Torna il Just Indie Comics Buyers Club

Seconda edizione per il Just Indie Comics Buyers Club, l’abbonamento che ho lanciato lo scorso anno per sostenere il negozio on line in cui distribuisco materiale americano difficilmente reperibile in Europa, oltre che vari prodotti italiani ed europei di case editrici e micro-realtà editoriali a me affini. La formula è la stessa del 2016 e quindi più o meno ribadisco quanto scritto circa 365 giorni fa. Chi aderirà entro il prossimo 10 gennaio riceverà uno o due fumetti ogni tre mesi, a seconda della tipologia di abbonamento scelto, e avrà inoltre diritto a uno sconto del 10% su tutto il materiale ordinato dal sito nel corso del 2017 tramite un apposito codice promozionale. La prima spedizione sarà tra gennaio e febbraio, le successive ad aprile, luglio e ottobre. I fumetti saranno per lo più americani, a volte europei, ma sempre e comunque in lingua inglese. Come accennato, esistono due soluzioni per aderire al Just Indie Comics Buyers Club. La prima, quella più economica, viene 40 euro e dà diritto a ricevere un albo a trimestre, spese di spedizione tramite piego di libro ordinario incluse. La seconda, che invece è la versione estesa dell’abbonamento, consentirà di avere in ogni invio due fumetti, per un totale di otto albi annui, e costa 70 euro, con la spedizione sempre inclusa.

Il primo fumetto sarà uguale per tutti gli abbonati. L’anno scorso avevo scelto Frontier #10 di Michael DeForge, mentre quest’anno ho selezionato Blammo #9 di Noah Van Sciver, recente uscita dell’antologia personale dell’autore di Saint Cole e Fante Bukowski, visti in Italia per Coconino. Si tratta di un albo di 48 pagine che ben rappresenta lo spirito del Buyers Club, cioè quello di far leggere fumetti fuori dalle ormai preponderanti dimensioni del graphic novel, curiosi, originali, estemporanei, sperimentali e di difficile reperibilità. Blammo è in particolare un’antologia realizzata da un solo autore, una formula molto usata fino a qualche anno fa ma che ora è sempre meno diffusa. Il nuovo numero è uno dei migliori se non il migliore in assoluto del lotto, con storie autobiografiche, racconti di una tavola, adattamenti di favole e la classica pagina delle lettere. E con due storie più lunghe, White River Junction, Vermont e Little Bomber’s Summer Period che sono tra le cose più riuscite della produzione di Van Sciver.

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Gli altri invii saranno invece a sorpresa. Potrete trovare degli spillati di piccolo o grande formato, volumi, volumetti, antologie, tabloid e così via, pubblicati da piccole case editrici indipendenti o autoprodotti. Non tutti riceveranno gli stessi albi perché le quantità sono limitate ma se qualche abbonato avrà delle richieste specifiche sono aperto a suggerimenti e idee. Per farvi capire qual è il materiale che vi aspetta, ecco una lista dei fumetti inviati lo scorso anno agli abbonati, con tanto di link quando se ne è parlato su Just Indie Comics o quando sono ancora disponibili nello shop: Frontier #10 di Michael DeForge, The Social Discipline Reader di Ian Sundahl, Rough Age di Max de Radigués, Hellbound Lifestyle di Alabaster Pizzo e Kaeleigh Forsyth, Pope Hats #4 di Ethan Rilly, Immovable Objects di James Hindle, Felony Comics #1, Drawn Onward di Matt Madden, Windowpane #3 di Joe Kessler, Ganges #5 di Kevin Huizenga, Gloom Planet di Anya Davidson, 3 New Stories di Dash Shaw, Blammo #8.5 di Noah Van Sciver, Ritual #2 di Malachi Ward, Lydian di Sam Alden, Fedor di Pat Kelley, Mould Map #5, World in the Forcefield di Alexander Tucker, King Cat #76 di John Porcellino, Pure Shores di Jaakko Pallasvuo, Middle School Missy di Daryl Seitchik, It Never Happened Again di Sam Alden, Space Basket di Jonathan Petersen.

Qui sotto trovate i link per abbonarvi. Ripeto, se vi interessa affrettatevi perché sarà possibile aderire SOLTANTO FINO AL 10/01/2017. L’offerta con queste modalità è valida per i soli residenti in Italia, se invece siete residenti all’estero e siete interessati potete contattarmi a justindiecomics [at] gmail [dot] com e vedrò cosa si può fare.

JUST INDIE COMICS BUYERS CLUB LARGE

JUST INDIE COMICS BUYERS CLUB SMALL

 

“La soffitta”: intervista ad AkaB e Squaz

di Nicola D’Agostino e Serena Di Virgilio

Un uomo dalla formidabile memoria e dalla dubbia moralità ripercorre la sua tormentata esistenza e le terribili azioni di cui si è reso protagonista. È la premessa di La soffitta, libro metà illustrato e metà a fumetti firmato da AkaB e Squaz che verrà stampato come cartonato olandese di 80 pagine a colori in formato 22 x 29,7 cm a 23 euro.
La soffitta si può acquistare unicamente facendo un preordine entro il 10 dicembre sul sito di Passenger Press.

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La soffitta è un esperimento interessante sotto vari punti di vista, creato a quattro mani da autori che in questi anni hanno firmato opere non banali, che qui si cimentano in un ibrido di forme narrative e adottano un sistema di distribuzione alternativa ai canali tradizionali, ma anche al più canonico crowdfunding, per raggiungere un pubblico interessato con un occhio a costi e rischi.

Abbiamo contattato i due autori per far loro qualche domanda sul libro e sul progetto che c’è attorno.

Anzitutto vi chiediamo di presentarvi ai lettori.

AkaB: Mi firmo AkaB e da più di vent’anni solco i mari della comunicazione inseguendo una balena immaginaria da abbattere e per cui valga la pena morire (o vivere).

Squaz: Disegno fumetti e illustrazioni da quasi 15 anni. Ho lavorato su alcune delle principali riviste italiane e ho pubblicato libri a fumetti, principalmente per case editrici indipendenti (3 solo con la Grrrz Comic Art Books di Silvana Ghersetti). L’ultimo è Tutte le ossessioni di Victor per Diàbolo Edizioni, su testi di Davide Calì.

Cos’è La soffitta?

Squaz: È un libro che doveva essere una cosa ed è diventata un’altra. È nato da una serie di miei disegni che stavo realizzando con l’intenzione di farne una mostra. Non pensavo neanche alla pubblicazione. Poi le cose hanno preso una strada diversa.

AkaB: Un libro imprevedibile che ha sorpreso per primi noi. La storia guidata dai disegni di Squaz è venuta fuori un po’ per volta rivelando logiche e simmetrie che non potevamo immaginare.

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Come avete collaborato e/o vi siete divisi il lavoro?

Squaz: Una volta che mi sono ritrovato una ventina di disegni, mi sono accorto che sembravano illustrazioni per un racconto. A quel punto, ho pensato che valesse la pena affiancare un testo, ma le prove che ho fatto non mi convincevano. Così ho pensato di rivolgermi a qualcuno che potesse essere in sintonia con la materia e con le suggestioni di quelle immagini e che potesse aggiungere la propria interpretazione, arricchendole. AkaB mi è sembrata la persona giusta, quella a cui ho pensato spontaneamente.
In pratica, AkaB si è trovato a lavorare su una serie di immagini già realizzate.

