B Comics in mostra a Studio Pilar

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Se vi trovate a Roma in questo periodo, non potete perdere il dietro le quinte dei due volumi di B Comics, a cura di Maurizio Ceccato e pubblicati da Ifix nel 2014 e 2015. Il backstage, ricco di materiali, è iniziato lo scorso venerdì 10 giugno e sarà aperto dal giovedì al sabato dalle 11 alle 20 presso Studio Pilar, in via Panfilo da Castaldi 16 a Testaccio, con festa di chiusura in programma sabato 2 luglio dalle 19 alle 24.

Ho visitato la mostra e fatto un po’ di foto, che potete vedere di seguito. I due volumi di B Comics, Crack! e Gnam!, raccolgono in grande formato i lavori di artisti italiani che vengono dal mondo dell’autoproduzione o addirittura esordienti, anche se alcuni di loro si sono nel frattempo affermati pubblicando per case editrici o realizzando progetti di illustrazione di primo piano. Ceccato nella costruzione di queste antologie ha guardato soprattutto all’originalità e alla forza del segno e infatti molti degli autori di B Comics vengono dal mondo dell’illustrazione, cosa che ha comportato in molti casi un metodo di lavoro ben diverso da chi invece utilizza le strutture del fumetto tradizionale.

Guardando i lavori esposti sulle pareti dello studio e sfogliando le pagine di un ricchissimo portfolio, ciò che si nota innanzitutto è la differenza di approccio tra autori diversi. Questo backstage diventa così un’occasione per capire i mille modi in cui può nascere un fumetto. C’è chi come il duo Marco Taddei-Simone Angelini si affida a una sceneggiatura tradizionale, chi come Emanuele Giacopetti dà forma a sketch ricchi di testo, chi come Alberto Valgimigli disegna, disegna e disegna fino a scegliere per la sua storia soltanto una piccola parte del materiale realizzato. Oltre ai materiali di lavorazione ci sono ovviamente anche tanti disegni e tavole originali dei vari Spugna, Martoz, Lorenzo Mò, Elena Guidolin, Alessandro Ripane, Maurizio Lacavalla, Roberto Grossi, Manfredi Ciminale e tanti altri. Buona visione.

Alessandro Ripane

Elena Guidolin

Marco Taddei e Simone Angelini

Maurizio Lacavalla

Maurizio Lacavalla

Emanuele Giacopetti

Emanuele Giacopetti

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Manfredi Ciminale

Spugna

Spugna

Spugna

Lorenzo Mò

Lorenzo Mò

Lorenzo Mò

Lorenzo Mò

Martoz

Martoz

Roberto Grossi

Roberto Grossi

Alberto Valgimigli

Alberto Valgimigli

 

 

 

Chicago Alternative Comics Expo 2016

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La fumettista Corinne Halbert, una degli organizzatori del CAKE 2016, si è prestata a fare da inviata per Just Indie Comics in occasione di uno dei più importanti festival alternativi del Nord America, che si è svolto a Chicago nel weekend 11-12 giugno. Potete vedere le sue foto e leggere il suo reportage, ovviamente in inglese, a questo link. Grazie a Corinne e buona lettura a voi.

Cosa è successo a Castiglione Tra le Nuvole 2016

di Serena Di Virgilio

Il festival itinerante Tra le Nuvole ha fatto tappa l’1 e 2 giugno a Castiglione delle Stiviere, in provincia di Mantova, con due incontri, un laboratorio, due piccole mostre e una mostra-mercato.

Tra le Nuvole è un ciclo di eventi che da sei anni coinvolge Brescia e dintorni con incontri, corsi e laboratori, voluti e organizzati da Nadia Bordonali e Luigi Filippelli della micro casa editrice MalEdizioni. I lettori di questo blog la conosceranno sopratutto per la pubblicazione di Remi Tot in STUNT di Martoz e per la presenza in vari festival.
L’intento di Tra le nuvole è la diffusione del fumetto e dell’illustrazione, con particolare attenzione all’autoproduzione e all’editoria indipendente, attraverso i luoghi della cultura come le biblioteche comunali ma anche in librerie e centri di aggregazione, rivolgendosi non solo ai lettori ma anche agli operatori.

Quest’anno il festival è cresciuto anche grazie all’interesse di realtà pubbliche e private, tra cui il Circolo Arci Dallò e la Libreria Mutty di Castiglione delle Stiviere che hanno invitato la manifestazione a “espandersi”.
Si tratta di due realtà molto diverse (ruspante e caotica la prima, raffinata e ponderata la seconda) che hanno in comune la voglia di far cultura mettendo insieme le persone, e offrono per questo degli spazi decisamente interessanti.

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In primo piano: Nicola Pezzato ed Ettore Mazza di Brace nel cortile dell’Arci Dallò

Il Circolo Arci Dallò occupa un antico stabile in una delle piazze del centro storico di Castiglione, che comprende un bel cortile ampio e piacevolmente verde e fiorito. Peccato quindi per i temporali intermittenti, che hanno costretto tutti al coperto.
La mostra-mercato comprendeva un’offerta piuttosto varia, con fumetti e libri di saggistica, autoproduzioni e volumi “da libreria di varia”, illustrazione in stampe, cataloghi e carnet, e perfino la raccolta di design di un tatuatore.

Al fianco del Centro Fumetto Andrea Pazienza, che può essere considerato quanto di più simile ad un’istituzione nel panorama del fumetto indipendente italiano, c’erano alcune nuove e promettenti realtà. Brace è un collettivo di studenti del corso di fumetto dell’Accademia di Bologna, che in pochi mesi ha già messo insieme un piccolo e interessante catalogo di racconti più o meno brevi. I milanesi Radice si confrontano tanto con l’illustrazione che con il fumetto, e hanno impreziosito la loro antologia con sovraccoperte stampate artigianalmente. Il progetto McGuffin Comics parte da studenti della Scuola Internazionale di Comics di Brescia e si è da poco concretizzato in un primo volume di “storie di genere”, In Mass Media Res.

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Sara Pavan alla libreria Mutty

Mutty è un ex capannone e laboratorio artigianale meravigliosamente restaurato e riconvertito in spazio multifunzionale, che comprende una bella libreria dedicata sopratutto a volumi illustrati, con anche una selezione di autoproduzioni.
È qui che Sara Pavan ha presentato Il potere sovversivo della carta (Agenzia X, 2014, se ne era parlato qui), libro da lei curato che raccoglie interviste a protagonisti della scena dell’autoproduzione fumettistica italiana tra la fine degli anni Novanta e il primo decennio degli anni Duemila. Diversi di questi autori stanno oggi pubblicando per case editrici, ma non per questo rinnegano il proprio passato. La loro notorietà e le pubblicazioni più accessibili fanno anzi da ponte per ampliare la conoscenza anche di quella che è produzione più di nicchia.

Pavan ha fatto notare come negli ultimi anni l’autopubblicazione abbia assunto una valenza diversa rispetto al passato, quando per tanti nuovi autori era l’unica strada per potersi esprimere. Oggi non è più necessariamente pubblicazione di serie B, riceve più attenzioni e anche chi è già nel mercato vi ricorre per avere maggior controllo e libertà.
Il discorso ha preso presto la forma di un’incitazione a chi ha voglia di fare, anche al di fuori del fumetto o della scrittura, perché “il tipo di energie che si mettono in campo sono le stesse” e “fanno riferimento a quelli che sono i nostri talenti e le nostre passioni individuali”.

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Alessandro Formigoni e Nicola Setti

A sera, di nuovo all’Arci Dallò, c’è stato un divertente concerto di chitarra e disegni durante il quale Nicola Setti, cantautore, e Alessandro Formigoni, illustratore, si sono scambiati più volte i ruoli.

Il giorno seguente si è tornati da Mutty per il laboratorio di narrazione erotica Solo una storia di sesso condotto da Sara Pavan e Nadia Bordonali. Lo scopo era individuare modi di raccontare quella che è una parte essenziale della vita della maggior parte delle persone.
Ciascuno dei partecipanti era stato invitato a contribuire una scena erotica (da un film, un libro, un fumetto) da esaminare insieme e da cui partire per fare delle osservazioni.

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Biro e Stefano Alghisi

Il laboratorio si è protratto più del previsto e ho finito con il perdermi l’incontro successivo al Dallò, ovvero Le relazioni pericolose: quando musica e fumetto… con gli autori Alghisi e Biro, di cui mi sono stati però riferiti i punti salienti.

Stefano Alghisi ha iniziato con una digressione storica sul rapporto tra musica e immagine, dalle illustrazione delle murder ballads alle copertine dei dischi, da Robert Crumb a Bonvi e Guccini, per poi passare a parlare del proprio lavoro. Oltre a produrre manifesti, in Il porto delle anime (MalEdizioni, 2015, di cui aveva scritto Gabriele) Alghisi ha raccontato a fumetti le storie di tre gruppi che hanno riscoperto le radici del rock’n’roll, a cui è legato anche per l’estetica retro-horror.

Biro, autore di Zero e Uno (MalEdizioni, 2014), ha parlato invece della sua esperienza di grafico e illustratore nel creare copertine di dischi, loghi e video musicali, e dello sforzo nel mediare tra il proprio stile e l’immaginario proprio del gruppo committente.

Su di un muro dell’Arci Dallò, purtroppo in un punto un po’ poco luminoso, erano esposte alcune belle tavole originali di Stefano Alghisi, sempre a tema musicale, tra cui il suo contributo al progetto This Is Not A Love Song.

