiare, un po’ più leggere, un po’ più divertenti e delle parti che sono esattamente l’opposto. Comunque l’obiettivo era in qualche modo far divertire molto ed emozionare molto i lettori.

GDF: Infatti succedono tutte e due le cose. Prendi quest’uomo chiuso in una stanza, che è una situazione, un argomento, un tema, fai delle digressioni su quest’argomento, lo guardi da tutte le possibili sfaccettature fino a portarlo al paradosso più totale, all’esagerazione e a creare sia divertimento che emozione. Secondo te, che poi è molto difficile rispondere a una domanda del genere, c’è più dramma o più ironia nei tuoi lavori?

AG: Ehm… C’è… C’è molto paradosso.

GDF: Non si capisce se si deve ridere o piangere.

AG: Non lo so, o meglio, è questo il punto. Mi piace raggiungere quel punto nelle cose in cui i due aspetti coincidono completamente e quindi raggiungi un livello di saturazione emotiva e ti scarichi completamente e sei pulito e stai bene. Per questo mi piaceva fare questa specie di saliscendi tra le varie emozioni, in modo che tu avessi esplorato tutto e arrivassi alla fine in qualche modo completamente depurato e con la mente libera e felice e contenta.

GDF: Io avevo già visto un’altra cosa che hai fatto prima di questa, l’antologia che ti eri autoprodotto nel 2015, che si chiamava SAFE SPACE, e lì c’erano dei fumetti secondo me molto diversi rispetto a Dio di me stesso, sia stilisticamente sia soprattutto per i contenuti, perché erano più legati alla grafica, più giocosi rispetto a questi che invece sono più scritti e densi. C’è una bella differenza fra l’uno e l’altro, anche perché sono passati circa due anni da quel primo albo e i nuovi sono senz’altro più recenti…

AG: Sì, li ho cominciati a fare nel 2015 e li ho finite a Natale scorso.

GDF: Però secondo me c’è un grosso stacco fra quello che facevi prima e quello che fai adesso, sembra come se tu avessi letto o visto qualcosa di importante, come se fosse successo qualcosa che ti ha fatto cambiare. Secondo te a cosa è dovuta questa evoluzione?

AG: Sicuramente prima ero più piccolo, quindi cercavo di esplorare varie strade, cercavo di divertirmi e basta, fare delle cose che mi piacessero, senza particolari ambizioni. E poi in generale vedevo ancora un sacco di altri autori e di artisti, quindi continuavo ad assorbire tante cose diverse, fin quando questa cosa mi ha rotto le palle e mi sono detto voglio fare una cosa mia, punto e basta, perché se continuo a guardare troppo al mondo esterno non riuscirò più a trovare una soluzione mia, comincerò a non sapere più chi sono, e quindi ho deciso di chiudermi completamente e di cercare di far quadrare tutti i riferimenti che avevo fino a quel momento.

GDF: Quindi hai cercato di raccontare qualcosa di tuo.

AG: Sì, l’unica cosa che mi concedevo era vedere cose dal passato, guardando ad artisti che non avrei mai avuto la possibilità di conoscere se non avessi avuto internet, o cose del genere, quindi scaricavo un sacco di fumetti, me li leggevo, leggevo articoli eccetera e cercavo di selezionare le cose che sentivo come mie, che in qualche modo mi facessero sentire a casa provando semplicemente a mischiare tutto insieme. Questo dipende anche dal fatto che stavo finendo l’università però non mi andava per niente, quindi cercavo qualsiasi modo che mi tenesse lontano dallo studio e più incollato alla pagina, più dentro il mio mondo, perché in quel momento la trovavo la cosa più appagante.

