Misunderstanding Comics #6

Di acqua ne è passata sotto i ponti dall’ultimo appuntamento con questa rubrica, anche perché ultimamente la costanza non è il mio forte. Ho purtroppo trascurato tanti fumetti di cui mi sarebbe piaciuto scrivere per bene, come Puke Force e Atrophy Life di Brian Chippendale, Dream Tube di Rebekka Dunlap, Kramers Ergot #9 e altri ancora: cercherò di recuperare i più meritevoli nel consueto Best Of di fine anno. Ora veniamo all’attualità, con tre uscite relativamente nuove e una che sta per arrivare in Italia. Il tutto, ovviamente, senza dovizia di particolari.

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Iniziamo da Exits, prima opera sulla lunga distanza di Daryl Seitchik, per me uno dei libri più attesi di questo 2016 data la mia quasi ossessione per la serie Missy, vista on line e su alcuni albetti usciti per Oily Comics e autoprodotti: ne avevo parlato brevemente in questo reportage sui fumetti della Small Press Expo 2014, per poi inserire Middle School Missy e Missy #3 rispettivamente nei miei Best Of del 2014 e del 2015 (ok, è vero, ho la fissa delle liste e sono anche un fan di Alta fedeltà). Exits esce per Koyama Press ed è un volume di oltre 200 pagine, distanza inusuale per una cartoonist giovane e che aveva finora lavorato su fumetti brevi se non addirittura estemporanei. Eppure le attese non vengono assolutamente tradite, perché Exits, pur riproponendo le tematiche e le simbologie care all’autrice, ribalta quanto fatto finora a livello estetico. Se in Missy l’alter ego della Seitchik dominava totalmente la scena, qui il personaggio principale è sempre una ragazzina, che però diventa invisibile dopo poche pagine, dando vita a soluzioni grafiche del tutto diverse rispetto al passato.exits-csgnor9xgaec3gi

Alla base c’è sempre quel malessere esistenziale che stride con la rappresentazione dei personaggi, soluzione costante nei fumetti della Seitchik e capace di creare un indissolubile quanto irresistibile mix di inquietudine e ironia. E c’è anche una complessità che prima mancava, perché se Missy era un fumetto apparentemente semplice (cosa ribadita anche da Leslie Stein in quarta di copertina), qui l’essenzialità è lasciata da parte per dar vita a un lavoro maturo e ricco di sfaccettature. Poi è vero, non tutto funziona al 100% e qua e là c’è qualche momento un po’ più debole degli altri, ma Exits rimane comunque un lavoro di ottima fattura.

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E’ un bell’anno questo per chi ama Charles Burns, perché oltre ad aver visto in Italia la pubblicazione di Sugar Skull, contenente la straordinaria conclusione della trilogia ormai conosciuta come Last Look (dal titolo della raccolta pubblicata di recente negli Stati Uniti), è anche ricco di progetti collaterali. Dopo lo sketchbook Incubation edito dalla Pigeon Press del compianto Alvin Buenaventura (ne avevo parlato qui), sono infatti in arrivo Vortex e Love Nest, due nuovi artbook pubblicati in Francia da Cornelius e al centro di una mostra inaugurata da qualche giorno alla Galerie Martel di Parigi. Nel frattempo sempre oltralpe Le Dernier Cri dà alle stampe Free Shit, raccolta dei numeri dell’omonima fanzine che Burns si è autoprodotto nel corso degli anni per regalarla ai festival o in privato. Quando sono andato alla Small Press Expo nel 2014, Burns presentava Sugar Skull e volevo quasi chiedergli se avesse con sé delle copie di Free Shit, dato che avevo visto in rete i post di qualche fortunato che se l’era procurata in occasioni simili. Ma sia l’eccessiva fila necessaria per ottenere una dedica che la stranezza della domanda che mi accingevo a fare (Scusa Charles, hai un po’ di merda gratis?) mi distolsero dal proposito. Comunque, facezie a parte, questo volumetto di piccolo formato rilegato con la solita cura mette insieme svariati schizzi, disegni e anche collage ispirati ai temi più disparati. Tra un profilo tipicamente burnsiano in prima di copertina e un’insolita composizione floreale in quarta, troviamo materiale che va dalla fine degli anni ’90 a oggi.

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Ci si vedono tracce di Black Hole (una rana vivisezionata, una donna con la coda, ecc.), il solito repertorio da b-movie, inevitabili tracce di romance comics, uno “special literary issue” composto soltanto da testi scritti a mano, pin-up di personaggi secondari della Marvel, un ritratto di William Burroughs e tanto altro. Pian piano che si va avanti gli schizzi e i disegni di prova dell’ultima trilogia diventano sempre più preponderanti, anche se non mancano comunque altre perle che mostrano tutta l’estensione di un immaginario affascinante e coerente. Free Shit è ancora più interessante del solito perché raccogliendo materiale realizzato nel corso di oltre 15 anni offre anche una storia involontaria della creatività di uno dei maggiori autori contemporanei di comics.

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La celebre fanzine di Aaron Cometbus, in cui il musicista e scrittore di estrazione punk tratta da ben 35 anni dei più svariati argomenti, dedica il suo 57esimo numero alla scena fumettistica newyorkese, con una serie di interviste a cartoonist e altre figure che popolano quel mondo: si va da Adrian Tomine al curatore della serie The Best American Comics Bill Kartalopoulos, da Gary Panter al proprietario di Desert Island (e organizzatore del Comic Arts Brooklyn) Gabe Fowler. E poi ci sono Gabrielle Bell, Robin Enrico, Jeffrey Lewis (autore anche della copertina), Julia Wertz, Ben Katchor, Paul Levitz, Drew Friedman, Karen Green, Kim Deitch e Al Jaffee, mentre Nate Powell firma i ritratti di tutti gli intervistati. Ne viene fuori una lettura frizzante che offre un quadro non solo del fumetto ma anche della scena artistica di New York nei suoi risvolti più umani e pratici, come il costo degli affitti, i punti di ritrovo, i rituali di “accoppiamento” dei cartoonist, le gelosie tra artisti e via dicendo. Cometbus non ha peli sulla lingua e con il suo handwriting mette giù una serie di domande anche intime e a volte scomode, senz’altro divertenti per il lettore che si trova sotto gli occhi non la solita intervista in cui si parla soltanto della formazione, delle fonti di ispirazione, della tecnica utilizzata e via dicendo. Inoltre credo proprio che i continui riferimenti alla storia della città, alla scena musicale e al mondo letterario possano rendere questo Cometbus #57 una lettura interessante non solo per i fumettofili ma anche per gli appassionati di cultura americana. Se poi amate i comics, è una roba assolutamente da non perdere.

