A Martina Franca debutta Manuscripta

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Dal 2 al 4 dicembre arriva in Puglia Manuscripta, un nuovo festival organizzato dai Presìdi del Libro in collaborazione con l’Associazione Terra Terra/Manufacta, la Fondazione Paolo Grassi e il Laboratorio Urbano Arte Franca. 

Il festival avrà tre sedi, tutte nel centro di Martina Franca (l’Ospedaletto in via Orfanelli 7, la Fondazione Paolo Grassi in via Metastasio 20 e la sede di Arte Franca all’interno della Villa del Carmine), e proporrà uno sguardo a 360 gradi sul mondo del fumetto, con ospiti ben noti al grande pubblico come lo sceneggiatore di Tex e Dylan Dog Pasquale Ruju, uno sguardo alle produzioni locali con LABO Fumetto, un’occhiata al fumetto d’inchiesta con l’editore Federico Zaghis di Becco Giallo. E con una particolare attenzione al mondo delle produzioni indipendenti, che qui ci interessano in modo particolare.

Nella sede dell’Ospedaletto ci sarà innanzitutto la mostra Fumetti dal presente, con stampe autografate di artisti ben noti ai lettori di Just Indie Comics come Akab, Lorena Canottiere, Roberto La Forgia, Maicol & Mirco, Martoz, Alice Milani, Marino Neri, Dottor Pira, Cristina Portolano, Ratigher, Davide Reviati, Silvia Rocchi, Serena Schinaia, Alice Socal, Adam Tempesta, Fabio Tonetto e altri ancora. Il titolo della mostra prende il nome dal documentario Fumetti dal futuro di Serena Dovì, che è direttrice artistica del festival insieme a Piero Angelini. Lo stesso documentario, che racconta le storie di autoproduzione di Alessandro Baronciani, Dottor Pira, Maicol & Mirco e Ratigher, sarà proiettato venerdì 2 alle 11 e alle 22 presso la Fondazione Paolo Grassi.

Dottor Pira e Ratigher saranno anche ospiti di Manuscripta. Il primo curerà il workshop Fumetti disegnati male (venerdì 2 alle 17,30), presenterà L’almanacco dei fumetti della gleba (sabato 3 alle 18,30) e curerà il dj set di sabato sera, mentre Ratigher parlerà insieme a me del progetto Flag Press, sabato alle 17,30 all’Ospedaletto. E visto che siamo in tema di autopromozione, durante il festival ci sarà anche il banchetto di Just Indie Comics con una selezione dei fumetti che normalmente potete trovare nel webshop.

Altra guest star di Manuscripta sarà Cristina Portolano, con la presentazione di Quasi signorina venerdì alle 19 all’Ospedaletto e il workshop Fumetti autobiografici sabato alle 15 ad Arte Franca. Ma gli eventi e gli ospiti non finiscono qui e per tutto il resto vi rimando al sito web del festival, mentre per iscrizioni e informazioni sui workshop potete scrivere a manuscriptafest@gmail.com. E se passate da quelle parti venite a dire “ciao”, mi raccomando.

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Flag Press #2 – “Prima” di Manuele Fior

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Un luogo dove siamo stati tutti ma di cui nessuno mantiene il ricordo, un tempo in cui avevamo le ali e nulla più. Prima di Manuele Fior, la seconda bandiera edita da Flag Press, è una storia che sembra arrivare da un altro mondo e da un’altra epoca, classica nello stile quanto sperimentale nel modo di avvolgere il lettore nelle sue spire. L’autore di 5000 chilometri al secondo e L’intervista ha realizzato per la casa editrice lanciata qualche mese fa da Ratigher e dal sottoscritto un fumetto toccante e al tempo stesso innovativo, che unisce contenuto e rivoluzione formale, sfruttando appieno le potenzialità del grande formato. Non vi dico di più, perché ogni dettaglio ulteriore potrebbe rovinare l’esperienza di lettura, che va fatta senza punti di riferimento, lasciandosi catturare dai dialoghi, dal segno, dai colori.

Si tratta del secondo poster edito da Flag Press, l’etichetta che pubblica fumetti formato 70×100 con una storia di due tavole. Il fronte è a colori in italiano, il retro in bianco e nero con traduzione in inglese. Per saperne di più sul progetto potete leggere qui.

Flag Press #2 – Prima di Manuele Fior debutterà al BilBOlbul Festival di Bologna dal 24 al 27 settembre. Lo troverete al Bookshop della Biblioteca Salaborsa insieme alla nostra prima uscita, Teoria, pratica e ancora teoria di Ratigher. Sempre in Salaborsa, Manuele Fior autograferà le copie durante le sue sessioni di dediche, sabato 26 novembre alle 16 e domenica 27 alle 11. Qualche giorno dopo il festival, potrete acquistare Prima sul sito della Flag Press.

Di seguito qualche immagine in antePrima. Buona visione.

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December’s not so far away – 17/11/2016

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Dato il periodo particolarmente ricco di eventi e progetti editoriali, resuscito questa rubrica di segnalazioni e link vari. Apriamo con BilBOlbul 2016, anche se non credo ci sia bisogno di leggere Just Indie Comics per sapere quel che succede a Bologna dal 24 al 27 novembre prossimi. L’ospite di eccezione è ovviamente Chris Ware, con una mostra dei suoi lavori alla Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna (inaugurazione venerdì 25 alle 18,30), una serie di incontri con il pubblico e la pubblicazione del volume-catalogo Il palazzo della memoria – Scritti, disegni, interviste. Il manifesto di questa decima edizione è di Marco Corona (potete vederne un dettaglio nell’immagine di apertura), cui è dedicata una personale alla Pinacoteca Nazionale. Tra le altre cose segnalo la mostra XUWWUU di Gabriel Delmas con l’ultima opera dipinta a olio dell’autore di Largemouths, la presentazione del nuovo libro di Richard McGuire Sequential Drawings edito da Rizzoli Lizard, l’angolo BBB Zine dedicato alle autoproduzioni internazionali che quest’anno ospita Ediciones Valientes, Jorge Parras, La Camaraderie, Arbitraire, Central Vapeur e Los Bravú. E poi mostre mostre mostre, incontri incontri incontri, eventi eventi eventi. Andate sul sito della manifestazione per scoprire tutto.

