Baba Jaga Fest a Roma

Inaugura a Roma un nuovo festival, dedicato ai fumetti e alle illustrazioni dell’Europa dell’Est e con tanti ospiti internazionali. Il Baba Jaga Fest si terrà a Roma presso la sede di Industrie Fluviali (in via del Porto Fluviale 35) dall’8 al 10 aprile prossimo e ha in cartellone mostre, presentazioni, workshop, proiezioni e molto altro ancora, per un programma ricchissimo che non lascerà spazio alla noia. Cerco di elencare (quasi) tutto anche se per il programma veramente completo vi rimando al sito del Baba Jaga.

Le mostre, innanzitutto. Il piatto forte della rassegna è Baltics Gone Wild, a cura di kuš! e che offre una panoramica sul fumetto di Lettonia, Estonia e Lituania. Gli artisti in mostra sono Akvile Magicdust, Gvidas Pakarklis, Mark Antonius Puhkan, Jana Ribkina e Pauls Rietums, che saranno tutti ospiti della rassegna romana insieme a David Schilter, curatore della mostra e fondatore di kuš!. Qualcuno di voi avrà già familiarità con questi autori, dato che delle antologie di kuš! e dei mini kuš! ho parlato più volte da queste parti, distribuendole anche nel negozio online di Just Indie Comics. Ultimamente mi sono perso un bel po’ di uscite e così anche per voi affezionati lettori di Just Indie Comics ci sarà la possibilità di recuperare i più recenti libretti lettoni al ricco bookshop del Baba Jaga, curato da Risma e a cui troverete il sottoscritto. Passate a salutarmi, se siete da quelle parti, e magari compratevi anche una copia del ricco catalogo del festival, 100 pagine piene di testi, illustrazioni e soprattutto fumetti. Ma ok, sto divagando, quindi torniamo alle mostre e in particolare a quelle di due fumettisti italiani che hanno saputo guardare a Est: sto parlando di Eliana Albertini con Hotel Jugoslavia, rivisitazione di cartoline e immagini dalle località turistiche della Jugoslavia (un esempio nell’immagine qui sotto), e di Maurizio Lacavalla con Le ricostruzioni del padre partito, in cui si racconta la migrazione del padre dell’artista dalla Puglia alla Bulgaria. I due autori saranno protagonisti di un incontro congiunto sabato 9 aprile alle 16, moderato da Alessio Trabacchini e Serena Dovì, direttori artistici del festival.

A proposito di incontri vi dico anche che al Baba Jaga ci sarà Aleksandar Zograf, autore ben noto in Italia (l’ultimo suo libro è Il quaderno di Radoslav e altri racconti della II guerra mondiale edito da 001 Edizioni), che nella serata di venerdì 8 introdurrà insieme al regista Djordje Markovic The Final Adventure of Kaktus Kid. Il documentario, in programma alle 21.30, è incentrato sulla ricerca di un misconosciuto fumettista serbo, Veljko Kockar, giustiziato durante la seconda guerra mondiale: la proiezione era già prevista ma il tema è quanto mai attuale, se si pensa a quello che sta succedendo oggi in Ucraina. Altra ospite internazionale è Daria Bogdanska, autrice del volume Nero Vita pubblicato in Italia da Mesogea: a presentarlo ci sarà, domenica 10 alle 16, la giornalista di Internazionale Annalisa Camilli. Subito dopo, alle 17, toccherà ad Alex Bodea, di cui Becco Giallo ha pubblicato The Fact Finder: ne parlerà con Alice Milani e Alessio Trabacchini, per poi lanciarsi in un “cinematic reading” del suo libro. Mi sembra di aver detto tanto a questo punto, ma spulciando il programma mi accorgo di non aver detto tutto. Per esempio ho omesso che venerdì sera ci sarà il dj set Blast From the East a cura di una vecchia conoscenza di Just Indie Comics, Andrea De Franco. O che sabato alle 18.30 prenderà il via la visual performance Jugosfera a cura di Francesca Battaglia, Daniele Imani Nobar, Sara Fabretti e Rosalia Giuliano. E non ho parlato nemmeno dei workshop o del fatto che le mostre di Lacavalla e Albertini si sposteranno, a partire dal 21 aprile, alla Galleria Cosmo, unendosi ai lavori di Kalina Muhova e Aleksandar Zograf nella mostra Balkans XX. Un’occasione in più per andare sul sito del Baba Jaga e vedervi il programma per bene e in maniera ordinata, perché sicuramente da questo articolo non ci avrete capito niente.

Just Indie Comics Newsletter #2

E’ uscito il #2 della newsletter cartacea di Just Indie Comics, tutto dedicato a Tinfoil Comix, di cui ho già parlato più volte su queste pagine e che accompagna – per gli abbonati al Buyers Club – il quinto e conclusivo numero dell’antologia statunitense. Ribadisco che chi non fa parte del Buyers Club può abbonarsi alla sola newsletter, per il ridicolo prezzo di 10€ spedizione inclusa: l’abbonamento dura 4 numeri e per chi lo sottoscrive entro il prossimo 30 aprile parte proprio da questo #2, che riceverete subito (poste permettendo) nella vostra cassetta delle lettere. Come ben sapete chi si ferma è perduto, quindi non esitate ulteriormente e cliccate qui per abbonarvi.

Vi presento Joe Matt/2

Questa è la seconda parte dello Speciale Joe Matt. Qui trovate la prima parte.

La serie regolare di Peepshow debutta all’inizio del 1992 per Drawn & Quarterly, con il #1 che porta la data di febbraio. Già dalla prima tavola il cambiamento è evidente rispetto ai fumetti pubblicati sulle antologie e poi raccolti in volume da Kitchen Sink. Se The Cartoon Diary of Joe Matt si chiudeva infatti con una fittissima tavola di 20 vignette, la pagina iniziale di Peepshow #1 presenta una geometrica e ordinata struttura a 6 vignette, che sarà costante per tutto il primo arco narrativo. La pagina è divisa verticalmente in due e il taglio è sempre al centro esatto. L’unica eccezione è rappresentata da qualche sporadica apertura, come a pagina 2 del #1, occupata per ⅔ da una grande illustrazione di Joe e Trish che mangiano nel loro appartamento di Toronto mentre leggono, lui del tutto indifferente alle sollecitazioni di lei. A una struttura ariosa e meno asfissiante che in passato si accompagna un disegno curato e rifinito, con una maggiore cura del dettaglio. D’altronde è logico che, trovandosi a realizzare meno vignette, Matt possa dedicare una quantità di tempo maggiore a ognuna di esse. Le linee sono così spesse e sicure, i contorni dei personaggi marcati, tanto da fargli assumere una nuova solidità, come se ci trovassimo in una sorta di iper-realtà che in qualche modo contribuisce a rendere le vicende più autentiche. Volendo prendere un esempio di questo nuovo approccio di Matt, possiamo guardare al modo in cui disegna le labbra: soprattutto quelle del protagonista non sono la solita linea sottile ma si presentano spesse e pronunciate, a volte esagerate come nella copertina del #2, che gli procurerà un bel po’ di critiche da parte dei lettori. Per quanto riguarda il tono del racconto, il paradosso e la risata sono sempre dietro l’angolo, ma stavolta è come se Matt ci volesse far capire che non siamo davanti a una barzelletta ma ai fatti veri (o quasi) della sua vita. Non ci sono più i pezzetti di realtà sporadici e isolati delle storie precedenti, pensati per essere autoconclusivi e pubblicati su antologie. La serialità porta un approccio tutto nuovo, perché in un serial qual è adesso Peepshow ciò che accade in un numero ha inevitabilmente i suoi effetti sull’uscita successiva.