AkAB: Squaz mi ha inviato una sequenza di illustrazioni apparentemente slegate tra loro e dopo averci ragionato ho intravisto una trama che con il passare del tempo è divenuta sempre più compatta e organica. Poi, dopo averne discusso, abbiamo deciso di aggiungere una seconda parte a fumetti andando ancora più a fondo nella contorta psiche del protagonista.
Di fatto è un libro dettato dai segni.

Squaz: Sì, anche la parte a fumetti tra l’altro, pur essendo una diretta conseguenza della parte precedente, ha visto nascere prima i disegni e dopo il testo. Non ho reso le cose facili al mio compare…

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Come avete lavorato su questa seconda parte a fumetti?

Squaz: Come dicevo, la parte a fumetti è una conseguenza della parte illustrata. Una volta che avevamo finito la prima parte, abbiamo pensato che sarebbe stato bello fare uno stacco e arrivare al presente del protagonista, che è la voce narrante. Quindi le illustrazioni sono diventate i suoi ricordi, frammenti del suo passato.

AkaB: In realtà dopo il disagio dettato dal delirante impatto iniziale, il resto della storia è venuto fuori molto naturalmente. In generale questa struttura inversa mi è congeniale. E’ un po’ come scrivere il testo di una canzone dopo averne sentito la musica.

Squaz: In pratica, basandomi sul testo già scritto da AkaB, ho pensato a queste tavole a fumetti conclusive senza sapere cosa si dicessero i personaggi. Quindi è diventata un po’ una partita di ping pong.

AkaB: Ping pong medianico.

Come nella prima parte c’è una divisione abbastanza netta tra chi ha fatto i disegni e chi i testi/sceneggiatura?

Squaz: Materialmente, io ho fatto tutta la parte grafica e AkaB tutti i testi. Ma non solo nella prima parte, in tutto il volume.

AkaB: Sì. i disegni sono tutti di Squaz e i testi, miei. Ormai non si capisce più niente!

Squaz: È quello il bello.

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Da quanto va avanti la vostra collaborazione? A quali altre cose avete lavorato insieme?

Squaz: Be’, nel 2011 abbiamo lavorato insieme per la prima volta su Le 5 Fasi, insieme a Ponticelli, Ausonia, Officina Infernale e Tiziano Angri. Ma ci conoscevamo da molto prima.
Non mi pare ci siano altre collaborazioni vere e proprie, comunque.
In realtà, c’è stato un tentativo insieme ai nomi citati sopra (i Dummy), ma è un libro che poi è rimasto nel cassetto. Il nostro “libro maledetto” (faccio fatica anche a pronunciare il titolo).

AkaB: Ci conosciamo da quando entrambi abbiamo iniziato con questa malaugurata idea di fare i fumetti diversi. Abbiamo collaborato molto attivamente per il progetto delle “5 fasi”. Ma in generale con tutti i Dummy stiamo cercando (con grande fatica) di mantenere vive queste collaborazioni. Personalmente penso sia una ricchezza enorme poter sperimentare svariate combinazioni e rimanere stupiti dagli imprevedibili risultati finali.
Di “libri maledetti” ahimè ne abbiamo più di uno.

Squaz: Ad ogni modo, quando pensiamo di fare qualcosa insieme è sempre perché abbiamo per le mani qualcosa da sperimentare, da scoprire insieme agli altri. Non è roba da tutti i giorni, diciamo.

Chi sono “i Dummy”?

AkaB: Un collettivo scansafatiche.

Squaz: Ah, i Dummy sono i 6 dell’Apocalisse delle “5 fasi” che citavo prima. Più alcuni altri che lo sono ad honorem.

AkaB: Per completezza i nomi sono: Alberto Ponticelli, Officina Infernale, Tiziano Angri, Ausonia, Squaz, Marco Galli, Dario Panzeri e io.

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Parliamo del meccanismo con cui finanziate, vendete e distribuite il libro. Perché un preordine e non un crowdfunding classico, o un “Prima o mai”?

AkaB: Pigrizia. E caso.

Squaz: Il crowdfunding non mi è mai piaciuto.

AkaB: Una volta ne stavamo parlando io e Squaz fuori da una libreria e [Christian G.] Marra [della Passenger Press, nda] si è proposto di occuparsi di tutta quella serie di cose che non avevamo voglia di fare.
È un esperimento che volevamo provare in vista di future strategie.

Squaz: Sì, anche perché il libro era pronto e imparare a fare le cose in autogestione totale richiede tempo che non avevamo. Lo sapevamo e ne abbiamo ampiamente avuto conferma in questo periodo. Adesso abbiamo almeno un po’ le idee più chiare.
In effetti, è una soluzione ibrida, ma per ora ci sta bene così. Il numero di copie stampate dipenderà in larga misura da quante persone lo ordineranno, né più né meno. Ci è sembrato anche coerente con la natura del libro stesso, che è comunque riservato ad appassionati veri, non al lettore casuale.

AkaB: Non ho preferenza né forme di razzismo metodologico. Sono tutte ok. È chiaro che la rete in futuro sarà sempre di più la piazza principale dove smazzare le nostre sostanze. Bisogna solo trovare le panchine migliori e tagliare gli intermediari.

Terrete da parte alcune copie, come hanno fatto altri, per poterle vendere in seguito a chi non ha fatto in tempo a preordinare?

AkaB: Sì. Ma in un numero mooooolto limitato.

Squaz: Se ne avanzeranno saranno pochissime. Al più, se la gente verrà a piangere sotto casa che è rimasta senza, potremo ristamparlo in edizione economica, ma per adesso vediamo come va. Sono cose che decideremo più avanti.
Edizione economica e senza serigrafia in omaggio, voglio ricordare.

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Sul sito si legge che “tutti i lettori che acquisteranno una copia del libro, riceveranno la serigrafia limitata fatta a quattro mani”. Qui come avete collaborato?

Squaz: Io ho fatto lo sfondo, AkaB il disegno principale. Quello è stato più semplice. I testi lì non potevamo certo metterli, abbiamo pensato che valesse la pena far vedere anche il suo “tocco” grafico.

AkaB: Abbiamo lavorato come in animazione. Squaz ha fatto lo sfondo polveroso ed io il personaggio tettuto fantasma.

C’è qualcosa che tenete ad aggiungere?

Squaz: Che spero che altri autori vogliano percorrere questa strada, non solo esordienti o giovani promesse.

AkaB: Se il concerto vi è piaciuto, lì in fondo sulla sinistra vicino all’uscita trovate il nostro banchetto. Supportate il disagio e il disagio vi supporterà.

A Martina Franca debutta Manuscripta

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Dal 2 al 4 dicembre arriva in Puglia Manuscripta, un nuovo festival organizzato dai Presìdi del Libro in collaborazione con l’Associazione Terra Terra/Manufacta, la Fondazione Paolo Grassi e il Laboratorio Urbano Arte Franca. 