Grazie a organizzatori e volontari del festival e degli eventi, e a Nicola.

Una giornata scorsa

Da martedì 31 maggio a sabato 4 giugno i fumettisti Serena Schinaia, Silvia Rocchi, Roberto Massó e Martín López Lam hanno “occupato” le sale dell’Accademia di Spagna a Roma per realizzare un fumetto a 8 mani, intitolato Una giornata scorsa. Utilizzando 64 piccoli segmenti, i quattro hanno dato forma a un lavoro collettivo lungo 5 metri, che è stato esposto nei giorni seguenti presso l’Accademia e che verrà pubblicato in un leporello in occasione del prossimo Crack! Festival, al Forte Prenestino di Roma dal 23 al 26 giugno. Ma lo spirito collaborativo si è sviluppato anche verso l’esterno, dato che i quattro hanno invitato i visitatori della mostra a contribuire con idee, disegni, schizzi e appendici: scopo del progetto infatti era non soltanto illustrare e raccontare ma anche mostrare la genesi di un progetto di gruppo e le dinamiche di collaborazione tra artisti di diversa estrazione. Se il lavoro di Schinaia, Rocchi, Massó e López Lam si è sviluppato in orizzontale, quello dei vari ospiti ha ampliato in verticale le idee dei quattro, dando forma a radici degli alberi, palazzi a più piani, divinità, ufo e altro ancora. Tra i vari collaboratori vi segnalo Bambi Kramer, Valerio Bindi, Luca Ralli e tanti degli artisti residenti in Accademia. Il progetto nasce infatti dalla residenza di López Lam presso l’istituto spagnolo, di cui ha già parlato su queste pagine Serena Di Virgilio a proposito dell’incontro e della mostra organizzati di recente a Bologna.

Tema di Una Giornata Scorsa è la periferia urbana come luogo di passaggio. Osservando il risultato finale, si nota comunque una dimensione narrativa preponderante, resa possibile dall’uso di una struttura predefinita su cui i quattro artisti hanno comunque avuto la libertà di improvvisare e divagare. I personaggi ricorrenti (il losco figuro incappucciato con la mazza da baseball in mano, il bambino, l’autista dell’ambulanza ecc.) danno unità alla lunga panoramica e catturano lo spettatore, impegnato a ricercarne le tracce e a partecipare attivamente a quello che essenzialmente è un gioco. Qua e là affiorano inevitabilmente i tratti di una Roma periferica, ingarbugliata, caotica, probabilmente dovuti a Schinaia e López Lam, che negli ultimi tempi hanno vissuto nella capitale. Ma a parte questo non sempre è facile capire chi ha fatto cosa, perché tutti hanno disegnato sopra gli altri, cercando di scomparire dietro a uno stile unico. Certo, magari si riconoscono nel bambino le forme arrotondate di Massó o nelle donne alla finestra le linee della Rocchi, ma in generale l’impressione è quella di una coesione forte, segno che l’idea iniziale ha trovato perfetta applicazione.

Una Giornata Scorsa è in mostra fino al 12 giugno all’Accademia di Spagna di Piazza San Pietro in Montorio 3, con orario 10-18. Successivamente verrà esposto al Crack!, dove chi vorrà potrà contribuire a sua volta disegnando sopra, sotto e a lato delle creazioni dei quattro artisti. Nel frattempo, un po’ di foto scattate sul posto.

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Un giorno di fumetto spagnolo a Bologna

di Serena Di Virgilio

Giovedì 26 maggio BilBOlbul Primavera/Estate 2016, anteprima del festival di fumetto bolognese, ha dedicato un incontro a Olaf Ladousse, Klari Moreno, Roberto Massó e Martín López Lam, e una mostra ai lavori più recenti di quest’ultimo.
I quattro autori, perlopiù sconosciuti in Italia, vivono in Spagna e autoproducono le proprie creazioni. A parte questo, si tratta di un gruppo piuttosto eterogeneo che presenta una stimolante varietà di immaginari ed esperienze.

In questo periodo López Lam è in Italia per una residenza alla Reale Accademia di Spagna a Roma, come pure i curatori Jaime González Cela e Manuela Pedrón Nicolau.
Insieme, i tre hanno selezionato gli autori per l’incontro e realizzato la mostra, che verte sulla produzione di López Lam durante la sua permanenza nella capitale italiana.

L’incontro

Ad intervistare gli ospiti nell’aula magna dell’Accademia di Belle Arti c’erano Cristina Portolano e Andrea Bruno, due autori italiani anch’essi dediti alla pubblicazione indipendente, e Alessio Trabacchini dell’associazione culturale Hamelin. Di seguito un sunto della chiacchierata.

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Enrico Fornaroli, Alessio Trabacchini, Cristina Portolano, Roberto Massò, Silvia Silvestrini, Klari Moreno

Klari Moreno (Madrid, 1993) e Roberto Massó (Càceres, 1987) hanno iniziato a disegnare e ad autopubblicare i propri lavori nel corso degli studi d’arte, prima da soli poi anche all’interno di collettivi e microeditori perché, ha detto Massó, “fare fanzine è anche fare cose insieme agli amici”. Lui ha pubblicato un libro con Dehavilland Ediciones e lei sta lavorando al suo primo fumetto lungo, che richiederà un editore, ma entrambi continuano a portare avanti anche l’autoproduzione.

Entrambi i fumettisti partecipano a molti festival, viaggiando quasi tutti i mesi. Il contatto con gli organizzatori, con altri autori e collettivi con cui si collabora è molto diretto, come pure con il pubblico che compra i loro fumetti. La promozione su internet non porta molte vendite online, ma c’è chi li cerca ai festival dopo essersi accorto di loro sul web.

Moreno ha affermato che l’immediatezza di una fanzine fotocopiata è “quasi una necessità” per i suoi lavori più brevi. Tematiche ricorrenti nella sua produzione sono il “sesso bestiale”, l’acqua, il fuoco e i cani, tutti presenti anche in Suspensión Líquida, albetto pubblicato dall’etichetta di López Lam, Ediciones Valientes, che racconta una sessione magica di bondage.

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Alcune autoproduzioni di Klari Moreno

Portolano ha individuato delle similitudini tra i lavori di Massó e Moreno e quelli, rispettivamente, della tedesca Anne Vagt e dei francesi Ruppert & Mulot, portati in Italia da BilBOlbul e Canicola ma sconosciuti ai due giovani spagnoli. Una parte del lavoro di Massó infatti è astratta, un tratto che usa per rivolgersi anche al mondo delle gallerie d’arte, mentre le figure di Moreno sono stilizzate e spesso non hanno un volto.

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Alcune autoproduzioni di Roberto Massó

Oltre a fare fumetto astratto, Massó è ossessionato dai Power Rangers, a cui ha infatti dedicato il volume Medieval Rangers, che Trabacchini ha definito un incrocio tra un “erbario medievale”, il “racconto mitico” e “uno di quegli albi narrativi con i personaggi dei giocattoli”.

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Andrea Bruno, Martín López Lam, Silvia Silvestrini, Olaf Ladousse

Martín López Lam (Lima, 1981) e Olaf Ladousse (Parigi, 1967) sono rispettivamente peruviano e francese, ma entrambi vivono in Spagna da molto tempo, seppure in città diverse.

Ladousse è arrivato a Madrid nel 1992, alla ricerca di un lavoro che non ha trovato. In compenso ha conosciuto molti artisti e presto li ha coinvolti nella sua fanzine Qué Suerte, un’antologia di fumetti e illustrazioni a tema assemblata a mano, con copertina stampata artigianalmente (serigrafia e poi linoleografia) e interni fotocopiati. La pubblicazione esce tuttora, dopo ben venticinque anni, più o meno al ritmo di un numero all’anno, sempre con lo stesso spirito punk e la sua vena divertita e dissacratoria.

L’approccio do-it-yourself viene applicato da Ladousse anche alla musica e alla comunicazione. El Cartel è un progetto che produce e attacca manifesti in giro per la città, una pratica che Bruno definisce “più invasiva” rispetto alla fanzine, rivolta “non solo ad un pubblico di appassionati ma idealmente a chiunque”. E infatti i poster suscitano varie reazioni, da chi li strappa via a chi li colleziona.
Partito originariamente alla fine degli anni Novanta come gesto di protesta contro affissioni di estrema destra, El Cartel nasce dall’esigenza di esprimersi senza censure su questioni politiche, sopratutto da parte di Ladousse e altri artisti immigrati che non hanno diritto di voto nella nazione in cui vivono.

Infine, Ladousse è anche musicista e costruttore di piccoli strumenti musicali elettrici, i doorag, con cui fa performance da solo e con il suo gruppo Los Caballos De Düsseldorf, e a cui dedica piccole fanzine e il manuale di autocostruzione Sopa de ortiga.

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Alcune autoproduzioni di Olaf Ladousse

López Lam ha riferito che in Perù negli anni Novanta non c’era un’editoria autoctona di fumetto, e quella estera arrivava poco e in ritardo. L’autoproduzione era l’unica strada per pubblicare. Le copisterie si rifiutavano di sprecare toner, quindi lui e i suoi amici erano costretti ad usare uno stile molto chiaro. Arrivato in Spagna nel 2003, andò subito a cercare fumetti recenti, e sentiva di aver tutto da imparare.
Dopo aver frequentato l’Accademia a Valencia, lo scorso anno López Lam è giunto a Roma grazie a una borsa di studio presso la Reale Accademia di Spagna. Il progetto era di ripercorrere le tracce del poeta peruviano Jorge Eduardo Eielson, vissuto prima a Roma e poi a Milano. Il percorso si è presto fatto più personale.