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Continuiamo a vedere quel che succede nella nostra cara vecchia Penisola e facciamo tappa a Roma, per due eventi che non sono riuscito a presentare a tempo debito (le inaugurazioni ci sono state entrambe venerdì 11 novembre) ma ancora in corso. La prima, presso Palazzo Velli in piazza di Sant’Egidio 10 a Trastevere, è la personale del Prof. Bad Trip A Saurceful of Colours, aperta fino al prossimo 3 dicembre. Si tratta della stessa mostra di Carrara, a cura di Tabularasa Teké Gallery, di cui avevo parlato qualche mese fa recuperando per l’occasione una vecchia intervista al Prof. Lo spazio espositivo è ampio ed accogliente, il materiale è ricco e di prim’ordine, tra i dipinti di Bad Trip che si possono ammirare con occhiali 3D consegnati all’ingresso, una serie di originali in bianco e nero, opere giovanili, sculture e tanto altro ancora. Ricco l’apparato critico, con foto, illustrazioni, articoli di giornale e materiale d’epoca che ben definiscono il contesto in cui Gianluca Lerici è diventato l’amato (e compianto) artista che tutti conosciamo. Se vi servono altri motivi per godervi tutto ciò, all’interno di Palazzo Velli ci sono anche concerti, dj set e proiezioni: il giorno dell’inaugurazione c’è stato per esempio un mini-live di Mauro Teho Teardo. Andate e moltiplicatevi. E se intanto volete farvi un’idea, eccovi un po’ di foto gentilmente offerte da Teké Gallery.

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In contemporanea e a poche centinaia di metri inaugurava Bosch Remix – L’astrazione della follia, un group show curato da Manfredi Ciminale e ospitato dalla galleria Parione9 (ne ho già parlato in questo post su Amore di lontano di Martoz) in cui giovani illustratori italiani rileggono l’opera di Hieronymus Bosch attraverso ventuno stampe giclée. Il livello medio dei lavori è davvero elevato e alcuni sono particolarmente degni di nota per spirito visionario e composizione. In più l’idea di realizzare le opere con il metodo del “telefono senza fili” dà coesione e unità al tutto. Gli illustratori coinvolti sono ADR, Francesca Balducci, Margherita Barrera, Pablo Cammello, Niccolò Castro Cedeno, Manfredi Ciminale, Crù, Lorenzo De Luca, Michela Di Lanzo, Fabrizio Des Dorides, Fabio Frangione, Frita, Valerio Immordino, infidel, La Came, Martoz, Lucio Passalacqua, Antonio Pronostico, Jacopo Starace, Sushi, Tommy Gun Moretti. Bosch Remix rimarrà in galleria fino al prossimo 30 novembre. Accorrete numerosi e, come antipasto, gustatevi queste foto scattate il giorno dell’inaugurazione da Diana Bandini.

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Passiamo adesso a un progetto editoriale che ha diversi punti in comune con Bosch Remix, nel senso che anche qui c’è un riferimento “alto” (lì Bosch, qui Ovidio) rivisitato da artisti italiani. Sto parlando di Metamorphoses, un albo in formato A4 a colori con sovra-copertina in serigrafia che verrà pubblicato alla fine di una campagna di crowdfunding su Ulule lanciata in questi giorni dall’associazione culturale Squame e attiva fino al 5 dicembre. L’idea alla base dell’iniziativa è quella di chiamare 16 artisti a rivisitare in maniera personale e libera uno dei miti tratti dalle Metamorfosi di Ovidio, realizzando per l’occasione un fumetto e un’illustrazione. A questo punto vorrete sapere chi sono gli illustratori e fumettisti che troverete dentro Metamorphoses e io per non fare torto a nessuno ve li dico tutti: Francesco Guarnaccia, Davide Saraceno, Pistrice, Tommy Gun Moretti, Marino Neri, Andrea Chronopoulos, Anna Deflorian, Cristina Portolano, Giulio Castagnaro, Martoz, Alessandro Ripane, La Lois, AkaB, La Came, Lucio Villani, Rita Petruccioli. Oltre all’albo si potranno acquistare anche dei poster 30×40 di ciascuna illustrazione/fumetto e qualche originale. Per qualche info in più vi rimando a questa intervista a Francesca Protopapa pubblicata qualche giorno fa su Dancing Asteroid. Sul sito della campagna trovate ovviamente ulteriori dettagli e tante immagini ma se siete pigri vi mostro qualcosa qui sotto.

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Proseguiamo con una serie di link che potreste trovare interessanti o, in caso contrario, che potete aprire se proprio non avete niente di meglio da fare. Parecchi, quando mi incontrano in giro (intendo agli eventi legati al fumetto, non al supermercato) mi chiedono informazioni sui festival d’oltreoceano, tentati dall’idea di provare la traversata a bordo di qualche nave per vendere i propri lavori agli indiani d’America (sì, è molto tardi quando scrivo queste righe qui). Ok, visto che mi sembra che la cosa interessi qualcuno, vi segnalo che di recente c’è stato il Comic Arts Brooklyn, un festival organizzato come sempre dal negozio di fumetti di Williamsburg Desert Island. L’edizione di quest’anno è stata in dubbio fino all’ultimo momento e, se questo ha comportato una minore affluenza di pubblico, non credo abbia inficiato la qualità del materiale che si poteva trovare sui vari tavoli, tanto che Nick Gazin su Vice ne parla come “l’unico festival che conta” (vabbè, mò non esageriamo Nick). Per un reportage più obiettivo vi rimando a quello del Publishers Weekly, che ha pubblicato sulle sue pagine anche una serie di foto dell’evento.

