I migliori 16 fumetti del 2016

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Lo scorso anno avevo pubblicato, con notevole dedizione, ben tre classifiche del meglio del 2015, suddivise tra fumetti italiani, libri stranieri e comic-book ancora stranieri. Per l’anno appena trascorso un po’ di lassismo mi ha impedito di essere così dettagliato e quindi, in grande ritardo rispetto ai siti più in voga, mi limito a postare una lista dei 16 libri che mi sono piaciuti di più tra quelli che sono riuscito a leggere. Sì, il numero è un po’ strano ma 10 mi sembravano pochi e 20 troppi, e 15+1 è invece un buon numero nell’anno in cui è uscito il nuovo fumetto di Daniel Clowes, che per me è sempre fuori concorso. E poi 16 per il 2016 suona bene. Non ho fatto distinzioni di genere, nazionalità, formato e data di pubblicazione, pertanto troverete in lista materiale nuovo, ristampe, antologie, corposi volumi e comic book spillati. E come al solito si tratta di materiale prevalentemente americano, come il nome di questo sito lascia facilmente intuire.

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Agony di Mark Beyer (New York Review of Books) – Direttamente dal 1987, anno in cui fu pubblicato come one shot della rivista Raw, torna in un’edizione praticamente identica all’originale questo fondamentale volumetto di Mark Beyer. Il merito è della New York Review of Books, che proprio con Agony ha inaugurato una meravigliosa collana di fumetti incentrata su ristampe di materiale introvabile e sulla traduzione di materiale straniero poco conosciuto negli Stati Uniti. Il libro segue le vicissitudini di Amy e Jordan, i due protagonisti che nel corso di queste 173 pagine vengono licenziati, inseguiti, decapitati, smembrati, spediti sotto terra, lanciati in aria e così via, in un trionfo di sciagure sapientemente descritte da un tratto brut e fuori dagli schemi.

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Amore di lontano di Martoz (Canicola Edizioni) – Già presente nella mia classifica dello scorso anno con Remi Tot in Stunt, Martoz colpisce ancora con un nuovo corposo volume edito da Canicola. Amore di lontano è un poema cavalleresco che guarda alla tradizione fumettistica italiana popolare e d’autore, facendola esplodere in vignette cubiste e ipercinetiche. Ma non fatevi ingannare dal piglio sperimentale, dai riferimenti colti e dalle scene di sesso, perché questa è essenzialmente una storia d’amore. Ne ho parlato in maniera più approfondita in questo post.

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Beverly di Nick Drnaso (Drawn and Quarterly) – Raccolta di sei storie brevi di Nick Drnaso più o meno collegate tra loro, Beverly unisce la rigidità formale alla Chris Ware con i temi del cinema di Todd Solondz per mettere in scena la difficoltà di relazionarsi all’altro. Meschinità nascoste, razzismo, ipocrisia e vuoto esistenziale vengono raccontati senza sensazionalismi, con uno stile volutamente monocorde sia nel disegno che nei contenuti. Per me uno dei libri rivelazione dell’anno, a opera di un autore che a soli 27 anni è già più di una semplice promessa. Per ulteriori dettagli vi rimando qui. Il volume è stato pubblicato anche in Italia da Coconino.

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Blammo #9 di Noah Van Sciver (Kilgore Books) – Qualcuno noterà che sono fissato sempre con gli stessi autori, ma come potrei tenere fuori il nuovo numero di Blammo da questa lista? Come sempre poliedrico, Van Sciver alterna autobiografia, adattamenti di favole, intermezzi comici e le solite storie dei “suoi” perdenti. L’apice viene raggiunto nelle dieci pagine ambientate a White River Junction durante il soggiorno al Center for Cartoon Studies, che utilizzando una struttura più libera e fluida del solito fanno pensare a nuovi e interessanti sviluppi per la produzione del nostro.

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Christmas in Prison di Conor Stechschulte (autoprodotto) – Anche di Conor Stechschulte ho parlato più e più volte, dato che si tratta di uno dei miei cartoonist contemporanei preferiti. Questo volumetto di 96 pagine è stampato e rilegato a mano con cura utilizzando tecniche diverse (risograph, serigrafia, offset) e raccoglie una serie di “pezzi” su alcuni dei temi cari all’autore, come voyeurismo, controllo, metanarrazione. Splendida l’ultima storia che inizia con una struttura narrativa per poi sfociare in una serie di interrogativi esistenziali di intensità crescente. Per saperne di più leggete questa recensione.

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Dôme di autori vari (Breakdown Press/Lagon) – La migliore antologia dell’anno, capace di battere anche Kramers Ergot #9 (non un gran numero per Kramers Ergot, ma sarebbe da parlarne a parte) è per me Dôme, frutto della collaborazione dei francesi di Lagon e degli inglesi di Breakdown Press. Il volume, tutto in risograph e di grande formato, è stato stampato dal vivo durante l’ultimo festival di Angoulême. Dentro storie brevissime, a volte di una sola pagina, di autori come Lando, Simon Hanselmann, Dash Shaw, Antoine Cossé, Michael DeForge, Olivier Schrauwen, Joe Kessler, Richard Short. Il materiale tutto di altissimo livello e la scelta di ospitare nelle pagine centrali un’appendice in forma di singola striscia delle diverse storie contribuiscono a creare un esempio di coerenza estetica davvero raro a vedersi. L’antologia è stata stampata in sole 500 copie ed è da tempo esaurita. Ne ho parlato più dettagliatamente qui.

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Dream Tube di Rebekka Dunlap (Youth In Decline) – Una delle sorprese più piacevoli del 2016, questo volume targato Youth In Decline raccoglie tre fumetti di Rebekka Dunlap indiscutibilmente contemporanei per grafica e contenuti ma che per spirito e atmosfere sembrano usciti da un vecchio numero di Garo. Tra nuove tecnologie, stregoneria e fantascienza le pagine vanno avanti per associazioni di idee, dettagli e intermezzi, creando un flusso di coscienza per immagini che trascina il lettore in un mondo impossibile da comprendere del tutto ma incredibilmente affascinante.

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Exits di Daryl Seitchik (Koyama Press) – Prima opera sulla lunga distanza di Daryl Seitchik, nota finora per la serie Missy, Exits ripropone le tematiche care all’autrice ribaltandone però la dimensione estetica. La trovata iniziale della ragazzina che diventa invisibile sembra un po’ alla DeForge ma lo sviluppo è ben diverso. Exits è un fumetto apparentemente semplice ma profondo, maturo e ricco di sfaccetature, capace di trasmettere quel senso di divertente inquietudine esistenziale che è la cifra stilistica della Seitchik. E in grado di mostrare il processo di crescita di un’autrice giovane ma che ha già voglia di mettersi in gioco. Per qualche parola in più vi rimando a questa puntata di Misunderstanding Comics.