Nel suo lavoro di fumettista, López Lam a un certo punto ha iniziato a cercare di “distruggere il tempo e la linea narrativa” nelle proprie opere, creando un lavoro astratto non a livello visivo ma di storia, come si può notare in Sirio e Gialla.
Quando è arrivato a Roma, non conoscendo la città, ha passato i primi tempi a girarla. Non voleva fare un diario di viaggio (genere che ama poco), ma piuttosto creare una storia in cui non ci sono personaggi a cui succede qualcosa ma semplicemente cose che succedono, riportando la realtà che vedeva.

Bruno ha fatto notare che questo approccio è vicino a certo cinema, Nouvelle Vague in testa. López Lam ha confermato che la sua intenzione è proprio di adattare al medium fumetto elementi presi dal cinema e dalla musica, sopratutto elettronica, come il concetto di campionamento.
Sebbene abbia “un’impronta molto forte”, il disegno di López Lam comprende l’utilizzo di “tecniche diverse, dalla china al pastello, a retini e interventi fotografici”, che usa proprio per integrare i diversi elementi sulla pagina.

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Alcune autoproduzioni di Martín López Lam

Oltre a produrre i propri fumetti, López Lam svolge anche il ruolo di micro editore. Ediciones Valientes era partita come un collettivo di illustrazione con dei compagni dell’Accademia di Valencia. Ora è l’etichetta personale di López Lam, che ha pubblicato anche gli italiani Filosa e Fanelli e, recentemente, il bell’albo Ceniza di Serena Schinaia (di cui ha già parlato Gabriele).

La mostra

Dopo gli incontri in Accademia e un momento per acquistare e farsi dedicare le fanzine, ci si è spostati al Museo della Musica per l’inaugurazione della mostra di López Lam, Parco Falafel, e il concerto di Ladousse.

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Martín López Lam e Klari Moreno che dedicano gli albi

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L’ingresso della mostra

Avevo già avuto occasione di incontrare López Lam alla mostra-mercato del festival Ratatà a Macerata ed ero rimasta colpita dall’impatto visivo dei suoi fumetti, al punto da comprarne uno, il recentissimo “Gialla”, anche se non conosco lo spagnolo. Diversi dei materiali che compongono proprio quell’albo, realizzato a Roma lo scorso autunno, sono presenti anche nella mostra Parco Falafel.

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Una pagina di “Gialla” e disegno originale

La prima cosa che si nota una volta entrati nella sala principale è che si tratta una mostra di fumetto piuttosto inusuale, che dice tanto del processo creativo e poco del prodotto finito. Infatti sono esposti i singoli disegni che vanno a comporre le vignette, piccoli dipinti di cui si nota la forza, l’autonomia.
Le immagini sono riunite tematicamente in pannelli che, mi spiegano i curatori González Cela e Pedrón Nicolau, fungono un po’ da tavole, da “pagine giganti”, su cui López Lam ha scritto a mano non dialoghi o didascalie ma piuttosto delle dichiarazioni d’intenti.

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La Roma colta da López Lam è notturna, composta da insegne, autobus affollati, reperti archeologici, particolari architettonici e gente in movimento. E piante, lussureggianti piante che spuntano da ogni pezzo di terra lasciato a sé stesso.

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Colpiti da questa vegetazione spontanea in mezzo alla quale “vive gente, succedono cose”, artista e curatori hanno scelto il Museo della Musica per i suoi soffitti decorati da festoni fioriti e per il suo giardino di banani, e hanno allestito la mostra con pratini e piante.

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A fronte di albi vivacissimi, gli originali appaiono quasi sempre dipinti in nero e grigio. Nella terza stanza, un tavolo luminoso su cui sono disposti fogli di acetato dipinti mostra come López Lam lavori con il colore, attraverso sovrapposizioni che vanno a trovare forme e tinte nuove.

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La serata si è conclusa in allegria, con un concerto di Olaf Ladousse che ha suonato i suoi doorag fatti in casa.

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BilBOlbul ha pubblicato altre foto dell’inaugurazione.

La mostra Parco Falafel di Martín López Lam è rimasta aperta fino a giovedì 9 giugno 2016 al Museo Internazionale e Biblioteca della Musica di Bologna, in Strada Maggiore 34.

Grazie a organizzatori e volontari, e a Nicola.

Toronto Comic Arts Festival 2016

Sono stato al Toronto Comic Arts Festival approfittando dell’ospitalità di Michele Nitri della Hollow Press, che presentava all’evento canadese Tract di Shintaro Kago alla presenza dell’autore, con tanto di mostra delle tavole originali del volume. Oltre a presenziare al tavolo e alla mostra, ho ovviamente approfittato dell’occasione per vagabondare per Toronto (ma vi risparmio i dettagli) e per vedere un po’ di eventi collegati al festival, ricchissimo di ospiti e di appuntamenti. Di seguito un breve reportage, per lo più fotografico, di quanto di fumettistico è successo dal mio punto di vista. Più in là, con molta calma, troverete sul sito una serie di approfondimenti, in primis sul negozio The Beguiling e Steven Gilbert. Le foto sono mie e di Michele Nitri, che ringrazio per la collaborazione.

Iniziamo proprio da The Beguiling, punto di riferimento per la scena fumettistica cittadina e non solo. Non ho una conoscenza così vasta dei negozi di fumetti del nostro pianeta, ma so che The Beguiling straccia tutti quelli da me visitati in precedenza con estrema facilità, grazie a un catalogo costruito con passione e dedizione dal proprietario Peter Birkemoe, principale organizzatore del TCAF insieme a Christopher Butcher, e dai preparatissimi ragazzi che lavorano nella sede di Markham Street. Qui sotto un paio di foto, antipasto di un più ampio servizio che potrete leggere dopo che l’avrò scritto.

Ma facciamo un po’ di cronologia. Arrivato a Toronto la sera di sabato 7 maggio, la mia prima visita da The Beguiling è stata domenica 8. Il giorno successivo l’ho invece dedicato a Steven Gilbert, l’autore di Colville, fumetto che alcuni di voi conosceranno e avranno anche letto (ne aveva parlato Ratigher su queste pagine). Gilbert gestisce un negozio di fumetti a Newmarket, una cittadina facilmente raggiungibile in auto da Toronto. Ho così colto la palla al balzo per dedicargli una lunga intervista, che spero di riuscire a trascrivere presto, e per fare un giro nei luoghi in cui ha ambientato The Journal of the Main Street Secret Lodge, libro del 2013 di cui è previsto il seguito per l’anno prossimo. In basso le foto dell’esterno e dell’interno del negozio, quest’ultima con Gilbert tra i “suoi” fumetti.

Non ricordo alla perfezione gli eventi di martedì 10, probabilmente poco significativi per voi lettori. Invece il giorno successivo ho visitato la galleria Weird Things, che tenendo fede al nome unisce originali di artisti/cartoonist più o meno famosi a svariate chincaglierie e a un onnipresente gatto. A gestire la baracca è Jonathan Petersen, scultore, fumettista e illustratore che ha pubblicato qualche tempo fa Space Basket per la Domino Books di Austin English. Mercoledì 11 maggio era tra l’altro l’ultimo giorno per vedere la mostra di Patrick Kyle e Michael DeForge. Belli soprattutto gli originali di Kyle, geometrici e a volte colorati, mentre quelli di DeForge rappresentavano una serie di figure umane in piedi, distorte e tappezzate dai ghirigori tipici del cartoonist canadese.

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E siamo così a giovedì 12, giorno dell’inaugurazione della mostra di Shintaro Kago alla Narwhal Gallery, organizzata da The Beguiling, TCAF e Hollow Press. Per la prima volta si potevano ammirare tutti gli originali del nuovo, devastante e apocalittico Tract, raccolta di quattro storie brevi interamente a colori. Tanti i presenti all’evento, con le 45 copie disponibili del libro andate a ruba nel giro di un’ora o poco più e Kago sempre pronto a firmare dediche con la sua imperturbabile cortesia.

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Eccoci dunque a venerdì 13. Con il TCAF alle porte è ormai tempo dell’allestimento dei tavoli e di qualche evento-antipasto, come un reading di fumetti organizzato da Hazlitt e 2D Cloud con cartoonist come MariNaomi, Mark Connery, Andy Burkholder e Gina Wynbrandt (sono riuscito a vederne soltanto una parte). Ho mancato invece completamente l’inaugurazione di Manuele Fior all’Istituto Italiano di Cultura e mi è dispiaciuto molto non riuscire a recuperare la mostra neppure in seguito (o meglio, ci ho provato ma sono arrivato quando era già chiusa). Il TCAF si svolge nella Toronto Reference Library, la biblioteca centrale della città, un edificio immenso a più piani con scale, ascensori e corridoi che scorrono sinuosi. Di seguito qualche foto della mattina di sabato 14, dagli ultimi preparativi fino all’arrivo del pubblico, numerosissimo (tra l’altro l’ingresso è libero) ma che non impedisce comunque la fruizione del festival. Magari non proprio una scampagnata all’aria aperta ma nemmeno Lucca Comics, per capirci.

