Misunderstanding Comics #7

Riprendo questa rubrica di recensioni brevissime per lettori che non devono chiedere mai recuperando con estrema velocità tre fumetti italiani usciti negli ultimi mesi e di cui non sono ancora riuscito a parlare.

NOTA: Alcuni di questi fumetti potrebbero essere in vendita nel negozio on line di Just Indie Comics. In questo caso il link sul titolo vi porterà direttamente alla relativa pagina del negozio. I miei giudizi cercheranno di essere comunque obiettivi, ammesso che ciò sia possibile. Buona lettura. 

Inizio senza troppe esitazioni con Shhh!, terzo volume della serie B Comics edita da Ifix per la cura di Maurizio Ceccato. Come i precedenti Crack! e Gnam!, di cui probabilmente saprete già tutto, raccoglie storie brevi di autori esordienti o quasi, che in alcuni casi si cimentano con il fumetto pur provenendo da altri ambiti. Al di là dell’estetica, che mescola stili e tendenze offrendosi come uno zibaldone del disegno narrativo contemporaneo, a stupire è la facilità di lettura di contributi che, come suggerisce il titolo, sono interamente muti. Raccontare una storia senza l’uso di parole è una delle sfide più complicate per un fumettista e non è facile riuscirci per chi è ancora alle prime armi. E invece la gran parte degli autori centrano il bersaglio, con i vertici raggiunti, almeno per quanto riguarda il mio gusto personale, dal realismo fotografico di Alessandra Romagnoli e dall’incubo burnsiano di Francesco Panatta (foto in basso). Il grande formato, la confezione e la cura editoriale fanno il resto, dando vita a un volume che non sfigurerà nei migliori scaffali della Penisola.

Tra le altre cose che mi sono sfuggite è doveroso citare I segni addosso, volume sul tema della tortura realizzato da Andrea Antonazzo ed Elena Guidolin a partire da un’idea di Renato Sasdelli. Dico doveroso perché la Guidolin è una delle artiste italiane contemporanee che più mi piacciono, pur alle prese con un libro di comics journalism (o graphic journalism che dir si voglia) edito da Becco Giallo, non propriamente la mia merenda quotidiana. Lo scopo è però nobile, dato che I segni addosso va ad occuparsi non solo di noti episodi di tortura tra l’Italia fascista, la scuola Diaz e la prigione di Abu Ghraib ma anche delle carenze dell’attuale legislazione in materia, grazie ai saggi dello stesso Sasdelli e del portavoce di Amnesty International Italia Riccardo Noury.

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Le pennellate della Guidolin sono perfette per evitare la semplice cronaca e dare alle vicende un respiro assoluto, quasi astratto nel rappresentare ingiustizie e violenze. Le pagine migliori sono quelle in cui i corpi umani, ridotti a ombre, scompaiono in grandi spazi riempiti da schizzi di inchiostro di una potenza rara a vedersi, che risultava ancora più efficace negli originali visti in mostra allo Studio RAM nel corso dell’ultimo BilBOlbul.

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Chiudiamo questa breve rassegna con un altro libretto edito verso la fine dello scorso anno, con cui Martoz racconta un finale alternativo del suo Remi Tot in Stunt. La forchetta vibrante è di nuovo pubblicato da MalEdizioni ed è una degna appendice al volume precedente. Il protagonista, un geniale matematico alla ricerca di immani catastrofi a cui sopravvivere, si trova questa volta in Puglia e nello specifico nel castello di Otranto, trasformato in un hotel, dove è così fortunato da vincere un viaggio aereo da Otranto… a Otranto.

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Insomma verrebbe da esclamare OTRANTO! e bersi un Negroni ma in realtà tutto (o quasi) ha un senso e a conti fatti le 48 pagine dell’albo risultano le più ordinate e strutturate con Remi Tot come protagonista, dato che il racconto sulla breve distanza porta l’autore a sviluppare un plot più rigido e serrato del solito, scandito da una serie di vignette per lo più di piccole dimensioni che scorrono alla velocità della luce. Come sempre in questi casi una lettura superficiale non basta e bisogna tornare indietro o semplicemente rallentare per farsi strada tra le trovate estemporanee e i momenti di nonsense (uno shogun alle prese con il check-in all’aeroporto, il cane che beve l’acqua di Lourdes per controllare se contiene liquido esplosivo, i piloti che giocano a Subbuteo e così via), trovando quell’ordine che emerge dal caos e che dà senso al tutto. E quell’ordine c’è sempre, perché come ho già scritto altre volte Martoz è un autore che ama sperimentare con le tecniche di narrazione, il segno, i colori ma che non perde mai il piacere di raccontare.