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Infine faccio una concessione a un volume pubblicato già da qualche mese da Drawn and Quarterly ma che è una novità dell’ultim’ora qui in Italia, dato che sta arrivando in libreria per Coconino Press. Si tratta di Beverly, raccolta di sei storie brevi di Nick Drnaso vagamente collegate tra loro, che l’editore definisce “un affresco sommesso e disperato di vita nei sobborghi di una metropoli americana”. Rob Clough, in questa approfondita recensione che vi consiglio di leggere, paragona invece questi fumetti al cinema di Todd Solondz, riferimento che rende l’idea anche se Drnaso è spesso più misurato del regista di Happiness nella messa in scena, caratterizzata da uno stile volutamente flat e monocorde in tutti i suoi aspetti, dalla linea alla rigida suddivisione in vignette fino ai colori. Certo, se le iniziali The Grassy Knoll (già uscita come mini per la Oily Comics) e The Saddest Story Ever Told lavorano di fino mostrando senza clamori meschinità nascoste, razzismo, ipocrisia e vuoto esistenziale, la successiva The Lil’ King pigia sull’acceleratore raccontando dell’insana passione di un ragazzo per sua sorella e dei suoi sogni di sterminio quasi globale. Ma anche in questo caso il sensazionalismo è nascosto da un senso della misura così discreto da risultare disturbante, anche perché al centro di tutto c’è una tematica che solo così si può raccontare, ossia la difficoltà di avere relazioni sociali “normali”. Il volume aumenta di livello pagina dopo pagina e le tre storie che ne compongono la seconda parte – Pudding, Virgin Mary, King Me – ci mostrano un autore pienamente consapevole dei suoi mezzi, in grado di confezionare un debutto appassionante e del tutto maturo a soli 27 anni. Non fatevelo scappare.

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“Christmas in Prison” di Conor Stechschulte

Se non avete niente di meglio da fare e siete fedeli lettori di Just Indie Comics, sapete già che Conor Stechschulte è uno dei miei cartoonist preferiti di oggi. Il suo The Amateurs è una pietra miliare del fumetto contemporaneo (l’ho inserito nel mio Best of 2014) e la serializzazione di Generous Bosom per Breakdown Press ha già fornito motivi di meraviglia e interesse (per sapere quali potete leggere la mia recensione).

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Nonostante la pubblicazione per case editrici affermate nel panorama del fumetto alternativo, Stechschulte continua a essere un sostenitore dell’autoproduzione, in quanto concepisce il fumetto come un medium fortemente legato ai processi di stampa. Christmas in Prison è finora la sua fatica più impegnativa in questo campo, un volumetto 18×14 cm di 96 pagine realizzato in una molteplicità di tecniche diverse (risograph, serigrafia, offset) e rilegato a mano. L’oggetto già di per sé varrebbe la spesa ma il contenuto è ancora più interessante per molteplici motivi, a partire dal fatto che conferma Stechschulte come un autore con una propria poetica, capace di creare un universo di temi e contenuti.

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All’interno troviamo “pezzi” più che “storie”, dato che a volte il messaggio non è propriamente narrativo e l’interconnessione tra ciascuno di essi, basata sul meccanismo della ripetizione, fa pensare a un LP più che a un’antologia di fumetti o racconti. Prendiamo come esempio le pagine iniziali. Una mano sfoglia un libro, che mostra due volti umani che nella vignetta successiva si fondono tra loro. Ecco dunque una casa con una finestra illuminata, la stessa casa in mezzo al mare con una sagoma all’interno (solo una delle tante silhouette in questo libro), il mare alla luce della luna, nuvole, la figura di un uomo sovrapposta ai rami di un albero, ancora alberi, corpi, uomini, case, una lampada da scrivania, di nuovo il libro, le mani, una figura che barcolla in mezzo al verde, le mani che da eteree e indefinite arrivano a mostrare linee e pieghe. Sarebbe sbagliato ridurre tutto ciò a libere associazioni di idee, sotto c’è un contenuto che va al di là della logica, che parla al nostro emisfero destro, che è sogno, poesia, musica, improvvisazione ma anche rappresentazione di un processo, performance più che fumetto.

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Il tema del libro e della metanarrazione torna più volte, come tornano il voyeurismo, il controllo, il continuo senso di inquietudine, la solitudine, il dualismo uomo/natura, l’acqua come luogo di mistero, novità, rinascita. Christmas in Prison (o The Many Ways of Doing and the Wrong Way That It’s Done, come viene ribattezzato sul dorso) è così un’opera autonoma, con una fortissima coerenza interna, ma anche una sorta di campionario di sperimentazioni con cui Stechschulte ha arricchito o arricchirà le opere propriamente narrative. E la stessa dinamica era già presente in autoproduzioni come Wather Phase, Lurking/Nocturners, Mountain Comic. Certo, mai il cartoonist statunitense aveva mostrato in passato una tale forza nello sperimentare e nel proporre qualcosa di così organicamente rivoluzionario. E a confermarlo ecco la parte finale del volume, una lunga storia su voyeurismo, percezione e consapevolezza raccontata da una donna immersa nell’acqua e che affonda le radici sin nella letteratura ottocentesca. E’ questo l’episodio più tradizionalmente narrativo del lotto, ma la linearità apparente nasconde mille interrogativi, espressi prontamente nelle pagine conclusive, in cui i balloon rubano la scena al figurativismo con domande esistenziali di un’intensità sempre crescente.

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Se siete interessati a Christmas in Prison, ne trovate ancora qualche copia nel negozio di Just Indie Comics. Oppure potete ordinarlo direttamente dal sito dell’autore.