La copertina del #1 ci mostra Matt da solo in mare, appoggiato su una ciambella, sorridente e con un cocktail in mano. In alto, sotto al titolo della testata, la dicitura Greetings from Ipanema! Ma siamo a Rio de Janeiro dunque? Non di certo, il riferimento è alla nuova fissazione di Joe, con una trama che si riallaccia a quanto raccontato in precedenza. Dopo l’orientale massaggiatrice shiatsu Matt prende di mira un’altra ragazza dai tratti esotici, soprannominata “the girl from Ipanema” perché incontrata in una copisteria mentre in sottofondo suonava il celebre pezzo di bossa nova. Intanto Joe e Trish non fanno altro che litigare, su qualsiasi argomento possibile. Il piantagrane della situazione è ovviamente Matt, sempre nervoso e intrattabile quando sta con la fidanzata, per poi farsi prendere dalla paranoia di essere lasciato quando parla con Seth e Chester Brown. Al culmine di un litigio particolarmente intenso, Matt sbotta e picchia Trish facendole un occhio nero. Il fattaccio non viene mostrato ai lettori, che si limitano ad assistere alla litigata e poi al dialogo con Seth in cui Matt confessa di aver picchiato Trish. E infine nella scena seguente la ragazza mostra i chiari segni del colpo.

Pur raccontata in modo indiretto, la scena contribuisce ancora oggi alla fama di Matt, che oltre a essere ricordato come “il fumettista che si è fatto mollare per aver raccontato tutto di sé nei fumetti” (come vedremo in seguito) è anche “il fumettista misogino e segaiolo che ha fatto un occhio nero alla fidanzata”. Probabilmente oggi un editore come Drawn & Quarterly – lo stesso del caso Berliac, se ricordate – non pubblicherebbe mai un fumetto come Peepshow #1. Ma all’epoca la situazione non si discostava molto da altre già viste nei comix del passato o negli alternative comics contemporanei, basti pensare – senza andare troppo lontano – a Crumb che salta addosso alle donne e a Buddy Bradley che praticamente stupra Lisa o che approfitta della sua posizione di tour manager per andare a letto con una disinteressata fan. E comunque, pur lontani da ciò che sarebbe successo oggi, anche all’epoca Matt non godé certo di ottima fama. Un buon esempio è questo paragrafo che Eric Reynolds dedicava a Matt sul #162 di The Comics Journal. “Un sacco di gente ama i fumetti di Joe Matt, ma nessuno sembra amare Joe Matt (tranne Chester Brown e Seth, forse). Matt sembra determinato a ritrarre ogni riprovevole aspetto della sua personalità, dalle tecniche di masturbazione al suo comportamento anale/ritentivo fino a quando arriva a picchiare la fidanzata. Purtroppo Matt continua a cadere sempre più in basso, per nessun’altra ragione apparente che il sensazionalismo. E arriva al paradosso di far passare l’inferno alle sue fidanzate nei fumetti, per poi lamentarsi quando loro non lo vogliono più (chissà perché). Matt è un eccellente cartoonist, che riesce spesso nell’impresa di far entrare una grandissima quantità di vignette in una sola pagina, ma la sua completa mancanza di autoconsapevolezza e di sensibilità rendono la lettura dei suoi fumetti un’esperienza davvero frustrante”. Che Matt manchi di sensibilità è abbastanza evidente, ma non credo che ciò sia altrettanto vero per l’autoconsapevolezza, perché questi fumetti sono in qualche modo una lunga seduta di analisi in cui l’autore sembra al tempo stesso condannare se stesso e compiacersi. In ogni caso ci pensarono i lettori a metterlo di fronte alla realtà. La pagina delle lettere di Peepshow è una delle più divertenti di sempre, con i fan – se così vogliamo chiamarli – che non si fanno problemi a criticare brutalmente il personaggio Joe Matt, senza paura di risultare troppo franchi. Si usava così all’epoca d’altronde, e basta dare un’occhiata alle missive pubblicate sul #2 per averne conferma, con l’apertura riservata a Mark Daly da Amherst, Massachussets, che osservava con semplicità: “Dear Joe, Peepshow #1 really disturbed me”. Poche righe sotto articolava meglio il concetto Barton Deiters da Williamston, Michigan: “Caro Joe, dopo aver visto che razza di bastardo egoista e sconsiderato sei in Peepshow #1, la mia ragazza pensa  che io sia un principe! Grazie per far sembrare tutti noi altri delle persone in gamba. P.S. Trish ti ha già mollato?”. Non mancano le lettere dei colleghi, tra cui lo stesso Peter Bagge da Seattle: “Joe, ti scrivo per farti sapere che Peepshow #1 mi è piaciuto un sacco. Però devo dirti un’altra cosa: tra questa storia e quel fumetto che Seth ha fatto su di te in D&Q, hai sviluppato un personaggio davvero negativo agli occhi del pubblico. Ma hey, è un problema tuo! Per quanto mi riguarda è divertente da leggere. Buona fortuna”. Da San Francisco arriva invece il parere di Ed Brubaker, all’epoca ancora un fumettista emergente e lontano dal successo di pubblico. “Hey Joe, ti volevo far sapere che Peepshow #1 è il miglior esordio di un fumetto che io ricordi di aver letto. Non ho mai visto una storia in cui il protagonista è così clamorosamente antipatico. E’ una storia molto onesta, non si può leggerla e non pensare ‘che stronzo!’. Ma al tempo stesso ci si può identificare con te. Davvero inquietante. Sei il Robert Crumb degli anni ’90!”. 

Ma torniamo alle vicende del personaggio Joe Matt, che continua a essere insopportabile con la fidanzata e ad evitare persino le avance sessuali di lei. Ormai è concentrato su Frankie, la “ragazza di Ipanema” entrata stabilmente nella sua cerchia di amici dopo essere diventata collega di lavoro di Trish. Matt ne è infatuato al punto che, quando lei gli appare sotto forma di immagine mentale mentre si masturba, lui ne allontana la visione perché troppo “perfetta” per essere degradata a materiale dei suoi solitari orgasmi. A un pranzo in cui sono presenti sia Trish che Frankie – oltre a Seth, Brown e altri amici – ignora la fidanzata e si rivolge all’altra tutto entusiasta parlandole dei suoi View-Master. Tutto ciò è raccontato con dovizia di particolari nelle sue tavole, che Matt realizza quando riesce a vincere la pigrizia e a mettersi a lavoro. Va da sé che quando Trish – e siamo a questo punto a Peepshow #2 – trova in casa le tavole realizzate da Matt va su tutte le furie. L’episodio rimarrà leggendario, tanto che Matt viene  ricordato ancora oggi – lo dicevo poco fa – come il fumettista che si è fatto mollare dalla ragazza per aver raccontato le sue perversioni nei fumetti. Difficile davvero fare più di lui, in questo senso. Ma potremmo anche vedere questi fumetti da un altro punto di vista, ossia come una confessione, o addirittura come il tentativo più o meno inconscio di farsi mollare, non avendo il coraggio di prendere l’iniziativa e mettere fine a una relazione ormai in piena crisi. D’altronde come poteva sperare che Trish rimanesse con lui dopo aver letto le storie pubblicate in questi primi numeri di Peepshow? E infatti la crisi è ormai alle porte: i due nel frattempo sono andati a vivere in case separate (su iniziativa di Joe…) e si allontanano materialmente ed emotivamente l’uno dall’altra ogni giorno che passa. Si vedono poco, e quando si vedono non fanno altro che litigare. Fino al giorno in cui Trish, ormai stufa di stare con un uomo che l’ha picchiata, ha descritto nei fumetti le fantasie erotiche su una sua amica, se n’è andato a vivere per conto suo e non ha fatto altro che criticarla e urlarle contro per mesi, decide di prendere la decisione di lasciarlo. E a quel punto cosa fa Joe “Poor Bastard” Matt? Passa le giornate a disperarsi e ad autocommiserarsi, arrivando persino a implorare Trish di tornare insieme. Peepshow #2 si conclude con un flashback di una sola amarissima pagina in cui vediamo Joe dire per la prima volta “ti amo” a Trish.