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Gulag Casual di Austin English (2dcloud) – Utilizzando un’estetica tutta sua, debitrice più alle avanguardie storiche e all’espressionismo astratto che ad altri fumetti, Austin English racconta storie di tensioni quotidiane, in cui forze aggressive provenienti dall’esterno invadono spazi familiari e rassicuranti. Ma non si arriva mai al dramma in queste pagine, perché i protagonisti sono figure che compiono delle azioni e non soggetti con una propria personalità. Gulag Casual è un altro colpaccio dell’ottima 2dcloud di Minneapolis, una delle case editrici più interessanti del momento. Ne ho parlato in maniera leggermente più approfondita qui.

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Hellbound Lifestyle di Alabaster Pizzo e Kaeleigh Forsyth (Retrofit Comics) – Forse l’opera più leggera tra quelle in lista, Hellbound Lifestyle è un diario frutto della collaborazione di una scrittrice (la Forsyth) e una cartoonist (Abalaster). Qui lo definivo come “un fumetto divertentissimo scandito da note e conversazioni tratte da uno smartphone, pieno di situazioni assurde, di buoni propositi finiti male, di ragionamenti contorti e soprattutto di idee, idee, idee una dietro l’altra che ci si potrebbero riempire tanti altri fumetti o intere stagioni di serie tv”. Una di quelle cose che quando le leggi poi la tua giornata è migliore.

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July Diary di Gabrielle Bell (gabriellebell.com) – Il 2015 ci aveva privato dell’ormai tradizionale diario di luglio di Gabrielle Bell, che nel 2016 è tornato più scintillante che mai. La Bell è una delle mie cartoonist preferite in assoluto e tempo fa ho spiegato perché in questo articolo per Fumettologica. In più il nuovo diario, di recente uscito anche in versione cartacea per Uncivilized Books sotto il titolo Get Out Your Hankies, sperimenta la spontaneità più totale dato che l’autrice si è data la regola di evitare interventi di editing e di riscrittura. Leggetevelo e non ve ne pentirete, in attesa di Everything is Flammable, nuovo fumetto inedito di 160 pagine in uscita ad aprile sempre per Uncivilized.

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Patience di Daniel Clowes (Fantagraphics Books)  – Non ha ricevuto recensioni poi così entusiastiche l’ultima attesissima opera di Daniel Clowes, probabilmente per la sua trama quasi hollywoodiana, la sua struttura più tradizionale, i disegni meno dettagliati del solito. Eppure per me Patience è non solo l’ennesimo capolavoro dell’autore di Ghost World e David Boring ma anche la sua opera dal maggiore impatto emotivo, quella che più di tutte riesce a emozionare e addirittura a commuovere. Non dico altro perché ne ho parlato approfonditamente in questa recensione.

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Puke Force di Brian Chippendale (Drawn and Quarterly) – Visto anni fa a puntate sul sito della Picture Box, Puke Force era rimasto incompiuto per lungo tempo, senza mai trovare la strada della pubblicazione cartacea. Ci ha pensato Tom Devlin, ex Highwater Books e ora in forza alla Drawn and Quarterly, a convincere Chippendale a mettere da parte per un po’ l’attività di batterista e voce dei Lightning Bolt così da concludere questa epopea fantasy malata che forse è quanto di meglio uscito dal gruppo di Fort Thunder insieme a Multiforce di Mat Brinkman. E il fatto che il 2016 abbia visto anche l’uscita di un nuovo mini-comic autoprodotto, l’ottimo Atrophy Life, lascia ben sperare per un ritorno in pianta stabile di Chippendale all’attività di fumettista.

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Safe Space #2 di Alessandro Galatola (autoprodotto) – Uno dei migliori fumetti italiani dell’anno in realtà non esiste. Pubblicato in soli 10 prototipi, Safe Space #2 è ancora in cerca di un editore e sarebbe il caso che lo trovasse, perché le storie disegnate dal pugliese Alessandro Galatola uniscono le nuove frontiere del fumetto all’immaginario “altro” degli anni ’80 creando uno stile proprio fatto di una scrittura densa, sghemba, mai banale. Ne ho parlato di recente presentando Dio di me stesso, storia inedita tratta proprio da quello che è – o meglio sarà – Safe Space #2. Fuori da ogni convenzione di genere, dai tentativi di neorealismo, dal raccontare “tanto per”, questi sono fumetti viscerali che vengono dall’anima del loro giovane autore.

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Sirio di Martin López Lam (Fulgencio Pimentel) – Martin López Lam è un fumettista peruviano che risiede da anni in Spagna, dove anima la scena underground con la sua etichetta Ediciones Valientes e il festival Tenderete. In più Martin è ben conosciuto in Italia per le numerose iniziative di cui è stato protagonista durante la residenza all’Accademia di Spagna di Roma e l’ultimo BilBOlbul. Tutto questo attivismo non deve però far trascurare la sua produzione artistica, di cui Sirio è splendido esempio. La storia inizia come un giallo ma prosegue descrivendo personaggi che girano intorno a se stessi sullo sfondo di una torrida estate, in un’atmosfera densa, fatta di attese e magnificamente illustrata nei toni del blu e dell’ocra. Trovate qualche parola in più in questo post.

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Soft City di Pushwagner (New York Review of Books) – Altro lodevole recupero della New York Review of Books, questo elegante hardcover con grafica di Chris Ware ristampa il volume pubblicato in Norvegia dalla No Comprendo Press. Era l’inizio degli anni ’70 quando l’artista norvegese Pushwagner dava vita a un fumetto quasi muto pieno di uomini tutti uguali che vivono in enormi complessi residenziali con le loro famiglie perfette e vanno a lavoro nelle loro macchine una identica all’altra. Una delle migliori rappresentazioni dell’alienazione metropolitana in forma di fumetto, disegnata con linee soffici e liquide che sono già metafora del conformismo capace di insinuarsi sotto la pelle dell’uomo contemporaneo. Ne avevo parlato qui in occasione della mostra di Pushwagner al Fumetto Festival di Lucerna del 2015.