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Comic shops of the world: The Beguiling

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Avete presente il faro di Hicksville, dove è custodita una collezione di fumetti così imponente da comprendere opere mai pubblicate di autori come Jack Kirby, Harvey Kurtzman e Wally Wood? Beh, The Beguiling è il posto più simile a quell’immensa biblioteca che mi sia capitato di vedere finora. Non che io vi abbia trovato, come succedeva al protagonista della storia di Dylan Horrocks, un fumetto di Federico García Lorca e Pablo Picasso, però di materiale oscuro e di difficile reperibilità il negozio di Toronto è pieno. L’ho visitato ormai qualche mese fa in occasione del Toronto Comic Arts Festival, un evento che il proprietario Peter Birkemoe, insieme al manager di The Beguiling Christopher Butcher, ha contribuito a organizzare sin dalla fondazione nel 2003. E ho avuto l’occasione di passarci diverse ore, anzi, la prima volta quasi l’intero orario di apertura tante erano le cose da cercare, guardare, sfogliare.

Ma andiamo con ordine. L’interno è sviluppato su due piani. Nel primo ci sono in evidenza tutte le novità nell’ambito del fumetto indie, alternativo e d’autore: appoggiati sui banconi centrali si trovano dunque le ultime uscite di case editrici come Fantagraphics, Drawn & Quarterly, Koyama Press, Conundrum Press, Retrofit Comics, Alternative Comics, Space Face Books, Landfill Editons, Breakdown Press e via dicendo.

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Su una lunga serie di librerie sono invece appoggiati i libri e gli albi del catalogo, divisi in ordine alfabetico per autore: è questa la parte più interessante, con tante rarità che fanno parte da tempo della collezione del negozio o che vengono acquisite da appassionati e collezionisti privati. Eccovi un po’ di foto, con qualche scaffale e alcuni pezzi pregiati, scelti un po’ per passione personale, in parte su consiglio di Birkemoe e anche un po’ a caso.

Tra la B e la C, con Charles Burns ed Eddie Campbell in primo piano

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Tra i vari titoli estraggo questo Burns edito da Le Dernier Cri e ormai di non facile reperibilità

Il "Multi-Story Building Model" di Chris Ware, l'angolo Will Eisner e, in alto, uno scorcio di Italia con "Lontano" di Gabriella Giandelli edito da Canicola

Il “Multi-Story Building Model” di Chris Ware, l’angolo Eisner e, in alto, “Lontano” di Gabriella Giandelli edito da Canicola

Ancora Ware con "Acme Novelty Library" #1

Ancora Ware con “Acme Novelty Library” #1

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Non è rarissimo ma fa sempre piacere vedere un “Lloyd Llewellyn” #1

“Optic Nerve” di Adrian Tomine prima della Drawn & Quarterly

“Funny Animals” #1 del 1972

“American Splendor” #1, 1976

Oltre a questi titoli potrei citarne a memoria tanti altri, come diversi numeri di Raw, qualche Gary Panter d’annata, Multiforce di Mat Brinkman, varie pubblicazioni dell’era d’oro dell’underground, vecchie raccolte di newspaper strip e via dicendo. Una serie di espositori sono invece dedicati a mini-comics, comic book e riviste, con una selezione che ben rappresenta la “scena” del momento. E non tutto riesce a trovare spazio in negozio. Quando infatti mi è capitato sott’occhio un numero di Internet Comics di Maré Odomo pubblicato qualche anno fa dalla Sacred Prism, mi è venuto in mente che tra quegli albetti mi mancava l’ultima uscita, cioè Kickfoot, uno spillato di 16 pagine del collettivo norvegese Dongery uscito nel 2014. Quando ne ho chiesto notizie a Geneve, una delle ragazze che lavorano a The Beguiling, è andata in magazzino e nel giro di due-tre minuti è tornata con l’albo in mano….

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Inoltre è doveroso citare la sezione dei libri di illustrazione, quella delle antologie e la ricca selezione di titoli francofoni e giapponesi, con diverse rarità in lingua e di importazione.

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“Garo” #111, novembre 1972

Se il piano terra è una vera manna per gli appassionati di fumetto d’autore e underground, il piano superiore è invece riservato al mainstream e assomiglia di più al tradizionale negozio di fumetti americano. Vi trovano spazio i supereroi Marvel e Dc, con tanti titoli d’annata per collezionisti, e le produzioni di case editrici come Image, Dark Horse, Avatar e via dicendo. Anche qui, tuttavia, la selezione è molto accurata e dà particolare attenzione al panorama indie. Inoltre ci sono delle sezioni suddivise per autori, segno che anche qui ci si rivolge a un’audience matura e consapevole.

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Alex fa gli onori di casa al piano superiore, tra un “Forever People” e un “Daredevil”

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“Green Lantern” #8

The Beguiling è anche ben noto per l’attività di vendita di tavole originali, che viene svolta soprattutto on line in uno store dedicato dove è possibile trovare lavori di cartoonist come Sammy Harkham, Kevin Huizenga, Seth, Michel Rabagliati, Shintaro Kago, Brandon Graham, Farel Dalrymple, Jason Lutes, Jeff Lemire, Paul Pope, Eddie Campbell e tanti altri. Sulle pareti del locale si possono ammirare alcuni pezzi della collezione privata: eccovi dunque la prima tavola di Cerebus #23 dell’aprile 1978, che non poteva certo mancare visto il titolo dell’episodio, e una pagina di Joe Matt che vede l’autore, noto collezionista di fumetti d’epoca, dirigersi verso il negozio per vendere delle raccolte di Carl Barks.

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E a proposito di Joe Matt, c’è un’altra tavola da Peepshow #3 che raffigura prima lo stesso autore e i suoi due colleghi Seth e Chester Brown fuori dal negozio e poi Matt all’interno che dialoga con uno dei primi proprietari, Steve Solomos. The Beguiling è stato infatti fondato nel 1987, mentre Birkemoe è subentrato nel 1998.

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La tavola di Joe Matt da “Peepshow” #3

Peter Birkmoe sul suo trono

Peter Birkemoe sul suo trono

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Birkemoe ritratto da Seth in “Wimbledon Green”

Nel corso della mia visita, Birkemoe mi ha raccontato di essere in cerca di locali nuovi e più spaziosi, necessari per esporre un catalogo che in buona parte è relegato in magazzino. Se andate a Toronto, dunque, non mancate una visita a The Beguiling perché potrebbe essere una delle ultime occasioni per esplorare la storica sede al 601 di Markham Street.

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Concludo confermando ciò che scriveva qualche anno fa Jeet Heer su Comics Comics: se non è il miglior negozio di fumetti del mondo, The Beguiling è il miglior negozio di fumetti che io abbia mai visitato. E per questo meritava senz’altro la mia umile attenzione.