GDF: Infatti nel tuo lavoro ci sono tanti riferimenti a cose più vecchie, io avevo citato quando c’eravamo visti tempo fa Mark Beyer, che magari tu anagraficamente non potevi conoscere. Sembra che questo fumetto sia l’opera di un autore molto più grande di te, che viene da una scena diversa…

AG: Volevo crescere, volevo darmi un po’ di forza, volevo capire chi fossi, quindi ho cercato di basarmi su tutto quello che mi apparteneva a un livello più profondo. Per quanto riguarda i fumetti mi sono sempre piaciute le cose più stilizzate, più vicine ai graffiti o anche più primitive. Poi mi piacevano i videogiochi, soprattutto quelli a cui giocavo da piccolo, tipo Zelda o i Pokemon mi piacevano un casino, anche perché mi facevano sentire a casa. Ci vedo una specie di coerenza estetica in tutto questo, quindi mischiavo i due piani, quello dei fumetti e quello dei videogiochi, perché se questi due mondi si incontrano sento che la cosa mi appartiene.

GDF: Allora, per concludere, parliamo delle altre cose che vediamo qui esposte, partendo di nuovo da Diego. La tua mostra ha infatti una parte incentrata sugli originali di Aminoacid Boy e un altra è invece tratta da un libro a cui stai ancora lavorando, che si chiamerà Protector of the Kennel. C’è un netto distacco fra i due, perché i materiali di Aminoacid Boy sono pittura, acrilico, le altre invece sono stampe, perché gli originali sono stati modificati in digitale a livello di colorazione.

DL: Per questo lavoro qui sono partito da alcune textures che ho fatto sempre in acrilico però poi ho acquisito in digitale per spingerle con il colore in Photoshop. E’ un lavoro in cui sto cercando di tirare fuori queste tinte sparate utilizzando filtri ed effetti. Passo parecchie ore a lavorare al computer, però parto sempre dal lavoro in acrilico.

GDF: Come mai hai deciso di cambiare metodo di lavoro?

DL: Perché mi annoio se, quando divento troppo consapevole di cosa sto facendo, non mi sorprendo più. E quindi ho cambiato.

GDF: Più o meno di cosa parlerà il libro nuovo?

DL: Non lo so ancora ma a grandi linee è la storia di una separazione dopo una lunga relazione.

GDF: Però con i mostri.

DL: Sì, c’è questo essere che stava facendo un percorso con la sua compagna per finire il suo ciclo vitale e quindi riprodursi, però doveva andare molto lontano dal posto in cui vive. A un certo punto la sua compagna muore e lui rimane senza endorfine perché avevano un legame simbiotico, e vive in questo mondo in cui non c’è tecnologia ma tutto si ripara biologicamente. Solo che mentre lui torna sono arrivati degli altri alieni che hanno portato la tecnologia, quindi sta cambiando tutta la situazione… Ma non so ancora che cosa succederà dopo.

GDF: Ok, speriamo di scoprirlo presto. Invece Alessandro oltre agli originali tratti dal libro ha in mostra quelle stampe in fondo che abbiamo fatto per l’occasione, si tratta di materiale in bianco e nero colorato in digitale. Tranne un paio di illustrazioni, sono tutti fumetti di quattro vignette e a colori, quindi mi chiedevo perché avevi iniziato a lavorare così e se parallelamente stai portando avanti anche storie più lunghe…

AG: Cose lunghe zero.

GDF: Ormai stai andando sulle quattro vignette.

AG: Ho delle idee in testa però non è ancora il momento di lavorarci, ci vorrebbe troppo tempo quindi le lascio un po’ maturare, nel frattempo faccio questi piccoli fumetti in cui in uno spazio così ridotto posso permettermi di esprimere qualcosa e allo stesso tempo fare degli esperimenti grafici, trovare delle soluzioni che mi interessano. Ho scelto il colore perché dopo aver lavorato tanto in bianco e nero ho bisogno di fare le cose in maniera un po’ più dinamica, un po’ più leggera e mi sembrava che, senza rinunciare a una certa dose di potenza ed energia, il colore fosse perfetto per questo genere di cose, perché sono anche più veloci da realizzare, da leggere, sono come delle piccole poesie in un certo senso.