“Dio di me stesso” di Alessandro Galatola

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I più attenti tra voi già conosceranno Alessandro Galatola, fumettista classe ’93 di Gioia del Colle, in provincia di Bari, che da qualche tempo anima la sua pagina Facebook e il suo Tumblr di fumetti, illustrazioni, manifesti, esperimenti. Ne ho parlato brevemente su Just Indie Comics in occasione del reportage dal Crack! 2015, dove Alessandro fece esordire il suo primo comic book autoprodotto, Safe Space #1. Un albo quello per lo più muto e fuori dagli schemi rispetto alla scena fumettistica italiana, dato che rinunciava completamente al realismo della rappresentazione per guardare a modelli stranieri come i canadesi Michael DeForge e Jesse Jacobs, tra forme allungate, panorami alieni, corpi cadenti, feriti, ripiegati su se stessi. Certo, lo stile era ancora derivativo, ma già da allora si capiva che in quei fumetti c’era qualcosa di più, una dimensione psicologica più profonda, che non voleva solo strizzare l’occhio al lettore come fanno tanti fumetti di oggi. Safe Space #2, stampato per ora in soli 10 prototipi e più corposo con le sue 72 pagine, conferma e amplifica questa impressione. Denso di testo rispetto al precedente, con fumetti che abbandonano la formula del divertissement per diventare storie, l’albo è opera di un autore già maturo e capace di abbracciare uno stile proprio, fortemente contemporaneo ma in cui si trovano anche rimandi all’estetica cyber anni ’80, a scrittori come William Burroughs, a fumettisti come Mark Beyer, ai videogiochi in bassa fedeltà. Senza dimenticare una dimensione scatologica che diventa persino trash in episodi come Il club del vomito o Sindrome della vergogna (con l’incipit-confessione “Ho un’enorme cisti nel culo”) ma che non è mai fine a se stessa, anzi, è espressione più diretta dello stesso disagio rappresentato nei momenti visionari.

Alessandro Galatola ha frequentato l’Isia di Urbino e pubblicato su riviste indipendenti (Snuff Comix, Fumè, Gestopo Propaganda) e siti web (Verticalismi, 4Panel, Curzio). Ogni tanto si diverte a fare graffiti in giro. Il suo Safe Space #2, da cui è tratta la storia che segue, è al momento in cerca di un editore e sarebbe giusto che lo trovasse, perché un fumettista così in Italia ancora non ce l’avevamo.

Per contatti e approfondimenti vi rimando al Tumblr di Alessandro. Buona lettura.
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Torna il Just Indie Comics Buyers Club

Seconda edizione per il Just Indie Comics Buyers Club, l’abbonamento che ho lanciato lo scorso anno per sostenere il negozio on line in cui distribuisco materiale americano difficilmente reperibile in Europa, oltre che vari prodotti italiani ed europei di case editrici e micro-realtà editoriali a me affini. La formula è la stessa del 2016 e quindi più o meno ribadisco quanto scritto circa 365 giorni fa. Chi aderirà entro il prossimo 10 gennaio riceverà uno o due fumetti ogni tre mesi, a seconda della tipologia di abbonamento scelto, e avrà inoltre diritto a uno sconto del 10% su tutto il materiale ordinato dal sito nel corso del 2017 tramite un apposito codice promozionale. La prima spedizione sarà tra gennaio e febbraio, le successive ad aprile, luglio e ottobre. I fumetti saranno per lo più americani, a volte europei, ma sempre e comunque in lingua inglese. Come accennato, esistono due soluzioni per aderire al Just Indie Comics Buyers Club. La prima, quella più economica, viene 40 euro e dà diritto a ricevere un albo a trimestre, spese di spedizione tramite piego di libro ordinario incluse. La seconda, che invece è la versione estesa dell’abbonamento, consentirà di avere in ogni invio due fumetti, per un totale di otto albi annui, e costa 70 euro, con la spedizione sempre inclusa.

Il primo fumetto sarà uguale per tutti gli abbonati. L’anno scorso avevo scelto Frontier #10 di Michael DeForge, mentre quest’anno ho selezionato Blammo #9 di Noah Van Sciver, recente uscita dell’antologia personale dell’autore di Saint Cole e Fante Bukowski, visti in Italia per Coconino. Si tratta di un albo di 48 pagine che ben rappresenta lo spirito del Buyers Club, cioè quello di far leggere fumetti fuori dalle ormai preponderanti dimensioni del graphic novel, curiosi, originali, estemporanei, sperimentali e di difficile reperibilità. Blammo è in particolare un’antologia realizzata da un solo autore, una formula molto usata fino a qualche anno fa ma che ora è sempre meno diffusa. Il nuovo numero è uno dei migliori se non il migliore in assoluto del lotto, con storie autobiografiche, racconti di una tavola, adattamenti di favole e la classica pagina delle lettere. E con due storie più lunghe, White River Junction, Vermont e Little Bomber’s Summer Period che sono tra le cose più riuscite della produzione di Van Sciver.

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Gli altri invii saranno invece a sorpresa. Potrete trovare degli spillati di piccolo o grande formato, volumi, volumetti, antologie, tabloid e così via, pubblicati da piccole case editrici indipendenti o autoprodotti. Non tutti riceveranno gli stessi albi perché le quantità sono limitate ma se qualche abbonato avrà delle richieste specifiche sono aperto a suggerimenti e idee. Per farvi capire qual è il materiale che vi aspetta, ecco una lista dei fumetti inviati lo scorso anno agli abbonati, con tanto di link quando se ne è parlato su Just Indie Comics o quando sono ancora disponibili nello shop: Frontier #10 di Michael DeForge, The Social Discipline Reader di Ian Sundahl, Rough Age di Max de Radigués, Hellbound Lifestyle di Alabaster Pizzo e Kaeleigh Forsyth, Pope Hats #4 di Ethan Rilly, Immovable Objects di James Hindle, Felony Comics #1, Drawn Onward di Matt Madden, Windowpane #3 di Joe Kessler, Ganges #5 di Kevin Huizenga, Gloom Planet di Anya Davidson, 3 New Stories di Dash Shaw, Blammo #8.5 di Noah Van Sciver, Ritual #2 di Malachi Ward, Lydian di Sam Alden, Fedor di Pat Kelley, Mould Map #5, World in the Forcefield di Alexander Tucker, King Cat #76 di John Porcellino, Pure Shores di Jaakko Pallasvuo, Middle School Missy di Daryl Seitchik, It Never Happened Again di Sam Alden, Space Basket di Jonathan Petersen.

Qui sotto trovate i link per abbonarvi. Ripeto, se vi interessa affrettatevi perché sarà possibile aderire SOLTANTO FINO AL 10/01/2017. L’offerta con queste modalità è valida per i soli residenti in Italia, se invece siete residenti all’estero e siete interessati potete contattarmi a justindiecomics [at] gmail [dot] com e vedrò cosa si può fare.

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A Martina Franca debutta Manuscripta

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Dal 2 al 4 dicembre arriva in Puglia Manuscripta, un nuovo festival organizzato dai Presìdi del Libro in collaborazione con l’Associazione Terra Terra/Manufacta, la Fondazione Paolo Grassi e il Laboratorio Urbano Arte Franca. 

Il festival avrà tre sedi, tutte nel centro di Martina Franca (l’Ospedaletto in via Orfanelli 7, la Fondazione Paolo Grassi in via Metastasio 20 e la sede di Arte Franca all’interno della Villa del Carmine), e proporrà uno sguardo a 360 gradi sul mondo del fumetto, con ospiti ben noti al grande pubblico come lo sceneggiatore di Tex e Dylan Dog Pasquale Ruju, uno sguardo alle produzioni locali con LABO Fumetto, un’occhiata al fumetto d’inchiesta con l’editore Federico Zaghis di Becco Giallo. E con una particolare attenzione al mondo delle produzioni indipendenti, che qui ci interessano in modo particolare.