Il festival avrà tre sedi, tutte nel centro di Martina Franca (l’Ospedaletto in via Orfanelli 7, la Fondazione Paolo Grassi in via Metastasio 20 e la sede di Arte Franca all’interno della Villa del Carmine), e proporrà uno sguardo a 360 gradi sul mondo del fumetto, con ospiti ben noti al grande pubblico come lo sceneggiatore di Tex e Dylan Dog Pasquale Ruju, uno sguardo alle produzioni locali con LABO Fumetto, un’occhiata al fumetto d’inchiesta con l’editore Federico Zaghis di Becco Giallo. E con una particolare attenzione al mondo delle produzioni indipendenti, che qui ci interessano in modo particolare.

Nella sede dell’Ospedaletto ci sarà innanzitutto la mostra Fumetti dal presente, con stampe autografate di artisti ben noti ai lettori di Just Indie Comics come Akab, Lorena Canottiere, Roberto La Forgia, Maicol & Mirco, Martoz, Alice Milani, Marino Neri, Dottor Pira, Cristina Portolano, Ratigher, Davide Reviati, Silvia Rocchi, Serena Schinaia, Alice Socal, Adam Tempesta, Fabio Tonetto e altri ancora. Il titolo della mostra prende il nome dal documentario Fumetti dal futuro di Serena Dovì, che è direttrice artistica del festival insieme a Piero Angelini. Lo stesso documentario, che racconta le storie di autoproduzione di Alessandro Baronciani, Dottor Pira, Maicol & Mirco e Ratigher, sarà proiettato venerdì 2 alle 11 e alle 22 presso la Fondazione Paolo Grassi.

Dottor Pira e Ratigher saranno anche ospiti di Manuscripta. Il primo curerà il workshop Fumetti disegnati male (venerdì 2 alle 17,30), presenterà L’almanacco dei fumetti della gleba (sabato 3 alle 18,30) e curerà il dj set di sabato sera, mentre Ratigher parlerà insieme a me del progetto Flag Press, sabato alle 17,30 all’Ospedaletto. E visto che siamo in tema di autopromozione, durante il festival ci sarà anche il banchetto di Just Indie Comics con una selezione dei fumetti che normalmente potete trovare nel webshop.

Altra guest star di Manuscripta sarà Cristina Portolano, con la presentazione di Quasi signorina venerdì alle 19 all’Ospedaletto e il workshop Fumetti autobiografici sabato alle 15 ad Arte Franca. Ma gli eventi e gli ospiti non finiscono qui e per tutto il resto vi rimando al sito web del festival, mentre per iscrizioni e informazioni sui workshop potete scrivere a manuscriptafest@gmail.com. E se passate da quelle parti venite a dire “ciao”, mi raccomando.

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Flag Press #2 – “Prima” di Manuele Fior

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Un luogo dove siamo stati tutti ma di cui nessuno mantiene il ricordo, un tempo in cui avevamo le ali e nulla più. Prima di Manuele Fior, la seconda bandiera edita da Flag Press, è una storia che sembra arrivare da un altro mondo e da un’altra epoca, classica nello stile quanto sperimentale nel modo di avvolgere il lettore nelle sue spire. L’autore di 5000 chilometri al secondo e L’intervista ha realizzato per la casa editrice lanciata qualche mese fa da Ratigher e dal sottoscritto un fumetto toccante e al tempo stesso innovativo, che unisce contenuto e rivoluzione formale, sfruttando appieno le potenzialità del grande formato. Non vi dico di più, perché ogni dettaglio ulteriore potrebbe rovinare l’esperienza di lettura, che va fatta senza punti di riferimento, lasciandosi catturare dai dialoghi, dal segno, dai colori.

Si tratta del secondo poster edito da Flag Press, l’etichetta che pubblica fumetti formato 70×100 con una storia di due tavole. Il fronte è a colori in italiano, il retro in bianco e nero con traduzione in inglese. Per saperne di più sul progetto potete leggere qui.

Flag Press #2 – Prima di Manuele Fior debutterà al BilBOlbul Festival di Bologna dal 24 al 27 settembre. Lo troverete al Bookshop della Biblioteca Salaborsa insieme alla nostra prima uscita, Teoria, pratica e ancora teoria di Ratigher. Sempre in Salaborsa, Manuele Fior autograferà le copie durante le sue sessioni di dediche, sabato 26 novembre alle 16 e domenica 27 alle 11. Qualche giorno dopo il festival, potrete acquistare Prima sul sito della Flag Press.

Di seguito qualche immagine in antePrima. Buona visione.

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December’s not so far away – 17/11/2016

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Dato il periodo particolarmente ricco di eventi e progetti editoriali, resuscito questa rubrica di segnalazioni e link vari. Apriamo con BilBOlbul 2016, anche se non credo ci sia bisogno di leggere Just Indie Comics per sapere quel che succede a Bologna dal 24 al 27 novembre prossimi. L’ospite di eccezione è ovviamente Chris Ware, con una mostra dei suoi lavori alla Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna (inaugurazione venerdì 25 alle 18,30), una serie di incontri con il pubblico e la pubblicazione del volume-catalogo Il palazzo della memoria – Scritti, disegni, interviste. Il manifesto di questa decima edizione è di Marco Corona (potete vederne un dettaglio nell’immagine di apertura), cui è dedicata una personale alla Pinacoteca Nazionale. Tra le altre cose segnalo la mostra XUWWUU di Gabriel Delmas con l’ultima opera dipinta a olio dell’autore di Largemouths, la presentazione del nuovo libro di Richard McGuire Sequential Drawings edito da Rizzoli Lizard, l’angolo BBB Zine dedicato alle autoproduzioni internazionali che quest’anno ospita Ediciones Valientes, Jorge Parras, La Camaraderie, Arbitraire, Central Vapeur e Los Bravú. E poi mostre mostre mostre, incontri incontri incontri, eventi eventi eventi. Andate sul sito della manifestazione per scoprire tutto.

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Continuiamo a vedere quel che succede nella nostra cara vecchia Penisola e facciamo tappa a Roma, per due eventi che non sono riuscito a presentare a tempo debito (le inaugurazioni ci sono state entrambe venerdì 11 novembre) ma ancora in corso. La prima, presso Palazzo Velli in piazza di Sant’Egidio 10 a Trastevere, è la personale del Prof. Bad Trip A Saurceful of Colours, aperta fino al prossimo 3 dicembre. Si tratta della stessa mostra di Carrara, a cura di Tabularasa Teké Gallery, di cui avevo parlato qualche mese fa recuperando per l’occasione una vecchia intervista al Prof. Lo spazio espositivo è ampio ed accogliente, il materiale è ricco e di prim’ordine, tra i dipinti di Bad Trip che si possono ammirare con occhiali 3D consegnati all’ingresso, una serie di originali in bianco e nero, opere giovanili, sculture e tanto altro ancora. Ricco l’apparato critico, con foto, illustrazioni, articoli di giornale e materiale d’epoca che ben definiscono il contesto in cui Gianluca Lerici è diventato l’amato (e compianto) artista che tutti conosciamo. Se vi servono altri motivi per godervi tutto ciò, all’interno di Palazzo Velli ci sono anche concerti, dj set e proiezioni: il giorno dell’inaugurazione c’è stato per esempio un mini-live di Mauro Teho Teardo. Andate e moltiplicatevi. E se intanto volete farvi un’idea, eccovi un po’ di foto gentilmente offerte da Teké Gallery.