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Qui sopra una foto del tavolo della Hollow Press, che ha esaurito l’80% delle pubblicazioni il primo giorno. In particolare i libri di Kago hanno registrato un rapidissimo sold out, segno che il cartoonist giapponese era davvero atteso da quelle parti. Qualche coda per le firme delle maggiori guest star del festival (come Seth e Chester Brown, nonostante qui siano di casa) e tante novità al debutto tra i tavoli degli editori, che rappresentavano il meglio dell’editoria nord-americana di settore. Numerosi anche gli ospiti e gli espositori internazionali. L’Italia era rappresentata anche dalle ragazze di Teiera, che in questa occasione nessuno è riuscito a fotografare. Le ricordiamo dunque così, all’Elcaf di Londra del 2015.

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Dopo questa immagine degna di un Intervallo Rai, torniamo al TCAF per dire che erano tre i piani della biblioteca occupati da case editrici e fumettisti, mentre in contemporanea una serie di artisti più mainstream esponevano nel vicino Masonic Temple (una ex sede della Massoneria locale) e una serie di presentazioni, interviste e dibattiti avevano luogo nell’adiacente Hotel Marriott di Bloor Street. Insomma, impossibile riuscire a vedere e a seguire tutto, soprattutto per chi, come me, doveva anche stare dietro a un tavolo e tenendo conto degli orari di apertura piuttosto ridotti (dalle 9 alle 17 il sabato, dalle 10 alle 17 la domenica). Non ho capito molto di quello che è successo ma la cosa sicura è che c’erano un sacco di gente e un sacco di fumetti. E che l’organizzazione è veramente impeccabile, fatta di persone squisite e disponibilissime. Tra gli eventi serali segnalo il bel concerto di sabato con  i Creep Highway del duo Michael DeForge/Patrick Kyle, Mickey Zacchilli alias Dungeon Broads e Brian Chippendale in versione Black Pus per il gran finale tutto drones e percussioni. Nei giorni successivi al festival sono invece riuscito a tornare da Weird Things per vedere la mostra di Matthew Thurber, autore di 1-800-Mice e Infomaniacs, che esponeva con il suo suggestivo progetto parallelo MT Shelves, fatto di strani animali in bianco e nero, lucine, macchie colorate. E con questo è tutto.

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Cosa è successo a Ratatà 2016

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Alla sua terza edizione, dal 14 al 17 aprile 2016, il Ratatà Festival ha “invaso” la città di Macerata, portando il disegno come mezzo espressivo e l’autoproduzione come metodo in spazi istituzionali, commerciali e sociali.
Un evento decisamente interessante realizzato e promosso da un gruppo di artisti e microeditori, teso a favorire scambio e conoscenza tra chi è già nell’àmbito o vi si avvicina, ma anche ad ampliarne la visibilità esterna.

Il povero Gabriele è perlopiù rimasto crocifisso al suo banchetto alla mostra-mercato del Festival, quindi la qui presente testimonianza vi viene resa da Serena Di Virgilio, articolista per Panorama.it e Fumettologica.it.
Le foto sono fatte con mezzi scarsi, ma son meglio di niente.
Il report verte sopratutto sul fumetto e sull’illustrazione, ed è quindi visione parziale di un evento molto ricco composto anche da interventi urbani, laboratori per adulti e bambini, performance, incontri e occasioni conviviali.

Mostre

Il festival comincia nel primo pomeriggio di giovedì 14 aprile, all’apertura dei negozi, con l’inaugurazione di alcune piccole mostre ospitate da attività commerciali delle vie più centrali di Macerata.

Nella vetrina di Tandem ci sono matrici e stampe delle belle copertine in xilografia di Coppie Miste #2, serie di volumetti a fumetti autoprodotti dal collettivo La Trama. A Coppie Miste #3 è dedicata una mostra più ricca, di cui parlo più avanti.

La Trama

La Trama

La Trama

La Trama

Da Ultrafragola, le tavole del libro Quasi signorina di Cristina Portolano, uscito da poco per Topipittori, sono giustapposte a oli e saponi del negozio e a pupazzetti che evocano l’infanzia negli Ottanta e Novanta raccontata nel fumetto.
Come già nella precedente mostra Romagna Carioca a BilBOlBul 2015, Portolano media amabilmente tra l’ambiente e il visitatore parlando a quest’ultimo da piccoli autoritratti lasciati in giro, sui muri o sullo specchio, invitandolo a visitare la mostra e a farsi selfie insieme a lei.
Il libro mi è piaciuto molto, motivo per cui attendo l’occasione di una mostra più ampia e ricca di materiali, possibilmente con uno sguardo più approfondito sul processo creativo e sulla lavorazione delle tavole.

Cristina Portolano

Cristina Portolano

Cristina Portolano

Cristina Portolano

Al piano superiore del negozio di musica Jukebox all’idrogeno, in cima ad un paio di ripide rampe di scale, una parete viene dedicata a Only Fucking Vinyl, selezione di dischi prodotti dalla scena indipendente italiana con copertine illustrate.

Only Fucking Vinyl

Only Fucking Vinyl

Sugli specchi del negozio d’abiti Ibro c’è invece la serie di illustrazioni Le beffe delle donne a cura del collettivo Le Vanvere, ispirate alla settima giornata del Decamerone di Boccaccio.

Le Vanvere

Le Vanvere

Si scende al piano interrato di Cada1 per incontrare il pantheon del collettivo Uomininudichecorrono, ovvero le divertenti e orrorifiche divinità di Deus ex novo – Ora et colora, un libro da colorare di forme umanoidi composte da accozzaglie di oggetti a tema, pieno di dettagli interessanti, buffi o schifosi. Lo stretto corridoio conduce al luogo di culto dall’autoironico sapore satanista: una nicchia dove ci si può inginocchiare e colorare il libro con i pennarelli alla luce di candele rosse, magari dopo aver lasciato il proprio ex voto su di un Post-It.

Uomininudichecorrono

Uomininudichecorrono

Le illustrazioni di Marco Somà e i pupazzi di feltro di Liza Rendina condividono le pareti della saletta dalle luci soffuse di Cose da Té, come pure linee tenui, colori gentili e l’immaginario da fiaba di animali antropomorfi in foreste sognanti.

Marco Somà e Liza Rendina

Marco Somà e Liza Rendina

La Galleria Antichi Forni, uno spazio ampio e suggestivo proprio sotto la Torre civica, ospita ben quattro mostre.

La personale dell’artista francese Céline Guichard presenta parecchi disegni originali che coprono gli anni recenti di attività, compresi i libri di illustrazioni pubblicati dalla micro casa editrice di libri artigianali Strane Dizioni. Si tratta perlopiù di immagini sgradevoli e affascinanti che parlano di morte, sesso, malattia, deformità, ma anche di una profonda fascinazione per i corpi e la loro biologia attraverso il filtro di un immaginario grottesco.
Nella serie Sublime Maladie, Guichard parte da terribili foto di particolari anatomici tratti da manuali di patologia e vi ricostruisce la persona intorno.
La serie a carboncino Dans les hautes herbes è composta da ritratti di creature mostruose e sofferenti che riempiono lo spazio offerto dai grandi fogli, immerse in un una oscura vegetazione di segni.

Céline Guichard

Céline Guichard

Céline Guichard

Céline Guichard

Céline Guichard

Céline Guichard

Una stanza è riservata al Mild North di quattro fumettiste lettoni pubblicate dalla micro casa editrice kuš! komiksi, a cui viene dedicata una parete ciascuna.

Līva Kandevica (che ho intervistato su Fumettologica.it insieme alla co-editrice di kuš! komiksi, Sanita Muižniece) narra qui una storia meno giocosa di quello che è suo solito, con un’atmosfera tesa di dolorosa incomprensione tra due amici, mentre graficamente va avanti ad esplorare l’uso del digitale come nella bella copertina della recente antologia š! #24.

Līva Kandevica, kuš! komiksi

Līva Kandevica, kuš! komiksi

Dopo il racconto Swimming Pool (mini kuš! #24) Anna Vaivare prosegue sulla strada già intrapresa con un episodio che intreccia quotidiano e fantasia, uno sguardo benevolo sull’umanità, tavole dipinte vivaci di colori. Stavolta Vaivare passa a una divisione in vignette che le permette di raccontare efficacemente la storia senza parole, pur senza sacrificare i tanti piccoli dettagli che portano il lettore ad assumere quell’atteggiamento di osservatore che sembrerebbe esser caro all’autrice.

Anna Vaivare, kuš! komiksi

Anna Vaivare, kuš! komiksi

Meno interessata a storie lineari, Zane Zlemeša presenta una visita alle stanze di un museo, sconfinando dalla sua parete per portare le immagini anche fuori dall’immediato percorso visivo del visitatore. Palette desaturate e forme semplici fanno apparire il lavoro quasi cupo, salvo poi rivelare la propria ironia ad un esame più attento.