Nella sede dell’Ospedaletto ci sarà innanzitutto la mostra Fumetti dal presente, con stampe autografate di artisti ben noti ai lettori di Just Indie Comics come Akab, Lorena Canottiere, Roberto La Forgia, Maicol & Mirco, Martoz, Alice Milani, Marino Neri, Dottor Pira, Cristina Portolano, Ratigher, Davide Reviati, Silvia Rocchi, Serena Schinaia, Alice Socal, Adam Tempesta, Fabio Tonetto e altri ancora. Il titolo della mostra prende il nome dal documentario Fumetti dal futuro di Serena Dovì, che è direttrice artistica del festival insieme a Piero Angelini. Lo stesso documentario, che racconta le storie di autoproduzione di Alessandro Baronciani, Dottor Pira, Maicol & Mirco e Ratigher, sarà proiettato venerdì 2 alle 11 e alle 22 presso la Fondazione Paolo Grassi.

Dottor Pira e Ratigher saranno anche ospiti di Manuscripta. Il primo curerà il workshop Fumetti disegnati male (venerdì 2 alle 17,30), presenterà L’almanacco dei fumetti della gleba (sabato 3 alle 18,30) e curerà il dj set di sabato sera, mentre Ratigher parlerà insieme a me del progetto Flag Press, sabato alle 17,30 all’Ospedaletto. E visto che siamo in tema di autopromozione, durante il festival ci sarà anche il banchetto di Just Indie Comics con una selezione dei fumetti che normalmente potete trovare nel webshop.

Altra guest star di Manuscripta sarà Cristina Portolano, con la presentazione di Quasi signorina venerdì alle 19 all’Ospedaletto e il workshop Fumetti autobiografici sabato alle 15 ad Arte Franca. Ma gli eventi e gli ospiti non finiscono qui e per tutto il resto vi rimando al sito web del festival, mentre per iscrizioni e informazioni sui workshop potete scrivere a manuscriptafest@gmail.com. E se passate da quelle parti venite a dire “ciao”, mi raccomando.

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Flag Press #2 – “Prima” di Manuele Fior

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Un luogo dove siamo stati tutti ma di cui nessuno mantiene il ricordo, un tempo in cui avevamo le ali e nulla più. Prima di Manuele Fior, la seconda bandiera edita da Flag Press, è una storia che sembra arrivare da un altro mondo e da un’altra epoca, classica nello stile quanto sperimentale nel modo di avvolgere il lettore nelle sue spire. L’autore di 5000 chilometri al secondo e L’intervista ha realizzato per la casa editrice lanciata qualche mese fa da Ratigher e dal sottoscritto un fumetto toccante e al tempo stesso innovativo, che unisce contenuto e rivoluzione formale, sfruttando appieno le potenzialità del grande formato. Non vi dico di più, perché ogni dettaglio ulteriore potrebbe rovinare l’esperienza di lettura, che va fatta senza punti di riferimento, lasciandosi catturare dai dialoghi, dal segno, dai colori.

Si tratta del secondo poster edito da Flag Press, l’etichetta che pubblica fumetti formato 70×100 con una storia di due tavole. Il fronte è a colori in italiano, il retro in bianco e nero con traduzione in inglese. Per saperne di più sul progetto potete leggere qui.

Flag Press #2 – Prima di Manuele Fior debutterà al BilBOlbul Festival di Bologna dal 24 al 27 settembre. Lo troverete al Bookshop della Biblioteca Salaborsa insieme alla nostra prima uscita, Teoria, pratica e ancora teoria di Ratigher. Sempre in Salaborsa, Manuele Fior autograferà le copie durante le sue sessioni di dediche, sabato 26 novembre alle 16 e domenica 27 alle 11. Qualche giorno dopo il festival, potrete acquistare Prima sul sito della Flag Press.

Di seguito qualche immagine in antePrima. Buona visione.

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December’s not so far away – 17/11/2016

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Dato il periodo particolarmente ricco di eventi e progetti editoriali, resuscito questa rubrica di segnalazioni e link vari. Apriamo con BilBOlbul 2016, anche se non credo ci sia bisogno di leggere Just Indie Comics per sapere quel che succede a Bologna dal 24 al 27 novembre prossimi. L’ospite di eccezione è ovviamente Chris Ware, con una mostra dei suoi lavori alla Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna (inaugurazione venerdì 25 alle 18,30), una serie di incontri con il pubblico e la pubblicazione del volume-catalogo Il palazzo della memoria – Scritti, disegni, interviste. Il manifesto di questa decima edizione è di Marco Corona (potete vederne un dettaglio nell’immagine di apertura), cui è dedicata una personale alla Pinacoteca Nazionale. Tra le altre cose segnalo la mostra XUWWUU di Gabriel Delmas con l’ultima opera dipinta a olio dell’autore di Largemouths, la presentazione del nuovo libro di Richard McGuire Sequential Drawings edito da Rizzoli Lizard, l’angolo BBB Zine dedicato alle autoproduzioni internazionali che quest’anno ospita Ediciones Valientes, Jorge Parras, La Camaraderie, Arbitraire, Central Vapeur e Los Bravú. E poi mostre mostre mostre, incontri incontri incontri, eventi eventi eventi. Andate sul sito della manifestazione per scoprire tutto.

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Continuiamo a vedere quel che succede nella nostra cara vecchia Penisola e facciamo tappa a Roma, per due eventi che non sono riuscito a presentare a tempo debito (le inaugurazioni ci sono state entrambe venerdì 11 novembre) ma ancora in corso. La prima, presso Palazzo Velli in piazza di Sant’Egidio 10 a Trastevere, è la personale del Prof. Bad Trip A Saurceful of Colours, aperta fino al prossimo 3 dicembre. Si tratta della stessa mostra di Carrara, a cura di Tabularasa Teké Gallery, di cui avevo parlato qualche mese fa recuperando per l’occasione una vecchia intervista al Prof. Lo spazio espositivo è ampio ed accogliente, il materiale è ricco e di prim’ordine, tra i dipinti di Bad Trip che si possono ammirare con occhiali 3D consegnati all’ingresso, una serie di originali in bianco e nero, opere giovanili, sculture e tanto altro ancora. Ricco l’apparato critico, con foto, illustrazioni, articoli di giornale e materiale d’epoca che ben definiscono il contesto in cui Gianluca Lerici è diventato l’amato (e compianto) artista che tutti conosciamo. Se vi servono altri motivi per godervi tutto ciò, all’interno di Palazzo Velli ci sono anche concerti, dj set e proiezioni: il giorno dell’inaugurazione c’è stato per esempio un mini-live di Mauro Teho Teardo. Andate e moltiplicatevi. E se intanto volete farvi un’idea, eccovi un po’ di foto gentilmente offerte da Teké Gallery.

