All Time Comics di ieri e di oggi

Debutterà nelle fumetterie americane il prossimo 30 aprile la seconda serie della linea All Time Comics, che con l’occasione lascia la Fantagraphics per passare a Floating World. Un salto di qualche centinaio di chilometri, da Seattle a Portland, per un rilancio che prevede anche la ristampa in volume dei primi sei albetti usciti tra il 2017 e il 2018. La seconda stagione vedrà ancora al timone il demiurgo Josh Bayer, accompagnato questa volta da Josh Simmons, noto per il Black River visto anche in Italia per 001 Edizioni e per le sue orrorifiche storie brevi raccolte in volumi come Flayed Corpse and Other Stories, e dal disegnatore Trevor Von Eeden, conosciuto per il suo lavoro alla Dc Comics su serie come Thriller, Batman e Green Arrow. Von Eeeden, uno che negli anni ha saputo rompere gli schemi della classica tavola da fumetto di supereroi, raccoglierà il testimone lasciato nella prima “stagione” (come si dice oggigiorno) dal compianto Herb Trimpe e da Al Milgrom, vecchie glorie del fumetto supereroistico. Infatti l’idea iniziale era quella di creare un nuovo universo dal tono retrò e radicale al tempo stesso, grazie alla collaborazione tra autori contemporanei di area indie/alternative/underground e disegnatori storici dei fumetti Marvel/Dc. Il tutto calando direttamente il lettore nella narrazione, come se i personaggi esistessero già da tempo e si stesse leggendo un numero qualsiasi della loro serie regolare, con tanto di finte pubblicità di costumi, videogiochi e giocattoli. E con un approccio viscerale, che tendeva soprattutto al caos, a volte al trash, senza quell’idea di metanarrazione e di organicità che è appartenuta a progetti ben più consapevoli come il 1963 di Alan Moore e soci. Della prima stagione avevo parlato più volte da queste parti (per esempio nel ricordo di Herb Trimpe a firma Josh Bayer e nella mini-recensione di Crime Destroyer #1), con l’idea di tornare prima o poi su tutti gli albi pubblicati. Mi sembra che adesso sia arrivato il momento giusto per farlo, ricapitolando cosa è successo fino a oggi.

Crime Destroyer #1 di Josh Bayer (storia), Herb Trimpe (matite), Benjamin Marra (chine) – Reduce di guerra, Stem DeFrieze torna nella sua Swan City per trovarla devastata dalla malavita. Quando gli viene massacrata la famiglia davanti agli occhi, Stem diventa Crime Destroyer, una sorta di incrocio tra Batman e The Punisher dedito a combattere i malvagi con un costume dotato di pugni sganciabili posizionati sulle spalle. In questo albo lo vediamo in trasferta a Optic City per salvare la figlia del suo ex commilitone Titan, portata nei tunnel sotterranei della città dai membri di un minaccioso culto chiamato Wotan, che la vogliono sacrificare al dio Samhain. A intervenire nella lotta tra il demoniaco White Warlock e il nostro ci sarà anche Atlas, altro eroe dell’universo ATC. Se l’abbondanza di didascalie e la trama tutt’altro che originale creano un’atmosfera anni ’70, il disegno dell’accoppiata Trimpe-Marra è al contrario di una modernità e di una potenza eccezionali. Da segnalare che l’albo è l’ultimo disegnato da Trimpe, storico artista Marvel noto soprattutto per le sue storie di Hulk, prima della sua scomparsa nell’aprile del 2015. Trimpe è un artista ingiustamente considerato minore all’epoca e che qui fa capire benissimo di che pasta è fatto, firmando quello che è senz’altro l’albo migliore del lotto.