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Rimanendo in tema, dal 13 al 16 ottobre ha debuttato, dopo l’edizione di prova dell’anno scorso, il Cartoon Crossroads Columbus, curato tra gli altri dall’autore di Bone Jeff Smith. Il festival ha un approccio prevalentemente culturale al fumetto, visto da un punto di vista storico e anche sociale, come testimoniano i temi delle tantissime conferenze di taglio accademico che ha ospitato. Ne trovate resoconti sul sito del Comics Journal e su Comics Workbook. Infine, visto che ci siamo, recupero questo reportage di Rob Clough dalla Small Press Expo dello scorso settembre.

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Concludo con un po’ di cose a caso e cioè: l’intervista a uno dei miei cartoonist preferiti di adesso e forse di sempre, cioè Sammy Harkham, pubblicata in questi giorni in inglese dal sito francese du9, anche se in realtà risale al 2015; un nuovo fumetto in quattro parti di Sam Alden che ha debuttato qualche giorno fa su Hazlitt (in alto la prima tavola); un po’ di immagini del Doctor Strange ai tempi di Gene Colan e Tom Palmer gentilmente offerte da Diversions of the Groovy Kind. E ora basta.

Misunderstanding Comics #6

Di acqua ne è passata sotto i ponti dall’ultimo appuntamento con questa rubrica, anche perché ultimamente la costanza non è il mio forte. Ho purtroppo trascurato tanti fumetti di cui mi sarebbe piaciuto scrivere per bene, come Puke Force e Atrophy Life di Brian Chippendale, Dream Tube di Rebekka Dunlap, Kramers Ergot #9 e altri ancora: cercherò di recuperare i più meritevoli nel consueto Best Of di fine anno. Ora veniamo all’attualità, con tre uscite relativamente nuove e una che sta per arrivare in Italia. Il tutto, ovviamente, senza dovizia di particolari.

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Iniziamo da Exits, prima opera sulla lunga distanza di Daryl Seitchik, per me uno dei libri più attesi di questo 2016 data la mia quasi ossessione per la serie Missy, vista on line e su alcuni albetti usciti per Oily Comics e autoprodotti: ne avevo parlato brevemente in questo reportage sui fumetti della Small Press Expo 2014, per poi inserire Middle School Missy e Missy #3 rispettivamente nei miei Best Of del 2014 e del 2015 (ok, è vero, ho la fissa delle liste e sono anche un fan di Alta fedeltà). Exits esce per Koyama Press ed è un volume di oltre 200 pagine, distanza inusuale per una cartoonist giovane e che aveva finora lavorato su fumetti brevi se non addirittura estemporanei. Eppure le attese non vengono assolutamente tradite, perché Exits, pur riproponendo le tematiche e le simbologie care all’autrice, ribalta quanto fatto finora a livello estetico. Se in Missy l’alter ego della Seitchik dominava totalmente la scena, qui il personaggio principale è sempre una ragazzina, che però diventa invisibile dopo poche pagine, dando vita a soluzioni grafiche del tutto diverse rispetto al passato.exits-csgnor9xgaec3gi

Alla base c’è sempre quel malessere esistenziale che stride con la rappresentazione dei personaggi, soluzione costante nei fumetti della Seitchik e capace di creare un indissolubile quanto irresistibile mix di inquietudine e ironia. E c’è anche una complessità che prima mancava, perché se Missy era un fumetto apparentemente semplice (cosa ribadita anche da Leslie Stein in quarta di copertina), qui l’essenzialità è lasciata da parte per dar vita a un lavoro maturo e ricco di sfaccettature. Poi è vero, non tutto funziona al 100% e qua e là c’è qualche momento un po’ più debole degli altri, ma Exits rimane comunque un lavoro di ottima fattura.

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E’ un bell’anno questo per chi ama Charles Burns, perché oltre ad aver visto in Italia la pubblicazione di Sugar Skull, contenente la straordinaria conclusione della trilogia ormai conosciuta come Last Look (dal titolo della raccolta pubblicata di recente negli Stati Uniti), è anche ricco di progetti collaterali. Dopo lo sketchbook Incubation edito dalla Pigeon Press del compianto Alvin Buenaventura (ne avevo parlato qui), sono infatti in arrivo Vortex e Love Nest, due nuovi artbook pubblicati in Francia da Cornelius e al centro di una mostra inaugurata da qualche giorno alla Galerie Martel di Parigi. Nel frattempo sempre oltralpe Le Dernier Cri dà alle stampe Free Shit, raccolta dei numeri dell’omonima fanzine che Burns si è autoprodotto nel corso degli anni per regalarla ai festival o in privato. Quando sono andato alla Small Press Expo nel 2014, Burns presentava Sugar Skull e volevo quasi chiedergli se avesse con sé delle copie di Free Shit, dato che avevo visto in rete i post di qualche fortunato che se l’era procurata in occasioni simili. Ma sia l’eccessiva fila necessaria per ottenere una dedica che la stranezza della domanda che mi accingevo a fare (Scusa Charles, hai un po’ di merda gratis?) mi distolsero dal proposito. Comunque, facezie a parte, questo volumetto di piccolo formato rilegato con la solita cura mette insieme svariati schizzi, disegni e anche collage ispirati ai temi più disparati. Tra un profilo tipicamente burnsiano in prima di copertina e un’insolita composizione floreale in quarta, troviamo materiale che va dalla fine degli anni ’90 a oggi.