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In contemporanea e a poche centinaia di metri inaugurava Bosch Remix – L’astrazione della follia, un group show curato da Manfredi Ciminale e ospitato dalla galleria Parione9 (ne ho già parlato in questo post su Amore di lontano di Martoz) in cui giovani illustratori italiani rileggono l’opera di Hieronymus Bosch attraverso ventuno stampe giclée. Il livello medio dei lavori è davvero elevato e alcuni sono particolarmente degni di nota per spirito visionario e composizione. In più l’idea di realizzare le opere con il metodo del “telefono senza fili” dà coesione e unità al tutto. Gli illustratori coinvolti sono ADR, Francesca Balducci, Margherita Barrera, Pablo Cammello, Niccolò Castro Cedeno, Manfredi Ciminale, Crù, Lorenzo De Luca, Michela Di Lanzo, Fabrizio Des Dorides, Fabio Frangione, Frita, Valerio Immordino, infidel, La Came, Martoz, Lucio Passalacqua, Antonio Pronostico, Jacopo Starace, Sushi, Tommy Gun Moretti. Bosch Remix rimarrà in galleria fino al prossimo 30 novembre. Accorrete numerosi e, come antipasto, gustatevi queste foto scattate il giorno dell’inaugurazione da Diana Bandini.

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Passiamo adesso a un progetto editoriale che ha diversi punti in comune con Bosch Remix, nel senso che anche qui c’è un riferimento “alto” (lì Bosch, qui Ovidio) rivisitato da artisti italiani. Sto parlando di Metamorphoses, un albo in formato A4 a colori con sovra-copertina in serigrafia che verrà pubblicato alla fine di una campagna di crowdfunding su Ulule lanciata in questi giorni dall’associazione culturale Squame e attiva fino al 5 dicembre. L’idea alla base dell’iniziativa è quella di chiamare 16 artisti a rivisitare in maniera personale e libera uno dei miti tratti dalle Metamorfosi di Ovidio, realizzando per l’occasione un fumetto e un’illustrazione. A questo punto vorrete sapere chi sono gli illustratori e fumettisti che troverete dentro Metamorphoses e io per non fare torto a nessuno ve li dico tutti: Francesco Guarnaccia, Davide Saraceno, Pistrice, Tommy Gun Moretti, Marino Neri, Andrea Chronopoulos, Anna Deflorian, Cristina Portolano, Giulio Castagnaro, Martoz, Alessandro Ripane, La Lois, AkaB, La Came, Lucio Villani, Rita Petruccioli. Oltre all’albo si potranno acquistare anche dei poster 30×40 di ciascuna illustrazione/fumetto e qualche originale. Per qualche info in più vi rimando a questa intervista a Francesca Protopapa pubblicata qualche giorno fa su Dancing Asteroid. Sul sito della campagna trovate ovviamente ulteriori dettagli e tante immagini ma se siete pigri vi mostro qualcosa qui sotto.

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Proseguiamo con una serie di link che potreste trovare interessanti o, in caso contrario, che potete aprire se proprio non avete niente di meglio da fare. Parecchi, quando mi incontrano in giro (intendo agli eventi legati al fumetto, non al supermercato) mi chiedono informazioni sui festival d’oltreoceano, tentati dall’idea di provare la traversata a bordo di qualche nave per vendere i propri lavori agli indiani d’America (sì, è molto tardi quando scrivo queste righe qui). Ok, visto che mi sembra che la cosa interessi qualcuno, vi segnalo che di recente c’è stato il Comic Arts Brooklyn, un festival organizzato come sempre dal negozio di fumetti di Williamsburg Desert Island. L’edizione di quest’anno è stata in dubbio fino all’ultimo momento e, se questo ha comportato una minore affluenza di pubblico, non credo abbia inficiato la qualità del materiale che si poteva trovare sui vari tavoli, tanto che Nick Gazin su Vice ne parla come “l’unico festival che conta” (vabbè, mò non esageriamo Nick). Per un reportage più obiettivo vi rimando a quello del Publishers Weekly, che ha pubblicato sulle sue pagine anche una serie di foto dell’evento.

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Rimanendo in tema, dal 13 al 16 ottobre ha debuttato, dopo l’edizione di prova dell’anno scorso, il Cartoon Crossroads Columbus, curato tra gli altri dall’autore di Bone Jeff Smith. Il festival ha un approccio prevalentemente culturale al fumetto, visto da un punto di vista storico e anche sociale, come testimoniano i temi delle tantissime conferenze di taglio accademico che ha ospitato. Ne trovate resoconti sul sito del Comics Journal e su Comics Workbook. Infine, visto che ci siamo, recupero questo reportage di Rob Clough dalla Small Press Expo dello scorso settembre.

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Concludo con un po’ di cose a caso e cioè: l’intervista a uno dei miei cartoonist preferiti di adesso e forse di sempre, cioè Sammy Harkham, pubblicata in questi giorni in inglese dal sito francese du9, anche se in realtà risale al 2015; un nuovo fumetto in quattro parti di Sam Alden che ha debuttato qualche giorno fa su Hazlitt (in alto la prima tavola); un po’ di immagini del Doctor Strange ai tempi di Gene Colan e Tom Palmer gentilmente offerte da Diversions of the Groovy Kind. E ora basta.

Le due facce di “Amore di lontano”

Il nuovo libro del fumettista e illustratore romano Martoz, Amore di lontano, è stato pubblicato da Canicola in occasione del Treviso Comic Book Festival ed è arrivato a Roma con una bella mostra alla galleria Parione9 dal 7 ottobre al 6 novembre, a cura di Marta Bandini ed Elettra Bottazzi. Ho visitato la mostra qualche settimana fa e alcuni giorni dopo ho potuto osservare lo stesso Martoz all’opera in uno showcase inserito nella programmazione di Lucca Comics, in cui sono stati approfonditi i contenuti del libro. Quel che segue è dunque un po’ resoconto della mostra, in parte rielaborazione degli spunti suggeriti dallo stesso autore e in qualche modo anche breve recensione di un volume che prosegue, rendendolo più complesso, il percorso artistico iniziato con l’ottimo Remi Tot in Stunt pubblicato l’anno scorso da MalEdizioni.

Iniziamo proprio da Remi Tot, che rielaborava il genere classico del fumetto d’avventura italiano alla Diabolik facendolo esplodere in una serie di pagine ipercinetiche e ricche di riferimenti all’arte moderna. Anche in Amore di lontano la base di partenza è sempre la stessa, cosa che conferma Martoz come autore capace di inserirsi nella nostra tradizione fumettistica. Per quanto le sue tavole siano sperimentali e il modo di raccontare tutt’altro che lineare e convenzionale, la narrazione parte da riferimenti popolari, sviluppati soltanto successivamente in modo sghembo e originale. Anche la presenza di una forte componente erotica, anzi spesso pornografica, si rifà ai maestri del fumetto d’autore. Ciò delinea una striscia di influenze abbastanza chiara, che va dallo stesso Diabolik ai Bonelli, da Pratt a Manara, da Crepax a Toppi e Battaglia: forse chissà, vent’anni fa Amore di lontano sarebbe stato pubblicato a puntate sulle pagine di Corto Maltese. Le tavole in basso sono espressione di quanto detto finora: da una parte c’è la partenza, e dunque l’avventura, dall’altra uno dei tanti rapporti che uno dei due protagonisti, Jaf, consuma con le donne che incontra nel corso della storia.