“Suicida” #1 di Abraham Diaz

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Voyeurismo, sadismo, masochismo, autolesionismo, morte, omicidio, suicidio, violenza gratuita, sesso, masturbazione, teledipendenza, degrado metropolitano. Nel suo debutto solista Suicida #1 Abraham Diaz lavora con questi ingredienti, li mescola, li forgia a suo piacimento creando un cartooning compatto e sempre ironico, salace, acido quanto basta. A fine 2015 l’artista messicano ha stampato insieme ai suoi compari dell’etichetta Ediciones Joc Doc 200 copie di questo albo 28×20 cm con testi in inglese e spagnolo, copertina serigrafata, carta bianca e nera con l’aggiunta del verde, utilizzato a volte come inchiostro ma anche per le pagine degli inserti. Un oggetto bello a vedersi e al tempo stesso sporco, che ricerca nell’estetica punk il feeling underground dei comic book monografici di una volta, con tanto di pagina delle lettere (unica differenza, i messaggi dei lettori non arrivano più per posta ma su Tumblr). Si inizia con The Witness, protagonista un solitario uomo di mezza età con tanto di baffetto intento a raccontare un omicidio a cui ha assistito spiando nel bagno della vicina di casa. Il tratto di Diaz è caricaturale, storpia i corpi dei personaggi, allunga i nasi, storce i denti, in uno stile che guarda a tanti artisti che abbiamo amato negli ultimi trent’anni (Ivan Brunetti, Kaz, Johnny Ryan) ma anche a Mad, ai gag cartoon, alle newspaper strip. Non a caso all’interno dell’albo troviamo due mezzi fogli con quattro Misery Funnies, classiche gag con testo sotto la vignetta, del tipo uomo tutto nudo sul water, una tazza fumante in una mano, la cornetta del telefono nell’altra e sotto “You don’t seem to understand… I’m my mother’s only child!”. E la cornetta del telefono è un dettaglio da non trascurare, perché tutto l’albo è fermo per estetica e scenari agli anni ’80 o prima ancora, non c’è volutamente traccia di cellulari, computer e tanto meno internet.

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Sulle stesse coordinate nostalgiche e irriverenti delle Misery Funnies è l’inserto in formato orizzontale Tito, che mostra la versione Diaz di Sluggo, l’amico di Nancy nella strip di Ernie Bushmiller (Tito è il nome con cui il personaggio è noto nei paesi di lingua spagnola). Pax Noctis, già vista su Kovra #6 delle Ediciones Valientes, è un altro pezzo forte, una storia di guerra e desiderio, un uomo costretto in trincea che ricorda o più probabilmente immagina un inseguimento in un bosco. La situazione culmina con una donna legata a un albero e frustata, poi si torna al soldato nella trincea che si masturba, fino al finale che unisce di nuovo sesso e morte come nel pezzo d’apertura. Suicida #1 sembra la conseguenza di una settimana passata chiusi in casa a fare zapping al buio davanti alla tv, con i nervi a fior di pelle, gli occhi che pulsano, il corpo in preda a una frenesia isterica che scatena le pulsioni più becere. Ma il cartooning di Diaz non è tutto qui, perché spesso denuncia e mette alla berlina senza mezzi termini l’idiozia umana: se Pax Noctis si prendeva gioco della guerra e dei deliri di onnipotenza sessisti, Milagro En El Congo è invece la storia animalista di un povero scimpanzé stampata su sfondo in risograph verde giungla. Arriviamo dunque a un altro inserto, questa volta apribile formato poster, dove troviamo tre fumetti di una pagina sui temi abituali, ribaditi anche nel successivo ¡Esta Fue Tu Vida!, che introduce la novità del sesso esplicito ma senza dimenticare l’ironia spietata e il gusto per lo storytelling, presenti ovunque nella produzione del messicano. Home è il fumetto conclusivo, un trionfo di linee impazzite che riproducono il caos metropolitano (stessa soluzione adottata in Home Is Where the Hatred Is, storia breve di Diaz per š! #24): un carcerato esce di prigione ma deve subire gli stimoli continui della città, rappresentati in modo parossistico con nudità esibite senza remore, uomini al guinzaglio di donne dai leggings attillati, gente che copula in ogni angolo. Il cruento finale ve lo potete immaginare oppure potete leggerlo sulle poche copie rimaste di Suicida #1, esaurito presso l’editore ma ancora disponibile, almeno al momento in cui scrivo queste righe, su Fatbottom Books, Dripper World e Feel It Records. Oppure potete procurarvi Kramers Ergot #9, dove sono state ristampate di recente Pax Noctis, Home e due delle Misery Funnies. Intanto Diaz è al lavoro sul secondo capitolo e noi restiamo così in trepidante attesa di leggere altri dei suoi fumetti old school.

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Misunderstanding Comics #5

Dopo una lunga pausa riprendo a segnalare un po’ di fumetti, che di recente si sono davvero accumulati sulla mia libreria (e scrivania, e comodino, e divano, e lavatrice, ecc. ecc.). Impossibile stare dietro a tutto quello che esce e difficile anche scrivere di tutto quello che leggo. Ci provo cercando di essere sintetico e sapendo benissimo che questi fumetti meriterebbero una trattazione ben più approfondita della mia. Ma, come al solito, faccio ciò che posso.

Negli ultimi mesi si è parlato parecchie volte di Martin López Lam su Just Indie Comics ma io devo ammettere di aver letto soltanto di recente il suo Sirio, uscito a inizio anno per l’eccellente casa editrice spagnola Fulgencio Pimentel. Strana coincidenza, ho sottratto il volume all’infinita pila di libri da leggere proprio quest’estate, in un paio di settimane tra fine luglio e inizio agosto che ho passato in ferie ma, per una serie di circostanze, senza andare in vacanza. Non sono stato recluso come i personaggi della storia di López Lam né è stato trovato un cadavere nella piscina vicino casa mia, ma l’atmosfera di costante attesa, la canicola estiva che aumenta giorno dopo giorno, i paesaggi brulli e i personaggi che girano e rigirano intorno a se stessi mi hanno fatto entrare ancor di più nella storia.