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Days of Future Past – 22/03/2017

Instantly Elsewhere

Nuovo appuntamento con questa rubrica di segnalazioni varie che ogni tanto mi viene voglia di riesumare. Iniziamo con un po’ di novità editoriali e in particolare con qualche crowdfunding tuttora in corso, a partire da Instantly Elsewhere, un’idea matta lanciata da Lorenzo Palloni e Martoz sulla piattaforma Spaceman Project, storia di uno scrittore che non riesce a smettere di scrivere, perché tutte le sue visioni, comprese quelle più pericolose di minacciosi supercattivi, si avverano. Interessante l’idea di proporre il progetto a un pubblico internazionale, infatti il volume sarà disponibile in italiano, inglese, francese e spagnolo, sia in versione brossurata che cartonata. Instantly Elsewhere verrà pubblicato a luglio 2018, dato che gli autori inizieranno a lavorarci soltanto alla fine della raccolta fondi.

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Altro crowdfunding è quello lanciato da C’est Bon Kultur, associazione svedese con base a Malmö che pubblica da anni il magazine di storie brevi C’est Bon Anthology, vetrina per nuovi talenti e al tempo stesso territorio di sperimentazione per artisti già affermati. Finita la disponibilità dei fondi che avevano permesso di stampare con una certa regolarità l’antologia, per il 36esimo numero gli svedesi hanno ben pensato di ricorrere a una campagna di finanziamento, che risulta particolarmente interessante per noi italiani vista la presenza di tre artisti nostrani come AkaB, Elena Guidolin e Serena Schinaia. Per un po’ di immagini, ulteriori dettagli ed eventualmente contributi, vi rimando alla pagina Indiegogo del progetto.

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Facciamo un salto negli Stati Uniti per segnalare che la 2dcloud di Minneapolis ha reso disponibile la sua collezione primaverile su Kickstarter. Tra i vari titoli spicca il secondo numero dell’antologia-libro Mirror Mirror, stavolta a cura di Sean T. Collins e Julia Gfrörer e con contributi di Lala Albert, Clive Barker, Heather Benjamin, Al Columbia, Dame Darcy, Renée French, Simon Hanselmann, Aidan Koch, Uno Moralez, Jonny Negron, Josh Simmons, Carol Swain. Per saperne di più cliccate velocemente qui, perché mancano pochi giorni alla conclusione.

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E a proposito di novità editoriali d’oltreoceano, ha da poco debuttato la All Time Comics, nuova collana di supereroi Fantagraphics curata da Josh Bayer. Sì, lo so che “nuova collana di supereroi Fantagraphics” sembra una cosa strana e infatti lo è, dato che questa nuova linea editoriale che strizza l’occhio alla Marvel degli anni ’70 fa collaborare alcuni dei migliori nomi dell’underground di oggi come lo stesso Bayer, Benjamin Marra e Noah Van Sciver con istituzioni del fumetto supereroistico come il compianto Herb Trimpe e Al Milgrom. Io ne avevo parlato parecchio tempo fa, ancor prima che la Fantagraphics entrasse in gioco rilevando il progetto, all’inizio pensato sotto forma di autoproduzione. Se invece volete notizie fresche vi rimando a un bell’approfondimento con tanto di interviste pubblicato su Newsarama, mentre qui trovate un trailer della serie girato da Samuel Bayer (fratello di Josh), regista noto tra l’altro per aver firmato il video di Smells Like Teen Spirit dei Nirvana. E tra gli attori in carne e ossa del trailer c’è addirittura l’ex Sex Pistols Steve Jones. Io nel frattempo ho messo le mani sul primo comic book del lotto, Crime Destroyer, di cui spero di parlarvi a breve.

ColorAnti2Rimaniamo in tema di fumetti, video e musica per un po’ di autopromozione. Venerdì 31 marzo alle 20 sarò infatti al Monk di Roma per la ricchissima serata di debutto di ColorAnti, con la proiezione del documentario Fumetti dal futuro – Quattro storie di autoproduzione di Serena Dovì, incentrato sulle vicende artistiche e non solo di Ratigher, Maicol & Mirco, Dottor Pira e Alessandro Baronciani. Gli ultimi due saranno presenti all’evento e parleranno dei loro più recenti progetti in un incontro coordinato dal sottoscritto, oltre a disegnare delle cassette bootleg di This is Not a Love Song. E sempre TINALS presenterà in anteprima la VHS di Dirty Dancing illustrata da Baronciani e una mostra della nuova collana Not Tv ZPPNG, con remake grafici di programmi e personaggi televisivi degli anni che furono, da Bim Bum BamIl pranzo è servito, dal Pennello Cinghiale a Sandra Milo, con illustrazioni a firma AkaB, Nova, Silvia Sicks, Dario Panzeri, Silvia Rocchi, Viola Niccolai, Veci, Pablo Cammello, Chiara Lu, Paola Rollo, Valentina Lorizzo, Isabella Bersellini. Come si suol dire non mancate e, se proprio dovete mancare, che sia almeno per un buon motivo.