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Ci si vedono tracce di Black Hole (una rana vivisezionata, una donna con la coda, ecc.), il solito repertorio da b-movie, inevitabili tracce di romance comics, uno “special literary issue” composto soltanto da testi scritti a mano, pin-up di personaggi secondari della Marvel, un ritratto di William Burroughs e tanto altro. Pian piano che si va avanti gli schizzi e i disegni di prova dell’ultima trilogia diventano sempre più preponderanti, anche se non mancano comunque altre perle che mostrano tutta l’estensione di un immaginario affascinante e coerente. Free Shit è ancora più interessante del solito perché raccogliendo materiale realizzato nel corso di oltre 15 anni offre anche una storia involontaria della creatività di uno dei maggiori autori contemporanei di comics.

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La celebre fanzine di Aaron Cometbus, in cui il musicista e scrittore di estrazione punk tratta da ben 35 anni dei più svariati argomenti, dedica il suo 57esimo numero alla scena fumettistica newyorkese, con una serie di interviste a cartoonist e altre figure che popolano quel mondo: si va da Adrian Tomine al curatore della serie The Best American Comics Bill Kartalopoulos, da Gary Panter al proprietario di Desert Island (e organizzatore del Comic Arts Brooklyn) Gabe Fowler. E poi ci sono Gabrielle Bell, Robin Enrico, Jeffrey Lewis (autore anche della copertina), Julia Wertz, Ben Katchor, Paul Levitz, Drew Friedman, Karen Green, Kim Deitch e Al Jaffee, mentre Nate Powell firma i ritratti di tutti gli intervistati. Ne viene fuori una lettura frizzante che offre un quadro non solo del fumetto ma anche della scena artistica di New York nei suoi risvolti più umani e pratici, come il costo degli affitti, i punti di ritrovo, i rituali di “accoppiamento” dei cartoonist, le gelosie tra artisti e via dicendo. Cometbus non ha peli sulla lingua e con il suo handwriting mette giù una serie di domande anche intime e a volte scomode, senz’altro divertenti per il lettore che si trova sotto gli occhi non la solita intervista in cui si parla soltanto della formazione, delle fonti di ispirazione, della tecnica utilizzata e via dicendo. Inoltre credo proprio che i continui riferimenti alla storia della città, alla scena musicale e al mondo letterario possano rendere questo Cometbus #57 una lettura interessante non solo per i fumettofili ma anche per gli appassionati di cultura americana. Se poi amate i comics, è una roba assolutamente da non perdere.

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Infine faccio una concessione a un volume pubblicato già da qualche mese da Drawn and Quarterly ma che è una novità dell’ultim’ora qui in Italia, dato che sta arrivando in libreria per Coconino Press. Si tratta di Beverly, raccolta di sei storie brevi di Nick Drnaso vagamente collegate tra loro, che l’editore definisce “un affresco sommesso e disperato di vita nei sobborghi di una metropoli americana”. Rob Clough, in questa approfondita recensione che vi consiglio di leggere, paragona invece questi fumetti al cinema di Todd Solondz, riferimento che rende l’idea anche se Drnaso è spesso più misurato del regista di Happiness nella messa in scena, caratterizzata da uno stile volutamente flat e monocorde in tutti i suoi aspetti, dalla linea alla rigida suddivisione in vignette fino ai colori. Certo, se le iniziali The Grassy Knoll (già uscita come mini per la Oily Comics) e The Saddest Story Ever Told lavorano di fino mostrando senza clamori meschinità nascoste, razzismo, ipocrisia e vuoto esistenziale, la successiva The Lil’ King pigia sull’acceleratore raccontando dell’insana passione di un ragazzo per sua sorella e dei suoi sogni di sterminio quasi globale. Ma anche in questo caso il sensazionalismo è nascosto da un senso della misura così discreto da risultare disturbante, anche perché al centro di tutto c’è una tematica che solo così si può raccontare, ossia la difficoltà di avere relazioni sociali “normali”. Il volume aumenta di livello pagina dopo pagina e le tre storie che ne compongono la seconda parte – Pudding, Virgin Mary, King Me – ci mostrano un autore pienamente consapevole dei suoi mezzi, in grado di confezionare un debutto appassionante e del tutto maturo a soli 27 anni. Non fatevelo scappare.

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“Christmas in Prison” di Conor Stechschulte

Se non avete niente di meglio da fare e siete fedeli lettori di Just Indie Comics, sapete già che Conor Stechschulte è uno dei miei cartoonist preferiti di oggi. Il suo The Amateurs è una pietra miliare del fumetto contemporaneo (l’ho inserito nel mio Best of 2014) e la serializzazione di Generous Bosom per Breakdown Press ha già fornito motivi di meraviglia e interesse (per sapere quali potete leggere la mia recensione).

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Nonostante la pubblicazione per case editrici affermate nel panorama del fumetto alternativo, Stechschulte continua a essere un sostenitore dell’autoproduzione, in quanto concepisce il fumetto come un medium fortemente legato ai processi di stampa. Christmas in Prison è finora la sua fatica più impegnativa in questo campo, un volumetto 18×14 cm di 96 pagine realizzato in una molteplicità di tecniche diverse (risograph, serigrafia, offset) e rilegato a mano. L’oggetto già di per sé varrebbe la spesa ma il contenuto è ancora più interessante per molteplici motivi, a partire dal fatto che conferma Stechschulte come un autore con una propria poetica, capace di creare un universo di temi e contenuti.

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All’interno troviamo “pezzi” più che “storie”, dato che a volte il messaggio non è propriamente narrativo e l’interconnessione tra ciascuno di essi, basata sul meccanismo della ripetizione, fa pensare a un LP più che a un’antologia di fumetti o racconti. Prendiamo come esempio le pagine iniziali. Una mano sfoglia un libro, che mostra due volti umani che nella vignetta successiva si fondono tra loro. Ecco dunque una casa con una finestra illuminata, la stessa casa in mezzo al mare con una sagoma all’interno (solo una delle tante silhouette in questo libro), il mare alla luce della luna, nuvole, la figura di un uomo sovrapposta ai rami di un albero, ancora alberi, corpi, uomini, case, una lampada da scrivania, di nuovo il libro, le mani, una figura che barcolla in mezzo al verde, le mani che da eteree e indefinite arrivano a mostrare linee e pieghe. Sarebbe sbagliato ridurre tutto ciò a libere associazioni di idee, sotto c’è un contenuto che va al di là della logica, che parla al nostro emisfero destro, che è sogno, poesia, musica, improvvisazione ma anche rappresentazione di un processo, performance più che fumetto.