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In contemporanea e a poche centinaia di metri inaugurava Bosch Remix – L’astrazione della follia, un group show curato da Manfredi Ciminale e ospitato dalla galleria Parione9 (ne ho già parlato in questo post su Amore di lontano di Martoz) in cui giovani illustratori italiani rileggono l’opera di Hieronymus Bosch attraverso ventuno stampe giclée. Il livello medio dei lavori è davvero elevato e alcuni sono particolarmente degni di nota per spirito visionario e composizione. In più l’idea di realizzare le opere con il metodo del “telefono senza fili” dà coesione e unità al tutto. Gli illustratori coinvolti sono ADR, Francesca Balducci, Margherita Barrera, Pablo Cammello, Niccolò Castro Cedeno, Manfredi Ciminale, Crù, Lorenzo De Luca, Michela Di Lanzo, Fabrizio Des Dorides, Fabio Frangione, Frita, Valerio Immordino, infidel, La Came, Martoz, Lucio Passalacqua, Antonio Pronostico, Jacopo Starace, Sushi, Tommy Gun Moretti. Bosch Remix rimarrà in galleria fino al prossimo 30 novembre. Accorrete numerosi e, come antipasto, gustatevi queste foto scattate il giorno dell’inaugurazione da Diana Bandini.

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Passiamo adesso a un progetto editoriale che ha diversi punti in comune con Bosch Remix, nel senso che anche qui c’è un riferimento “alto” (lì Bosch, qui Ovidio) rivisitato da artisti italiani. Sto parlando di Metamorphoses, un albo in formato A4 a colori con sovra-copertina in serigrafia che verrà pubblicato alla fine di una campagna di crowdfunding su Ulule lanciata in questi giorni dall’associazione culturale Squame e attiva fino al 5 dicembre. L’idea alla base dell’iniziativa è quella di chiamare 16 artisti a rivisitare in maniera personale e libera uno dei miti tratti dalle Metamorfosi di Ovidio, realizzando per l’occasione un fumetto e un’illustrazione. A questo punto vorrete sapere chi sono gli illustratori e fumettisti che troverete dentro Metamorphoses e io per non fare torto a nessuno ve li dico tutti: Francesco Guarnaccia, Davide Saraceno, Pistrice, Tommy Gun Moretti, Marino Neri, Andrea Chronopoulos, Anna Deflorian, Cristina Portolano, Giulio Castagnaro, Martoz, Alessandro Ripane, La Lois, AkaB, La Came, Lucio Villani, Rita Petruccioli. Oltre all’albo si potranno acquistare anche dei poster 30×40 di ciascuna illustrazione/fumetto e qualche originale. Per qualche info in più vi rimando a questa intervista a Francesca Protopapa pubblicata qualche giorno fa su Dancing Asteroid. Sul sito della campagna trovate ovviamente ulteriori dettagli e tante immagini ma se siete pigri vi mostro qualcosa qui sotto.

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Proseguiamo con una serie di link che potreste trovare interessanti o, in caso contrario, che potete aprire se proprio non avete niente di meglio da fare. Parecchi, quando mi incontrano in giro (intendo agli eventi legati al fumetto, non al supermercato) mi chiedono informazioni sui festival d’oltreoceano, tentati dall’idea di provare la traversata a bordo di qualche nave per vendere i propri lavori agli indiani d’America (sì, è molto tardi quando scrivo queste righe qui). Ok, visto che mi sembra che la cosa interessi qualcuno, vi segnalo che di recente c’è stato il Comic Arts Brooklyn, un festival organizzato come sempre dal negozio di fumetti di Williamsburg Desert Island. L’edizione di quest’anno è stata in dubbio fino all’ultimo momento e, se questo ha comportato una minore affluenza di pubblico, non credo abbia inficiato la qualità del materiale che si poteva trovare sui vari tavoli, tanto che Nick Gazin su Vice ne parla come “l’unico festival che conta” (vabbè, mò non esageriamo Nick). Per un reportage più obiettivo vi rimando a quello del Publishers Weekly, che ha pubblicato sulle sue pagine anche una serie di foto dell’evento.

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Rimanendo in tema, dal 13 al 16 ottobre ha debuttato, dopo l’edizione di prova dell’anno scorso, il Cartoon Crossroads Columbus, curato tra gli altri dall’autore di Bone Jeff Smith. Il festival ha un approccio prevalentemente culturale al fumetto, visto da un punto di vista storico e anche sociale, come testimoniano i temi delle tantissime conferenze di taglio accademico che ha ospitato. Ne trovate resoconti sul sito del Comics Journal e su Comics Workbook. Infine, visto che ci siamo, recupero questo reportage di Rob Clough dalla Small Press Expo dello scorso settembre.

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Concludo con un po’ di cose a caso e cioè: l’intervista a uno dei miei cartoonist preferiti di adesso e forse di sempre, cioè Sammy Harkham, pubblicata in questi giorni in inglese dal sito francese du9, anche se in realtà risale al 2015; un nuovo fumetto in quattro parti di Sam Alden che ha debuttato qualche giorno fa su Hazlitt (in alto la prima tavola); un po’ di immagini del Doctor Strange ai tempi di Gene Colan e Tom Palmer gentilmente offerte da Diversions of the Groovy Kind. E ora basta.

Le due facce di “Amore di lontano”

Il nuovo libro del fumettista e illustratore romano Martoz, Amore di lontano, è stato pubblicato da Canicola in occasione del Treviso Comic Book Festival ed è arrivato a Roma con una bella mostra alla galleria Parione9 dal 7 ottobre al 6 novembre, a cura di Marta Bandini ed Elettra Bottazzi. Ho visitato la mostra qualche settimana fa e alcuni giorni dopo ho potuto osservare lo stesso Martoz all’opera in uno showcase inserito nella programmazione di Lucca Comics, in cui sono stati approfonditi i contenuti del libro. Quel che segue è dunque un po’ resoconto della mostra, in parte rielaborazione degli spunti suggeriti dallo stesso autore e in qualche modo anche breve recensione di un volume che prosegue, rendendolo più complesso, il percorso artistico iniziato con l’ottimo Remi Tot in Stunt pubblicato l’anno scorso da MalEdizioni.

Iniziamo proprio da Remi Tot, che rielaborava il genere classico del fumetto d’avventura italiano alla Diabolik facendolo esplodere in una serie di pagine ipercinetiche e ricche di riferimenti all’arte moderna. Anche in Amore di lontano la base di partenza è sempre la stessa, cosa che conferma Martoz come autore capace di inserirsi nella nostra tradizione fumettistica. Per quanto le sue tavole siano sperimentali e il modo di raccontare tutt’altro che lineare e convenzionale, la narrazione parte da riferimenti popolari, sviluppati soltanto successivamente in modo sghembo e originale. Anche la presenza di una forte componente erotica, anzi spesso pornografica, si rifà ai maestri del fumetto d’autore. Ciò delinea una striscia di influenze abbastanza chiara, che va dallo stesso Diabolik ai Bonelli, da Pratt a Manara, da Crepax a Toppi e Battaglia: forse chissà, vent’anni fa Amore di lontano sarebbe stato pubblicato a puntate sulle pagine di Corto Maltese. Le tavole in basso sono espressione di quanto detto finora: da una parte c’è la partenza, e dunque l’avventura, dall’altra uno dei tanti rapporti che uno dei due protagonisti, Jaf, consuma con le donne che incontra nel corso della storia.