 

Bullwhip #1 di Josh Bayer (storia e testi), Benjamin Marra (storia e disegni), Al Milgrom (chine) – Se in Crime Destroyer l’ospite d’eccezione era Trimpe, qui è invece Al Milgrom, altra istituzione della Marvel dei tempi d’oro, noto per il suo lavoro su Spider-Man e gli Avengers. La protagonista è un’eroina in costume e stivali che combatte i nemici a colpi di frusta, con tutti i sottotesti sessuali del caso. Si insinua tra queste pagine, al contrario che in Crime Destroyer, una satira di alcune situazioni del fumetto di supereroi classico che penalizza la mimesi a favore della rilettura postmoderna di cui Marra è maestro. Bullwhip se la deve vedere sia con un nemico panzuto e anti-femminista chiamato senza mezzi termini Mysoginist (“Non mi importa quante volte mi frusterai, non riuscirai a rovesciare il patriarcato!”) che con un’invasione di vampiri dal futuro. Per quanto riguarda i disegni, paradossalmente risultava più moderno lo stile di Trimpe che quello di Marra, qui decisamente schematico, mentre le chine di Milgrom aggiungono quel tocco artigianale, schietto ed essenziale che fa tanto albo mensile della Marvel anni ’80. L’assurdità della trama diverte e intrattiene, con diversi momenti sopra le righe che un tempo sarebbero stati tagliati per non incorrere nella scure del Comics Code.

Atlas #1 di Josh Bayer (storia) e Benjamin Marra (storia e disegni) – Primo albo senza guest star ai disegni, Atlas vede protagonista l’eroe più tradizionale della linea ATC. Johnny Rammond acquisisce i poteri dell’anti-materia quando entra in contatto con alcuni macchinari alieni e inizia a combattere il crimine con l’aiuto del suo sidekick Tobey, anch’egli già visto su Crime Destroyer #1. In queste pagine se la deve vedere con Daniel Walker, un politico dotato di poteri di persuasione capace di farsi approvare dal Congresso il Colony Project, un’idea spacciata a difesa della sicurezza nazionale ma che in realtà consiste – non si sa bene perché – nel creare un gigante sfasciatutto fatto di ragni. Nel frattempo un altro nemico di Atlas, quel Raingod già visto dietro le quinte di Bullwhip #1, cerca di colpire il nostro facendo del male alla sua fidanzata-giornalista Suzi Lyans. Atlas mi sembra al momento il personaggio meno interessante tra quelli creati da Bayer e soci, nient’altro che un Superman con la paura e la mancanza di autostima al posto della kryptonite. Valgono il prezzo del biglietto qualche tocco retrò che viene dritto dritto dai fumetti EC Comics e la sequenza in cui Tobey, per raggiungere Atlas in prigione e aiutarlo così ad evadere, si fa arrestare tirando un mattone contro una vetrina, rubando una borsa a una vecchietta e… alzando la gonna a una ragazza per strada.

Blind Justice #1 di Josh Bayer (storia), Josh Bayer, Rick Buckler, Sabin Cauldron, Al Milgrom e Jason T. Miles (disegni) – In una serie che riprende lo stile dei supereroi di una volta non poteva mancare il numero disegnato da ben cinque artisti diversi, prassi utilizzata alla Marvel quando i disegnatori erano in ritardo con le consegne e le scadenze si avvicinavano. Il feticismo per certo fumetto anni ’70-’80 arriva a coinvolgere addirittura Rick Buckler, ossia il figlio del ben più famoso Rich Buckler (con la H e non con la K) conosciuto per il lavoro con Don McGregor su Black Panther e con Peter David su The Spectacular Spider-Man, scomparso nel 2017. La strampalatissima storia vede protagonista Justice, un eroe bendato che ricorda un po’ Omega The Unknown di Steve Gerber e un po’ The Question di Steve Ditko. Il nostro si finge malato per essere ospitato da un centro per disabili mentali di Optic City allo scopo di proteggere la donna di cui è innamorato. Quando lei e il suo capo, il dottor Whetcroft, partono per un’oscura missione via mare, Justice li segue e si trova ad avere a che fare con dei pirati, un naufragio e un’isola piena di criminali pronti a stuprare e uccidere, guidati da un tizio chiamato The Revenger. Ma Justice ha il potere di evitare ogni proiettile e riuscirà ovviamente ad avere la meglio, in un crescendo di situazioni a volte sin troppo improbabili, accompagnate da colori irreali e da un disegno che definire discontinuo è poco. Insomma, alla fine Blind Justice #1 è un gran casino ma ci si diverte lo stesso.