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Il tema del libro e della metanarrazione torna più volte, come tornano il voyeurismo, il controllo, il continuo senso di inquietudine, la solitudine, il dualismo uomo/natura, l’acqua come luogo di mistero, novità, rinascita. Christmas in Prison (o The Many Ways of Doing and the Wrong Way That It’s Done, come viene ribattezzato sul dorso) è così un’opera autonoma, con una fortissima coerenza interna, ma anche una sorta di campionario di sperimentazioni con cui Stechschulte ha arricchito o arricchirà le opere propriamente narrative. E la stessa dinamica era già presente in autoproduzioni come Wather Phase, Lurking/Nocturners, Mountain Comic. Certo, mai il cartoonist statunitense aveva mostrato in passato una tale forza nello sperimentare e nel proporre qualcosa di così organicamente rivoluzionario. E a confermarlo ecco la parte finale del volume, una lunga storia su voyeurismo, percezione e consapevolezza raccontata da una donna immersa nell’acqua e che affonda le radici sin nella letteratura ottocentesca. E’ questo l’episodio più tradizionalmente narrativo del lotto, ma la linearità apparente nasconde mille interrogativi, espressi prontamente nelle pagine conclusive, in cui i balloon rubano la scena al figurativismo con domande esistenziali di un’intensità sempre crescente.

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Se siete interessati a Christmas in Prison, ne trovate ancora qualche copia nel negozio di Just Indie Comics. Oppure potete ordinarlo direttamente dal sito dell’autore.

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“Suicida” #1 di Abraham Diaz

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Voyeurismo, sadismo, masochismo, autolesionismo, morte, omicidio, suicidio, violenza gratuita, sesso, masturbazione, teledipendenza, degrado metropolitano. Nel suo debutto solista Suicida #1 Abraham Diaz lavora con questi ingredienti, li mescola, li forgia a suo piacimento creando un cartooning compatto e sempre ironico, salace, acido quanto basta. A fine 2015 l’artista messicano ha stampato insieme ai suoi compari dell’etichetta Ediciones Joc Doc 200 copie di questo albo 28×20 cm con testi in inglese e spagnolo, copertina serigrafata, carta bianca e nera con l’aggiunta del verde, utilizzato a volte come inchiostro ma anche per le pagine degli inserti. Un oggetto bello a vedersi e al tempo stesso sporco, che ricerca nell’estetica punk il feeling underground dei comic book monografici di una volta, con tanto di pagina delle lettere (unica differenza, i messaggi dei lettori non arrivano più per posta ma su Tumblr). Si inizia con The Witness, protagonista un solitario uomo di mezza età con tanto di baffetto intento a raccontare un omicidio a cui ha assistito spiando nel bagno della vicina di casa. Il tratto di Diaz è caricaturale, storpia i corpi dei personaggi, allunga i nasi, storce i denti, in uno stile che guarda a tanti artisti che abbiamo amato negli ultimi trent’anni (Ivan Brunetti, Kaz, Johnny Ryan) ma anche a Mad, ai gag cartoon, alle newspaper strip. Non a caso all’interno dell’albo troviamo due mezzi fogli con quattro Misery Funnies, classiche gag con testo sotto la vignetta, del tipo uomo tutto nudo sul water, una tazza fumante in una mano, la cornetta del telefono nell’altra e sotto “You don’t seem to understand… I’m my mother’s only child!”. E la cornetta del telefono è un dettaglio da non trascurare, perché tutto l’albo è fermo per estetica e scenari agli anni ’80 o prima ancora, non c’è volutamente traccia di cellulari, computer e tanto meno internet.

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Sulle stesse coordinate nostalgiche e irriverenti delle Misery Funnies è l’inserto in formato orizzontale Tito, che mostra la versione Diaz di Sluggo, l’amico di Nancy nella strip di Ernie Bushmiller (Tito è il nome con cui il personaggio è noto nei paesi di lingua spagnola). Pax Noctis, già vista su Kovra #6 delle Ediciones Valientes, è un altro pezzo forte, una storia di guerra e desiderio, un uomo costretto in trincea che ricorda o più probabilmente immagina un inseguimento in un bosco. La situazione culmina con una donna legata a un albero e frustata, poi si torna al soldato nella trincea che si masturba, fino al finale che unisce di nuovo sesso e morte come nel pezzo d’apertura. Suicida #1 sembra la conseguenza di una settimana passata chiusi in casa a fare zapping al buio davanti alla tv, con i nervi a fior di pelle, gli occhi che pulsano, il corpo in preda a una frenesia isterica che scatena le pulsioni più becere. Ma il cartooning di Diaz non è tutto qui, perché spesso denuncia e mette alla berlina senza mezzi termini l’idiozia umana: se Pax Noctis si prendeva gioco della guerra e dei deliri di onnipotenza sessisti, Milagro En El Congo è invece la storia animalista di un povero scimpanzé stampata su sfondo in risograph verde giungla. Arriviamo dunque a un altro inserto, questa volta apribile formato poster, dove troviamo tre fumetti di una pagina sui temi abituali, ribaditi anche nel successivo ¡Esta Fue Tu Vida!, che introduce la novità del sesso esplicito ma senza dimenticare l’ironia spietata e il gusto per lo storytelling, presenti ovunque nella produzione del messicano. Home è il fumetto conclusivo, un trionfo di linee impazzite che riproducono il caos metropolitano (stessa soluzione adottata in Home Is Where the Hatred Is, storia breve di Diaz per š! #24): un carcerato esce di prigione ma deve subire gli stimoli continui della città, rappresentati in modo parossistico con nudità esibite senza remore, uomini al guinzaglio di donne dai leggings attillati, gente che copula in ogni angolo. Il cruento finale ve lo potete immaginare oppure potete leggerlo sulle poche copie rimaste di Suicida #1, esaurito presso l’editore ma ancora disponibile, almeno al momento in cui scrivo queste righe, su Fatbottom Books, Dripper World e Feel It Records. Oppure potete procurarvi Kramers Ergot #9, dove sono state ristampate di recente Pax Noctis, Home e due delle Misery Funnies. Intanto Diaz è al lavoro sul secondo capitolo e noi restiamo così in trepidante attesa di leggere altri dei suoi fumetti old school.