Tre fumetti di Anna Krztoń

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Anna Krztoń è una fumettista e illustratrice polacca che vive attualmente a Varsavia, animatrice di una scena sempre più vivace e ricca di artisti, editori, autoproduzioni ed eventi. Oltre agli albetti che si è stampata per proprio conto e a quelli che ha pubblicato per piccole realtà locali, la Krztoń ha collaborato in questi ultimi anni a diverse antologie internazionali, come Ink Brick, Dirty Diamonds, C’est Bon, Stripburger, Tieten Met Haar, Kuti Kuti, SW/ON. Attualmente sta lavorando alla sua prima graphic novel, che uscirà per l’editore polacco Wydawnictwo Komiksowe nel 2018.

In queste tre storie sono rappresentate soltanto in parte le numerose sfumature della produzione dell’autrice, a partire da quella più propriamente realistica che troviamo sia in Constant Sorrow che in Early Mornings, simili per tono e tematiche a First Weeks, mini-comic autoprodotto di cui avevo detto brevemente in questa puntata di Misunderstanding Comics. Room of My Own è invece un lavoro diverso, meno narrativo e più impressionista, esemplificativo di un mood sognante, astratto e naif che è un elemento costante dei fumetti della Krztoń.

Se volete approfondire, vi rimando al sito di Anna e vi ricordo che alcune copie di First Weeks sono disponibili nello shop on line di Just Indie Comics. Per ora, buona lettura.

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“Impatience” di Inés Estrada

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Nonostante i suoi 26 anni, la cartoonist messicana Inés Estrada ha già all’attivo un gran numero di storie a fumetti, di cui è difficile tener traccia dato che sono state pubblicate con vorticosa continuità tra comic book, zine, siti internet e antologie. Ad aiutarci a mettere ordine in questa vasta e variegata produzione ci pensa Impatience, volume di 200 e più pagine che sulle orme del precedente Ojitos Borrosos mette insieme una serie di episodi più o meno brevi realizzati tra il 2012 e il 2016 con l’aggiunta di qualche inedito.

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Il volume dà conto della poliedricità della proposta della Estrada, con variazioni sensibili di tono e contenuto tra un fumetto e l’altro, che tuttavia sono sempre facce diverse della stessa medaglia, dato che la poetica dell’autrice è nel complesso già matura e sufficientemente focalizzata. Tra la divertente serie Ghost Girl vista on line su Vice, gli haiku in forma di striscia a fumetti destinati al magazine letterario The Believer e la polifonia di Sindicalismo #89, emergono episodi che si collegano l’uno all’altro e riconducono a temi preponderanti, su tutti il corpo femminile, che l’autrice esplora nel suo rapporto con se stesso, con l’altro sesso, con lo spazio circostante e soprattutto con la natura. Ne sono ottimo esempio il panteismo dell’introduttiva (e splendida) The Multiverse is inside of you e l’altrettanto riuscita Beeing, tratta dal mini kuš! Borrowed Tails, in cui assistiamo a un’autentica palingenesi.

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Anche CS, originariamente pubblicata negli Stati Uniti da Sacred Prism, torna sul tema di corpo e natura mostrando un piccolo essere femminile – probabilmente un virus – innamorato del corpo umano che si trova ad abitare, mentre Cenote è un’esplorazione della sessualità che diventa ricerca di se stessi, avventura, visione.

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Come detto non è questo l’unico tema di una raccolta variegata e ricca di stimoli contenutistici e anche visivi, basata su un approccio estetico che non ricerca la perfezione ma descrive con piglio underground, e spesso con ironia, il caos emotivo e materiale dei personaggi rappresentati. E infatti tra le immagini ricorrenti del libro ci sono le case e le stanze dei protagonisti, in cui i corpi si confondono tra cibo, bottiglie e oggetti della quotidianità.

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Impatience è un volume di 206 pagine con testi in inglese e spagnolo (con sottotitoli). Autoprodotto, formato 15×20 cm, è stampato con inchiostro viola su carta opaca e copertina rossa con dettagli metallici. Qualche copia è ancora disponibile nel negozio on line di Just Indie Comics.