Messe una vicino all’altra, queste tavole raccontano anche la trama di Amore di lontano. Il dualismo è infatti centrale: due sono infatti i protagonisti, due i piani temporali, due le storie (o almeno così sembra…), due le fonti di ispirazione alla base di tutto, ossia la Canzone dell’amore di lontano di Jaufré Rudel e I fiori blu di Raymond Queneau, citate dall’autore nelle primissime due (ancora) pagine, in cui si legge: “Da una torre così alta occhi più lunghi dei miei/arriverebbero lontano/scorgendo il declino e il susseguirsi dei regni/potrebbero indovinare l’esito stesso di questa crociata/e invece io/vedo solo un fiore blu che spunta nel fango”.

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La vicenda – colta, complessa e degna di un poema cavalleresco – segue da una parte le avventure di Antares, un veterano del Medioevo che guida l’esercito leonese verso la Seconda Crociata, e dall’altra quelle di Jaf, un uomo che vive in un presente indefinito e che sfoga le sue pulsioni facendo l’amore “come un randagio”. Jaf è un disadattato nel senso più vero del termine, perché ogni volta che si addormenta, di solito sempre vicino all’ennesima donna, si risveglia in un altro posto, che poi è lo stesso luogo in cui si trovava Antares nelle pagine precedenti. E se lo scopo di Antares non è in realtà la crociata ma trovare Mila, una contessa amata anche se mai conosciuta e vista di persona, quello di Jaf è trovare la salvezza e forse, chissà, qualcosa che una donna sola gli può dare, “un giorno senza morte” o addirittura “un solo posto, un solo amore”.

Vi risparmio gli sviluppi per non anticiparvi troppo e anche perché questa non vuole essere un’approfondita analisi del fumetto, che meriterebbe ben altra attenzione. Veniamo piuttosto alla mostra, che nello spazio piccolo ma curatissimo di Parione9 ha esaltato i contenuti di Amore di lontano, a partire dalle riproduzioni di Antares e Jaf realizzate per l’occasione dallo scultore Mauro Pietro Gandini.

Le tavole esaltano il bianco e nero a matita di Martoz e segnano un deciso passo avanti rispetto allo stile di Remi Tot, che, soprattutto a vedere gli originali, era più improvvisato e selvaggio. Qui le linee sono decisamente più rifinite, anche se sempre e comunque nell’ambito di una ricerca che non aspira mai al Bello ma che scompone le figure umane e i paesaggi in una serie di segni geometrici, spesso ai confini dell’astrattismo, come accade nella scena della battaglia a pag.187, ribattezzata Zio Ziegler.

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Altre volte le tavole sono l’occasione per farsi un’idea del processo creativo e delle scelte dell’autore, che parte da uno storyboard ma senza mai rinunciare a dare libero sfogo all’immaginazione e alla creatività quando si trova davanti al tavolo da disegno. I libri di Martoz hanno una struttura sempre libera che permette di improvvisare e di inserire tanti dettagli negli interstizi tra un elemento narrativo e l’altro, cosa che poi dà luogo a delle inevitabili modifiche, necessarie al momento dell’editing finale per dare coerenza al tutto: per esempio a pag. 44 la macchina disegnata in arancione nella parte alta della pagina è stata sostituita con tre vignette del tutto diverse (un trombettista, luci, scena di ballo).

Nella tavola di pag. 249 la parte superiore è disegnata completamente, mentre le due vignette in basso sono state solamente abbozzate per poi essere riprese in un secondo momento (quella a sinistra con la scena di una fellatio, quella a destra con un dettaglio di Jaf esanime che viene sorretto da una donna).

Nella rappresentazione di Mila a pag. 260 i ghirigori di Martoz si esaltano su carta in un modo che nella versione stampata non si riesce pienamente ad apprezzare, dato che la colorazione digitale volutamente piatta, seppur fondamentale dal punto di vista narrativo, non rende del tutto giustizia al disegno a matita. Vedendo la mostra, viene voglia di sperare che un giorno o l’altro Amore di lontano abbia l’onore di una “artist edition” tutta in bianco e nero.

La mostra si è ormai conclusa ma Parione9 prosegue la sua programmazione dedicata al mondo dell’illustrazione. Il prossimo appuntamento è per venerdì 11 novembre con l’inaugurazione di Bosch Remix – L’astrazione della follia, group show curato da Manfredi Ciminale che vede 21 illustratori italiani rileggere l’opera di Hieronymus Bosch secondo le regole del “telefono senza fili”.

Misunderstanding Comics #6

Di acqua ne è passata sotto i ponti dall’ultimo appuntamento con questa rubrica, anche perché ultimamente la costanza non è il mio forte. Ho purtroppo trascurato tanti fumetti di cui mi sarebbe piaciuto scrivere per bene, come Puke Force e Atrophy Life di Brian Chippendale, Dream Tube di Rebekka Dunlap, Kramers Ergot #9 e altri ancora: cercherò di recuperare i più meritevoli nel consueto Best Of di fine anno. Ora veniamo all’attualità, con tre uscite relativamente nuove e una che sta per arrivare in Italia. Il tutto, ovviamente, senza dovizia di particolari.

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Iniziamo da Exits, prima opera sulla lunga distanza di Daryl Seitchik, per me uno dei libri più attesi di questo 2016 data la mia quasi ossessione per la serie Missy, vista on line e su alcuni albetti usciti per Oily Comics e autoprodotti: ne avevo parlato brevemente in questo reportage sui fumetti della Small Press Expo 2014, per poi inserire Middle School Missy e Missy #3 rispettivamente nei miei Best Of del 2014 e del 2015 (ok, è vero, ho la fissa delle liste e sono anche un fan di Alta fedeltà). Exits esce per Koyama Press ed è un volume di oltre 200 pagine, distanza inusuale per una cartoonist giovane e che aveva finora lavorato su fumetti brevi se non addirittura estemporanei. Eppure le attese non vengono assolutamente tradite, perché Exits, pur riproponendo le tematiche e le simbologie care all’autrice, ribalta quanto fatto finora a livello estetico. Se in Missy l’alter ego della Seitchik dominava totalmente la scena, qui il personaggio principale è sempre una ragazzina, che però diventa invisibile dopo poche pagine, dando vita a soluzioni grafiche del tutto diverse rispetto al passato.exits-csgnor9xgaec3gi

Alla base c’è sempre quel malessere esistenziale che stride con la rappresentazione dei personaggi, soluzione costante nei fumetti della Seitchik e capace di creare un indissolubile quanto irresistibile mix di inquietudine e ironia. E c’è anche una complessità che prima mancava, perché se Missy era un fumetto apparentemente semplice (cosa ribadita anche da Leslie Stein in quarta di copertina), qui l’essenzialità è lasciata da parte per dar vita a un lavoro maturo e ricco di sfaccettature. Poi è vero, non tutto funziona al 100% e qua e là c’è qualche momento un po’ più debole degli altri, ma Exits rimane comunque un lavoro di ottima fattura.