Peepshow #3, terzo numero della serie pubblicato durante il 1992, mostra in copertina il protagonista desolato, seduto a guardare il telefono. E’ il Joe Matt single che conosceremo di qui in poi, ancora intento a struggersi per Trish e a ricordare i bei momenti passati insieme, anche se fino a qualche tavola fa non faceva altro che disprezzare l’ormai ex fidanzata e il loro rapporto. Il titolo del comic book, History Lesson, fa riferimento ai continui sfottò rifilati al protagonista da Seth e Chester Brown a causa delle sue scarse conoscenze di cultura generale, ma anche alla “lezione” che Joe ha subito dalla vita. Eppure non se la passa così male, dato che in una delle periodiche puntate al negozio di fumetti The Beguiling conosce Andy, musicista e soprattutto grande fan dei suoi fumetti. Andy si accompagna con Kim, una tipa dal look alternativo e dai capelli corti e neri di cui Joe si invaghisce. E’ lei a fargli dimenticare che intanto la “sua” Trish sta uscendo con un altro, e che la sua vita è misera e disgraziata. Ma potrà provarci o no, visto che di mezzo c’è Andy, che stravede per lui ed è sempre gentilissimo? Forse sì, perché i due sembrano avere un rapporto aperto… Peepshow #4 è invece il primo capitolo di una storyline in tre parti intitolata Binswhacker e concepita per la prima volta da Matt come un unicum, a differenza dei numeri precedenti incentrati rispettivamente sulla cotta per Frankie, l’addio a Trish e la confusione post-rottura. Il tema centrale di questa storyline è uno: Joe Matt è infelice ma non si arrende. Passa le giornate a guardare i porno ma vuole fare di nuovo centro, se capite cosa intendo, e le chance non gli mancano. Oltre alla già citata Kim, c’è la minuta Mary, che gli è stata presentata proprio dalla coppia di amici, e con cui inizia ad uscire. Oppure una nuova coinquilina, l’asiatica Jill, che gli permetterebbe di soddisfare la sua curiosità per le ragazze orientali. E poi c’è Laura, una sua ex di Philadelphia con cui ha riallacciato i rapporti. Non vi dico chi di queste sarà la “fortunata”: la risposta potete trovarla in The Poor Bastard, volume unico pubblicato per la prima volta nel 1997 e contente proprio questa prima sestina di Peepshow. In italiano è uscito come Poor Bastard, senza l’articolo, per Coconino nel 2008 ed è ancora disponibile nelle migliori librerie.

Tra un flirt e l’altro, in Binswhacker seguiamo le vicende quotidiane del nostro in quel di Toronto, tra le periodiche puntate a The Beguiling, con l’allora proprietario Steve Solomos, i monologhi senza sosta a cui lo sottopone Charles, il suo coinquilino sovrappeso, e le sessioni di masturbazione accompagnate da fantasie erotiche che trovano massima espressione nella copertina del #6, con Matt attorniato da un nugolo di avvenenti ragazze. Se è vero che il cardine del lavoro di Matt è l’autobiografia – spesso spietata, come nell’episodio che l’ha portato alla separazione con Trish – bisogna anche dire che in queste pagine le situazioni sono spesso esagerate per dar loro coerenza e per divertire il lettore. Anzi, da quel che ha detto Matt in seguito mi sembra evidente che, se i primi due numeri di Peepshow sono in gran parte autobiografici, nei numeri dal 3 al 6 c’è più di qualche elemento di fiction. Matt non è né Harvey Pekar né Gabrielle Bell, non cerca l’insignificante ma plasma la sua autobiografia per fini narrativi, esagerando le situazioni fino a portarle al grottesco. Spiega l’autore in un’intervista del 1993 pubblicata nel #162 di The Comics Journal: “Non credo che il mio lavoro rispecchi la realtà in tutto e per tutto. I miei fumetti hanno una componente fittizia, nel senso che è normale mettere insieme degli eventi distanti nel tempo o inventarsi qualche particolare per dare un po’ di pepe alla storia. E poi io tendo a drammatizzare le cose (…). E’ normale esagerare per far ridere i lettori”. E di sicuro qui si ride di gusto, anzi, questi primi sei numeri di Peepshow sono a mio parere uno dei fumetti più divertenti di sempre, oltreché un esempio di cartooning d’alta scuola, con una narrazione fluidissima e leggera, dei tempi comici perfetti, dei disegni che nel loro tendere al grottesco – date un’occhiata alla miriade di espressioni facciali che Matt tira fuori mentre si fa le seghe, gioisce e soprattutto si dispera – riescono a far sbellicare il lettore quanto i testi. 

L’intervista appena citata è collocata in un numero speciale del Comics Journal, tutto dedicato al fumetto autobiografico, e in cui Matt viene intervistato insieme a Chester Brown e Seth. I tre formano un trio indivisibile, e questi primi sei numeri di Peepshow ne sono testimonianza evidente, con pagine e pagine di conversazione che alla fine più che commentare i fatti a mo’ di coro greco diventano il vero cuore del racconto. Lo stesso titolo del volume che raccoglierà queste storie è tratto da una frase che Seth rivolge al protagonista, intento – tanto per cambiare – a sbavare mentre guarda una ragazza a un tavolo vicino al loro: “You poor bastard. You really suffer, don’t you?”. Seth da una parte ridicolizza di continuo Matt, deridendolo per le sue scarse conoscenze di cultura generale, per i suoi vizi, le sue ossessioni, i suoi ragionamenti che si accartocciano su se stessi, tanto da paragonare una chiacchierata con l’amico a una corsa su un  tapis roulant che non può essere spento (“I’m on a treadmill!” urla facendo finta di cadere spaventato quando Matt si perde nei suoi ragionamenti paradossali). Dall’altra l’autore di Palookaville ha anche il ruolo di consigliere, di “voce della ragione”. Nel #183 di The Comics Journal Chris Brayshaw dopo aver lungamente conversato con Matt pone qualche domanda proprio a Seth, in un’intervista di quattro pagine che ha come unico argomento l’amico e collega. E Seth a un certo punto dice: “Abbiamo un rapporto davvero strano, soprattutto perché quando sono con lui divento più bacchettone di quanto sono di solito. All’improvviso mi ritrovo a difendere delle idee in cui non credo veramente, e a diventare molto più duro su alcuni argomenti, come il sessismo e la pornografia, su cui in realtà non sono poi così rigido”. Succede per esempio in Peepshow #5, quando Seth perde la pazienza urlando a Matt: “Questa tua stupida fissazione per le asiatiche è la classica fantasia del giovane maschio bianco. Ma non riesci a vedere che è offensivo? Nessuna donna vuole essere vista come un oggetto erotico prima che come una persona! Non riesci a capirlo?”. Diverso è invece il ruolo di Chester Brown, che quando partecipa agli incontri con gli altri due è di poche parole riservando a Joe soprattutto sorrisi sarcastici, tanto da sembrare quasi un cliché. Ma quando un lettore, nella posta di Peepshow #4, chiede se Chester è davvero così tranquillo o se è Matt a tagliare le sue battute, Joe risponde semplicemente: “Yes, he’s that quiet”. E a proposito di questo unitissimo trio di fumettisti, da segnalare che queste dinamiche tornano nei fumetti dei colleghi, in particolare in It’s a Good Life If You Don’t Weaken di Seth (dove però è soltanto Chester Brown a fare da spalla al protagonista) e in Paying for It dello stesso Brown, che riunisce il trio. Oltre a influenzarsi a vicenda (in particolare Matt ammetterà l’impatto che ha avuto su di lui il lavoro di Brown), i tre realizzeranno qualche striscia insieme – per lo più inedite, anche se una traccia la troviamo nel volume Drawn & Quarterly: Twenty-Five Years of Contemporary Cartooning, Comics, and Graphic Novels – e si daranno allo sfottò reciproco, come testimoniano Some Things I Think You Should Know About Joe Matt, la storia di Seth pubblicata sul settimo numero della prima serie dell’antologia Drawn & Quarterly, e Paid for It di Joe Matt, di cui dirò nella prossima e ultima puntata di questo speciale.