Zane Zlemeša, kuš! komiksi

Zane Zlemeša, kuš! komiksi

Notevole l’esposizione dei disegni originali della divertente e crudele storia Three Sisters di Ingrīda Pičukāne, pubblicata nel mini kuš! #38 (già recensito da Gabriele), in cui tre sorelle passeggiano tra gli alberi ammirando e giocando con ciò che trovano: fiori, frutti, abiti, un uomo nudo.
Laddove l’albetto è nel consueto formato della serie, ovvero uno spillato A6 di 24 pagine, l’originale viene esposto con i fogli tutti affiancati, mettendo in evidenza come il disegno proceda dall’inizio alla fine senza soluzione di continuità. Questa visione d’insieme permette di apprezzare meglio il raffinato gioco compositivo di Pičukāne, che racconta la storia come una lunga passeggiata nella foresta, senza divisioni di vignetta ma con una scansione perfettamente leggibile.
L’effetto complessivo ricorda certi arazzi medievali; visto anche il tratto netto e sottile, follemente vedrei bene il tutto ricamato su di una sciarpa. O più realisticamente stampato come leporello.

Ingrīda Pičukāne, kuš! komiksi

Ingrīda Pičukāne, kuš! komiksi

Ingrīda Pičukāne, kuš! komiksi

Ingrīda Pičukāne, kuš! komiksi

La personale di Bill Noir, artista francese, si snoda in un lungo corridoio con numerosi esempi dei suoi collage fatti a partire da materiali d’epoca e alcune delle sue fanzine.

Bill Noir

Bill Noir

Più piccola ma più varia è la collettiva Graphiste, a cui hanno partecipato illustratrici italiane contemporanee con una o due opere ciascuna.

Graphiste

Graphiste

In un vicoletto del centro cittadino è installata la mostra Farmafumetto degli studenti del corso di Alessandro Baronciani all’Accademia di Belle Arti di Macerata. L’idea comune è di inventare un farmaco capace di effetti straordinari, completo di nome, packaging e una storia a fumetti esplicativa in vece del bugiardino. A promuoverli sono presenti le giovani autrici e autori, in camice da farmacista.

Farmafumetto

Farmafumetto

La personale dell’illustratore francese Blexbolex allo Spazio Duma è particolarmente riuscita: lavori significativi di un autore interessante, ben allestiti in un ambiente all’altezza.
La varietà di materiali è stimolante, con opere di periodi e stili diversi ed esempi di varie delle tecniche utilizzate. Ci sono tanti di quegli spunti sul colore, sulla composizione, sul segno, sul passaggio da analogico a digitale da affascinare e dar da pensare a chiunque sia vagamente interessato al disegno. Personalmente, mi diverto a confrontare le pagine stampate con gli originali dipinti esposti sui grossi tavoli nella stanza principale, cercando di capire che lavoro sia stato fatto in fase di ritocco digitale.
Ci starebbe proprio bene del materiale informativo, anche solo dei cartellini a fornire punti fermi come date, titoli, tecniche.

Blexbolex

Blexbolex

Blexbolex

Blexbolex

Blexbolex

Blexbolex

La mostra più “istituzionale” tra quelle che visito è Erotica e Satirica, la personale dell’illustratore e vignettista Riccardo Mannelli, nello spazio dell’Accademia di Belle Arti che dà sulla piazza principale della città.
La prima stanza è dedicata ai nudi, femminili ma anche maschili, il cui stile dialoga con analoghi lavori di Schiele. Nel realismo e nel dettaglio delle anatomie trovo che il valore di “testimonianza” sia preponderante, e che l’erotismo e la sensualità siano limitati solo ad alcuni pezzi. Per quanto le pose possano essere impudiche e i corpi esposti, gli sguardi e il portamento sono perlopiù distaccati. Come visitatore mi sento mantenuta ad una distanza di sicurezza dai soggetti, con la sensazione di star davanti ad un qualche tipo di ritratto ufficiale o a una scena in cui non vengo invitata.
Fanno eccezione alcuni disegni, tra cui quello scelto per la riproduzione serigrafica del festival con una bella sensualità data dal sorriso appena accennato del volto insieme alle morbide texture delle stoffe, della pelle e dei capelli.

Riccardo Mannelli

Riccardo Mannelli

Riccardo Mannelli

Riccardo Mannelli

Sempre in tema di ritratto, la stanza successiva è piena di quelli di politici e personaggi vari dell’attualità, e nel loro dinamismo e sulla composizione concentrata sui volti sono molto diversi dai precedenti. L’effetto complessivo è inquietante e un po’ aggressivo. Mannelli è un ritrattista formidabile, e proprio per questo quello che c’è di inventato o esagerato nei suoi disegni diventa tanto più efficace.

Riccardo Mannelli

Riccardo Mannelli

Una mostra che attendevo particolarmente è quella degli originali di Coppie Miste #3 del collettivo La Trama (presente anche con la vetrina dedicata a Coppie Miste #2 di cui ho scritto prima). Rispetto alle edizioni precedenti della serie, le quattro ‘tramette’ e altri sei fumettisti/illustratori hanno letteralmente lavorato insieme per produrre le cinque storie, condividendo gli stessi spazi e le stesse tavole, cosa che ha solleticato la mia curiosità.
Purtroppo l’esposizione è allestita in uno Studio Disderi un po’ piccolo e male illuminato. L’idea di usare delle porte scardinate come supporto è anche carina, ma limita un po’ troppo lo spazio. Alcuni materiali finiscono per essere relegati in una vetrinetta, mentre sarebbe stato più interessante vederli vicino agli altri.

La Trama

La Trama

Le tavole di Alice Milani e Tuono Pettinato hanno prevedibilmente lo stesso aspetto della stampa finale. Per quanto gli stili siano diversi, da mostre precedenti avevo già potuto apprezzare quanto entrambi i fumettisti lavorino in modo molto pulito sui definitivi. Qui, la divisione dei compiti appare netta, e i due convivono senza sgomitare. Una piccola sorpresa è stato scoprire gli spazi lasciati in bianco per l’aggiunta (in digitale?) di alcune texture.
Proprio per la compresenza tra analogico e digitale ero curiosa degli originali della collaborazione tra Francesca Lanzarini e Matteo Berton, ma purtroppo sono esposti solo i definitivi. Peccato.
Viola Niccolai e Federico Manzone sembrano condividere i fogli in maniera piuttosto armoniosa, con un certo grado di fusione. Peccato manchino proprio alcune pagine dove sembrava fossero stati fatti degli interventi di collage del lavoro di lui su quello di lei. I balloon sono stati evidentemente aggiunti dopo.

La Trama

La Trama

Quanto esposto dell’albo di Silvia Rocchi e Anna Deflorian è invece più disuguale. Ci sono pagine complete fatto salvo per il lettering, mentre di altre viene presentata una fase su cui evidentemente poi l’altra è intervenuta, non so se digitalmente o su altro foglio. Laddove trovo verosimile che gli interventi pittorici siano di Rocchi, è divertente che non mi sia sempre chiarissimo chi abbia disegnato cosa, e quanto l’una abbia potuto imitare lo stile dell’altra.
Gli originali più lontani dal prodotto finito sono quelli di Victor Lejeune e Luca Caimmi, che espongono invece i materiali di lavorazione scomposti: fondali verdi di piante di puro colore di Caimmi da un lato, onde e personaggi al tratto di Lejeune dall’altro, magari su fogli di carta da lucido. Ci sono perfino cose che mi sembra non siano poi state utilizzate nel libro. Molto interessante!

La Trama

La Trama

Alcune mostre che purtroppo non sono riuscita a vedere ma di cui ho sentito parlar bene da altri visitatori del Festival sono quelle di Arianna Vairo e Igor Hofbauer, oltre alla collettiva organizzata da Crack! Fumetti Dirompenti. (Ho mancato anche io, purtroppo, la mostra della Vairo ma sono riuscito a vedere le altre due. Quella di Hofbauer allo Sferisterio metteva insieme illustrazioni, poster e locandine di concerti fornendo una bella visione d’insieme sullo stile dell’artista croato, che reinventa le suggestioni del costruttivismo russo in chiave dark. Bella soprattutto una sequenza di tre grandi illustrazioni circolari ambientate nello stesso mondo post-apocalittico. La mostra di Crack! occupava una sala del Csa Sisma e presentava un maxi-disegno di Bambi Kramer incollato su un’intera parete, l’ironia esistenzialista delle storie brevi di Sonno e una serie di serigrafie di Martin López Lam – ndr).

Eventi

La sera di giovedì 14 ho il piacere di assistere alla versione teatrale di Scarabocchi di Maicol&Mirco, portato in scena dal gruppo Teatro Rebis. Ero curiosa di vedere come delle strisce a fumetti senza personaggi fissi né una trama o un’ambientazione potessero essere traslate da un medium all’altro.
L’oretta di rappresentazione si traduce in un fuoco di fila di scene brevi recitate da tre interpreti, giustapposte in un modo che effettivamente mi ricorda l’esperienza di leggere le strisce una dopo l’altra. La notevole fisicità dei due attori e dell’attrice contribuisce nel farmeli accettare nel ruolo di “scarabocchi”, come pure l’illuminazione che fa emergere i corpi dal buio praticamente in assenza di scenografia.
L’umorismo è quello tagliente e bruciante di Maicol&Mirco, di quelli che fa ridere mentre ti fa star male, ma paradossalmente fruirlo recitato da umani invece che scarabocchiato e letto me lo rende più distante, meglio sopportabile, ipotizzo perché la voce e l’interpretazione prodotte dalla mia mente mi restano effettivamente più vicine.