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Più che un giallo, Sirio è il racconto di una separazione che vede protagonisti personaggi che sembrano per la maggior parte del tempo fantasmi, con i loro stati d’animo resi splendidamente attraverso un’infinita serie di soluzioni grafiche diverse e i due colori utilizzati, blu e ocra, che sono parte integrante della narrazione. C’è un gran senso di libertà, di sperimentazione in queste pagine, ma al tempo stesso nessuna linea, nessuna sovrapposizione di colori, nessun cambiamento di registro è sprecato. Il volume è in spagnolo ma a richiesta è disponibile un libretto con traduzione inglese allegata. Cercate di recuperarlo perché ne vale la pena.

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Un altro autore che propone una ricerca stilistica autonoma, lontana da ogni moda, è senz’altro Austin English, di cui ho avuto l’opportunità di parlare in precedenza come patron dell’eccellente etichetta Domino Books di Brooklyn. Come López Lam, English non cerca assolutamente un disegno facile e attraente. La sua è un’estetica volutamente sgraziata e imperfetta, che mescolando energicamente tecniche, materiali e colori sfocia nell’arte delle avanguardie storiche e dell’espressionismo astratto. Tuttavia la voglia di dipingere, disegnare e sperimentare non porta mai l’autore a trascurare l’impianto fortemente narrativo dei suoi fumetti. Le storie hanno sempre una trama definita, anche se sembrano più sceneggiature di opere teatrali che fumetti tradizionalmente intesi per il modo in cui trattano i personaggi, non soggetti con una personalità e un background alle spalle ma figure che compiono azioni in uno scenario delimitato.gulag-casual-02

Proprio lo spazio è il protagonista delle cinque storie raccolte di recente da 2dcloud nel volume Gulag Casual. Si tratta di The Disgusting Room (2010), My Friend Perry (2011), Here I Am! (2011), Freddy’s Dead (2012) e A New York Story (2015): tutte hanno in comune la tematica della casa vista come luogo familiare e rassicurante che viene invaso dalla violenza e dall’aggressività del mondo esterno.

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Ancora per 2dcloud è uscito Someone Please Have Sex with Me di Gina Wynbrandt, anche in questo caso un’antologia di fumetti in gran parte già visti in albi autonomi. Le storie raccontano la fissazione per Justin Bieber (One Less Lonely Girl, 2012), una puntata ai Teen Choice Awards sotto la guida di Kim Kardashian (Tiger Beat Exclusive, 2013), la ricerca disperata di un partner sessuale che arriva fino a un lontano futuro (il racconto che dà il titolo alla raccolta, 2014), gatti parlanti che mettono incinta la protagonista (Big Pussy, 2015) e videogiochi che la trasformano in una spietata cacciatrice di uomini (Manhunt, 2016).

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La cosa che più colpisce della Wynbrandt è la capacità di focalizzarsi su pochi elementi per poi portarli all’estremo: il plot parte sempre da particolari realistici e autobiografici, apparentemente insignificanti, che vengono sviluppati in situazioni ai limiti, paradossali, divertenti, a volte surreali. Si tratta di un modus operandi che l’autrice dimostra di saper gestire sin dalle prime prove, segno di una cartoonist giovane ma dalle idee chiare. Anche dal punto di vista grafico la Wynbrandt è bravissima a rappresentare il suo alter-ego nei minimi dettagli, concentrandosi soprattutto sulle espressioni facciali, con una serie veramente infinita di smorfie, e sui suoi capelli, disegnati con una cura certosina. Ma d’altronde sarebbe un crimine trattare con superficialità dei capelli così lunghi.

Visto che ci siamo, rimaniamo in tema di autrici femminili con due albi pubblicati da Retrofit ComicsHellbound Lifestyle della coppia Alabaster Pizzo-Kaeleigh Forsyth e Late Bloomer di Maré Odomo. Il primo è un diario della Forsyth, al suo debutto nel mondo del fumetto, illustrato dall’autrice di Mimi and the Wolves: una collaborazione nata, come svela la bio pubblicata alla fine dell’albo, da circostanze particolari, dato che le due si sono conosciute dopo aver scoperto che stavano uscendo con la stessa persona da un anno. Diventate ottime amiche, hanno realizzato un fumetto divertentissimo scandito da note e conversazioni tratte da uno smartphone, pieno di situazioni assurde, di buoni propositi finiti male, di ragionamenti contorti e soprattutto di idee, idee, idee una dietro l’altra che ci si potrebbero riempire tanti altri fumetti o intere stagioni di serie tv. Belli anche i colori sparati che donano un’estetica pop a un’opera che potrebbe piacere anche a chi non legge abitualmente i fumetti.

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Late Bloomer è invece un volumetto in bianco e nero di piccolo formato (14 x 11 cm) in cui Maré Odomo raccoglie con il modus operandi già mostrato nei due mini Internet Comics usciti per Sacred Prism (ne avevo parlato brevemente qui) riflessioni, disegni, schizzi, scarabocchi, cancellature, frasi. Le prove precedenti affascinavano per l’uso del colore e per la stampa in risograph, risultando esteticamente molto attraenti, mentre questa versione in bassa fedeltà ha l’aspetto di uno sketchbook. Ma in qualsiasi modo vengano pubblicati vale sempre la pena di sfogliare, leggere, guardare gli haiku visivi della Odomo: c’è un sentimento qui dentro che più di ogni narrazione restituisce le emozioni provate dall’autrice, lasciando al lettore un’impressione, un qualcosa difficile da verbalizzare o razionalizzare. Pagina dopo pagina si va avanti tra momenti di realismo (I will forget this), domande che ci si potrebbe fare per una vita intera (Where’d you go?), storie che finiscono (If i see you, I will walk away), vuoto esistenziale (Nothing to cry about), chiusura in se stessi (Don’t wanna talk about it). Quando si arriva all’ultima pagina non si ha un’idea precisa di ciò che abbiamo appena letto ma soltanto la sensazione che qualcosa dentro di noi è successo.