Crime Destroyer #2 di Benjamin Marra (storia e disegni) e Josh Bayer (storia) – Quasi interamente realizzato da Marra, il secondo numero di Crime Destroyer ha tutt’altro tono rispetto al primo e riesce a essere godibile pur non raggiungendo il livello del suo predecessore. Questa volta il protagonista se la deve vedere con P.S.Y.C.H.O., supercattivo che nella sequenza di apertura tenta di ghigliottinare sei giudici con un colpo solo per poi rapire la figlia del sindaco e portarla in un ex manicomio criminale trasformato nella sua base operativa che sa tanto di Arkham Asylum. Tra le righe si insinuano discorsi su giustizia, vigilanti, corruzione e via dicendo, con scontri tra forze dell’ordine e politici in cui alla fine si inserisce anche Raingod, questa volta accompagnato da un altro cattivo vestito da Ku Klux Klan in rosso e che si fa chiamare Krimson Kross. E intanto anche quel Revenger visto nelle pagine di Blind Justice #1 è arrivato in città…

Blind Justice #2 di Josh Bayer (storia), Noah Van Sciver (disegni), Al Milgrom (chine) – Se qualche anno fa mi avessero detto che avrei visto Noah Van Sciver inchiostrato da Al Milgrom mi sarei messo a ridere. E invece la linea ATC ci regala anche questo nell’ultimo albo della prima stagione, dedicato ancora al supereroe finto lobotomizzato ma giustiziere schiva-proiettili bendato Justice, qui alle prese con un serial killer massacratore di famiglie con un ciuffo sulla fronte e in qualche modo connesso alla Stakecorp, una sorta di LexCorp guidata da un tizio con una nuvola di fumo al posto della testa. La storia va dritta al dunque lasciando per strada un’interessante sotto-trama destinata a svilupparsi in future puntate che probabilmente non verranno mai pubblicate. La combo Van Sciver-Milgrom funziona alla perfezione soprattutto nelle pagine prive di azione ma in generale si difende bene per tutta la durata dell’albetto, anche grazie al lavoro ai colori di altri due autori underground come Paul Lyons e Jason T. Miles. E Justice si conferma come l’eroe con più potenziale del lotto.

Nel complesso questi primi sei albi hanno regalato l’emozione di rileggere storie di supereroi tipicamente anni ’70-’80, per lo più metropolitane, piene di violenza e di azione, a volte torbide, altre ingenue. Non tutto è riuscito in quanto visto finora, anzi, il progetto è stato realizzato con un piglio sin troppo punk e ha evidenziato una certa discordanza di approccio, con qualche alto e diversi bassi raggiunti nelle diverse uscite. Ma tutto ciò ha contribuito a rafforzare la mimesi, a ricreare uno spirito, a dare al lettore quel brivido di comprare un classico comic book di una volta, capace anche di rivelarsi trash o assurdamente insensato ma comunque genuino. D’altronde proprio queste erano le intenzioni iniziali di Josh Bayer e di suo fratello Samuel, regista di videoclip che tanta parte ha avuto nella fase progettuale della linea All Time Comics (per approfondire potete leggere questa intervista di fine 2016 su CBR). E che questo approccio a una materia bassa e popolare sia forse oggi più interessante di tante riletture post-moderne piene di strizzatine d’occhio al lettore ma prive di sostanza? Difficile dare una risposta netta, anche se sono convinto che in questo caso il risultato finale, per quanto io sia rimasto affascinato dall’operazione, potesse essere di gran lunga migliore, visti anche i nomi (di ieri e di oggi) coinvolti. Se poi volete farvi la vostra opinione, come accennato in apertura questi primi sei comic book verranno ristampati in volume da Floating World il prossimo giugno.