Messe una vicino all’altra, queste tavole raccontano anche la trama di Amore di lontano. Il dualismo è infatti centrale: due sono infatti i protagonisti, due i piani temporali, due le storie (o almeno così sembra…), due le fonti di ispirazione alla base di tutto, ossia la Canzone dell’amore di lontano di Jaufré Rudel e I fiori blu di Raymond Queneau, citate dall’autore nelle primissime due (ancora) pagine, in cui si legge: “Da una torre così alta occhi più lunghi dei miei/arriverebbero lontano/scorgendo il declino e il susseguirsi dei regni/potrebbero indovinare l’esito stesso di questa crociata/e invece io/vedo solo un fiore blu che spunta nel fango”.

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La vicenda – colta, complessa e degna di un poema cavalleresco – segue da una parte le avventure di Antares, un veterano del Medioevo che guida l’esercito leonese verso la Seconda Crociata, e dall’altra quelle di Jaf, un uomo che vive in un presente indefinito e che sfoga le sue pulsioni facendo l’amore “come un randagio”. Jaf è un disadattato nel senso più vero del termine, perché ogni volta che si addormenta, di solito sempre vicino all’ennesima donna, si risveglia in un altro posto, che poi è lo stesso luogo in cui si trovava Antares nelle pagine precedenti. E se lo scopo di Antares non è in realtà la crociata ma trovare Mila, una contessa amata anche se mai conosciuta e vista di persona, quello di Jaf è trovare la salvezza e forse, chissà, qualcosa che una donna sola gli può dare, “un giorno senza morte” o addirittura “un solo posto, un solo amore”.

Vi risparmio gli sviluppi per non anticiparvi troppo e anche perché questa non vuole essere un’approfondita analisi del fumetto, che meriterebbe ben altra attenzione. Veniamo piuttosto alla mostra, che nello spazio piccolo ma curatissimo di Parione9 ha esaltato i contenuti di Amore di lontano, a partire dalle riproduzioni di Antares e Jaf realizzate per l’occasione dallo scultore Mauro Pietro Gandini.

Le tavole esaltano il bianco e nero a matita di Martoz e segnano un deciso passo avanti rispetto allo stile di Remi Tot, che, soprattutto a vedere gli originali, era più improvvisato e selvaggio. Qui le linee sono decisamente più rifinite, anche se sempre e comunque nell’ambito di una ricerca che non aspira mai al Bello ma che scompone le figure umane e i paesaggi in una serie di segni geometrici, spesso ai confini dell’astrattismo, come accade nella scena della battaglia a pag.187, ribattezzata Zio Ziegler.

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Altre volte le tavole sono l’occasione per farsi un’idea del processo creativo e delle scelte dell’autore, che parte da uno storyboard ma senza mai rinunciare a dare libero sfogo all’immaginazione e alla creatività quando si trova davanti al tavolo da disegno. I libri di Martoz hanno una struttura sempre libera che permette di improvvisare e di inserire tanti dettagli negli interstizi tra un elemento narrativo e l’altro, cosa che poi dà luogo a delle inevitabili modifiche, necessarie al momento dell’editing finale per dare coerenza al tutto: per esempio a pag. 44 la macchina disegnata in arancione nella parte alta della pagina è stata sostituita con tre vignette del tutto diverse (un trombettista, luci, scena di ballo).

Nella tavola di pag. 249 la parte superiore è disegnata completamente, mentre le due vignette in basso sono state solamente abbozzate per poi essere riprese in un secondo momento (quella a sinistra con la scena di una fellatio, quella a destra con un dettaglio di Jaf esanime che viene sorretto da una donna).

Nella rappresentazione di Mila a pag. 260 i ghirigori di Martoz si esaltano su carta in un modo che nella versione stampata non si riesce pienamente ad apprezzare, dato che la colorazione digitale volutamente piatta, seppur fondamentale dal punto di vista narrativo, non rende del tutto giustizia al disegno a matita. Vedendo la mostra, viene voglia di sperare che un giorno o l’altro Amore di lontano abbia l’onore di una “artist edition” tutta in bianco e nero.

La mostra si è ormai conclusa ma Parione9 prosegue la sua programmazione dedicata al mondo dell’illustrazione. Il prossimo appuntamento è per venerdì 11 novembre con l’inaugurazione di Bosch Remix – L’astrazione della follia, group show curato da Manfredi Ciminale che vede 21 illustratori italiani rileggere l’opera di Hieronymus Bosch secondo le regole del “telefono senza fili”.

Misunderstanding Comics #6

Di acqua ne è passata sotto i ponti dall’ultimo appuntamento con questa rubrica, anche perché ultimamente la costanza non è il mio forte. Ho purtroppo trascurato tanti fumetti di cui mi sarebbe piaciuto scrivere per bene, come Puke Force e Atrophy Life di Brian Chippendale, Dream Tube di Rebekka Dunlap, Kramers Ergot #9 e altri ancora: cercherò di recuperare i più meritevoli nel consueto Best Of di fine anno. Ora veniamo all’attualità, con tre uscite relativamente nuove e una che sta per arrivare in Italia. Il tutto, ovviamente, senza dovizia di particolari.

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Iniziamo da Exits, prima opera sulla lunga distanza di Daryl Seitchik, per me uno dei libri più attesi di questo 2016 data la mia quasi ossessione per la serie Missy, vista on line e su alcuni albetti usciti per Oily Comics e autoprodotti: ne avevo parlato brevemente in questo reportage sui fumetti della Small Press Expo 2014, per poi inserire Middle School Missy e Missy #3 rispettivamente nei miei Best Of del 2014 e del 2015 (ok, è vero, ho la fissa delle liste e sono anche un fan di Alta fedeltà). Exits esce per Koyama Press ed è un volume di oltre 200 pagine, distanza inusuale per una cartoonist giovane e che aveva finora lavorato su fumetti brevi se non addirittura estemporanei. Eppure le attese non vengono assolutamente tradite, perché Exits, pur riproponendo le tematiche e le simbologie care all’autrice, ribalta quanto fatto finora a livello estetico. Se in Missy l’alter ego della Seitchik dominava totalmente la scena, qui il personaggio principale è sempre una ragazzina, che però diventa invisibile dopo poche pagine, dando vita a soluzioni grafiche del tutto diverse rispetto al passato.exits-csgnor9xgaec3gi

Alla base c’è sempre quel malessere esistenziale che stride con la rappresentazione dei personaggi, soluzione costante nei fumetti della Seitchik e capace di creare un indissolubile quanto irresistibile mix di inquietudine e ironia. E c’è anche una complessità che prima mancava, perché se Missy era un fumetto apparentemente semplice (cosa ribadita anche da Leslie Stein in quarta di copertina), qui l’essenzialità è lasciata da parte per dar vita a un lavoro maturo e ricco di sfaccettature. Poi è vero, non tutto funziona al 100% e qua e là c’è qualche momento un po’ più debole degli altri, ma Exits rimane comunque un lavoro di ottima fattura.