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E’ un bell’anno questo per chi ama Charles Burns, perché oltre ad aver visto in Italia la pubblicazione di Sugar Skull, contenente la straordinaria conclusione della trilogia ormai conosciuta come Last Look (dal titolo della raccolta pubblicata di recente negli Stati Uniti), è anche ricco di progetti collaterali. Dopo lo sketchbook Incubation edito dalla Pigeon Press del compianto Alvin Buenaventura (ne avevo parlato qui), sono infatti in arrivo Vortex e Love Nest, due nuovi artbook pubblicati in Francia da Cornelius e al centro di una mostra inaugurata da qualche giorno alla Galerie Martel di Parigi. Nel frattempo sempre oltralpe Le Dernier Cri dà alle stampe Free Shit, raccolta dei numeri dell’omonima fanzine che Burns si è autoprodotto nel corso degli anni per regalarla ai festival o in privato. Quando sono andato alla Small Press Expo nel 2014, Burns presentava Sugar Skull e volevo quasi chiedergli se avesse con sé delle copie di Free Shit, dato che avevo visto in rete i post di qualche fortunato che se l’era procurata in occasioni simili. Ma sia l’eccessiva fila necessaria per ottenere una dedica che la stranezza della domanda che mi accingevo a fare (Scusa Charles, hai un po’ di merda gratis?) mi distolsero dal proposito. Comunque, facezie a parte, questo volumetto di piccolo formato rilegato con la solita cura mette insieme svariati schizzi, disegni e anche collage ispirati ai temi più disparati. Tra un profilo tipicamente burnsiano in prima di copertina e un’insolita composizione floreale in quarta, troviamo materiale che va dalla fine degli anni ’90 a oggi.

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Ci si vedono tracce di Black Hole (una rana vivisezionata, una donna con la coda, ecc.), il solito repertorio da b-movie, inevitabili tracce di romance comics, uno “special literary issue” composto soltanto da testi scritti a mano, pin-up di personaggi secondari della Marvel, un ritratto di William Burroughs e tanto altro. Pian piano che si va avanti gli schizzi e i disegni di prova dell’ultima trilogia diventano sempre più preponderanti, anche se non mancano comunque altre perle che mostrano tutta l’estensione di un immaginario affascinante e coerente. Free Shit è ancora più interessante del solito perché raccogliendo materiale realizzato nel corso di oltre 15 anni offre anche una storia involontaria della creatività di uno dei maggiori autori contemporanei di comics.

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La celebre fanzine di Aaron Cometbus, in cui il musicista e scrittore di estrazione punk tratta da ben 35 anni dei più svariati argomenti, dedica il suo 57esimo numero alla scena fumettistica newyorkese, con una serie di interviste a cartoonist e altre figure che popolano quel mondo: si va da Adrian Tomine al curatore della serie The Best American Comics Bill Kartalopoulos, da Gary Panter al proprietario di Desert Island (e organizzatore del Comic Arts Brooklyn) Gabe Fowler. E poi ci sono Gabrielle Bell, Robin Enrico, Jeffrey Lewis (autore anche della copertina), Julia Wertz, Ben Katchor, Paul Levitz, Drew Friedman, Karen Green, Kim Deitch e Al Jaffee, mentre Nate Powell firma i ritratti di tutti gli intervistati. Ne viene fuori una lettura frizzante che offre un quadro non solo del fumetto ma anche della scena artistica di New York nei suoi risvolti più umani e pratici, come il costo degli affitti, i punti di ritrovo, i rituali di “accoppiamento” dei cartoonist, le gelosie tra artisti e via dicendo. Cometbus non ha peli sulla lingua e con il suo handwriting mette giù una serie di domande anche intime e a volte scomode, senz’altro divertenti per il lettore che si trova sotto gli occhi non la solita intervista in cui si parla soltanto della formazione, delle fonti di ispirazione, della tecnica utilizzata e via dicendo. Inoltre credo proprio che i continui riferimenti alla storia della città, alla scena musicale e al mondo letterario possano rendere questo Cometbus #57 una lettura interessante non solo per i fumettofili ma anche per gli appassionati di cultura americana. Se poi amate i comics, è una roba assolutamente da non perdere.

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Infine faccio una concessione a un volume pubblicato già da qualche mese da Drawn and Quarterly ma che è una novità dell’ultim’ora qui in Italia, dato che sta arrivando in libreria per Coconino Press. Si tratta di Beverly, raccolta di sei storie brevi di Nick Drnaso vagamente collegate tra loro, che l’editore definisce “un affresco sommesso e disperato di vita nei sobborghi di una metropoli americana”. Rob Clough, in questa approfondita recensione che vi consiglio di leggere, paragona invece questi fumetti al cinema di Todd Solondz, riferimento che rende l’idea anche se Drnaso è spesso più misurato del regista di Happiness nella messa in scena, caratterizzata da uno stile volutamente flat e monocorde in tutti i suoi aspetti, dalla linea alla rigida suddivisione in vignette fino ai colori. Certo, se le iniziali The Grassy Knoll (già uscita come mini per la Oily Comics) e The Saddest Story Ever Told lavorano di fino mostrando senza clamori meschinità nascoste, razzismo, ipocrisia e vuoto esistenziale, la successiva The Lil’ King pigia sull’acceleratore raccontando dell’insana passione di un ragazzo per sua sorella e dei suoi sogni di sterminio quasi globale. Ma anche in questo caso il sensazionalismo è nascosto da un senso della misura così discreto da risultare disturbante, anche perché al centro di tutto c’è una tematica che solo così si può raccontare, ossia la difficoltà di avere relazioni sociali “normali”. Il volume aumenta di livello pagina dopo pagina e le tre storie che ne compongono la seconda parte – Pudding, Virgin Mary, King Me – ci mostrano un autore pienamente consapevole dei suoi mezzi, in grado di confezionare un debutto appassionante e del tutto maturo a soli 27 anni. Non fatevelo scappare.

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“Christmas in Prison” di Conor Stechschulte

Se non avete niente di meglio da fare e siete fedeli lettori di Just Indie Comics, sapete già che Conor Stechschulte è uno dei miei cartoonist preferiti di oggi. Il suo The Amateurs è una pietra miliare del fumetto contemporaneo (l’ho inserito nel mio Best of 2014) e la serializzazione di Generous Bosom per Breakdown Press ha già fornito motivi di meraviglia e interesse (per sapere quali potete leggere la mia recensione).

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Nonostante la pubblicazione per case editrici affermate nel panorama del fumetto alternativo, Stechschulte continua a essere un sostenitore dell’autoproduzione, in quanto concepisce il fumetto come un medium fortemente legato ai processi di stampa. Christmas in Prison è finora la sua fatica più impegnativa in questo campo, un volumetto 18×14 cm di 96 pagine realizzato in una molteplicità di tecniche diverse (risograph, serigrafia, offset) e rilegato a mano. L’oggetto già di per sé varrebbe la spesa ma il contenuto è ancora più interessante per molteplici motivi, a partire dal fatto che conferma Stechschulte come un autore con una propria poetica, capace di creare un universo di temi e contenuti.