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Misunderstanding Comics #5

Dopo una lunga pausa riprendo a segnalare un po’ di fumetti, che di recente si sono davvero accumulati sulla mia libreria (e scrivania, e comodino, e divano, e lavatrice, ecc. ecc.). Impossibile stare dietro a tutto quello che esce e difficile anche scrivere di tutto quello che leggo. Ci provo cercando di essere sintetico e sapendo benissimo che questi fumetti meriterebbero una trattazione ben più approfondita della mia. Ma, come al solito, faccio ciò che posso.

Negli ultimi mesi si è parlato parecchie volte di Martin López Lam su Just Indie Comics ma io devo ammettere di aver letto soltanto di recente il suo Sirio, uscito a inizio anno per l’eccellente casa editrice spagnola Fulgencio Pimentel. Strana coincidenza, ho sottratto il volume all’infinita pila di libri da leggere proprio quest’estate, in un paio di settimane tra fine luglio e inizio agosto che ho passato in ferie ma, per una serie di circostanze, senza andare in vacanza. Non sono stato recluso come i personaggi della storia di López Lam né è stato trovato un cadavere nella piscina vicino casa mia, ma l’atmosfera di costante attesa, la canicola estiva che aumenta giorno dopo giorno, i paesaggi brulli e i personaggi che girano e rigirano intorno a se stessi mi hanno fatto entrare ancor di più nella storia.

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Più che un giallo, Sirio è il racconto di una separazione che vede protagonisti personaggi che sembrano per la maggior parte del tempo fantasmi, con i loro stati d’animo resi splendidamente attraverso un’infinita serie di soluzioni grafiche diverse e i due colori utilizzati, blu e ocra, che sono parte integrante della narrazione. C’è un gran senso di libertà, di sperimentazione in queste pagine, ma al tempo stesso nessuna linea, nessuna sovrapposizione di colori, nessun cambiamento di registro è sprecato. Il volume è in spagnolo ma a richiesta è disponibile un libretto con traduzione inglese allegata. Cercate di recuperarlo perché ne vale la pena.

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Un altro autore che propone una ricerca stilistica autonoma, lontana da ogni moda, è senz’altro Austin English, di cui ho avuto l’opportunità di parlare in precedenza come patron dell’eccellente etichetta Domino Books di Brooklyn. Come López Lam, English non cerca assolutamente un disegno facile e attraente. La sua è un’estetica volutamente sgraziata e imperfetta, che mescolando energicamente tecniche, materiali e colori sfocia nell’arte delle avanguardie storiche e dell’espressionismo astratto. Tuttavia la voglia di dipingere, disegnare e sperimentare non porta mai l’autore a trascurare l’impianto fortemente narrativo dei suoi fumetti. Le storie hanno sempre una trama definita, anche se sembrano più sceneggiature di opere teatrali che fumetti tradizionalmente intesi per il modo in cui trattano i personaggi, non soggetti con una personalità e un background alle spalle ma figure che compiono azioni in uno scenario delimitato.gulag-casual-02

Proprio lo spazio è il protagonista delle cinque storie raccolte di recente da 2dcloud nel volume Gulag Casual. Si tratta di The Disgusting Room (2010), My Friend Perry (2011), Here I Am! (2011), Freddy’s Dead (2012) e A New York Story (2015): tutte hanno in comune la tematica della casa vista come luogo familiare e rassicurante che viene invaso dalla violenza e dall’aggressività del mondo esterno.

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Ancora per 2dcloud è uscito Someone Please Have Sex with Me di Gina Wynbrandt, anche in questo caso un’antologia di fumetti in gran parte già visti in albi autonomi. Le storie raccontano la fissazione per Justin Bieber (One Less Lonely Girl, 2012), una puntata ai Teen Choice Awards sotto la guida di Kim Kardashian (Tiger Beat Exclusive, 2013), la ricerca disperata di un partner sessuale che arriva fino a un lontano futuro (il racconto che dà il titolo alla raccolta, 2014), gatti parlanti che mettono incinta la protagonista (Big Pussy, 2015) e videogiochi che la trasformano in una spietata cacciatrice di uomini (Manhunt, 2016).

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La cosa che più colpisce della Wynbrandt è la capacità di focalizzarsi su pochi elementi per poi portarli all’estremo: il plot parte sempre da particolari realistici e autobiografici, apparentemente insignificanti, che vengono sviluppati in situazioni ai limiti, paradossali, divertenti, a volte surreali. Si tratta di un modus operandi che l’autrice dimostra di saper gestire sin dalle prime prove, segno di una cartoonist giovane ma dalle idee chiare. Anche dal punto di vista grafico la Wynbrandt è bravissima a rappresentare il suo alter-ego nei minimi dettagli, concentrandosi soprattutto sulle espressioni facciali, con una serie veramente infinita di smorfie, e sui suoi capelli, disegnati con una cura certosina. Ma d’altronde sarebbe un crimine trattare con superficialità dei capelli così lunghi.