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“Deriva” di Serena Schinaia

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Di Serena Schinaia ho già scritto su queste pagine a proposito della sua ultima fatica solista, l’albo Ceniza/Cenere pubblicato dalle Ediciones Valientes di Martín López Lam, e di Una giornata scorsa, il progetto collettivo che ha realizzato presso l’Accademia di Spagna a Roma insieme allo stesso López Lam, Silvia Rocchi e Roberto Massó. La Schinaia è un’artista pugliese nata a Taranto nel 1986, che dopo aver studiato filosofia estetica e linguaggi del fumetto a Bologna si è trasferita a Roma, dove al momento vive e lavora. I suoi disegni sono apparsi in diverse antologie, ha collaborato con Lo Straniero, Hamelin, il Goethe Institut, e ha esposto in occasione di vari festival, come Bilbolbul, Komikazen, Napoli Comicon, oltre ad aver vinto i premi Reportage per Reality Draws 2012 e Coop for Words 2014. Il suo lavoro è fortemente evocativo, non usa balloons ma solo testi minimali che è riduttivo chiamare didascalie, in quanto non si limitano a descrivere ma danno forza a ciò che le immagini rappresentano, di solito momenti di passaggio, attimi in cui sta per succedere qualcosa oppure in cui qualcosa in realtà è già successo. Se l’ultimo Ceniza sperimenta un tratto più definito, la colorazione in blu/grigio e l’utilizzo in simultanea di italiano e spagnolo, il primo albo autoprodotto Deriva è invece rappresentativo della prima fase della sua produzione, caratterizzata da un bianco e nero intenso fatto di pennellate impressioniste e da frasi laconiche, che fanno pensare più a riferimenti musicali (mi vengono in mente, su tutti, i Massimo Volume) che fumettistici. Di seguito potete leggere due delle cinque storie che riempiono le 32 pagine dell’albo, di cui è uscita di recente anche l’edizione in inglese, ancora autoprodotta, intitolata Drift e disponibile nel negozio on line di Just Indie Comics, dove trovate anche alcune copie di Ceniza. Sul sito delle Ediciones Valientes è invece disponibile il leporello di Una giornata scorsa. Per il momento, buona lettura.

 

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“Fobo” di Gabriel Delmas

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di Weedzie Kalashnicock

Fobo è una metafora della follia dell’amore, una canzone sullo squilibrio chimico, un poema per tutti coloro che cercano e un lamento per coloro che trovano. In sintesi, un’allucinazione metafisica.

E’ anche il divertente racconto di uno spermatozoo che, come tutti gli spermatozoi prima di lui, ha assolutamente bisogno di trovare un uovo per assicurarsi un posto nell’eternità. Ma, mentre tenta di compiere il suo destino, diventa ossessionato da qualcos’altro. Ciò che vuole veramente è penetrare il cuore dell’universo. E questo desiderio lo porta a inseguire ogni barlume, ogni bagliore, ogni buco nero, ogni punto lontano, fino a dove e fino a quando riesce a farlo.

All’inizio è pieno di speranza. Riesce ad attraversare ogni paesaggio immaginabile. Incontra la donna con un occhio solo, la insegue, gioca con lei. E’ aiutato da una vegetazione amichevole, i cui tentacoli ricurvi lo salvano quando pensava che stessero per strangolarlo. Viene mangiato da strane creature fluttuanti con i ventri rigonfi e i volti sorridenti, un po’ stupide ma anche affettuose, che in realtà non vogliono fargli del male, dato che lo portano verso nuovi e ancor più stimolanti territori. E’ costretto a fermarsi, incapace di proseguire, ma poi riprende la sua corsa. Riesce a prevenire ogni catastrofe e a muoversi sempre più avanti nella sua ricerca. Le sue avventure sono spaventose e divertenti. Sembra essere (e comincia a credersi) invincibile. Diventa il capo di alcune creature che incontra lungo la strada. E’ così euforico da sentirsi onnipotente, sembra che non ci sia niente che non possa fare.

Fobo si sente tutt’uno con l’universo e con le creature intorno a lui. Sembra che tutti facciano il tifo per lui. Si sente coccolato.

Ma cosa sta succedendo? E’ vero che sono tutti dalla parte di Fobo? Ogni creatura lo porta più vicino, ma a cosa? Tutto ciò è amore o un inganno? Dove si trova?

Fobo guarda le cose sotto un’altra luce. Ciò che sembra essere una cosa, subito dopo comincia a sembrarne un’altra. Ogni volta che Fobo emerge da una cavità, ne trova un’altra e un’altra ancora. E sono le cavità a guardare Fobo, non il contrario. Ne può penetrare una ma ce n’è sempre un’altra dietro l’angolo. Sia che guardi giù o su, che entri o che esca, non è mai dall’altra parte. E’ imprigionato, proprio come tutti gli altri esseri in questo labirinto umido e oscuro.

E’ forse un clone? O un drone? Pensava di essere migliore! Diverso! Che cos’è?

Prima Fobo trovava tutto eccitante, folle e misterioso mentre ora pensa: “Devo essere provocato e stimolato in eterno? Riuscirò mai a penetrare il mistero che sto cercando di comprendere? Devo essere preso in giro per il resto dei miei giorni, e tutto il mio tempo, tutti i miei sforzi non serviranno a niente?”

Questa non è la storia di una razza che cerca di sopravvivere, e neppure la storia di una selvaggia lotta per essere il miglior spermatozoo dell’universo. E’ la storia della disillusione del vincitore. La sua sofferenza è esistenziale.

La verità è che Fobo ha una pistola sempre carica ma può sparare soltanto a salve, per l’eternità.

Questa è la storia dell’Orrore.

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Traduzione di Gabriele Di Fazio. Fobo è l’ultimo lavoro di Gabriel Delmas ed è un volumetto di 64 pagine, brossurato, 15×21 cm, pubblicato da Hollow Press

Un’intervista al Professor Bad Trip

Colgo l’occasione della mostra A Saucerful of Colours, personale dedicata al Professor Bad Trip dalla Tekè Gallery di Carrara, per recuperare una vecchia intervista realizzata al Prof dal sottoscritto e da Giuseppe Marano e pubblicata nel marzo 1995 su Underground #5. Incontrammo Bad Trip (vero nome Gianluca Lerici) in occasione di diverse edizioni di Lucca Comics, sulle gradinate del Palazzetto dello Sport, dove allora ci si metteva a vendere le fanzine, nonostante i continui inviti da parte dell’organizzazione a togliere il disturbo. Gianluca ci consentì di utilizzare un suo disegno per la copertina di Underground #5, che si apriva proprio con un’intervista realizzata via posta e montata a collage sullo sfondo dell’arte del Prof, come potete vedere dalle foto che accompagnano l’articolo. Sicuramente non sarà esaustiva come l’intervista realizzata da Vittore Baroni per l’Almanacco Apocalittico di Mondadori e ristampata in versione integrale proprio nel catalogo di A Saucerful of Colours, ma spero che sia comunque l’occasione per recuperare un contenuto oscuro e a suo modo utile per inquadrare uno dei più importanti artisti dell’underground italiano, scomparso a soli 43 anni il 25 novembre 2006. E a questo proposito vi raccomando di visitare la mostra della Tekè, che sarà aperta fino al prossimo 30 luglio il martedì e il mercoledì dalle 17 alle 20, dal giovedì alla domenica dalle 18 alle 24. Per il momento, buona lettura.