“Starchild” di Jim Pluk

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Nell’ultima tappa del suo tour europeo, l’11 febbraio a Roma negli spazi di Studio Pilar, l’artista colombiano Jim Pluk (di cui avevo già pubblicato il fumetto Si fuera un alma en pena) ha presentato la sua ultima fatica Canosa’s Welcome, edita dalla Perfectly Acceptable Press di Chicago, e una serie di illustrazioni intitolata Starchild. Quest’ultima non è né la classica personale che cerca di dare conto delle diverse modalità di espressione dell’autore né un’opera a tema che predilige un ambito ben preciso per escluderne altri. Anzi, si potrebbe dire che Starchild è l’una e l’altra cosa, dato che all’interno di un unico grande collage a muro sono raccolte tante illustrazioni, realizzate con tecniche e stili diversi, che rimandano a quanto fatto vedere da Pluk nei suoi fumetti e al tempo stesso stimolano lo spettatore sul tema della natura umana, delle sue origini e del suo futuro. Se non mancano alcune scene di vita quotidiana, caratterizzate per lo più dalla presenza degli animali, a dominare sono soprattutto i contatti tra l’uomo e altre forme di vita, espressione grafica dell’interesse preponderante del nostro per il mistero, l’ignoto, l’alieno. Il tema non a caso ritorna in Canosa’s Welcome, dove viene messo in scena l’incontro tra la bambina protagonista e due extraterrestri. E a sentire quanto raccontato nel corso dell’incontro presso Studio Pilar, anche le future opere a fumetti di Pluk rimarranno nello stesso territorio, dato che ha annunciato una nuova storia incentrata sulla teoria della Terra Cava. Intanto godetevi un po’ di foto che sembrano la trasposizione in toni colorati e cartoon di un universo che – come diceva qualcuno – non è terrestre.

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Foto di Serena Dovì

“Vortex” e “Love Nest” di Charles Burns

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Vortex e Love Nest, usciti lo scorso novembre per Cornélius, sono le ennesime sorprese di Charles Burns per i suoi fan, nuovi capitoli di un periodo particolarmente ricco di pubblicazioni e iniziative intorno all’autore di Black Hole. Negli ultimi due anni si sono infatti susseguite una serie di uscite burnsiane legate per lo più all’aspetto figurativo del suo mondo. Di Incubation – sketchbook che riprendeva le fasi di lavorazione della trilogia Last Look – e Free Shit – volumetto pubblicato da Le Dernier Cri che ristampava le fanzine regalate dall’autore ad amici e appassionati – ho parlato rispettivamente nella seconda e nella sesta puntata di Misunderstanding Comics. Vortex è invece un volume che riprende sin dall’elegante formato hardcover e dalla colorazione l’estetica dei libri della trilogia. Non si tratta di uno sketchbook come il precedente Incubation, perché qui troviamo disegni e pagine compiute, con lo stesso stile (e la stessa qualità) degli ultimi fumetti di Burns. E non possiamo nemmeno definirlo un semplice artbook, perché i diversi contenuti non si limitano a mostrare ma servono piuttosto a espandere, ramificare e arricchire l’universo stratificato creato da Burns in X’ed Out e The Hive e poi sbocciato in tutta la sua perfezione e chiarezza in Sugar Skull. La connessione tra pagina e pagina è suggerita senza essere esplicitata, è pre-logica, non cerca il significato ma l’atmosfera, stabilendo un legame tra i singoli elementi che solo chi ha letto Last Look può veramente apprezzare. Degna introduzione a tutto ciò due pagine di fumetto vero e proprio, con un testo lirico e denso che ha il compito di calare di nuovo il lettore tra le pieghe delle trilogia.

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Si prosegue con finte copertine ispirate graficamente a Tin Tin, manga immaginari, illustrazioni già utilizzate per le cover di alcuni quaderni, pagine scritte nello stesso linguaggio alieno inaugurato nell’albo Johnny 23 uscito nel 2010 per Le Dernier Cri, finti magazine a sfondo erotico, illustrazioni di vario formato, cartoline, fotoromanzi, balloon senza testo, romance comics che si spingono al di là del consentito.

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Proprio a tema romance è Love Nest, di formato più piccolo (15×17 cm) e uscito come il precedente in occasione di una mostra alla Galerie Martel di Parigi. Qui non c’è riferimento a un’opera specifica, anche se ovviamente l’immaginario è tutt’altro che alieno da quanto realizzato dal nostro nel corso della sua carriera. Il volume raccoglie 124 illustrazioni in bianco e nero che fanno collidere l’immaginario di film e fumetti a sfondo romantico del periodo ’50-’60 con quello dei b-movies dell’epoca. Detto così sembrerebbe un ritorno alle origini, alle pagine di El Borbah, Big Baby e Skin Deep, o anche una sorta di Black Hole vent’anni prima, eppure l’approccio è stavolta diverso, perché Burns non fa un lavoro di strutturazione dei contenuti ma giustapponendo semplicemente un’immagine all’altra si immerge completamente in questo habitat. Anche il tratto rompe di tanto in tanto i soliti schemi, abbandonando gli usuali tratteggi e sfumature a favore di una linea più spessa e pulita, perfetta mimesi dei fumetti (e in seguito della pop art) di quel periodo. Più organico del precedente, Love Nest è un progetto capace di affascinare e a volte di inquietare, grazie a illustrazioni che osano molto di più di quanto si potesse fare ai tempi dei romance comics, tra donne che si baciano, volti sfigurati, nudità, voyeurismo ed esseri deformi che si insinuano nei meandri della vita di provincia americana. Qui sotto alcune foto del volume. Buona visione.