La seconda tornata, intitolata All Time Comics Zerosis Deathscape, presenterà a quanto sembra un approccio diverso. Con il contributo di Simmons, uno che di storytelling se ne intende, l’idea è quella di dar vita non più ad albetti separati apparentemente tratti da una serie più lunga a noi sconosciuta, ma di creare una narrazione continuativa in cui vengono ripresi spunti della prima serie coinvolgendo tutti i personaggi protagonisti. Le poche pagine viste finora lasciano presagire una trama degna dei classici cross-over cosmici alla Crisis o Secret Wars (o anche alla Cosmic Odyssey o Infinity Gauntlet) con qualche richiamo ad atmosfere horror pre-Comics Code. Torna il futuro distopico dominato dai vampiri già visto in Bullwhip #1 con la figura del Time Vampire Scientist e fa la sua prima apparizione The Red Maniac, un nuovo supercattivo con cui se la dovranno vedere Crime Destroyer, Bullwhip, Atlas e Justice. Il numero zero, in uscita a fine aprile, vedrà ai testi Bayer e Simmons, con quest’ultimo che si occuperà anche dei disegni (con le chine di Ken Landgraf), passando poi il testimone a Von Eeden a partire dal numero uno. Non mancheranno anche in questo caso delle guest star più o meno a sorpresa: se quasi scontato è il ritorno di Benjamin Marra e non stupisce più di tanto la collaborazione di un autore come Thomas Toye, colpisce la presenza di autrici che si muovono su altre frequenze come Julia Gfrörer e Gabrielle Bell. Insomma, ne vedremo delle belle e con alcuni di voi le vedremo insieme: All Time Comics Zerosis Deathscape #0 sarà infatti spedito agli abbonati in uno dei prossimi invii del Just Indie Comics Buyers Club 2019.

“Parallel Lives” di Olivier Schrauwen

Le più famose Vite parallele mettevano a confronto un illustre uomo greco con un celebre romano, mostrandone affinità e divergenze. Riprendendo il titolo dell’opera scritta quasi 2000 anni fa da Plutarco, Olivier Schrauwen gli dà un nuovo significato, dato che il parallelismo non è più tra personaggi diversi ma tra differenti versioni di se stesso e, di conseguenza, tra queste e il loro creatore. C’è così l’Olivier Schrauwen del racconto d’apertura, Greys, che viene rapito dagli alieni nel più classico stile b-movie, la sua versione adulta nei panni del padre Armand Schrauwen impegnato a spedire messaggi verso il futuro in Hello, l’Oly trasformato in cartone animato dall’app Cartoonify, la versione donna dell’autore ribattezzata Ooh-lee in The Scatman, l’Olver senza “i” protagonista delle 140 vignette in due pagine di Mister Yellow, e infine ancora l’Olivier Schrauwen figlio di Armand, nato nel 1977 ma congelato e spedito nel XXIII secolo in Space Bodies. Tutte le storie iniziano con un primo piano dell’alter ego dell’autore a bocca aperta, proprio come Arsène Schrauwen cominciava con il faccione di “O. Schrauwen, graphic novelist” impegnato a introdurre le immaginarie avventure di suo nonno nel Congo belga. Fa invece eccezione ma non troppo Mister Yellow, dove il primo piano a bocca spalancata, questa volta un po’ di profilo, arriva alla quarta delle 70 vignette che compongono la prima pagina.

Parallel Lives è una raccolta di racconti più o meno brevi dell’autore belga, quasi tutti visti in albi singoli e/o antologie pubblicate in diverse lingue e per lo più esaurite: l’unica ancora facilmente reperibile è Terry, antologia in spagnolo edita nel 2014 da Fulgencio Pimentel, dove trovava spazio la traduzione di Greys, pubblicato originariamente, con una diversa impaginazione, in un albetto del 2012 targato Desert Island. Per il resto sono ormai fuori stampa Mould Map #3 edito da Landfill Editions, dove si era vista Hello, e i volumi del collettivo francese Lagon come Volcan (Cartoonify), Gouffre (The Scatman) e la co-produzione con Breakdown Press Dôme (Mister Yellow). E’ invece del tutto inedito il racconto più lungo del lotto, Space Bodies, 66 pagine di viaggio in uno spazio dai colori lussureggianti. Da segnalare che alcuni dei vecchi racconti hanno subito qualche revisione nei testi e nella disposizione delle vignette.