Maicol&Mirco, Teatro Rebis

Maicol&Mirco, Teatro Rebis

Maicol&Mirco, Teatro Rebis

Maicol&Mirco, Teatro Rebis

La sera di venerdì 15, aperitivo con Marco Taddei, Simone Angelini e i personaggi del loro libro Anubi, già alla sua seconda edizione per GRRRZ. L’installazione Anubi vattene porta vignette dal fumetto ai muri dentro e intorno al Roxy Bar, e sagome di Anubi, Horus, Enrico, Bill in mezzo agli avventori e davanti al barista, simbolicamente trascinando gli umani dentro le situazioni dell’opera. La serata è un successo e il bar è pieno di gente che beve e si diverte; sul tardi, restano le maschere in un vaso e la saletta vuota con piattini e bicchieri abbandonati.

Marco Taddei, Simone Angelini

Anubi vattene

Marco Taddei, Simone Angelini

Anubi vattene

Nel pomeriggio di sabato 16 si tiene un incontro sul fumetto autoprodotto e microeditoria che viene moderato da Gabriele invece che da Maurizio Ceccato che ha dato forfait. Vi partecipano Cristina Portolano, Marco Taddei, il trio Milani, Rocchi e Lanzarini de La Trama, Martoz, Nadia Bordonali e Luigi Filippelli di MalEdizioni.
Purtroppo la chiacchierata avviene in condizioni sfavorevoli, all’interno dello spazio dedicato alla mostra-mercato, tra un laboratorio di lavori in legno, sessioni di videogiochi e nel bel mezzo di un black-out. Nonostante questo, l’incontro è vivace.
Si parla dell’esperienza di ciascuno, di come gli autori abbiano lavorato sia in autonomia che con case editrici più o meno grandi, della libertà creativa garantita dall’autoproduzione sia al creatore che all’editore e di come l’esperienza sia un ottimo modo per conoscere tutti gli aspetti della realizzazione di un libro (utilissimo se poi si vuole mantenere il controllo sull’opera). Viene sottolineato il valore della produzione artigianale, come pure della “propagazione di idee differenti” da parte di un piccolo editore.

Incontro autoproduzioni:

Incontro autoproduzioni: da sinistra Portolano, Di Fazio, Taddei, Rocchi, Lanzarini, Milani

Incontro autoproduzioni:

Incontro autoproduzioni: da sinistra Bordonali, Filippelli, Martoz, Portolano, Di Fazio

Mostra-mercato

La mostra-mercato è il cuore del Festival. Si tiene dal pomeriggio di venerdì 15 alla sera di domenica 17 aprile all’interno dei centralissimi locali dell’ex Upim e ospita non solo i libri e le stampe degli autori in mostra, ma anche quelli di tante realtà di auto e micro-produzione creativa. Lo spazio è piuttosto ampio e ospita anche un angolo videogiochi, il laboratorio di falegnameria e una mini mostra delle stampe della serie Making space di Andy Leuenberger.
Appena si entra si viene accolti dall’attrezzatura del laboratorio di serigrafia di Coffeeshirt, che si occupa di stampare sul momento borse e magliette con il ratto simbolo del festival. È un’ottima occasione per vedere come funziona questa tecnica di stampa, e il telaio di grande formato, preparato per l’occasione per decorare a vivo tutto il fronte di una maglietta, è davvero bello.

Coffeeshirt

Coffeeshirt

Due corridoi di tavoli ospitano autoproduzioni di singoli, collettivi, laboratori e micro editori locali, italiani e anche stranieri. Alcune delle persone presenti con una mostra sono anche qui: Céline Guichard ha diversi libri con le sue illustrazioni, Uomininudichecorrono propongono il loro volume da colorare contornato di lumini.
Io punto sul fumetto e inizio il mio giro.
kuš! ha i suoi librini (antologie e storie singole in inglese, di autori internazionali) nel caratteristico formato A6.
Il gruppo di studenti di Macerata che hanno partecipato alla collettiva Farmafumetto hanno il loro banchetto pieno di scatoline.
Sono presenti alcuni gruppi di giovani autori provenienti dall’Accademia di Belle Arti Bologna: le ragazze di Blanca che fanno bei fumetti per tutte le età (con in consegna la ristampa dell’horror psicologico Habitat di Sorrentino di Canemarcio), gli attivissimi Brace con due nuovi albetti, i Doner Club che ancora non avevo avuto modo di incontrare.
C’è Marta Baroni, che porta avanti da diversi anni Tentacoli, autoproducendo fumetto, illustrazione e oggettistica.
Faccio conoscenza con Serena Schinaia che presenta il bell’albo nuovo Ceniza, e con lo spagnolo Martín López Lam, attualmente a Roma e il mese prossimo a Bologna per un incontro e la mostra Parco Falafel all’interno di BilBOlBul Primavera/Estate 2016.
MalEdizioni di Brescia ha il suo nutrito banchetto di libri a fumetti, prosa e poesia, mentre Martoz rappresenta la rivista Crisma del gruppo Lab. Aquattro e del centro sociale La Torre di Roma.
Il banchetto di Gabriele (ovvero il signor Just Indie Comics) è atipico ma benvenuto, portando in Italia fumetto indipendente americano. Ma se siete qui a leggere già lo sapete.

Ratatà mostra-mercato

Ratatà mostra-mercato

La mostra-mercato di Ratatà è una buona vetrina di autoproduzioni. Ci sono fumetti di ogni formato, da albetti fotocopiati di poche pagine a volumi in offset stampati in tipografia. L’illustrazione viene proposta sotto forma di poster e libri stampati artigianalmente o in digitale, ma anche di cartoline e oggettistica.
È il tipo di mercato dove si compra direttamente dai produttori o tutt’al più dai loro amici, si può parlare e stringer loro la mano, farsi fare un autografo o una dedica.
Si incontrano persone impegnate nella creatività, si trovano oggetti, immagini e storie altrimenti difficili da incontrare e reperire, ampliando gusti e idee.
Mi ha fatto quindi molto piacere vedere un bel movimento di persone di tutte le età che chiaramente vedevano qualcosa di nuovo: perplessi, incuriositi, entusiasti. Spero anche che gli studenti delle locali scuole d’arte e illustrazione abbiano colto questa bella opportunità.

Grazie a organizzatori e volontari del Festival Ratatà, a Gabriele e a Nicola.

Misunderstanding Comics #4

Come promesso nella precedente puntata di questa rubrica, torno a scrivere di un po’ di fumetti che mi sono stati inviati/consegnati dai lettori di Just Indie Comics. Si tratta di una selezione del materiale che ho trovato più interessante, perché purtroppo non ho davvero il tempo di occuparmi di tutti e tutto. Ci aggiungo Hax di Lale Westvind, uscito già da un po’ per Breakdown Press ma che ci tengo a recuperare. Terrò questa volta fede al titolo della rubrica parlando di tutto con estrema brevità, me ne scuso con gli interessati e con voi che leggete.

NOTA: Alcuni di questi fumetti potrebbero essere in vendita nel negozio on line di Just Indie Comics. In questo caso il link sul titolo vi porterà direttamente alla relativa pagina del negozio. I miei giudizi cercheranno di essere comunque obiettivi, ammesso che ciò sia possibile. Buona lettura. 

 

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Iniziamo proprio da Hax, ennesimo pirotecnico esperimento di un’artista che è una delle voci più originali nel fumetto contemporaneo, espressione di una sensibilità altra che oserei definire ballardiana per come lavora sull’incontro/scontro tra corpi e macchine, oltreché sui concetti di movimento, velocità, azione. Ossessiva nel riproporre temi, immagini, contenuti come lo è per esempio lo spagnolo Gabriel Corbera, la Westvind realizza con Hax un esperimento coloratissimo che sfrutta appieno, come è ormai tradizione in casa Breakdown, le sovrapposizioni di colori tipiche della stampa in risograph. Il riferimento più immediato è il video che l’artista di Brooklyn ha realizzato per The Metal East dei Lightning Bolt, un viaggio bidimensionale che sembra la versione animata di Mad Max: Fury Road. Anche Hax è un viaggio ma il tono è più algido rispetto al video. La storia si dispiega muta e misteriosa per 24 densissime pagine in cui tre o anche più personaggi femminili affrontano prove e battaglie in uno scenario di guerra, con esplosioni continue, aerei che volano, macchine luccicanti.

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Alla fine arrivano in un museo, appare un telefono e dall’altro capo della linea c’è un minaccioso signore della guerra vestito di nero. La trama è labile, siamo più dalle parti di un trip psichedelico ricco di associazioni di idee. Eppure viene voglia di sfogliarlo e risfogliarlo per afferrare sempre nuovi dettagli e possibili interpretazioni. Bellissimo.

 

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Psichedelico anche se di tutt’altro genere è il secondo numero di Abyssal Yawn di Bill Wehmann e Ed Steck, autoprodotto sotto il marchio Pacific Reverb Society. Se volete farvi un’idea del tono e delle tematiche di questa saga cosmica vi rimando alla mia recensione del primo numero, qui mi limito a segnalarvi l’uscita, dopo due anni di attesa, del secondo capitolo delle avventure di Birch Twig (“un Silver Surfer con trecce rasta e senza slip né misteriosi vuoti in mezzo alle gambe”, autocit.) e del cane parlante Max, pronti finalmente a dare battaglia alla malvagia Mother Sky Corporation. Abyssal Yawn continua a intrigare per la prosa ricca e pomposa di Steck, che rimanda alle saghe kyrbiane, e per l’approccio visionario. Se il primo numero era ambientato su un pianeta frutto della proiezione mentale di Max, in questa seconda uscita i due protagonisti entrano in un wormhole già a pagina tre e devono affrontare delle versioni alternative di se stessi.