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E’ un bell’anno questo per chi ama Charles Burns, perché oltre ad aver visto in Italia la pubblicazione di Sugar Skull, contenente la straordinaria conclusione della trilogia ormai conosciuta come Last Look (dal titolo della raccolta pubblicata di recente negli Stati Uniti), è anche ricco di progetti collaterali. Dopo lo sketchbook Incubation edito dalla Pigeon Press del compianto Alvin Buenaventura (ne avevo parlato qui), sono infatti in arrivo Vortex e Love Nest, due nuovi artbook pubblicati in Francia da Cornelius e al centro di una mostra inaugurata da qualche giorno alla Galerie Martel di Parigi. Nel frattempo sempre oltralpe Le Dernier Cri dà alle stampe Free Shit, raccolta dei numeri dell’omonima fanzine che Burns si è autoprodotto nel corso degli anni per regalarla ai festival o in privato. Quando sono andato alla Small Press Expo nel 2014, Burns presentava Sugar Skull e volevo quasi chiedergli se avesse con sé delle copie di Free Shit, dato che avevo visto in rete i post di qualche fortunato che se l’era procurata in occasioni simili. Ma sia l’eccessiva fila necessaria per ottenere una dedica che la stranezza della domanda che mi accingevo a fare (Scusa Charles, hai un po’ di merda gratis?) mi distolsero dal proposito. Comunque, facezie a parte, questo volumetto di piccolo formato rilegato con la solita cura mette insieme svariati schizzi, disegni e anche collage ispirati ai temi più disparati. Tra un profilo tipicamente burnsiano in prima di copertina e un’insolita composizione floreale in quarta, troviamo materiale che va dalla fine degli anni ’90 a oggi.

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Ci si vedono tracce di Black Hole (una rana vivisezionata, una donna con la coda, ecc.), il solito repertorio da b-movie, inevitabili tracce di romance comics, uno “special literary issue” composto soltanto da testi scritti a mano, pin-up di personaggi secondari della Marvel, un ritratto di William Burroughs e tanto altro. Pian piano che si va avanti gli schizzi e i disegni di prova dell’ultima trilogia diventano sempre più preponderanti, anche se non mancano comunque altre perle che mostrano tutta l’estensione di un immaginario affascinante e coerente. Free Shit è ancora più interessante del solito perché raccogliendo materiale realizzato nel corso di oltre 15 anni offre anche una storia involontaria della creatività di uno dei maggiori autori contemporanei di comics.

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La celebre fanzine di Aaron Cometbus, in cui il musicista e scrittore di estrazione punk tratta da ben 35 anni dei più svariati argomenti, dedica il suo 57esimo numero alla scena fumettistica newyorkese, con una serie di interviste a cartoonist e altre figure che popolano quel mondo: si va da Adrian Tomine al curatore della serie The Best American Comics Bill Kartalopoulos, da Gary Panter al proprietario di Desert Island (e organizzatore del Comic Arts Brooklyn) Gabe Fowler. E poi ci sono Gabrielle Bell, Robin Enrico, Jeffrey Lewis (autore anche della copertina), Julia Wertz, Ben Katchor, Paul Levitz, Drew Friedman, Karen Green, Kim Deitch e Al Jaffee, mentre Nate Powell firma i ritratti di tutti gli intervistati. Ne viene fuori una lettura frizzante che offre un quadro non solo del fumetto ma anche della scena artistica di New York nei suoi risvolti più umani e pratici, come il costo degli affitti, i punti di ritrovo, i rituali di “accoppiamento” dei cartoonist, le gelosie tra artisti e via dicendo. Cometbus non ha peli sulla lingua e con il suo handwriting mette giù una serie di domande anche intime e a volte scomode, senz’altro divertenti per il lettore che si trova sotto gli occhi non la solita intervista in cui si parla soltanto della formazione, delle fonti di ispirazione, della tecnica utilizzata e via dicendo. Inoltre credo proprio che i continui riferimenti alla storia della città, alla scena musicale e al mondo letterario possano rendere questo Cometbus #57 una lettura interessante non solo per i fumettofili ma anche per gli appassionati di cultura americana. Se poi amate i comics, è una roba assolutamente da non perdere.

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Infine faccio una concessione a un volume pubblicato già da qualche mese da Drawn and Quarterly ma che è una novità dell’ultim’ora qui in Italia, dato che sta arrivando in libreria per Coconino Press. Si tratta di Beverly, raccolta di sei storie brevi di Nick Drnaso vagamente collegate tra loro, che l’editore definisce “un affresco sommesso e disperato di vita nei sobborghi di una metropoli americana”. Rob Clough, in questa approfondita recensione che vi consiglio di leggere, paragona invece questi fumetti al cinema di Todd Solondz, riferimento che rende l’idea anche se Drnaso è spesso più misurato del regista di Happiness nella messa in scena, caratterizzata da uno stile volutamente flat e monocorde in tutti i suoi aspetti, dalla linea alla rigida suddivisione in vignette fino ai colori. Certo, se le iniziali The Grassy Knoll (già uscita come mini per la Oily Comics) e The Saddest Story Ever Told lavorano di fino mostrando senza clamori meschinità nascoste, razzismo, ipocrisia e vuoto esistenziale, la successiva The Lil’ King pigia sull’acceleratore raccontando dell’insana passione di un ragazzo per sua sorella e dei suoi sogni di sterminio quasi globale. Ma anche in questo caso il sensazionalismo è nascosto da un senso della misura così discreto da risultare disturbante, anche perché al centro di tutto c’è una tematica che solo così si può raccontare, ossia la difficoltà di avere relazioni sociali “normali”. Il volume aumenta di livello pagina dopo pagina e le tre storie che ne compongono la seconda parte – Pudding, Virgin Mary, King Me – ci mostrano un autore pienamente consapevole dei suoi mezzi, in grado di confezionare un debutto appassionante e del tutto maturo a soli 27 anni. Non fatevelo scappare.