Professor Bad Trip: raccontaci vita opere e miracoli in una autobiografia completa.

Il Professor Bad Trip nasce a La Spezia il 21-5-63. Per tutti gli anni ’80 è conosciuto in zona come “Gianluca Punk”. E’ stato:

– DJ a Radio Popolare Alternativa (La Spezia, 79/83)

– cantante del gruppo hardcore “The Holocaust”

– denunciato per: occupazione, danneggiamento, corteo non autorizzato, resistenza a pubblico ufficiale (2 volte!), oltraggio a pubblico ufficiale, violenza a pubblico ufficiale (per un totale di 7 denunce più 4 giorni di prigione)

– diplomato all’Accademia di belle arti di scultura a Carrara.

Influenze, ispirazioni, aspirazioni?

Influenze grafiche: Stefano Tamburini, Robert Crumb, Joe Coleman, Paul Mavrides, Robert Williams, Basil Wolverton, Ed Big Daddy Roth, Matteo Guarnaccia, C.Burns, F.Masereel, D.Kitchen, Rick Griffin, Raymond Pettibon, W.Smith, ecc.

Ispirazioni (per via mentale, orale, polmonare o acustica): hashish, Max Stirner, Karl Marx, LSD, William Burroughs, George Orwell, Aldous Huxley, marijuana, The Germs, Ballard, Kropotkin, Fear, Hakim Bey, Bob Dobbs, Jerry Rubin, Timothy Leary, Robert Anton Wilson, Crass, Stanley Kubrick, David Cronenberg, ecc.

Aspirazioni: segrete (basta denunce!)

BAD TRIP COMIX è un po’ il manifesto del nuovo underground italiano, non credi?

Fumetto underground italiano:

– prima generazione (i babbi): Max Capa, Matteo Guarnaccia e Stefano Tamburini

– seconda generazione (il figlio unico): Prof. Bad Trip

– terza generazione (i nipoti): ??? (niente di niente, boh?)

Il tuo incontro con Matteo Guarnaccia ha dato vita a DOUBLE DOSE COMIX (inspiegabilmente stroncato dal “Manifesto”): come è nata la cosa?

Matteo è il mio babbo, quindi è stato un incontro fisiologico. “Il Manifesto” ha stroncato DOUBLE DOSE COMIX perché Thomas Martinelli (autore del pezzo) “non riesce a seguirmi” (sue parole a Lucca); in realtà di fumetti underground non capisce nulla (non ha la cultura necessaria). “Il Manifesto” rimane comunque l’unica fanzine leggibile tra tutta la merda che esce in edicola.

“Il Pasto Nudo”, Burroughs e l’underground: come è nata la decisione di realizzare un adattamento del libro, e che ruolo ha Uncle Bill nella tua formazione?

William Burroughs è una pietra miliare delle controculture; ha influenzato dal beat al punk all’industrial culture: è uno che ha visto nel futuro!!

Fare IL PASTO NUDO a fumetti è stata un’idea di Gomma di Shake e, al di là di giudizi formali-estetici-culturali-ecc. mi preme sottolineare due necessità soddisfatte:

1) anticipare tutti i merdoni postmoderni italiani da edicola che volevano l’esclusiva su una cultura che non gli apparteneva.

2) parlare di eroina e anni ’80 in una maniera il più “trasversale” possibile.

Ti è piaciuto “Il Pasto Nudo” di Cronenberg? E, più in generale, che impatto hanno su di te i film del regista canadese?

Amo Cronenberg – è, insieme a Kubrick, il mio regista preferito. Mi è piaciuto anche “Il Pasto Nudo”, tenendo a mente che da un libro simile si potevano fare 20 films e 30 fumetti diversi.

Come vedi l’attuale scena post-underground americana?

La scena americana è grandiosa, i disegnatori underground finiscono nei musei e sono considerati “gli artisti”. Succederà anche qua con 10 anni di ritardo, come al solito.

DECODER e la Shake sono un’esperienza fondamentale per la stampa underground, non credi?

Sono fondamentali per la scena italiana (nel mondo ci sono centinaia di case editrici simili): hanno il pregio di essere una cooperativa e di dare del lavoro a un sacco di fratelli e sorelle e di tradurre e pubblicare in italiano cibo per la mente di difficile reperibilità e/o traducibilità.

Cos’è per te il cyberpunk?

Cyberpunk è un’attitudine oltreché uno stile di scrittura. Burroughs, Ballard e Dick sono cyberpunk ante-litteram. Ma anche l’uso della fotocopiatrice, dei computer, ecc., da parte dei movimenti è cyberpunk. L’idea ribaltata di tecnologia solo al servizio del potere, di pochi tecnocrati, ecc. è la sfida del cyberpunk.

Che ci dici della collaborazione con i Meathead?

Mi hanno contattato per i miei disegni. Ho ascoltato il loro nuovo CD e mi è piaciuto molto; ci siamo conosciuti e continuiamo a piacerci e collaboreremo ancora in futuro.

La tua visione della psichedelia…

Questa domanda meriterebbe 10 pagine di risposta, quindi la salto!

Bad Trip e i centri sociali, dal Leonka al Forte Prenestino: che opinioni hai sui diversi CSOA in cui hai operato?

I centri sociali sono gli unici spazi culturali gestiti dal basso e orizzontalmente: non se ne può che parlar bene, al di là delle croniche lacune, miserie e guerre tra bande. Forte Prenestino è il massimo, è grandissimo, e i romani sono più rilassati e meno tesi dei milanesi. Spero si tenga lì il grande Free Festival+Rave del 2000!