Visto che ci siamo, rimaniamo in tema di autrici femminili con due albi pubblicati da Retrofit ComicsHellbound Lifestyle della coppia Alabaster Pizzo-Kaeleigh Forsyth e Late Bloomer di Maré Odomo. Il primo è un diario della Forsyth, al suo debutto nel mondo del fumetto, illustrato dall’autrice di Mimi and the Wolves: una collaborazione nata, come svela la bio pubblicata alla fine dell’albo, da circostanze particolari, dato che le due si sono conosciute dopo aver scoperto che stavano uscendo con la stessa persona da un anno. Diventate ottime amiche, hanno realizzato un fumetto divertentissimo scandito da note e conversazioni tratte da uno smartphone, pieno di situazioni assurde, di buoni propositi finiti male, di ragionamenti contorti e soprattutto di idee, idee, idee una dietro l’altra che ci si potrebbero riempire tanti altri fumetti o intere stagioni di serie tv. Belli anche i colori sparati che donano un’estetica pop a un’opera che potrebbe piacere anche a chi non legge abitualmente i fumetti.

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Late Bloomer è invece un volumetto in bianco e nero di piccolo formato (14 x 11 cm) in cui Maré Odomo raccoglie con il modus operandi già mostrato nei due mini Internet Comics usciti per Sacred Prism (ne avevo parlato brevemente qui) riflessioni, disegni, schizzi, scarabocchi, cancellature, frasi. Le prove precedenti affascinavano per l’uso del colore e per la stampa in risograph, risultando esteticamente molto attraenti, mentre questa versione in bassa fedeltà ha l’aspetto di uno sketchbook. Ma in qualsiasi modo vengano pubblicati vale sempre la pena di sfogliare, leggere, guardare gli haiku visivi della Odomo: c’è un sentimento qui dentro che più di ogni narrazione restituisce le emozioni provate dall’autrice, lasciando al lettore un’impressione, un qualcosa difficile da verbalizzare o razionalizzare. Pagina dopo pagina si va avanti tra momenti di realismo (I will forget this), domande che ci si potrebbe fare per una vita intera (Where’d you go?), storie che finiscono (If i see you, I will walk away), vuoto esistenziale (Nothing to cry about), chiusura in se stessi (Don’t wanna talk about it). Quando si arriva all’ultima pagina non si ha un’idea precisa di ciò che abbiamo appena letto ma soltanto la sensazione che qualcosa dentro di noi è successo.

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“Fobo” di Gabriel Delmas

(English text)

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di Weedzie Kalashnicock

Fobo è una metafora della follia dell’amore, una canzone sullo squilibrio chimico, un poema per tutti coloro che cercano e un lamento per coloro che trovano. In sintesi, un’allucinazione metafisica.

E’ anche il divertente racconto di uno spermatozoo che, come tutti gli spermatozoi prima di lui, ha assolutamente bisogno di trovare un uovo per assicurarsi un posto nell’eternità. Ma, mentre tenta di compiere il suo destino, diventa ossessionato da qualcos’altro. Ciò che vuole veramente è penetrare il cuore dell’universo. E questo desiderio lo porta a inseguire ogni barlume, ogni bagliore, ogni buco nero, ogni punto lontano, fino a dove e fino a quando riesce a farlo.

All’inizio è pieno di speranza. Riesce ad attraversare ogni paesaggio immaginabile. Incontra la donna con un occhio solo, la insegue, gioca con lei. E’ aiutato da una vegetazione amichevole, i cui tentacoli ricurvi lo salvano quando pensava che stessero per strangolarlo. Viene mangiato da strane creature fluttuanti con i ventri rigonfi e i volti sorridenti, un po’ stupide ma anche affettuose, che in realtà non vogliono fargli del male, dato che lo portano verso nuovi e ancor più stimolanti territori. E’ costretto a fermarsi, incapace di proseguire, ma poi riprende la sua corsa. Riesce a prevenire ogni catastrofe e a muoversi sempre più avanti nella sua ricerca. Le sue avventure sono spaventose e divertenti. Sembra essere (e comincia a credersi) invincibile. Diventa il capo di alcune creature che incontra lungo la strada. E’ così euforico da sentirsi onnipotente, sembra che non ci sia niente che non possa fare.

Fobo si sente tutt’uno con l’universo e con le creature intorno a lui. Sembra che tutti facciano il tifo per lui. Si sente coccolato.

Ma cosa sta succedendo? E’ vero che sono tutti dalla parte di Fobo? Ogni creatura lo porta più vicino, ma a cosa? Tutto ciò è amore o un inganno? Dove si trova?

Fobo guarda le cose sotto un’altra luce. Ciò che sembra essere una cosa, subito dopo comincia a sembrarne un’altra. Ogni volta che Fobo emerge da una cavità, ne trova un’altra e un’altra ancora. E sono le cavità a guardare Fobo, non il contrario. Ne può penetrare una ma ce n’è sempre un’altra dietro l’angolo. Sia che guardi giù o su, che entri o che esca, non è mai dall’altra parte. E’ imprigionato, proprio come tutti gli altri esseri in questo labirinto umido e oscuro.

E’ forse un clone? O un drone? Pensava di essere migliore! Diverso! Che cos’è?

Prima Fobo trovava tutto eccitante, folle e misterioso mentre ora pensa: “Devo essere provocato e stimolato in eterno? Riuscirò mai a penetrare il mistero che sto cercando di comprendere? Devo essere preso in giro per il resto dei miei giorni, e tutto il mio tempo, tutti i miei sforzi non serviranno a niente?”

Questa non è la storia di una razza che cerca di sopravvivere, e neppure la storia di una selvaggia lotta per essere il miglior spermatozoo dell’universo. E’ la storia della disillusione del vincitore. La sua sofferenza è esistenziale.

La verità è che Fobo ha una pistola sempre carica ma può sparare soltanto a salve, per l’eternità.