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All’interno troviamo “pezzi” più che “storie”, dato che a volte il messaggio non è propriamente narrativo e l’interconnessione tra ciascuno di essi, basata sul meccanismo della ripetizione, fa pensare a un LP più che a un’antologia di fumetti o racconti. Prendiamo come esempio le pagine iniziali. Una mano sfoglia un libro, che mostra due volti umani che nella vignetta successiva si fondono tra loro. Ecco dunque una casa con una finestra illuminata, la stessa casa in mezzo al mare con una sagoma all’interno (solo una delle tante silhouette in questo libro), il mare alla luce della luna, nuvole, la figura di un uomo sovrapposta ai rami di un albero, ancora alberi, corpi, uomini, case, una lampada da scrivania, di nuovo il libro, le mani, una figura che barcolla in mezzo al verde, le mani che da eteree e indefinite arrivano a mostrare linee e pieghe. Sarebbe sbagliato ridurre tutto ciò a libere associazioni di idee, sotto c’è un contenuto che va al di là della logica, che parla al nostro emisfero destro, che è sogno, poesia, musica, improvvisazione ma anche rappresentazione di un processo, performance più che fumetto.

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Il tema del libro e della metanarrazione torna più volte, come tornano il voyeurismo, il controllo, il continuo senso di inquietudine, la solitudine, il dualismo uomo/natura, l’acqua come luogo di mistero, novità, rinascita. Christmas in Prison (o The Many Ways of Doing and the Wrong Way That It’s Done, come viene ribattezzato sul dorso) è così un’opera autonoma, con una fortissima coerenza interna, ma anche una sorta di campionario di sperimentazioni con cui Stechschulte ha arricchito o arricchirà le opere propriamente narrative. E la stessa dinamica era già presente in autoproduzioni come Wather Phase, Lurking/Nocturners, Mountain Comic. Certo, mai il cartoonist statunitense aveva mostrato in passato una tale forza nello sperimentare e nel proporre qualcosa di così organicamente rivoluzionario. E a confermarlo ecco la parte finale del volume, una lunga storia su voyeurismo, percezione e consapevolezza raccontata da una donna immersa nell’acqua e che affonda le radici sin nella letteratura ottocentesca. E’ questo l’episodio più tradizionalmente narrativo del lotto, ma la linearità apparente nasconde mille interrogativi, espressi prontamente nelle pagine conclusive, in cui i balloon rubano la scena al figurativismo con domande esistenziali di un’intensità sempre crescente.

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Se siete interessati a Christmas in Prison, ne trovate ancora qualche copia nel negozio di Just Indie Comics. Oppure potete ordinarlo direttamente dal sito dell’autore.

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Comic shops of the world: The Beguiling

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Avete presente il faro di Hicksville, dove è custodita una collezione di fumetti così imponente da comprendere opere mai pubblicate di autori come Jack Kirby, Harvey Kurtzman e Wally Wood? Beh, The Beguiling è il posto più simile a quell’immensa biblioteca che mi sia capitato di vedere finora. Non che io vi abbia trovato, come succedeva al protagonista della storia di Dylan Horrocks, un fumetto di Federico García Lorca e Pablo Picasso, però di materiale oscuro e di difficile reperibilità il negozio di Toronto è pieno. L’ho visitato ormai qualche mese fa in occasione del Toronto Comic Arts Festival, un evento che il proprietario Peter Birkemoe, insieme al manager di The Beguiling Christopher Butcher, ha contribuito a organizzare sin dalla fondazione nel 2003. E ho avuto l’occasione di passarci diverse ore, anzi, la prima volta quasi l’intero orario di apertura tante erano le cose da cercare, guardare, sfogliare.

Ma andiamo con ordine. L’interno è sviluppato su due piani. Nel primo ci sono in evidenza tutte le novità nell’ambito del fumetto indie, alternativo e d’autore: appoggiati sui banconi centrali si trovano dunque le ultime uscite di case editrici come Fantagraphics, Drawn & Quarterly, Koyama Press, Conundrum Press, Retrofit Comics, Alternative Comics, Space Face Books, Landfill Editons, Breakdown Press e via dicendo.

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Su una lunga serie di librerie sono invece appoggiati i libri e gli albi del catalogo, divisi in ordine alfabetico per autore: è questa la parte più interessante, con tante rarità che fanno parte da tempo della collezione del negozio o che vengono acquisite da appassionati e collezionisti privati. Eccovi un po’ di foto, con qualche scaffale e alcuni pezzi pregiati, scelti un po’ per passione personale, in parte su consiglio di Birkemoe e anche un po’ a caso.

Tra la B e la C, con Charles Burns ed Eddie Campbell in primo piano

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Tra i vari titoli estraggo questo Burns edito da Le Dernier Cri e ormai di non facile reperibilità

Il "Multi-Story Building Model" di Chris Ware, l'angolo Will Eisner e, in alto, uno scorcio di Italia con "Lontano" di Gabriella Giandelli edito da Canicola

Il “Multi-Story Building Model” di Chris Ware, l’angolo Eisner e, in alto, “Lontano” di Gabriella Giandelli edito da Canicola

Ancora Ware con "Acme Novelty Library" #1

Ancora Ware con “Acme Novelty Library” #1

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Non è rarissimo ma fa sempre piacere vedere un “Lloyd Llewellyn” #1

“Optic Nerve” di Adrian Tomine prima della Drawn & Quarterly

“Funny Animals” #1 del 1972

“American Splendor” #1, 1976

Oltre a questi titoli potrei citarne a memoria tanti altri, come diversi numeri di Raw, qualche Gary Panter d’annata, Multiforce di Mat Brinkman, varie pubblicazioni dell’era d’oro dell’underground, vecchie raccolte di newspaper strip e via dicendo. Una serie di espositori sono invece dedicati a mini-comics, comic book e riviste, con una selezione che ben rappresenta la “scena” del momento. E non tutto riesce a trovare spazio in negozio. Quando infatti mi è capitato sott’occhio un numero di Internet Comics di Maré Odomo pubblicato qualche anno fa dalla Sacred Prism, mi è venuto in mente che tra quegli albetti mi mancava l’ultima uscita, cioè Kickfoot, uno spillato di 16 pagine del collettivo norvegese Dongery uscito nel 2014. Quando ne ho chiesto notizie a Geneve, una delle ragazze che lavorano a The Beguiling, è andata in magazzino e nel giro di due-tre minuti è tornata con l’albo in mano….

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Inoltre è doveroso citare la sezione dei libri di illustrazione, quella delle antologie e la ricca selezione di titoli francofoni e giapponesi, con diverse rarità in lingua e di importazione.

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“Garo” #111, novembre 1972

Se il piano terra è una vera manna per gli appassionati di fumetto d’autore e underground, il piano superiore è invece riservato al mainstream e assomiglia di più al tradizionale negozio di fumetti americano. Vi trovano spazio i supereroi Marvel e Dc, con tanti titoli d’annata per collezionisti, e le produzioni di case editrici come Image, Dark Horse, Avatar e via dicendo. Anche qui, tuttavia, la selezione è molto accurata e dà particolare attenzione al panorama indie. Inoltre ci sono delle sezioni suddivise per autori, segno che anche qui ci si rivolge a un’audience matura e consapevole.