Pur avendo appunto diversa origine e gestazione, i sei fumetti del volume hanno un’unità di intenti e di tematiche davvero notevole. Difficile trovare una raccolta così coesa, ed è appunto ancor più stupefacente se pensiamo che non nasce come tale. Il fatto testimonia l’organicità dell’opera di Schrauwen, la sua volontà e capacità di insistere sugli stessi temi. D’altronde la sua passione per le “vite parallele” e per una fiction capace di prendere spunto da nomi e situazioni reali legati a se stesso o alla sua famiglia era emersa ancora in Arsène Schrauwen, tanto che Parallel Lives può essere in qualche modo considerato una prosecuzione del precedente, mostrandoci al tempo stesso figlio e nipote del protagonista di quel libro. Questa insistenza si traduce quasi naturalmente in un costante lavoro sui meccanismi del fumetto e della metanarrazione in genere. Schrauwen racconta sempre gli eventi come se fossero veri e riesce quasi a farci credere a ciò che vediamo. Quando così in Greys assistiamo al rapimento del protagonista/autore mentre si trova nel letto di casa sua, ci viene quasi il dubbio che gli alieni lo abbiano rapito davvero. Non so come riesca a fare questo, ma è una sensazione che ho avuto la prima, la seconda e anche la terza volta che ho letto il fumetto. Forse potrebbe avere a che fare con la nostra abitudine a leggere storie autobiografiche, in cui si tende – erroneamente, si pensi per esempio a It’s a Good Life If You Don’t Weaken di Seth – a dare per scontato che l’autore che scende sulla pagina e diventa protagonista stia raccontando qualcosa che gli è successo davvero. E d’altronde Greys gioca proprio con i luoghi comuni dell’autobiografia a fumetti, mostrandoci il protagonista al tavolo da disegno che prima pensa di masturbarsi, poi rinuncia e si mette a letto, non riesce a prendere sonno ecc. Ma in realtà non credo sia solo questo, c’è qualcosa di più, ossia il tono morboso del racconto, quel sussurrare all’orecchio del lettore, che, lusingato, finisce per credere a ciò che gli viene raccontato quasi per sentirsi importante, come ci si sente privilegiati quando qualcuno ci rivela un segreto davvero privato. Ma non è questo l’unico trucco con cui Schrauwen riesce quasi a ipnotizzare il lettore, facendogli credere alla prospettiva della voce narrante: si pensi a The Scatman, in cui un “troll” entra nella testa della protagonista descrivendone ogni minima azione e facendo apparire la sua vita come misera, triste, priva di senso e di affetti, quando ai nostri occhi il quadro non è poi così negativo. Ma anche qui noi lettori finiamo per farci abbindolare, vittime delle nostre abitudini e del ruolo che ci è stato assegnato.

Tornando a Greys, all’epoca della sua prima pubblicazione sembrava il prodigio di un autore pronto a conquistare il mondo del fumetto. Il realismo della narrazione, il lettering tipografico, il bianco accecante di alcune vignette ci trascinavano sull’astronave aliena mostrandoci l’inerme protagonista sdraiato su un lettino mentre gli alieni stabilivano una connessione mentale capace di farlo arrivare all’orgasmo e di prelevarne il seme. Di seguito, gli stessi alieni gli mostravano il destino triste e inesorabile del nostro mondo, condannato all’apocalisse. Consumate le ultime righe, si rimaneva turbati, quasi violati da ciò che Schrauwen ci aveva mostrato. Oggi, letti anche tutti gli altri racconti che danno corpo al volume, sembra invece che con Greys Schrauwen si stesse soltanto riscaldando. I successivi capitoli di Parallel Lives vanno ben oltre, mostrandoci giochi metanarrativi che smascherano e criticano le convenzioni del medium fumetto, arrivando a ribaltarle fino al punto di farle risultare divertenti.