Vi presento Joe Matt/1

Era il 1992 quando Drawn & Quarterly iniziò a pubblicare Peepshow, il comic book monografico in cui Joe Matt serializzava le sue disavventure autobiografiche. Io all’epoca avevo 15 anni e mi appassionai alla serie con un po’ di ritardo. Non ricordo bene come ne venni a conoscenza, ma con tutta probabilità tramite qualche numero di The Comics Journal, o nel Previews della Diamond che studiavo attentamente insieme all’Anteprima di Alessandro Distribuzioni per poi chiamare Bologna e piazzare una lunga lista di ordini. O forse in qualche negozio di Roma, come All American Comics o Infinity Shop, specializzati in fumetti in lingua originale e che avevano il coraggio di portare i comic book “indipendenti” di case editrici diverse dalla Marvel e dalla Dc, come la Kitchen Sink, la Tundra, la Slave Labor, la Fantagraphics e appunto la Drawn & Quarterly. Fatto sta che iniziai a seguire Peepshow dal #7, che segnava l’inizio della seconda storyline, poi raccolta in volume con il titolo di Fair Weather e che vedeva protagonista l’autore da giovane. Dovevano essere i primi mesi del 1995, visto che quel numero porta la data di marzo di quell’anno. Qualche tempo dopo riuscii a procurarmi la raccolta in volume dei primi numeri di Peepshow, intitolata The Poor Bastard e pubblicata sempre da D&Q nel 1997, e quindi a recuperare i primi fumetti di Joe Matt, usciti in un volume chiamato ancora Peepshow e pubblicato da Kitchen Sink nel 1991. Se le atmosfere alla Stand by Me di Fair Weather mi aveva già colpito, questi fumetti ambientati “ai giorni nostri” mi conquistarono definitivamente.

Classe 1963, cresciuto a Lansdale, un paesino vicino Philadelphia in Pennsylvania, in tenera età Matt legge tanti fumetti e in particolare i Peanuts, Li’l Abner e i supereroi Marvel e Dc, ma anche Dennis The Menace, Little Lulu, Archie, Donald Duck. Disegnatore sin da ragazzino, dopo il college tenta la strada della scuola d’arte iscrivendosi al Philadelphia College of Art, con l’idea di sfondare come illustratore, sfoggiando uno stile ben diverso da quello che lo distinguerà in seguito. Stroncato da una serie di rifiuti, cambia completamente rotta e si dedica al fumetto. Ma l’idea di provare con i supereroi che tanto ha amato non lo sfiora nemmeno un attimo, un po’ per la sua scarsa confidenza con l’anatomia, e soprattutto perché aveva ormai scoperto Zap Comix e i fumetti di Robert Crumb, insieme a quelli di Harvey Pekar e di Art Spiegelman. Da lì ad arrivare al fumetto autobiografico il passo è breve e così inizia a disegnare le sue vicissitudini quotidiane negli sketchbook e a tentare i primi contatti con le case editrici, incoraggiato da un fumettista già avviato e che sarà famoso, il suo amico e compagno di college Matt Wagner. Per lui Joe farà anche da colorista, un lavoro remunerativo ma che odia profondamente, soprattutto quando le case editrici finiscono per pagarlo in ritardo. Di queste prove rimane traccia in alcuni numeri di Grendel e nella miniserie Batman/Grendel. Ma dicevamo appunto dei contatti con le case editrici, che si sviluppano subito dopo il college, quando il nostro si è trasferito a Philadelphia e ha iniziato a lavorare in un negozio di fumetti, il Fat Jack’s Comic Crypt. Sempre attraverso Wagner entra in contatto con la Comico, per cui il collega pubblicava Mage e Grendel: mostra il suo lavoro a Diana Schutz, che si dimostra interessata ma senza fargli un’offerta concreta. Così l’aspirante cartoonist prende, fotocopia 20 tavole già pronte all’uso e le manda alla Kitchen Sink, una delle case editrici fondamentali per il fumetto alternativo degli anni ‘70 e ‘80. Il gesto è subito ricambiato, dato che Matt viene invitato a bordo di Snarf, antologia spillata fondata nel 1972 da Denis Kitchen e che – dopo una storia fatta di continue riprese e interruzioni, con numeri che escono a distanza di anni l’uno dall’altro – stava per essere rilanciata con ritrovata continuità proprio sul finire degli anni ‘80. Il debutto è nel #11 del febbraio 1989 ed è lì che troviamo, a pagina 25, Some Things You First Need to Know About Joe Matt…, un titolo un programma, dato che la tavola racconta 31 curiosità in 31 vignette su un autore giovane e sconosciuto a chiunque. D’altronde il punto #5 avverte chiaramente che “he’s got a huge ego!!”. Sono cinque le tavole ospitate nell’antologia, tutte autoconclusive. Eppure queste pagine singole sono parte di una storia più grande, quella di Joe Matt ovviamente. Ce lo dice già la seconda pagina tratta da Snarf #11, senza titolo ma che come molte altre piazza una data (26 novembre 1987) in alto a sinistra: “Signore e signori, ve lo devo dire… A questo punto non me ne importa niente! Dopo due anni in cui ho cercato di iniziare un fumetto ricavandone solo frustrazione e angoscia, ho deciso… Al diavolo! Basta con i tentativi di creare dei personaggi! Basta con i tentativi di raccontare una storia! Al diavolo quello che vuole il pubblico! Al diavolo tutte queste porcherie!! Ormai ho deciso di fare quello che mi viene più facile, ossia disegnare dei fumetti su me stesso, con la speranza che forse qualcuno là fuori li possa trovare divertenti! Ma ora vi avverto… Non faccio una vita così entusiasmante… Anzi, probabilmente vi sembrerà noiosa. Ma se non altro potrete sempre tirarvi su pensando di non essere me…”. Insomma, il giovane Matt aveva ormai le idee chiare e queste poche righe suonano come il più onesto dei manifesti programmatici.

Quando debutta su Snarf, Matt si è già trasferito da Philadelphia a Montreal, per seguire la fidanzata di allora, Trish, cognata di Wagner e prima comprimaria dei suoi fumetti. Una decisione che sarà fondamentale per la sua carriera, dato che in Québec conosce Chris Oliveros, che proprio in quegli anni stava per mettere su Drawn & Quarterly. Il neo-editore lo scrittura da subito, offrendogli spazio nella sua prima pubblicazione. Drawn & Quarterly vol.1 #1 è una rivista antologica che esce nell’aprile del 1990 e in cui Matt fa la parte del leone, con ben 8 pagine simili per stile e tematiche a quelle viste su Snarf. Come già si era presentato ai lettori dell’antologia Kitchen Sink con Some Things You First Need to Know About Joe Matt…, il nostro fa gli onori di casa con una pagina simile, intitolata My Life in a Nutshell: 30 minuscole vignette in cui racconta le tappe fondamentali della sua vita, dalla nascita alla scuola fino alle estati passate a lavorare per racimolare qualche soldo e quindi al presente. Matt non si risparmia affatto, anzi, sembra soffrire di horror vacui, mostrando un impellente bisogno di raccontarsi nei minimi dettagli riempiendo la pagina fino all’eccesso. Nell’ultima vignetta si mostra al tavolo da disegno intento a colorare, con il testo che dice: “Grrr… Odio colorare… Sono sottopagato… E non ho tempo per i miei fumetti… Mi sono venduto… Ora sono intrappolato qui a Montreal… I ristoranti fanno schifo… Le librerie pure… Non so nemmeno parlare francese…”. Insomma, si lamenta e si compiange, come succederà molte ma proprio molte altre volte da qui agli anni a venire. E a proposito di Montreal, il tema viene sviluppato in un’altra storia pubblicata in Snarf #13, chiamata semplicemente Why I Hate Living in Montreal. Tanto per essere chiari, insomma.