Questa è la storia dell’Orrore.

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Traduzione di Gabriele Di Fazio. Fobo è l’ultimo lavoro di Gabriel Delmas ed è un volumetto di 64 pagine, brossurato, 15×21 cm, pubblicato da Hollow Press

“Hotel Massilia” di Emidio Clementi e Maurizio Lacavalla

di Serena Di Virgilio

Hotel Massilia è un racconto scritto da Emidio Clementi (frontman dei Massimo Volume, poeta e scrittore) e illustrato da Maurizio Lacavalla. È un libro spillato di 48 pagine a colori di formato quadrato autoprodotto da Sciame, un collettivo di studenti del corso di fumetto e illustrazione dell’Accademia di Belle Arti di Bologna, dove Clementi insegna.
Hotel Massilia è stato presentato a Bologna con una mostra delle illustrazioni di Lacavalla presso la galleria Adiacenze e con un reading di Clementi presso la libreria Modo Infoshop.

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Un complesso musicale attraversa la Spagna in autobus per arrivare in una città di mare in cui si parla francese. Dopo un primo albergo troppo ordinario si sistema al Massilia. Qui una stanza viene adibita a studio di registrazione, dove i tre amici cercheranno di mettere insieme il loro album, con poca convinzione.

La storia è sostanzialmente autobiografica e parla della sofferta genesi dell’album Stanza 218 di El Muniria, progetto di Clementi dopo il (temporaneo) scioglimento dei Massimo Volume.
La città è Tangeri in Marocco, e l’albergo è quello in cui William Burroughs scrisse Il pasto nudo, e il gruppo si era recato lì in cerca di ispirazione.

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Fornito di testo e qualche foto del viaggio, Lacavalla fa del luogo il protagonista delle sue illustrazioni, ricreandolo ispirandosi ad un’altra città del Mediterraneo: la sua Barletta di palme, parcheggi, piscine e spiagge.
L’occhio si fissa poco su persone, avvenimenti ed emozioni; guarda la città e le stanze dall’alto, oppure si avvicina ai particolari degli oggetti. Le forme, di tetti e strade o chitarre e tastiere, sinuose e squadrate, stanno le une vicine alle altre come in un dipinto astratto o una foto aerea.
Alternato al bianco e nero, l’azzurro intenso fa da linea guida, dall’autobus ai muri dell’albergo, al fazzoletto con cui uno dei membri del gruppo cerca di nascondere il bozzo che gli cresce sul collo.

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Originali e bozzetti delle illustrazioni in mostra

Il testo è rado, pieno di silenzi che lasciano la pagina bianca e le immagini a prendere il sopravvento. Il tono è amaro mentre si sofferma sullo sgretolarsi della creatività e sull’insofferenza crescente. Intanto un’umanità varia s’insinua nel racconto attraverso brevi quadretti, impressioni da estranei che si passano accanto e a volte si sfiorano.

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Maurizio Lacavalla ed Emidio Clementi

Sul muro dell’albergo, un cartello. Fotografato da Clementi, che ha appeso in casa sua la foto, riscritto a matita da Lacavalla che a sua volta l’ha tenuto nella sua stanza, e infine dipinto e inserito nel libro.
Le Silence
de chacun
assure le repos
de tous

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Grazie a Nicola.

E’ nata Flag Press!

Flag Press articolo

Forse non tutti sanno che insieme a Ratigher ho fondato una piccola casa editrice, la Flag Press, che si propone di pubblicare fumetti in un unico formato, poster orizzontali 70×100 con due pagine affiancate. Abbiamo presentato il progetto all’Arf! di Roma sabato 21 maggio e subito dopo ha debuttato il nostro sito, dove è possibile acquistare il primo poster della serie, intitolato Teoria, pratica e ancora teoria, a firma dello stesso Ratigher.

Probabilmente molti di voi avranno già notato la notizia sui vari social network, siti di informazione e soprattutto sul blog del mio socio, a cui vi rimando per leggere le cose come veramente stanno. Qui mi preme dire che il mio coinvolgimento in Flag Press nasce per volontà dello stesso Ratigher, che covava il progetto da un bel po’. Mi ricordo, anzi, che quando lo incontrai al Fumetto Festival di Lucerna del 2015, mi disse che aveva un’idea e aveva disegnato già il logo per una piccola casa editrice che avrebbe coinvolto autori internazionali e pubblicato fumetti “in un formato un po’ strano”.

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Io già pensavo a cubi, scatole o telefoni ma in realtà no, si trattava di poster, come mi avrebbe rivelato qualche mese dopo invitandomi a diventare la sua spalla nell’impresa (a proposito non provate a fregarmi l’idea della Phone Press, fumetti a forma di telefono). Da allora abbiamo pensato bene a cosa volevamo fare con Flag Press e, al di là della scelta degli autori, la nostra idea si è concentrata sul concetto di “storia”. A tutti e due piacciono le sperimentazioni, i fumetti assurdi e a volte anche apparentemente senza senso, ma quello che qui ci preme realizzare è raccontare su un poster, far diventare narrativo un oggetto che è sempre stato principalmente figurativo, dando inoltre la possibilità agli autori di sbizzarrirsi graficamente sul formato editoriale più grande possibile. E credo che Teoria, pratica e ancora teoria di Ratigher sia veramente il “manifesto” di questa nostra idea, con una storia piena di personaggi, i dialoghi incalzanti, le piccole vignette e l’aereo gigante che viene tagliato in due dallo spazio bianco tra le tavole. Ah, sul retro del poster trovate in bianco e nero la traduzione in inglese della storia. In futuro, se il fumettista scriverà in inglese, sul retro troverete la traduzione in italiano.

Quali autori pubblicheremo con Flag Press? Innanzitutto stiamo lavorando con Ruppert&Mulot, Manuele Fior e Dash Shaw. E poi? Ai poster l’ardua sentenza!

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