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Niente è come sembra da queste parti, nemmeno nello spazio, e la dimensione fantascientifica è innanzitutto mentale. Il disegno volutamente “zozzo” di Wehmann, la colorazione da saga cosmica made in Marvel, i riferimenti socio-politico-ambientalisti e i personaggi da cartoon fanno il resto, creando un ibrido difficilmente definibile, al tempo stesso saga cosmica e parodia di se stessa.

 

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Torniamo decisamente sulla terra con un fumetto autobiografico, First Weeks della polacca Anna Krztoń, che avevo già notato su SW/ON #2 per un bel contributo graficamente arzigogolato. Ho seguito pian piano la sua crescita tra albi autoprodotti e contributi a varie antologie internazionali e credo che questo First Weeks, mini-comic in bianco e nero uscito a gennaio in 100 copie, sia la sua cosa migliore fino a oggi. Lo stile naif sintetizza perfettamente l’anima astratta e quella figurativa dei precedenti lavori dell’autrice, rappresentando con essenzialità ma anche con poesia le sue prime settimane a Varsavia. Siamo dalle parti di John Porcellino e dei comics-as-poetry per capirci, con un approccio diaristico che non è mai didascalico ma cerca sempre la poesia nel quotidiano. E alla fine della lettura rimane un pizzico di malinconia, segno che l’autrice ha centrato l’obiettivo. Di seguito qualche tavola per rendere meglio l’idea.

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L’albetto è ovviamente in inglese e per richiederlo potete scrivere a krztonia@poczta.onet.pl. Oppure aspettare che arrivi nel negozio on line di Just Indie Comics, cosa che spero accada al più presto.

 

Ceniza 1

Se First Weeks lascia un senso di malinconia, Ceniza/Cenere di Serena Schinaia restituisce un senso di abbandono come pochi fumetti riescono a fare. E ci riesce in sole 16 pagine e poche, pochissime parole. Anche qui il fumetto è poesia e il riferimento più prossimo è l’ermetismo. D’altronde la Schinaia aveva già dimostrato in Deriva, albo autoprodotto che raccoglieva le sue storie brevi, di prediligere una scrittura fatta di frasi essenziali ma pregne di significato, lasciate a mò di didascalia sotto disegni carichi di un bianco e nero intenso. Ceniza/Cenere sviluppa questo stile in qualcosa di nuovo e diverso. Il tratto è più definito, la linea regolata e meno spigolosa, il bianco e nero viene abbandonato a favore del blu e del grigio.

Ceniza 2

A dialogare sono due piani temporali, il presente e il passato, il primo caratterizzato da una partenza, e quindi dalla malinconia, il secondo da un addio, e dunque dal dolore. E solo il fumetto può unire con tale sintesi e brevità emozioni così complesse, in quella che è una storia essenzialmente sull’andare avanti lasciandosi alle spalle non solo le difficoltà ma anche le proprie radici. Bellissima anche l’ambientazione, con il paesaggio vulcanico, il villaggio, le sue strade, i pali della luce, i pescatori. L’albo è pubblicato dalle Ediciones Valientes di Martin López Lam, in spagnolo e italiano. Ne trovate qualche copia nel mio negozio on line, e credo che al momento sia l’unica distribuzione italiana.

 

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Concludo questa rassegna parlando di Rhizome, antologia spillata in risograph con testi in francese pubblicata dai belgi de La Boîte À Zines, in cui ogni numero trovano spazio gli artisti del collettivo più un ospite speciale. Dopo averne curiosamente spiato le vicissitudini on line, ho infine messo le mani sull’undicesima uscita, ormai risalente a un paio di mesi fa, che sceglie come tema un’immagine (una luce rossa nella neve, rappresentata in copertina) ispirata a un haiku di Michel Onfray  (Un feu rouge/Dans un chaos de flocons/Soleil miniature) dando luogo a interpretazioni molto diverse tra loro. A spiccare, almeno da quanto ho capito grazie al mio francese tutt’altro che perfetto, sono i contributi di Antoine Houcke con Vacuité, una storia ricca di immagini suggestive e squisitamente meditativa, di Gilles T con Cassandra, il fumetto più sghembo del lotto con il suo mix di fantasy postmoderno e ironia, dell’ospite Blaise Dehon con Hors les clous, quattro fascinose pagine mute che illustrano un vagabondaggio per le strade della città sovrapponendo una figura umana in rosso alle vignette in blu. Gli altri contributi sono di Didier Vander Heyden ed Emilie Maidon. Nel frattempo vi segnalo che è già uscito il dodicesimo numero, che vede come ospite la finlandese Anna Sailamaa.

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“š!” #24 + “mini kuš!” #38-41

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In uno dei miei Best Of del 2015 avevo incluso š! #23, un’uscita particolare dell’antologia lettone, che rompeva il tradizionale canovaccio per raccontare con cinque storie più lunghe e impegnative del solito il tema delle vittime del nazismo. Chiusa quella parentesi si torna all’antico con un nuovo numero, introdotto da una bella cover di Līva Kandevica e contenente oltre venti fumetti brevi di artisti internazionali, questa volta sul tema Urban Jungle. Se il tono generale di questi volumetti formato A6 è giocoso, estemporaneo, ironico, personalmente mi diverto sempre a cercare in ogni numero di š! qualche voce off, che sia grezza, meditativa o astratta. Per esempio in una delle uscite più recenti, quella dedicata al tema Fashion (š! #22), c’erano i contributi di Hetamoé e Léo Quievreux a spiccare su tutti per il modo in cui rileggevano il tema “fashion” come fascinazione legata ai corpi e alla carne. E la stessa Marie Jacotey, che curava la copertina e firmava la storia di apertura, è una cartoonist piacevolmente atipica, dato che il suo stile a matita nasconde sotto la facciata rassicurante una spigolosità sia nel tratto che nel contenuto.

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Abraham Diaz

Quali sono  dunque le voci off di questa nuova uscita? La mia preferenza va senz’altro ad Abraham Diaz, cartoonist messicano classe 1988 di cui sentirete riparlare su Just Indie Comics a proposito del suo Suicida #1. Diaz ha un tratto cartoon scombinato come piace a me e disegna personaggi dalle teste enormi e dalle espressioni tra lo stupido e l’incazzato. Le sue tavole sono piene di righe che vanno per conto loro, di colori che non riempiono mai del tutto lo spazio, di un lettering sgraziato che racconta vicende ironiche e assurde. Esteticamente alieno rispetto al resto è anche G.W. Duncanson, con un bel contributo pittorico in stile urban art, bianco e nero intenso fatto di graffiti, metropolitane, grattacieli: è questo uno di quei fumetti che mi piacerebbe rivedere un giorno in un formato più grande.

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G.W. Duncanson

Sia Diaz che Duncanson sono al debutto sulla rivista, segno che gli editor David Schilter e Sanita Muižniece hanno successo nel ricercare nomi nuovi da aggiungere a quelli abituali. Il che è confermato da altri due debuttanti, più in linea con il tono generale dell’antologia ma non per questo meno interessanti. Mi riferisco in primis a Sami Aho del collettivo finlandese Kutikuti, con un tratto cartoon (ma più armonico rispetto a quello di Diaz) e colori sparatissimi: Fooled Again ricorda esteticamente il lavoro di Anya Davidson ed è un esempio di storia breve divertente e compiuta con un bel feeling underground d’altri tempi. E poi c’è la belga Mathilde Van Gheluwe di Tieten met Haar, con colori acquerello caldi, uno stile affascinante che ricorda l’altro fiammingo Brecht Evens e uno storytelling preciso ed efficace. Non mancano comunque contributi interessanti anche da parte di qualche habitué: penso soprattutto a Dace Sietiņa, il cui stile in costante crescita è sempre più vicino esteticamente all’arte russa degli anni ’50-’60, ad Amanda Baeza che per una volta abbandona la geometria per un bel contributo figurativo in bianco e nero, a Jean de Wet che conferma quanto di buono già aveva fatto vedere nel mini-kuš! #20 (ne parlavo qui).

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Mathilde Van Gheluwe

E a proposito di mini-kuš!, il 17 marzo scorso ne sono usciti altri quattro, tutti di artiste donne. Ne approfitto per darvi una rapida occhiata, a partire dal #38, Three Sisters di Ingrīda Pičukāne, storia appunto di tre sorelle che trovano un uomo nudo in mezzo alla foresta, probabilmente ubriaco. Le donne parlano in francese, l’uomo in russo. E non ci sono sottotitoli, cosa che rende l’albetto un oggetto alieno, una favola moderna che si sviluppa tutta in orizzontale, lasciando i bordi superiore e inferiore della pagina in bianco, in modo da ritagliare una cornice dove raffigurare la coloratissima foresta con un effetto mosaico. Il dualismo femminile/maschile è qui più contrasto che dialogo e la rappresentazione delle protagoniste è quasi esplosiva, con i loro occhi grandi e una sensualità raffinata e intensa. Potremmo quasi opporre questo stile “caldo” e dionisiaco alle atmosfere algide e rigorose del mini-kuš! #40 di Hanneriina Moisseinen. 1944 racconta, come suggerisce il titolo, un episodio di guerra e precisamente l’evacuazione della Carelia, che la cartoonist finlandese mette in parallelo con il parto di un animale, rappresentando la crudeltà della natura e della guerra insieme. Alla storia lineare, seppur a modo suo brutalmente poetica, manca l’impennata decisiva e le matite della Moisseinen sono gradevoli ma troppo didascaliche per i miei gusti.