A proposito di Snarf, Matt compare tra il 1989 e il 1990 in tutti i numeri dell’antologia Kitchen Sink, compreso il #15, che ne segnerà la fine. Ormai è canadese di adozione – e si trasferirà ben presto da Montreal a Toronto – oltreché uno degli artisti di punta di D&Q, tanto da contribuire alle antologie curate da Oliveros anche con qualche pagina che mostra il suo passato da illustratore. Un paio di esempi si trovano sulla quarta di copertina proprio di Drawn & Quarterly vol. 1 #1, oppure sulla copertina del terzo numero: a essere raffigurati con illustrazioni a colori dai toni fotorealistici e tendenti al grottesco sono rispettivamente un “povero” padre con quattro figli e una coppia sposata dal sorriso così smagliante da risultare inquietante. Ma torniamo al Joe Matt che conosciamo tutti, ossia caricaturale, ironico, autobiografico, persino masochista per l’immagine che dà di sé. Il suo contributo alla prima versione di Drawn & Quarterly finisce con il #6, datato ottobre 1991. Qualche mese dopo esce il primo fumetto tutto suo, ossia la raccolta integrale delle storie già viste sulle antologie, con l’aggiunta di qualche inedito. Il volume, tuttora inedito in Italia, è intitolato proprio Peepshow! (con il punto esclamativo in questo caso) e pubblicato da Kitchen Sink, anche se qualche anno dopo verrà ristampato da D&Q. 

I temi di questo densissimo “cartoon diary” – 90 e passa pagine in grande formato piene zeppe di testo – sono quelli tipici di tutti i fumetti di Matt. L’autore saccheggia nei minimi particolari la sua autobiografia, ossia le vicende di un fumettista di educazione cattolica ossessionato dal sesso, dai porno e dalla masturbazione tanto da mettere continuamente a repentaglio la sua stessa vita sentimentale. Insomma, niente di particolarmente nuovo, come commenta Robert Crumb nella quarta di copertina: “Proprio ciò di cui il mondo ha bisogno: un altro fumettista represso, fissato ed ex-cattolico. Non vedo l’ora di vedere che gli succede… Che dio lo aiuti!”. Una citazione sicuramente ironica ma che per lui è una sorta di benedizione: staremo anche leggendo per l’ennesima volta le vicende autobiografiche di un fallito frustrato ex-cattolico ecc. ecc. ma se si è scomodato Crumb in persona per commentarle, beh, vuol dire che queste storie sono almeno raccontate bene. E che fanno ridere, ovviamente. Matt non mostra la minima pietà verso se stesso e si descrive di volta in volta come un misogino, un avido collezionista, un inguaribile tirchio, un maniaco sessuale e chi più ne ha più ne metta. In queste pagine assistiamo anche all’incontro con Chester Brown e Seth, che segna l’inizio di una lunga e duratura amicizia, dato che i tre costituiranno un indissolubile gruppo di fumettisti con base a Toronto. Quando Joe incontra per la prima volta Chester Brown, il collega gli chiede dove possono andare per fare due chiacchiere e lui risponde senza vergogna “a casa tua”. E davanti alla proposta di Brown di prendere la metro risponde: “Are you crazy? That thing costs money! We can walk!”. Poco importa che in realtà le cose non andarono esattamente così e che l’incontro avvenne con tutt’altre modalità: l’episodio è comunque “vero” dato che rappresenta un lato importante della personalità dell’autore. Seth invece partecipa attivamente al volume con le due pagine di Some Things I Think You Should Know About Joe Matt, già viste su Drawn & Quarterly vol. 1 #7 e in cui si diverte a prendere in giro l’amico (“Sapete, prima di incontrare Joe Matt pensavo che stesse esagerando su di sè nelle sue storie – recita l’autore di Palookaville – Ma adesso so che non era così! Anzi, direi che si dipinge migliore di quello che è”).

In molti di questi fumetti l’autore/protagonista è tormentato da un desiderio sessuale irrefrenabile, tanto che a un certo punto decide di seguire un programma di disintossicazione. Ma il tentativo avrà scarso successo, e nel giro di poche pagine tornerà a pensare ossessivamente alle donne e a guardare le sue amate videocassette porno. Qua e là l’evolversi tragicomico delle vicende è interrotto da tavole tematiche, come quella in cui racconta i Tv shows that made me horny as a kid. Quella delle vignette minuscole è una fissazione: in Hell to Pay, pagina del 14 settembre 1989, diventano addirittura 96, tanto che l’autore avverte in apertura che “il microscopio non è incluso”. La tendenza a giocare con la costruzione della tavola è un’altra caratteristica del primo Joe Matt, che di tanto in tanto si diverte anche con soluzioni più ariose, come succede per esempio nella seconda versione di Playtime, dove è raffigurata una struttura verticale degna di un parco giochi in cui il protagonista si muove compiendo le più spericolate acrobazie. Altri argomenti di queste storie sono i capelli dell’autore, un oscuro segreto (guarda caso a sfondo sessuale), la fissazione di parlare come Donald Duck, e poi descrizioni dettagliate dei genitori, dei fratelli, del nonno, delle ex fidanzate, degli amici, degli ex coinquilini. Ogni tanto si guarda al passato, come in Blueberry Fields Forever, dove si racconta l’esperienza estiva in una fattoria nel Maine, o in Fat Jack’s Comic Crypt, sul periodo passato al negozio di fumetti di Philadelphia. Sulla stessa falsariga da citare anche I Was a Teenage Art Student, in cui lo vediamo darsi arie da artista maledetto, vivere storie di una notte, cercare l’ispirazione nei cimiteri, ubriacarsi e via dicendo, per poi specificare che si è inventato un bel po’ di cose. E ci sono anche una serie di guide, come quella su come risparmiare – dall’originale struttura circolare e a colori – o un’altra su come “andare in bagno” senza farsi sentire dagli altri. 

L’ultima parte del volume anticipa gli sviluppi futuri. Con un tratto ormai maturo, che si è fatto via via più rotondo rispetto agli spigolosi esordi, Matt abbandona l’impostazione autoconclusiva delle tavole e inizia ad affrontare una narrazione più strutturata. Siamo a questo punto a Toronto, dove Joe e Trish vivono nel sottoscala di Deb, con la proprietaria di casa, un gatto e tre ragazzini. Ma quando arriva la notizia dell’infarto del padre, Matt deve tornare in Pennsylvania, dove tra una visita e l’altra all’ospedale sfoga lo stress comprando costosi giocattoli come la Pee-Wee’s Playhouse, non senza sensi di colpa (“Ho comprato la Pee-Wee’s Playhouse anche una seconda e una terza volta – confesserà nell’intervista pubblicata in The Comics Journal #183 –  e tutte le volte me ne sono sbarazzato. Al momento non ce l’ho. E non la voglio”). Dopo che il padre si è rimesso, assistiamo al ritorno a Toronto. Qui Chester Brown gli presenta Kris, una massaggiatrice shiatsu dai tratti orientali che gli offre un trattamento gratis. Lui accetta di buon grado scatenando l’ira della fidanzata e una lite furibonda che occuperà le pagine conclusive del volume, prima di una riappacificazione in extremis che ha l’amaro sapore della tregua. Al di là dei contenuti, le storie mostrano che Matt è cresciuto come autore e che i tempi sono maturi per qualcosa di diverso, magari un comic book vero e proprio. Lo sa il diretto interessato e soprattutto lo sa Chris Oliveros, che aveva già capito la necessità di superare il formato antologia per dare uno spazio tutto loro ad altri autori come Julie Doucet e Seth. 