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Minicomic of the Month Club 2017

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Da un paio di anni ho lanciato il Just Indie Comics Buyers Club, un abbonamento annuale che permette di ricevere quattro o otto fumetti a cadenza trimestrale durante l’anno. La formula della sottoscrizione a un servizio basato su una filosofia più che su contenuti prestabiliti mi ha sempre incuriosito e mi fa dunque piacere segnalare un altro progetto simile, intitolato Minicomic of the Month Club e proveniente dall’Australia. Giunta già alla quinta edizione, l’iniziativa si propone di inviare durante l’anno 12 mini-comics formato A6 realizzati da cartoonist australiani per lo più sconosciuti da questo lato del mondo. Si tratta di autori molto diversi tra loro, dato che il progetto non intraprende una precisa ricerca stilistica ma cerca di raccontare piuttosto la ricchezza e l’eterogeneità di una scena. Si va così dal graphic journalism di Eleri Harris – già vista all’opera su The Nib e autrice del primo fumetto della serie – alle forme surrealiste di Sean Ed Whelan, dai comics as poetry di Leonie Brialey al mondo cartoon di Jake Lawrence. Qui sotto potete vedere qualche immagine tratta dai precedenti lavori degli autori appena citati, mentre sul sito del Minicomic of the Month Club trovate la lista di tutti gli artisti con relativi link. E qui potete leggere una serie di interviste di approfondimento.
Se siete interessati iscrivetevi subito, perché il termine per abbonarsi scade a fine gennaio e i prezzi sono più che ragionevoli: 38 dollari australiani per i connazionali, 40 per i neozelandesi e 52 (circa 37 euro) per tutti gli altri, Europa compresa. Buona mini-lettura.

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Eleri Harris

 

Sean Ed Whelan

Sean Ed Whelan

Leonie Brialey

Leonie Brialey

 

Jake Lawrence

Jake Lawrence

“Si fuera un alma en pena” di Jim Pluk

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Jim Pluk è un autore di fumetti divertenti, fantastici, a modo loro anche poetici, caratterizzati da una linea rotonda e grezza che rivisita con piglio punk lo stile dei gag cartoon. L’artista colombiano, visto all’opera anche su Vice, sta arrivando in Europa per una serie di date in cui presenterà il suo nuovo fumetto Canosa’s Welcome, edito dalla Perfectly Acceptable Press di Chicago, e mostrerà i suoi dipinti e disegni. Si inizia venerdì 20 gennaio alla libreria Fatbottom di Barcellona per poi proseguire il 22 gennaio a Lione, il 3 febbraio a Berlino negli spazi della galleria/negozio Neurotitan e l’11 febbraio a Roma presso Studio Pilar. Qui trovate qualche dettaglio in più sul tour. Intanto godetevi Si fuera un alma en pena (If I was a Suffering Soul), un fumetto pubblicato nel novembre 2015 in Colombia da Calipso Press, ironico, delicato e poetico. Buona lettura.

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I migliori 16 fumetti del 2016

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Lo scorso anno avevo pubblicato, con notevole dedizione, ben tre classifiche del meglio del 2015, suddivise tra fumetti italiani, libri stranieri e comic-book ancora stranieri. Per l’anno appena trascorso un po’ di lassismo mi ha impedito di essere così dettagliato e quindi, in grande ritardo rispetto ai siti più in voga, mi limito a postare una lista dei 16 libri che mi sono piaciuti di più tra quelli che sono riuscito a leggere. Sì, il numero è un po’ strano ma 10 mi sembravano pochi e 20 troppi, e 15+1 è invece un buon numero nell’anno in cui è uscito il nuovo fumetto di Daniel Clowes, che per me è sempre fuori concorso. E poi 16 per il 2016 suona bene. Non ho fatto distinzioni di genere, nazionalità, formato e data di pubblicazione, pertanto troverete in lista materiale nuovo, ristampe, antologie, corposi volumi e comic book spillati. E come al solito si tratta di materiale prevalentemente americano, come il nome di questo sito lascia facilmente intuire.