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“Suicida” #1 by Abraham Diaz

(Italian text)

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Voyeurism, sadism, masochism, self-mutilation, death, murder, suicide, gratuitous violence, sex, masturbation, TV addiction, urban decay. In his solo debut Suicida #1, Abraham Diaz works with these elements, mixes and molds them at will, creating a solid and always funny cartooning. In late 2015, the Mexican artist published with his imprint Ediciones Joc Doc 200 copies of this 28×20 cm comic book, texts in English and Spanish, a screen-printed cover, white and black paper with the addition of green, sometimes used as ink but also for the pages of the inserts. A good-looking but also dirty object, Suicida #1 digs up the underground punk aesthetics and the tradition of the single-artist floppy anthology in one shot. The opening story is The Witness, starring a lonely middle-aged man telling a policeman about a murder he watched spying in his neighbor’s bathroom. Diaz’s line is grotesque, cripples characters’ bodies, stretches their noses, twists their teeth, in a style that looks at many artists we loved over the last twenty years (Kaz, Ivan Brunetti, Johnny Ryan) but also at Mad magazine, gag cartoons, newspaper strips. And it’s not a case if inside the book we find two half sheets with four Misery Funnies, classic gags with text below the cartoons. One of this shows a man naked on the toilet, a steaming mug in one hand, the handset of the phone in the other and below “You don’t seem to understand… I’m my mother’s only child!”. And the telephone handset is a substantial detail, because the whole book is stuck in the 80’s or even before for aesthetics and settings and there is deliberately no trace of cell phones, computers and Internet.

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One of the inserts, Tito, moves on the same nostalgic and irreverent references of the Misery Funnies, showing the Diaz take on Sluggo, Nancy’s friend in the Ernie Bushmiller strip (Tito is the name of the character in the Spanish-speaking countries). Pax Noctis, already seen in Kovra #6 published by Ediciones Valientes, is another highlight, a tale of war and desire about a soldier in the trenches recalling, or more probably imagining, a chase in the forest. The situation culminates with a woman tied to a tree and whipped, then Diaz shows again the man, this time masturbating, while the ending combines sex and death like in The WitnessSuicida #1 seems the consequence of a week spent at home in the dark zapping in front of the TV, nerves on edge, eyes pulsing, the body in the grip of a hysterical frenzy that unleashes the most vile urges. But the cartooning of Diaz is more than this, because often he shows and ridicule human foolishness: if Pax Noctis mocked war and sexism, Milagro En El Congo shows a poor chimpanzee suffering the colonial barbarity on a jungle-green background. In another insert we find three one-pagers about the usual topics, reiterated also in the following ¡Esta Fue Tu Vida!, which introduces the novelty of explicit sex without forgetting ruthless irony and storytelling. Home is the last comic of the book, an heap of crazy lines reproducing the urban chaos. A prisoner is released and has to suffer the arousals of the city, as exhibited nudity, women with tight leggings leading men like dogs on a leash, people copulating in every corner. The gory ending is inevitable as magnificent and you can discover it in the few remaining copies of Suicida #1, sold out at the publisher but still available at this moment on Fatbottom Books and Dripper World. Or you can read Kramers Ergot #9, where Pax Noctis, Home and two of the Misery Funnies have been reprinted. In the meantime, Diaz is working at the second issue and so we’ll read soon a new chapter of his old school comics.

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“Christmas in Prison” di Conor Stechschulte

Se non avete niente di meglio da fare e siete fedeli lettori di Just Indie Comics, sapete già che Conor Stechschulte è uno dei miei cartoonist preferiti di oggi. Il suo The Amateurs è una pietra miliare del fumetto contemporaneo (l’ho inserito nel mio Best of 2014) e la serializzazione di Generous Bosom per Breakdown Press ha già fornito motivi di meraviglia e interesse (per sapere quali potete leggere la mia recensione).

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Nonostante la pubblicazione per case editrici affermate nel panorama del fumetto alternativo, Stechschulte continua a essere un sostenitore dell’autoproduzione, in quanto concepisce il fumetto come un medium fortemente legato ai processi di stampa. Christmas in Prison è finora la sua fatica più impegnativa in questo campo, un volumetto 18×14 cm di 96 pagine realizzato in una molteplicità di tecniche diverse (risograph, serigrafia, offset) e rilegato a mano. L’oggetto già di per sé varrebbe la spesa ma il contenuto è ancora più interessante per molteplici motivi, a partire dal fatto che conferma Stechschulte come un autore con una propria poetica, capace di creare un universo di temi e contenuti.

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All’interno troviamo “pezzi” più che “storie”, dato che a volte il messaggio non è propriamente narrativo e l’interconnessione tra ciascuno di essi, basata sul meccanismo della ripetizione, fa pensare a un LP più che a un’antologia di fumetti o racconti. Prendiamo come esempio le pagine iniziali. Una mano sfoglia un libro, che mostra due volti umani che nella vignetta successiva si fondono tra loro. Ecco dunque una casa con una finestra illuminata, la stessa casa in mezzo al mare con una sagoma all’interno (solo una delle tante silhouette in questo libro), il mare alla luce della luna, nuvole, la figura di un uomo sovrapposta ai rami di un albero, ancora alberi, corpi, uomini, case, una lampada da scrivania, di nuovo il libro, le mani, una figura che barcolla in mezzo al verde, le mani che da eteree e indefinite arrivano a mostrare linee e pieghe. Sarebbe sbagliato ridurre tutto ciò a libere associazioni di idee, sotto c’è un contenuto che va al di là della logica, che parla al nostro emisfero destro, che è sogno, poesia, musica, improvvisazione ma anche rappresentazione di un processo, performance più che fumetto.

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Il tema del libro e della metanarrazione torna più volte, come tornano il voyeurismo, il controllo, il continuo senso di inquietudine, la solitudine, il dualismo uomo/natura, l’acqua come luogo di mistero, novità, rinascita. Christmas in Prison (o The Many Ways of Doing and the Wrong Way That It’s Done, come viene ribattezzato sul dorso) è così un’opera autonoma, con una fortissima coerenza interna, ma anche una sorta di campionario di sperimentazioni con cui Stechschulte ha arricchito o arricchirà le opere propriamente narrative. E la stessa dinamica era già presente in autoproduzioni come Wather Phase, Lurking/Nocturners, Mountain Comic. Certo, mai il cartoonist statunitense aveva mostrato in passato una tale forza nello sperimentare e nel proporre qualcosa di così organicamente rivoluzionario. E a confermarlo ecco la parte finale del volume, una lunga storia su voyeurismo, percezione e consapevolezza raccontata da una donna immersa nell’acqua e che affonda le radici sin nella letteratura ottocentesca. E’ questo l’episodio più tradizionalmente narrativo del lotto, ma la linearità apparente nasconde mille interrogativi, espressi prontamente nelle pagine conclusive, in cui i balloon rubano la scena al figurativismo con domande esistenziali di un’intensità sempre crescente.

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Se siete interessati a Christmas in Prison, ne trovate ancora qualche copia nel negozio di Just Indie Comics. Oppure potete ordinarlo direttamente dal sito dell’autore.

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