Parliamo un po’ di Bob Dobbs e della Church of Subgenius…

Ne avete già parlato, quindi sapete di cosa si tratta; vi segnalo solo l’uscita mondiale di REVELATION X (nella quale sono presente – unico italiano, sigh – con 2 disegni). E’ la risposta agnostica, libertaria e patafisica a tutti i fondamentalismi.

Tra le tue innumerevoli attività c’è anche la mail-art: parliamo un po’ di questo movimento…

Con l’avvento delle reti telematiche la mail art è destinata alla morte. Per quanto mi riguarda ho smesso da anni di rispondere a tutti (per questioni economiche). E’ stato un utile strumento di scambio di idee, fanzines, ecc., che continuo a coltivare solo con chi mi interessa particolarmente.

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“Hotel Massilia” di Emidio Clementi e Maurizio Lacavalla

di Serena Di Virgilio

Hotel Massilia è un racconto scritto da Emidio Clementi (frontman dei Massimo Volume, poeta e scrittore) e illustrato da Maurizio Lacavalla. È un libro spillato di 48 pagine a colori di formato quadrato autoprodotto da Sciame, un collettivo di studenti del corso di fumetto e illustrazione dell’Accademia di Belle Arti di Bologna, dove Clementi insegna.
Hotel Massilia è stato presentato a Bologna con una mostra delle illustrazioni di Lacavalla presso la galleria Adiacenze e con un reading di Clementi presso la libreria Modo Infoshop.

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Un complesso musicale attraversa la Spagna in autobus per arrivare in una città di mare in cui si parla francese. Dopo un primo albergo troppo ordinario si sistema al Massilia. Qui una stanza viene adibita a studio di registrazione, dove i tre amici cercheranno di mettere insieme il loro album, con poca convinzione.

La storia è sostanzialmente autobiografica e parla della sofferta genesi dell’album Stanza 218 di El Muniria, progetto di Clementi dopo il (temporaneo) scioglimento dei Massimo Volume.
La città è Tangeri in Marocco, e l’albergo è quello in cui William Burroughs scrisse Il pasto nudo, e il gruppo si era recato lì in cerca di ispirazione.

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Fornito di testo e qualche foto del viaggio, Lacavalla fa del luogo il protagonista delle sue illustrazioni, ricreandolo ispirandosi ad un’altra città del Mediterraneo: la sua Barletta di palme, parcheggi, piscine e spiagge.
L’occhio si fissa poco su persone, avvenimenti ed emozioni; guarda la città e le stanze dall’alto, oppure si avvicina ai particolari degli oggetti. Le forme, di tetti e strade o chitarre e tastiere, sinuose e squadrate, stanno le une vicine alle altre come in un dipinto astratto o una foto aerea.
Alternato al bianco e nero, l’azzurro intenso fa da linea guida, dall’autobus ai muri dell’albergo, al fazzoletto con cui uno dei membri del gruppo cerca di nascondere il bozzo che gli cresce sul collo.

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Originali e bozzetti delle illustrazioni in mostra

Il testo è rado, pieno di silenzi che lasciano la pagina bianca e le immagini a prendere il sopravvento. Il tono è amaro mentre si sofferma sullo sgretolarsi della creatività e sull’insofferenza crescente. Intanto un’umanità varia s’insinua nel racconto attraverso brevi quadretti, impressioni da estranei che si passano accanto e a volte si sfiorano.

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Maurizio Lacavalla ed Emidio Clementi

Sul muro dell’albergo, un cartello. Fotografato da Clementi, che ha appeso in casa sua la foto, riscritto a matita da Lacavalla che a sua volta l’ha tenuto nella sua stanza, e infine dipinto e inserito nel libro.
Le Silence
de chacun
assure le repos
de tous

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Grazie a Nicola.

E’ nata Flag Press!

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Forse non tutti sanno che insieme a Ratigher ho fondato una piccola casa editrice, la Flag Press, che si propone di pubblicare fumetti in un unico formato, poster orizzontali 70×100 con due pagine affiancate. Abbiamo presentato il progetto all’Arf! di Roma sabato 21 maggio e subito dopo ha debuttato il nostro sito, dove è possibile acquistare il primo poster della serie, intitolato Teoria, pratica e ancora teoria, a firma dello stesso Ratigher.

Probabilmente molti di voi avranno già notato la notizia sui vari social network, siti di informazione e soprattutto sul blog del mio socio, a cui vi rimando per leggere le cose come veramente stanno. Qui mi preme dire che il mio coinvolgimento in Flag Press nasce per volontà dello stesso Ratigher, che covava il progetto da un bel po’. Mi ricordo, anzi, che quando lo incontrai al Fumetto Festival di Lucerna del 2015, mi disse che aveva un’idea e aveva disegnato già il logo per una piccola casa editrice che avrebbe coinvolto autori internazionali e pubblicato fumetti “in un formato un po’ strano”.

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Io già pensavo a cubi, scatole o telefoni ma in realtà no, si trattava di poster, come mi avrebbe rivelato qualche mese dopo invitandomi a diventare la sua spalla nell’impresa (a proposito non provate a fregarmi l’idea della Phone Press, fumetti a forma di telefono). Da allora abbiamo pensato bene a cosa volevamo fare con Flag Press e, al di là della scelta degli autori, la nostra idea si è concentrata sul concetto di “storia”. A tutti e due piacciono le sperimentazioni, i fumetti assurdi e a volte anche apparentemente senza senso, ma quello che qui ci preme realizzare è raccontare su un poster, far diventare narrativo un oggetto che è sempre stato principalmente figurativo, dando inoltre la possibilità agli autori di sbizzarrirsi graficamente sul formato editoriale più grande possibile. E credo che Teoria, pratica e ancora teoria di Ratigher sia veramente il “manifesto” di questa nostra idea, con una storia piena di personaggi, i dialoghi incalzanti, le piccole vignette e l’aereo gigante che viene tagliato in due dallo spazio bianco tra le tavole. Ah, sul retro del poster trovate in bianco e nero la traduzione in inglese della storia. In futuro, se il fumettista scriverà in inglese, sul retro troverete la traduzione in italiano.

Quali autori pubblicheremo con Flag Press? Innanzitutto stiamo lavorando con Ruppert&Mulot, Manuele Fior e Dash Shaw. E poi? Ai poster l’ardua sentenza!

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