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Agony di Mark Beyer (New York Review of Books) – Direttamente dal 1987, anno in cui fu pubblicato come one shot della rivista Raw, torna in un’edizione praticamente identica all’originale questo fondamentale volumetto di Mark Beyer. Il merito è della New York Review of Books, che proprio con Agony ha inaugurato una meravigliosa collana di fumetti incentrata su ristampe di materiale introvabile e sulla traduzione di materiale straniero poco conosciuto negli Stati Uniti. Il libro segue le vicissitudini di Amy e Jordan, i due protagonisti che nel corso di queste 173 pagine vengono licenziati, inseguiti, decapitati, smembrati, spediti sotto terra, lanciati in aria e così via, in un trionfo di sciagure sapientemente descritte da un tratto brut e fuori dagli schemi.

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Amore di lontano di Martoz (Canicola Edizioni) – Già presente nella mia classifica dello scorso anno con Remi Tot in Stunt, Martoz colpisce ancora con un nuovo corposo volume edito da Canicola. Amore di lontano è un poema cavalleresco che guarda alla tradizione fumettistica italiana popolare e d’autore, facendola esplodere in vignette cubiste e ipercinetiche. Ma non fatevi ingannare dal piglio sperimentale, dai riferimenti colti e dalle scene di sesso, perché questa è essenzialmente una storia d’amore. Ne ho parlato in maniera più approfondita in questo post.

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Beverly di Nick Drnaso (Drawn and Quarterly) – Raccolta di sei storie brevi di Nick Drnaso più o meno collegate tra loro, Beverly unisce la rigidità formale alla Chris Ware con i temi del cinema di Todd Solondz per mettere in scena la difficoltà di relazionarsi all’altro. Meschinità nascoste, razzismo, ipocrisia e vuoto esistenziale vengono raccontati senza sensazionalismi, con uno stile volutamente monocorde sia nel disegno che nei contenuti. Per me uno dei libri rivelazione dell’anno, a opera di un autore che a soli 27 anni è già più di una semplice promessa. Per ulteriori dettagli vi rimando qui. Il volume è stato pubblicato anche in Italia da Coconino.

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Blammo #9 di Noah Van Sciver (Kilgore Books) – Qualcuno noterà che sono fissato sempre con gli stessi autori, ma come potrei tenere fuori il nuovo numero di Blammo da questa lista? Come sempre poliedrico, Van Sciver alterna autobiografia, adattamenti di favole, intermezzi comici e le solite storie dei “suoi” perdenti. L’apice viene raggiunto nelle dieci pagine ambientate a White River Junction durante il soggiorno al Center for Cartoon Studies, che utilizzando una struttura più libera e fluida del solito fanno pensare a nuovi e interessanti sviluppi per la produzione del nostro.

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Christmas in Prison di Conor Stechschulte (autoprodotto) – Anche di Conor Stechschulte ho parlato più e più volte, dato che si tratta di uno dei miei cartoonist contemporanei preferiti. Questo volumetto di 96 pagine è stampato e rilegato a mano con cura utilizzando tecniche diverse (risograph, serigrafia, offset) e raccoglie una serie di “pezzi” su alcuni dei temi cari all’autore, come voyeurismo, controllo, metanarrazione. Splendida l’ultima storia che inizia con una struttura narrativa per poi sfociare in una serie di interrogativi esistenziali di intensità crescente. Per saperne di più leggete questa recensione.

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Dôme di autori vari (Breakdown Press/Lagon) – La migliore antologia dell’anno, capace di battere anche Kramers Ergot #9 (non un gran numero per Kramers Ergot, ma sarebbe da parlarne a parte) è per me Dôme, frutto della collaborazione dei francesi di Lagon e degli inglesi di Breakdown Press. Il volume, tutto in risograph e di grande formato, è stato stampato dal vivo durante l’ultimo festival di Angoulême. Dentro storie brevissime, a volte di una sola pagina, di autori come Lando, Simon Hanselmann, Dash Shaw, Antoine Cossé, Michael DeForge, Olivier Schrauwen, Joe Kessler, Richard Short. Il materiale tutto di altissimo livello e la scelta di ospitare nelle pagine centrali un’appendice in forma di singola striscia delle diverse storie contribuiscono a creare un esempio di coerenza estetica davvero raro a vedersi. L’antologia è stata stampata in sole 500 copie ed è da tempo esaurita. Ne ho parlato più dettagliatamente qui.

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Dream Tube di Rebekka Dunlap (Youth In Decline) – Una delle sorprese più piacevoli del 2016, questo volume targato Youth In Decline raccoglie tre fumetti di Rebekka Dunlap indiscutibilmente contemporanei per grafica e contenuti ma che per spirito e atmosfere sembrano usciti da un vecchio numero di Garo. Tra nuove tecnologie, stregoneria e fantascienza le pagine vanno avanti per associazioni di idee, dettagli e intermezzi, creando un flusso di coscienza per immagini che trascina il lettore in un mondo impossibile da comprendere del tutto ma incredibilmente affascinante.