“Meskin and Umezo” di Austin English

Per qualche giorno è possibile prenotare nel negozio online di Just Indie Comics Meskin and Umezo, il nuovo fumetto di Austin English in uscita per la sua Domino Books. Della Domino – sia come casa editrice che come distribuzione – ho parlato più volte da queste parti. E anche al lavoro di English ho accennato spesso, portando anche alcuni dei suoi precedenti fumetti (Gulag Casual, The Enemy From Within) nella nostra penisola. Meskin and Umezo era atteso da tempo, English ci stava lavorando da anni e dopo averlo finito ha deciso di pubblicarselo in proprio con la Domino, che nel frattempo ha allargato il suo raggio d’azione diventando sempre più la casa dei fumetti “altri”, almeno negli Stati Uniti. Ed è il caso di insistere su quest’accezione di diversità. L’estetica di English è infatti unica nel panorama fumettistico odierno, lontana da qualsiasi moda del momento, e così sono le sue storie, sempre delimitate in uno spazio preciso, capaci di sviluppare le varie tematiche in un modo così approfondito e ossessivo da risultare del tutto originale. Scrivevo qualche anno fa riferendomi ai fumetti raccolti da 2dcloud nel volume Gulag Casual: “English non cerca assolutamente un disegno facile e attraente. La sua è un’estetica volutamente sgraziata e imperfetta, che mescolando energicamente tecniche, materiali e colori sfocia nell’arte delle avanguardie storiche e dell’espressionismo astratto. Tuttavia la voglia di dipingere, disegnare e sperimentare non porta mai l’autore a trascurare l’impianto fortemente narrativo dei suoi fumetti. Le storie hanno sempre una trama definita, anche se sembrano più sceneggiature di opere teatrali che fumetti tradizionalmente intesi per il modo in cui trattano i personaggi, non soggetti con una personalità e un background alle spalle ma figure che compiono azioni in uno scenario delimitato”.

E’ proprio per questo che vi invito ad approfittare di questo pre-order, attivo fino a domenica 6 febbraio. Sarà almeno per un po’ l’unico modo di ordinare dall’Italia questo fumetto, un’opera che per una volta si allontana da tutto ciò che è di tendenza in un panorama – quello del fumetto “alternativo”, “underground” o che dir si voglia – in cui tutto assomiglia sempre più a se stesso. Ma pur nella sua unicità Meskin and Umezo, come le precedenti opere di English, non dimentica la “forma” fumetto e la storia del medium. Non è insomma sperimentalismo fine a se stesso. Nel 2016, rispondendo a un’intervista per il sito Broken Frontier in cui gli si chiedeva se il suo stile fosse una reazione al tradizionale modo di raccontare storie a fumetti, English ha dichiarato: “Mi sono sempre piaciuti i fumetti, al punto che non penserei mai di rifiutare la loro storia. In tutta onestà quando inizio una storia ho sempre l’ambizione di fare qualcosa di ‘tradizionale’ nello stile di un vecchio fumetto di Will Elder o qualcosa del genere, e poi la mia naturale mancanza di mezzi ha la meglio già dalla seconda vignetta e il progetto si trasforma in tutt’altro. Lo spirito punk rock delle fanzine e dei mini comics che leggevo nella seconda metà degli anni ’90 (come King-Cat) mi ha spinto ad accettare sin da subito qualsiasi forma assuma il mio lavoro. Mi è mancata anche una distinzione netta tra fumetti e libri d’arte durante la mia formazione – mia madre mi dava da leggere Tintin ma aveva anche in giro per casa delle monografie di Matisse, che adorava. In genere tutti i libri con delle immagini dentro erano molto rassicuranti per me da ragazzino, e a un certo punto i due mondi si sono confusi nella mia testa. Capisco che per le persone che si occupano di arte e quelle che si occupano di fumetto ci siano dei confini molto definiti, ma io non l’ho mai vista in questo modo”.

La dinamica di Meskin and Umezo è la stessa di altre opere di English. La conversazione densa e ripetuta tra i due protagonisti viene rappresentata dall’autore con una serie di soluzioni grafiche che ne costituiscono il contenuto ancor più dei dialoghi. Ammirando le pagine qui in basso, gentilmente offerte dallo stesso autore in anteprima, potrete vedere il modo in cui i corpi si moltiplicano per poi riunirsi in una nuova sintesi, esprimendo tutta la difficoltà (e la bellezza) delle interazioni umane.

Cliccate qui per prenotare Meskin and Umezo di Austin English entro il 6 febbraio.

Just Indie Comics Newsletter #1

E’ uscito con grande puntualità il #1 della newsletter cartacea di Just Indie Comics, nient’altro che un foglio formato A3 impaginato in bassa fedeltà e stampato fronte/retro. Questo lo stupefacente sommario: Best of 2021 / Generous Bosom e Ultrasound: intervista a Conor Stechschulte / Just Indie Comics Buyers Club / Speciale Italia: consigli per gli acquisti / Anteprima 2022/ BilBOlbul 2021 / Novità dalla distro.

Inoltre potrete trovare le risposte alle seguenti domande:

• Da quale orecchio non ci sento bene?

• Che gusti di gelato ho mangiato a Bologna?

• Quante virgole in più ci saranno nella versione in volume di Generous Bosom?

• L’influenza artistica viaggia nel tempo?

• Ma non doveva chiudere il Big Cartel di Just Indie Comics?

• Esiste lo yeti a forma di scroto?

• Chi ha paura di Virginia Woolf?

La newsletter viene inviata a tutti gli abbonati del Buyers Club e, fino a esaurimento scorte, anche a chi fa ordini sul Big Cartel di Just Indie Comics. Inoltre è possibile abbonarsi alla sola newsletter, al modico prezzo di 10€ spedizione inclusa. Con l’abbonamento si ha diritto a ricevere un anno di divertimento, ossia 4 numeri con cadenza trimestrale. Sinceramente un simile affare non l’ho mai visto e se non fossi io a farla ne approfitterei seduta stante. Se vi abbonate entro il 31 gennaio troverete nella vostra buca delle lettere già il #1, se invece vi abbonate da febbraio riceverete come prima spedizione il #2, in programma ad aprile. Per abbonarsi BASTA CLICCARE QUI.

10 fumetti che ho letto nel 2021

Solito Best Of dell’anno, come sempre influenzato dalle mie personalissime scelte di lettura e dai miei tantissimi pregiudizi. Quelli che seguono sono semplicemente i 10 fumetti migliori tra quello che ho letto nel 2021. A meno che non me ne sia dimenticato qualcuno.

Generous Bosom #4 di Conor Stechschulte (Breakdown Press) – Il capitolo conclusivo della serie di Conor Stechschulte non delude le attese, anzi, sbroglia una complicatissima matassa regalandoci pagine di grande fumetto. Non manca niente in questo quarto numero, da una trama elaborata a un approccio grafico dinamico che fa sfociare la tensione in tavole di grande impatto, fino a una conclusione che tende alla metanarrazione se non addirittura al filosofico. Per qualche informazione tecnica in più andatevi a vedere questo post di qualche mese fa. Inoltre sul #1 della newsletter di Just Indie Comics trovate un’intervista all’autore, quindi non fate i timidi e abbonatevi a questo link.