Tara Booth

Tara Booth

mini-kuš! #39 e #41 sono entrambi senza parole e sono per me anche i migliori del lotto. Il primo è opera dell’americana Tara Booth, che ha fatto il suo debutto nella famiglia lettone proprio su Urban Jungle. Tipica storia di “a day in the life”, Unwell è tutto tranne che ordinaria. La protagonista si risveglia al fianco di un improbabile hipster, sgattaiola via non prima di avergli vomitato nella toilette, inforca la bicicletta, ripensa a quando ha messo gli slip in testa all’amante, dipinge un quadro letteralmente con il culo, esce di casa con il cane, incontra un maniaco in un parco, si ubriaca di nuovo… Non vi svelo il finale ma tutto funziona alla perfezione in questo divertentissimo fumetto che potrebbe sembrare un film muto, disegnato con uno stile patchwork da cartone animato alla South Park e con un bell’uso del colore. La pagina è completamente al servizio della protagonista e dei suoi movimenti, tanto che la scansione in vignette è spesso rotta dai suoi movimenti in verticale. Consigliatissimo, proprio come il mini-kuš! #41, in cui ammiriamo una Aisha Franz in versione technicolor disegnare i contorni di un futuro-non-così-futuro tecnologico, tra droni, identità sessuali cangianti, macchine del piacere. Meno narrativo rispetto al lavoro della Booth, EYEZ punta tutto sull’approccio visivo e su un disegno semplificato rispetto ai lavori precedenti della Franz, che in questa versione iper-pop affascina non poco.

Aisha Franz

Aisha Franz

Per maggiori dettagli sulle nuove uscite e qualche immagine in più vi rimando al blog e al sito di kuš!, ricordandovi che l’editore lettone sarà ospite al Ratatà Festival del 14-17 aprile a Macerata, con un banchetto dove troverete tutte le pubblicazioni e una mostra dedicata alle artiste lettoni Anna Vaivare, Ingrīda Pičukāne, Līva Kandevica e Zane Zlemeša.

“Generous Bosom” #1-2 di Conor Stechschulte

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Ho parlato più volte di Conor Stechschulte su Just Indie Comics ma senza entrare finora nei dettagli. Sin dall’edizione autoprodotta di The Amateurs, Stechschulte mi ha colpito per la potenza e l’integrità del suo stile, in quell’occasione al servizio di una storia ironica e brutale al tempo stesso, quella di due macellai che all’improvviso dimenticano come fare il proprio mestiere. Ristampato da Fantagraphics, The Amateurs è uno dei fumetti migliori degli ultimi anni ma è in realtà soltanto un tassello di una produzione che si conferma passo dopo passo eccelsa, dalle storie brevi pubblicate sulle antologie del collettivo Closed Caption Comics, di cui Stechschulte è stato uno dei principali animatori, ad albi autoprodotti come gli splendidi The Dormitory e Glancing, quest’ultimo interamente realizzato con l’acquerello. Non c’è dunque da stupirsi se l’autore statunitense, che di recente ha vissuto tra Baltimora e Chicago, è stato messo sotto contratto dall’inglese Breakdown Press, attentissima a quanto di meglio arriva dagli Stati Uniti e non solo.

 

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Aperto da una citazione di Abe Kobo (“The night is not an invited guest but rather the air that fills this room”), il primo numero di Generous Bosom inizia con una pagina a quattro vignette orizzontali, le prime due segnate da un intenso tratteggio blu a matita volto appunto a raffigurare la notte, il buio e la pioggia, le altre due in cui la pioggia si assottiglia e lascia spazio alla cornice del racconto, il protagonista di spalle seduto in un bar, il cellulare in una mano e un foglietto di carta nell’altra. Lui è Glen, che mesi prima di stare in quel bar, di ritorno da un matrimonio in una notte buia e tempestosa, ha bucato due gomme in un colpo solo davanti alla casa di Art e Cyndi, marito e moglie, lui molto più avanti con gli anni di lei. Art lo invita a entrare e persino a passare la notte lì, ma basta poco perché dalla gentilezza si passi a quel senso di stranezza, di inquietudine, di disagio che è tipico dei fumetti di Stechschulte e che trasuda dalla pagina fino a entrare nel tessuto nervoso del lettore. Ecco appunto che la notte entra nella stanza, diventa aria e dà il via a una strana situazione tra i tre personaggi che culmina in una delle scene di sesso più realistiche mai viste in un fumetto, 13 tavole su una griglia fissa di otto vignette, sfondo sporcato di blu, tanti primi piani con i volti dei protagonisti presi dalla paura e dall’imbarazzo più che dall’eccitazione. Gli sguardi, le espressioni, le inquadrature riescono a esprimere alla perfezione quel senso di desiderio misto a imbarazzo che si trovava già in Glancing, una storia muta in cui i rapporti tra i tre protagonisti, intenti a fare un bagno di notte, erano raccontati semplicemente attraverso i loro occhi.

In Generous Bosom #1 Stechschulte sfrutta appieno le potenzialità della stampa in risograph, alternando pagine su sfondo bianco, in cui il disegno è di solito in blu e a volte anche in marrone, ad altre tratteggiate e riempite di un intenso blu a matita, in cui la rappresentazione della pioggia e del vento è sorprendentemente simile agli scenari di Flowering Harbour di Seiichi Hayashi, uscito sempre per Breakdown. Soltanto il flashback delle due pagine centrali è in verde, che invece sarà il colore dominante del numero successivo (per un resconto dettagliato sulla realizzazione di Generous Bosom date un’occhiata a questo post sul Tumblr della Breakdown Press).

 

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Generous Bosom #2 esce nel novembre del 2015 ed è ancora stampato in risograph. Ambientato mesi dopo il primo episodio, ne segue i diretti e inquietanti sviluppi, che sembrano tutto fuorché coincidenze. D’altronde già alla fine del numero precedente Glen aveva sentito Art e Cyndi parlare di un “piano” e anche il lettore aveva avuto gli strumenti per capire, sin dalle primissime pagine, che la sosta del protagonista a casa della coppia non era dettata dal caso. Adesso però si va oltre, perché se inizialmente Glen deve misurarsi con le conseguenze di quanto accaduto nel primo episodio, il finale ribalta ogni nostra possibile convinzione, introducendo nuovamente il tema del controllo che era centrale in The Dormitory. E torna anche quel senso di voyeurismo costante che aleggia nei fumetti di Stechschulte, con il lettore che si trova a guardare personaggi che guardano altri personaggi, come nella scena del VHS mostrato da Art a Glen, con qualche difficoltà tecnica (dove trovare un videoregistratore, oggi?) che spezza con il solito humor nero le atmosfere lynchiane del racconto (soprattutto Lost Highways mi sembra qui una chiara fonte di ispirazione, ma anche il cinema di Brian De Palma è senz’altro un’influenza). Il confine tra “realtà”, “piano” e “messa in scena” è sempre più labile e l’identificazione del lettore con Glen – spaesato, confuso ma a tratti anche eccitato – è totale.

 

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Mentre buona parte dei dialoghi si svolgono come nel numero precedente su sfondo bianco, le soluzioni grafiche e di stampa più raffinate sono riservate ai flashback, in cui Stechschulte riesce a dimostrare la sua tendenza a raccontare con le immagini ancor più che con i testi. L’autore si concentra in questo secondo episodio sul passato di Art e Cyndi, in una serie di scene dominate da un tratteggio verde per lo più diagonale e dai toni del blu, creando un effetto onirico, che alla scena principale sovrappone corpi e volti, come se fossero fantasmi. E quando vengono descritti i primi incontri tra i due, l’uomo è appunto un fantasma, dato che il suo volto –  di solito tondeggiante, delineato di volta in volta da un sorrisetto sardonico, dalla bocca spalancata e da marcate espressioni facciali – diventa indefinito, cancellato dai raggi del sole e forse anche dal desiderio, da parte della moglie, di dimenticare il passato. Quando non c’è Cyndi riusciamo invece a vedere Art in un flashback cronologicamente più vicino agli eventi narrati, in cui si scoprono le sue abilità di ipnotista, con tutta probabilità rilevanti nel prosieguo della storia. Se Generous Bosom #1 è compatto, strutturato, denso come già erano i precedenti fumetti di Stechschulte, il seguito esce da questi schemi perfetti e controllati aggiungendo divagazioni, fughe, assoli e trasformando così quella che finora era una riuscitissima canzone in una suite polifonica e sperimentale. Con Generous Bosom #2 l’autore alza l’asticella e sfida se stesso a creare qualcosa di più complesso. E soltanto le prossime uscite – la vicenda dovrebbe svilupparsi almeno per un paio di altri albi – potranno dirci se il tentativo è riuscito.

Mi capita spesso di chiedermi cos’è che rende certi fumetti migliori rispetto ad altri e la risposta è ovviamente di volta in volta diversa, a seconda delle cose lette di recente, del momento, dell’umore. Ma una delle risposte che mi do più di frequente è che, quando si parla di fumetti che vogliono raccontare una storia (e non è detto che i fumetti debbano sempre farlo), hanno una marcia in più quelle opere in cui ogni mezzo (testi, disegni, stampa, ecc.) contribuisce con la stessa dignità alla creazione di un unicum compatto e indivisibile. E Generous Bosom appartiene senz’altro a questa categoria.