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Exits di Daryl Seitchik (Koyama Press) – Prima opera sulla lunga distanza di Daryl Seitchik, nota finora per la serie Missy, Exits ripropone le tematiche care all’autrice ribaltandone però la dimensione estetica. La trovata iniziale della ragazzina che diventa invisibile sembra un po’ alla DeForge ma lo sviluppo è ben diverso. Exits è un fumetto apparentemente semplice ma profondo, maturo e ricco di sfaccetature, capace di trasmettere quel senso di divertente inquietudine esistenziale che è la cifra stilistica della Seitchik. E in grado di mostrare il processo di crescita di un’autrice giovane ma che ha già voglia di mettersi in gioco. Per qualche parola in più vi rimando a questa puntata di Misunderstanding Comics.

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Gulag Casual di Austin English (2dcloud) – Utilizzando un’estetica tutta sua, debitrice più alle avanguardie storiche e all’espressionismo astratto che ad altri fumetti, Austin English racconta storie di tensioni quotidiane, in cui forze aggressive provenienti dall’esterno invadono spazi familiari e rassicuranti. Ma non si arriva mai al dramma in queste pagine, perché i protagonisti sono figure che compiono delle azioni e non soggetti con una propria personalità. Gulag Casual è un altro colpaccio dell’ottima 2dcloud di Minneapolis, una delle case editrici più interessanti del momento. Ne ho parlato in maniera leggermente più approfondita qui.

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Hellbound Lifestyle di Alabaster Pizzo e Kaeleigh Forsyth (Retrofit Comics) – Forse l’opera più leggera tra quelle in lista, Hellbound Lifestyle è un diario frutto della collaborazione di una scrittrice (la Forsyth) e una cartoonist (Abalaster). Qui lo definivo come “un fumetto divertentissimo scandito da note e conversazioni tratte da uno smartphone, pieno di situazioni assurde, di buoni propositi finiti male, di ragionamenti contorti e soprattutto di idee, idee, idee una dietro l’altra che ci si potrebbero riempire tanti altri fumetti o intere stagioni di serie tv”. Una di quelle cose che quando le leggi poi la tua giornata è migliore.

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July Diary di Gabrielle Bell (gabriellebell.com) – Il 2015 ci aveva privato dell’ormai tradizionale diario di luglio di Gabrielle Bell, che nel 2016 è tornato più scintillante che mai. La Bell è una delle mie cartoonist preferite in assoluto e tempo fa ho spiegato perché in questo articolo per Fumettologica. In più il nuovo diario, di recente uscito anche in versione cartacea per Uncivilized Books sotto il titolo Get Out Your Hankies, sperimenta la spontaneità più totale dato che l’autrice si è data la regola di evitare interventi di editing e di riscrittura. Leggetevelo e non ve ne pentirete, in attesa di Everything is Flammable, nuovo fumetto inedito di 160 pagine in uscita ad aprile sempre per Uncivilized.

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Patience di Daniel Clowes (Fantagraphics Books)  – Non ha ricevuto recensioni poi così entusiastiche l’ultima attesissima opera di Daniel Clowes, probabilmente per la sua trama quasi hollywoodiana, la sua struttura più tradizionale, i disegni meno dettagliati del solito. Eppure per me Patience è non solo l’ennesimo capolavoro dell’autore di Ghost World e David Boring ma anche la sua opera dal maggiore impatto emotivo, quella che più di tutte riesce a emozionare e addirittura a commuovere. Non dico altro perché ne ho parlato approfonditamente in questa recensione.

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Puke Force di Brian Chippendale (Drawn and Quarterly) – Visto anni fa a puntate sul sito della Picture Box, Puke Force era rimasto incompiuto per lungo tempo, senza mai trovare la strada della pubblicazione cartacea. Ci ha pensato Tom Devlin, ex Highwater Books e ora in forza alla Drawn and Quarterly, a convincere Chippendale a mettere da parte per un po’ l’attività di batterista e voce dei Lightning Bolt così da concludere questa epopea fantasy malata che forse è quanto di meglio uscito dal gruppo di Fort Thunder insieme a Multiforce di Mat Brinkman. E il fatto che il 2016 abbia visto anche l’uscita di un nuovo mini-comic autoprodotto, l’ottimo Atrophy Life, lascia ben sperare per un ritorno in pianta stabile di Chippendale all’attività di fumettista.