Osypno di CF (autoprodotto)  Qualche mese fa CF ha fatto uscire due albi gemelli di cui ho già parlato qui. Difficile sceglierne uno, ma dato che ho deciso di limitarmi a 10 fumetti seleziono Osypno per simpatia verso il cane protagonista e per il tono leggero da cartoon tendente all’assurdo: soltanto una delle cifre stilistiche di uno dei cartoonist più grandi di sempre. Non ho messo un link perché sono già esauriti e non credo torneranno disponibili. Se non vi volete perdere le prossime autoproduzioni di CF tenete d’occhio il suo sito.

Dédales #2 di Charles Burns (Cornelius)  E a proposito di grandi, come potevo omettere il #2 di Dédales di Charles Burns? Il capitolo iniziale lasciava un po’ spiazzati, dato che sembrava soltanto una lunga introduzione alla storia, peraltro con una somiglianza a Black Hole che sfiorava il citazionismo. Il #2 – di prossima pubblicazione per Coconino – chiarisce le intenzioni dell’autore, perché anche qui succede poco e niente. Ma tutto è fatto benissimo. Ora per il #3 ci sono due strade: o anche lì non succederà niente, o succederà di tutto di più come nelle precedente trilogia. In ogni caso, sono sicuro che sarà tutto bellissimo e che non ve lo dovete perdere per niente al mondo.

Crashpad di Gary Panter (Fantagraphics) – Il padre del fumetto punk viaggia nel tempo per realizzare un tributo agli anni ’60, con tanto di saggio/fumetto introduttivo. La storia principale è efficace nella sua essenzialità ma sono i disegni a colpire, esaltati dalla confezione. Crashpad è infatti un volume gigante che presenta le tavole originali a mo’ di artist edition, mentre il fumetto vero e proprio è il comic book inserito in una tasca attaccata alla seconda di copertina. Esaurito in pre-order per le solite bassissime tirature di Fantagraphics, uscirà nel 2022 nella semplice e molto più economica versione spillata.

Sunday #3-4 di Olivier Schrauwen (Colorama) – Numero doppio in cui continua l’epopea quotidiana e domestica di Thibault Schrauwen, presunto cugino dell’autore che qui vediamo impegnato dalle 11.30 alle 13.30, mentre fantastica su una vecchia amica e aspetta notizie della fidanzata di ritorno da un viaggio. I “fuori campo” – nel senso delle vicende dei comprimari che avvengono al di fuori della casa del protagonista – aggiungono varietà all’intreccio e danno l’opportunità all’autore di mettere in scena una trovata geniale dopo l’altra. Tanti hanno provato a imitarlo in questi ultimi anni ma Schrauwen è al momento il solo che può permettersi di fare fumetti del genere, in cui ironia, metanarrazione e una certa supponenza si fondono in uno stile unico. Tutti gli episodi sono attualmente sold out, quindi se lo avete perso dovete confidare in una ristampa o aspettare l’edizione in volume.

Plaza di Yuichi Yokoyama (Éditions Matière) – Faccio un piccolo strappo alla regola – ossia parlare solo di fumetti usciti quest’anno, senza considerare ristampe o traduzioni – perché davvero in pochi dalle nostre parti avranno visto la versione originale di Plaza, uscito in Giappone nel 2018 per 888 Books. Questa francese è dunque la prima edizione occidentale (o almeno credo). Yokoyama si lancia ancora una volta in uno dei suoi progetti assurdi, questa volta descrivendo per filo e per segno una sorta di parata che avviene in una piazza pubblica. Non c’è una trama vera e propria ma un susseguirsi di idee fuori di testa, rappresentate con uno stile che è sempre più idiosincratico e accompagnato dalle solite sparatissime onomatopee in giapponese. Un trionfo per gli occhi, e alla fine c’è anche un testo dell’autore (in francese) che spiega a cosa abbiamo assistito pagina per pagina. Devastante.

Tinfoil Comix #5 (autoprodotto) – Il primo numero di Tinfoil (di cui parlavo qui) mi ha trasmesso la stessa sensazione che mi diede Kramers Ergot #4: quella di trovarmi davanti a una nuova generazione di autori che potevano prendere il fumetto e rivoltarlo come un calzino. I numeri successivi dell’antologia curata da Floyd Tangeman non hanno deluso affatto le aspettative e così non può mancare in questa lista la quinta e conclusiva uscita. Nel contributo di Chris Farris c’è una bella frase che potrebbe descrivere questi fumetti: “Like an erased De Kooning in the back of my throat”. Se siete interessati alla vicenda tenete d’occhio quello che sarà a tutti gli effetti l’erede di Tinfoil, ossia Jaywalk, nuovo magazine pubblicato da Domino Books e curato dallo stesso Tangeman, che unirà gli artisti di Tinfoil con quelli della stessa Domino. Intanto qualche copia di questo #5 è ancora disponibile nel negozio di Just Indie Comics.

Pretty Flavours di J Webster Sharp (autoprodotto) – Tra l’horror, un erotismo tendente al morboso e qualche reminiscenza di Nina Bunjevac, è arrivata agli onori della cronaca J Webster Sharp, debuttante autrice britannica che è riuscita con le sue autoproduzioni a farsi notare anche oltreoceano. Finora ha pubblicato quattro albi, due quasi del tutto muti e basati su un approccio puramente visivo (Pretty Flavours, appunto, e Fondant), due invece narrativi e dai contenuti drammatici, in cui l’attenzione è sulla storia e il disegno è meno minuzioso (Sea Widow sulla morte del marito e Jade and Her Schizophrenia dal titolo che è tutto un programma). Dovendo selezionarne uno per questa Top Ten la mia scelta è caduta su Pretty Flavours, perché è il primo che ho letto e per come sviluppa originali sequenze narrative rette da associazioni di idee e da una logica tutta loro. 

Late in the Years di Henry Crane (autoprodotto) – Esordio folgorante e fatto in casa di un giovane autore statunitense. Per il resto non ho altro da aggiungere rispetto a quanto già detto in questo post. Ah, qualcosa aggiungo invece: ne trovate ancora qualche copia nel negozio online, approfittatene prima che sia troppo tardi.

Monsters di Barry Windsor-Smith (Fantagraphics) – Una scelta strana, lo so, in una lista dominata per lo più da fumetti underground, “alternativi” o persino autoprodotti. E invece ecco qui, arriva un titolo in odore di mainstream (la storia era stata pensata in origine per il comic book di Hulk) e anche l’unico già tradotto in Italia, per Mondadori con l’ovvio titolo di Mostri e un formato leggermente più piccolo dell’originale. Monsters è un epico melodramma di 360 pagine che unisce la Hollywood degli anni ’50 con Weapon X sfiorando spesso il polpettone. Ma potevo escludere da questa Top Ten uno dei miei disegnatori preferiti di quand’ero ragazzino che dopo oltre 30 anni è riuscito a raccontare la “sua” storia come voleva? E poi basta guardare i disegni per godere, consapevoli del fatto che Windsor-Smith dà una pista (anzi, diverse piste) a tanti sedicenti fumettisti di oggi.