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Alex fa gli onori di casa al piano superiore, tra un “Forever People” e un “Daredevil”

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“Green Lantern” #8

The Beguiling è anche ben noto per l’attività di vendita di tavole originali, che viene svolta soprattutto on line in uno store dedicato dove è possibile trovare lavori di cartoonist come Sammy Harkham, Kevin Huizenga, Seth, Michel Rabagliati, Shintaro Kago, Brandon Graham, Farel Dalrymple, Jason Lutes, Jeff Lemire, Paul Pope, Eddie Campbell e tanti altri. Sulle pareti del locale si possono ammirare alcuni pezzi della collezione privata: eccovi dunque la prima tavola di Cerebus #23 dell’aprile 1978, che non poteva certo mancare visto il titolo dell’episodio, e una pagina di Joe Matt che vede l’autore, noto collezionista di fumetti d’epoca, dirigersi verso il negozio per vendere delle raccolte di Carl Barks.

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E a proposito di Joe Matt, c’è un’altra tavola da Peepshow #3 che raffigura prima lo stesso autore e i suoi due colleghi Seth e Chester Brown fuori dal negozio e poi Matt all’interno che dialoga con uno dei primi proprietari, Steve Solomos. The Beguiling è stato infatti fondato nel 1987, mentre Birkemoe è subentrato nel 1998.

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La tavola di Joe Matt da “Peepshow” #3

Peter Birkmoe sul suo trono

Peter Birkemoe sul suo trono

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Birkemoe ritratto da Seth in “Wimbledon Green”

Nel corso della mia visita, Birkemoe mi ha raccontato di essere in cerca di locali nuovi e più spaziosi, necessari per esporre un catalogo che in buona parte è relegato in magazzino. Se andate a Toronto, dunque, non mancate una visita a The Beguiling perché potrebbe essere una delle ultime occasioni per esplorare la storica sede al 601 di Markham Street.

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Concludo confermando ciò che scriveva qualche anno fa Jeet Heer su Comics Comics: se non è il miglior negozio di fumetti del mondo, The Beguiling è il miglior negozio di fumetti che io abbia mai visitato. E per questo meritava senz’altro la mia umile attenzione.

“Suicida” #1 di Abraham Diaz

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Voyeurismo, sadismo, masochismo, autolesionismo, morte, omicidio, suicidio, violenza gratuita, sesso, masturbazione, teledipendenza, degrado metropolitano. Nel suo debutto solista Suicida #1 Abraham Diaz lavora con questi ingredienti, li mescola, li forgia a suo piacimento creando un cartooning compatto e sempre ironico, salace, acido quanto basta. A fine 2015 l’artista messicano ha stampato insieme ai suoi compari dell’etichetta Ediciones Joc Doc 200 copie di questo albo 28×20 cm con testi in inglese e spagnolo, copertina serigrafata, carta bianca e nera con l’aggiunta del verde, utilizzato a volte come inchiostro ma anche per le pagine degli inserti. Un oggetto bello a vedersi e al tempo stesso sporco, che ricerca nell’estetica punk il feeling underground dei comic book monografici di una volta, con tanto di pagina delle lettere (unica differenza, i messaggi dei lettori non arrivano più per posta ma su Tumblr). Si inizia con The Witness, protagonista un solitario uomo di mezza età con tanto di baffetto intento a raccontare un omicidio a cui ha assistito spiando nel bagno della vicina di casa. Il tratto di Diaz è caricaturale, storpia i corpi dei personaggi, allunga i nasi, storce i denti, in uno stile che guarda a tanti artisti che abbiamo amato negli ultimi trent’anni (Ivan Brunetti, Kaz, Johnny Ryan) ma anche a Mad, ai gag cartoon, alle newspaper strip. Non a caso all’interno dell’albo troviamo due mezzi fogli con quattro Misery Funnies, classiche gag con testo sotto la vignetta, del tipo uomo tutto nudo sul water, una tazza fumante in una mano, la cornetta del telefono nell’altra e sotto “You don’t seem to understand… I’m my mother’s only child!”. E la cornetta del telefono è un dettaglio da non trascurare, perché tutto l’albo è fermo per estetica e scenari agli anni ’80 o prima ancora, non c’è volutamente traccia di cellulari, computer e tanto meno internet.

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Sulle stesse coordinate nostalgiche e irriverenti delle Misery Funnies è l’inserto in formato orizzontale Tito, che mostra la versione Diaz di Sluggo, l’amico di Nancy nella strip di Ernie Bushmiller (Tito è il nome con cui il personaggio è noto nei paesi di lingua spagnola). Pax Noctis, già vista su Kovra #6 delle Ediciones Valientes, è un altro pezzo forte, una storia di guerra e desiderio, un uomo costretto in trincea che ricorda o più probabilmente immagina un inseguimento in un bosco. La situazione culmina con una donna legata a un albero e frustata, poi si torna al soldato nella trincea che si masturba, fino al finale che unisce di nuovo sesso e morte come nel pezzo d’apertura. Suicida #1 sembra la conseguenza di una settimana passata chiusi in casa a fare zapping al buio davanti alla tv, con i nervi a fior di pelle, gli occhi che pulsano, il corpo in preda a una frenesia isterica che scatena le pulsioni più becere. Ma il cartooning di Diaz non è tutto qui, perché spesso denuncia e mette alla berlina senza mezzi termini l’idiozia umana: se Pax Noctis si prendeva gioco della guerra e dei deliri di onnipotenza sessisti, Milagro En El Congo è invece la storia animalista di un povero scimpanzé stampata su sfondo in risograph verde giungla. Arriviamo dunque a un altro inserto, questa volta apribile formato poster, dove troviamo tre fumetti di una pagina sui temi abituali, ribaditi anche nel successivo ¡Esta Fue Tu Vida!, che introduce la novità del sesso esplicito ma senza dimenticare l’ironia spietata e il gusto per lo storytelling, presenti ovunque nella produzione del messicano. Home è il fumetto conclusivo, un trionfo di linee impazzite che riproducono il caos metropolitano (stessa soluzione adottata in Home Is Where the Hatred Is, storia breve di Diaz per š! #24): un carcerato esce di prigione ma deve subire gli stimoli continui della città, rappresentati in modo parossistico con nudità esibite senza remore, uomini al guinzaglio di donne dai leggings attillati, gente che copula in ogni angolo. Il cruento finale ve lo potete immaginare oppure potete leggerlo sulle poche copie rimaste di Suicida #1, esaurito presso l’editore ma ancora disponibile, almeno al momento in cui scrivo queste righe, su Fatbottom Books, Dripper World e Feel It Records. Oppure potete procurarvi Kramers Ergot #9, dove sono state ristampate di recente Pax Noctis, Home e due delle Misery Funnies. Intanto Diaz è al lavoro sul secondo capitolo e noi restiamo così in trepidante attesa di leggere altri dei suoi fumetti old school.

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