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Safe Space #2 di Alessandro Galatola (autoprodotto) – Uno dei migliori fumetti italiani dell’anno in realtà non esiste. Pubblicato in soli 10 prototipi, Safe Space #2 è ancora in cerca di un editore e sarebbe il caso che lo trovasse, perché le storie disegnate dal pugliese Alessandro Galatola uniscono le nuove frontiere del fumetto all’immaginario “altro” degli anni ’80 creando uno stile proprio fatto di una scrittura densa, sghemba, mai banale. Ne ho parlato di recente presentando Dio di me stesso, storia inedita tratta proprio da quello che è – o meglio sarà – Safe Space #2. Fuori da ogni convenzione di genere, dai tentativi di neorealismo, dal raccontare “tanto per”, questi sono fumetti viscerali che vengono dall’anima del loro giovane autore.

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Sirio di Martin López Lam (Fulgencio Pimentel) – Martin López Lam è un fumettista peruviano che risiede da anni in Spagna, dove anima la scena underground con la sua etichetta Ediciones Valientes e il festival Tenderete. In più Martin è ben conosciuto in Italia per le numerose iniziative di cui è stato protagonista durante la residenza all’Accademia di Spagna di Roma e l’ultimo BilBOlbul. Tutto questo attivismo non deve però far trascurare la sua produzione artistica, di cui Sirio è splendido esempio. La storia inizia come un giallo ma prosegue descrivendo personaggi che girano intorno a se stessi sullo sfondo di una torrida estate, in un’atmosfera densa, fatta di attese e magnificamente illustrata nei toni del blu e dell’ocra. Trovate qualche parola in più in questo post.

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Soft City di Pushwagner (New York Review of Books) – Altro lodevole recupero della New York Review of Books, questo elegante hardcover con grafica di Chris Ware ristampa il volume pubblicato in Norvegia dalla No Comprendo Press. Era l’inizio degli anni ’70 quando l’artista norvegese Pushwagner dava vita a un fumetto quasi muto pieno di uomini tutti uguali che vivono in enormi complessi residenziali con le loro famiglie perfette e vanno a lavoro nelle loro macchine una identica all’altra. Una delle migliori rappresentazioni dell’alienazione metropolitana in forma di fumetto, disegnata con linee soffici e liquide che sono già metafora del conformismo capace di insinuarsi sotto la pelle dell’uomo contemporaneo. Ne avevo parlato qui in occasione della mostra di Pushwagner al Fumetto Festival di Lucerna del 2015.

“Dio di me stesso” di Alessandro Galatola

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I più attenti tra voi già conosceranno Alessandro Galatola, fumettista classe ’93 di Gioia del Colle, in provincia di Bari, che da qualche tempo anima la sua pagina Facebook e il suo Tumblr di fumetti, illustrazioni, manifesti, esperimenti. Ne ho parlato brevemente su Just Indie Comics in occasione del reportage dal Crack! 2015, dove Alessandro fece esordire il suo primo comic book autoprodotto, Safe Space #1. Un albo quello per lo più muto e fuori dagli schemi rispetto alla scena fumettistica italiana, dato che rinunciava completamente al realismo della rappresentazione per guardare a modelli stranieri come i canadesi Michael DeForge e Jesse Jacobs, tra forme allungate, panorami alieni, corpi cadenti, feriti, ripiegati su se stessi. Certo, lo stile era ancora derivativo, ma già da allora si capiva che in quei fumetti c’era qualcosa di più, una dimensione psicologica più profonda, che non voleva solo strizzare l’occhio al lettore come fanno tanti fumetti di oggi. Safe Space #2, stampato per ora in soli 10 prototipi e più corposo con le sue 72 pagine, conferma e amplifica questa impressione. Denso di testo rispetto al precedente, con fumetti che abbandonano la formula del divertissement per diventare storie, l’albo è opera di un autore già maturo e capace di abbracciare uno stile proprio, fortemente contemporaneo ma in cui si trovano anche rimandi all’estetica cyber anni ’80, a scrittori come William Burroughs, a fumettisti come Mark Beyer, ai videogiochi in bassa fedeltà. Senza dimenticare una dimensione scatologica che diventa persino trash in episodi come Il club del vomito o Sindrome della vergogna (con l’incipit-confessione “Ho un’enorme cisti nel culo”) ma che non è mai fine a se stessa, anzi, è espressione più diretta dello stesso disagio rappresentato nei momenti visionari.

Alessandro Galatola ha frequentato l’Isia di Urbino e pubblicato su riviste indipendenti (Snuff Comix, Fumè, Gestopo Propaganda) e siti web (Verticalismi, 4Panel, Curzio). Ogni tanto si diverte a fare graffiti in giro. Il suo Safe Space #2, da cui è tratta la storia che segue, è al momento in cerca di un editore e sarebbe giusto che lo trovasse, perché un fumettista così in Italia ancora non ce l’avevamo.

Per contatti e approfondimenti vi rimando al Tumblr di Alessandro. Buona lettura.
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