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Anteprima “No One Comes to the Lake Anymore”

L’immaginario di Charles Forsman ha già da tempo travalicato i confini del fumetto alternativo grazie alle due stagioni di The End of the Fucking World, serie tv realizzata per la britannica Channel 4 e poi trasmessa da Netflix. Dal successo di quell’adattamento ne è scaturito un altro, I Am Not Okay With This, direttamente per Netflix e di cui era prevista anche una seconda stagione, poi cancellata dopo l’esplosione della pandemia. I libri di Forsman sono stati pubblicati in Italia da 001 Edizioni, mentre negli USA le sue cose si sono viste per Fantagraphics e Floating World. Nonostante ciò Forsman continua di tanto in tanto a stampare i suoi albetti in totale autonomia, da fiero sostenitore dell’autoproduzione qual è; ha infatti iniziato a farsi conoscere come factotum della Oily Comics, l’etichetta per cui è stato serializzato in origine The End of the Fucking World.

Se gli sforzi editoriali di Forsman sono ormai riservati per lo più ai suoi adepti su Patreon, ogni tanto il nostro se ne esce con qualche produzione off come il recente No One Comes to the Lake Anymore, che ho deciso di scegliere come primo fumetto del Just Indie Comics Buyers Club 2022. L’albo si presenta come uno spillato di 24 pagine a colori su carta bella spessa e patinata. E già dalla copertina mette in chiaro di quale lago stiamo parlando. Dopo aver infatti fornito con le sue storie materiale per produzioni televisive, Forsman inverte il processo e si fa ispirare dalla nota saga cinematografica di Venerdì 13, ambientando la sua storia a Crystal Lake e scegliendo come protagonista il killer con la maschera da hockey Jason Voorhees.

Non aspettatevi però facili trovate horror o efferatezze varie: il modello cinematografico diventa piuttosto una scusa per indagare le turbe di una psiche schizofrenica, tanto che l’immagine più violenta dell’albetto è una lama che si conficca in una mano sanguinante. Per il resto Jason dialoga con se stesso e “incontra” di nuovo la madre, che svolgeva un importantissimo ruolo nel primo Friday the 13th. Non vi anticipo il finale a sorpresa, ovviamente: per scoprirlo vi consiglio di abbonarvi al Buyers Club di Just Indie Comics, che quest’anno comprende anche un’esclusiva newsletter cartacea. Ma inutile che mi ripeto, anzi, la chiudo qui mettendovi di seguito i link per ulteriori informazioni e soprattutto per abbonarvi entro il prossimo 31 dicembre.

ANTEPRIMA JUST INDIE COMICS BUYERS CLUB 2022

ABBONAMENTO JUST INDIE COMICS BUYERS CLUB 2022 + NEWSLETTER

Just Indie Comics Buyers Club 2022 + Newsletter

Da qualche giorno è possibile abbonarsi alla nuova edizione del Just Indie Comics Buyers Club, che nel 2022 taglia il traguardo dei setti anni. E visto che al settimo anno di solito c’è crisi, anche io mi sono interrogato questa volta sulle sorti del Buyers Club decidendo di cambiare formula. Addio dunque alle versioni Small e Large, che prevedevano rispettivamente 4 e 8 fumetti all’anno, e via libera a un format unico che è in sostanza la vecchia versione Small ma con un’importante aggiunta. Infatti chi si abbonerà quest’anno non solo riceverà 4 fumetti con cadenza trimestrale (a gennaio, aprile, luglio e ottobre) ma avrà con ogni invio il nuovo numero della newsletter di Just Indie Comics, pubblicazione trimestrale di cui è uscito in sordina il #0 un paio di mesi fa e che si aggiunge (senza sostituirlo, ovviamente) al sito su cui vi trovate in questo momento. La speranza è – con questa nuova semplice formula e il prezzo tondo di 50€ per l’abbonamento annuale – di attirare più appassionati e spingere il Buyers Club dove non è mai giunto prima. D’altronde non vi sembra un affare? Con 50€ vi trovate ogni tre mesi nella buca delle lettere un fumetto – sempre in lingua inglese, autoprodotto o pubblicato da un piccolo editore – e una newsletter che in sostanza è un foglio A3 ripiegato stampato fronte/retro, scritto piccolissimo e zeppo di notizie e digressioni varie. Che volete di più dalla vita?

Prima di rimandarvi ai link per abbonarvi vi do qualche dettaglio in più. Innanzitutto l’abbonamento al Buyers Club è disponibile fino al prossimo 31 dicembre, poi si chiuderà e non sarà più possibile iscriversi. I fumetti sono ovviamente scelti da me e a sorpresa, se così vogliamo dire. L’unica certezza è il primo del lotto, ossia No One Comes to the Lake Anymore di Charles Forsman, che verrà spedito a gennaio. Per quanto riguarda la newsletter, questo è il probabile sommario del #1, che copio e incollo dai miei appunti senza dilungarmi troppo: Best of 2021 / Generous Bosom e Ultrasound: intervista a Conor Stechschulte / Just Indie Comics Buyers Club / Editoria Italia: consigli per gli acquisti / Anteprima 2022/ Novità dalla distro / BilBOlbul 2021. Ah, se il Buyers Club non vi interessa potete anche abbonarvi soltanto alla newsletter, l’iscrizione in questo caso non ha scadenza, parte dal primo numero utile e costa 10€ per 4 numeri. Via ai link, dunque, e buon divertimento.

JUST INDIE COMICS BUYERS CLUB 2022 + NEWSLETTER

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“Late in the Years” di Henry Crane

Ho scoperto Henry Crane sul profilo Instagram di Desert Island, dove il proprietario del negozio di Brooklyn, Gabe Fowler, condivideva alcune immagini dell’autoprodotto Late in the Years. Lo stile di Crane mi ha subito incuriosito. Non era originale in senso assoluto – e poi cos’è veramente originale, oggi? – ma riusciva comunque a essere una voce fuori dal coro in un panorama fumettistico in cui i riferimenti estetici sono ben altri. Inoltre vi vedevo una serie di rimandi ad autori a me cari, che sono diventati ancor più evidenti dopo aver fatto arrivare un po’ di copie del fumetto in Italia per renderlo disponibile nella distribuzione di Just Indie Comics.

Late in the Years si presenta come una storia horror classica, degna di un Lovecraft tanto per darvi un punto di riferimento. La vita di una coppia entra in crisi quando sopra la loro casa in mezzo al bosco appare un nuvola di fumo, che rimane fissa all’orizzonte come una lacerazione nel cielo. Lui va in tilt e non riesce più a pensare a nulla se non alla cappa nera e densa sulla sua testa. E lei per cercare di far tornare in sé il marito ha la malsana idea di uscire insieme nel bosco alla ricerca delle origini del fumo. Da lì i presagi diventano orrore e poi dramma.

E’ un fumetto breve, Late in the Years: compresa la copertina sono solo 16 pagine, stampate su una carta bella spessa e dalle dimensioni importanti, ossia 36 x 28 cm. L’ampiezza del formato rende giustizia alle splendide tavole di Crane. Se è vero che vi si leggono chiaramente i riferimenti estetici (Charles Burns, Thomas Ott, Stephen Bissette e forse anche Junji Ito e Uno Moralez), è altrettanto vero che il risultato finale è totalmente appagante. E qualche citazione, persino nella costruzione delle tavole, ci può stare tenendo conto che Crane ha 25 anni e che questo è il suo primo fumetto. Il finale a colori è forse il vero punto di forza di LITY, e l’elemento che mi spinge a considerarlo tra le migliori uscite dell’anno. Sarà anche giovane ma Crane – che finora aveva lavorato soprattutto su murales, installazioni e illustrazioni – dimostra sin da subito di non compiacersi delle sue capacità. Ed ecco che mette da parte il suo bianco e nero tratteggiato e xilografico per abbracciare il colore nelle ultime stupefacenti quattro pagine dell’albo. Al cambiamento estetico corrisponde una sterzata della trama, che abbandona definitivamente ogni accenno di realismo per trasformarsi in una parabola di rinascita. Enigmatica certo, ma davanti a questi disegni anche chissenefrega.