Il gioco di Schrauwen porta a un disvelamento quasi politico: criticare il punto di vista dell’autore, la sua autorità, mostrarne l’arbitrarietà e spesso l’inconsistenza, diventa una critica al potere in quanto tale. Va da sè che questa operazione è tanto rivoluzionaria quanto divertente: ancora in The Scatman il pleonastico didascalismo della voce narrante diventa comico per come riesce a infastidire la protagonista. Ma si ride anche in molte altre parti di questo libro, che è divertente come solo le opere più intelligenti sanno essere. Tra i momenti più esilaranti mi sentirei di annoverare i tentativi disperati di Armand in Hello, che dal 1986 cerca con ogni mezzo necessario di attirare l’attenzione dei telespettatori del futuro tramite la sua invenzione, con un crescendo di frasi ad effetto tra l’aggressivo e il patetico. Quando alla fine una donna gli risponde, la prima cosa che le chiede è di fargli vedere il seno, annunciandole subito dopo di “aver tirato fuori il suo membro per masturbarsi”, cosa che risulta senz’altro primitiva in una terra futura in cui il genere sembra un concetto superato. Oppure pensiamo al trattamento che ricevono i fumetti e non solo in Space Bodies, visti come espressioni di un’umanità primitiva, con un romanzo imprecisato di Bukowski che viene definito un libro “che parla di persone che bevono grosse quantità di bevande alcoliche”. “Il protagonista, chiamato Henry Chinaski – continua l’alter ego di Schrauwen – beve in modo prodigioso. Ci si chiede come riesca ad avere dei rapporti genitali apparentemente ininterrotti senza urinare almeno una volta sui suoi partner”. Il sesso, si capirà, è diventato qualcosa di diverso nel 2200 e passa, in cui la consuetudine non è più il rapporto a due ma piuttosto uno spazio unico in cui tutti i partecipanti sono interconnessi tecnologicamente.

Stilisticamente Schrauwen è un Ware stampato in bassa fedeltà, quindi pieno di imperfezioni, di scarti, di momenti prosaici che Ware non ha: un Ware più umano, si potrebbe dire. A Ware fa sicuramente pensare Mister Yellow, narrazione condensatissima in 140 vignette che era stata appositamente creata per l’antologia Dôme, dove tutti gli artisti avevano a disposizione non più di due pagine. Schrauwen lanciò così una specie di sfida a se stesso, riuscendo a raccontare in quel ridottissimo spazio una storia vera e propria, seppur volutamente assurda, quasi illogica in alcuni passaggi. A Mister Yellow fa da contraltare Space Bodies, creata appositamente per questo volume, 66 pagine in cui lo stile di Schrauwen, pur nella sua tipica essenzialità, diventa per la prima volta arioso, esplodendo in un turbillon di colori che fa da contraltare all’episodio iniziale, creando una sorta di escalation dal bianco e nero al colore più sparato, a tratti psichedelico.

Space Bodies è un visionario episodio – al momento il vertice estetico della carriera di Schrauwen – che sa tanto di Star Trek, con il protagonista voce narrante e (volutamente) ridondante, che insieme a un compagno di spedizione approda sul pianeta Gliese Z39, vi rimane bloccato e arriva al cospetto di una civiltà extraterrestre, dal suo punto di vista la prima mai vista da un essere umano. Ma come fa a essere così sicuro di questo primato il nostro Olivier, che si è risvegliato all’improvviso per un guasto della sua astronave nel XXIII secolo senza avere notizie dell’universo intorno a sè? Semplicemente non gli interessa saperlo, perché è troppo concentrato a interpretare la figura dell’eroe nella storia che racconta ai lettori registrandola grazie a una “omni-cam”. L’Olivier del futuro è un altro rappresentante dell’umanità edonista, superficiale e autoreferenziale raccontata da Schrauwen in questo libro, versione estremizzata e tecnologizzata dell’umanità edonista, superficiale e autoreferenziale di oggi, con i troll dei nostri social network che non si limitano a lasciare commenti ma entrano nella testa delle persone (The Scatman), app capaci di trasformare gli uomini in cartoni animati rendendoli ancora più misogini e insensibili (Cartoonify), metropoli immense in cui la povertà è una realtà davvero alla portata di tutti, se così si può dire (ancora The Scatman). E quando alla fine ci si rende conto di ciò che si è diventati, non si può che rimanere ancora a bocca aperta, come succede al protagonista di Cartoonify, tornato umano e rimasto solo su una panchina, con la donna che l’ha lasciato, e quella lacrima sul viso che è finita dentro in fondo al cuore. C’è anche tristezza in queste pagine, e c’è anche la morte, e quando arriva ci si rimane davvero male. Non mi piace usare definizioni facili o abbondare con l’entusiasmo, ma quel che vi ho detto e molto altro rendono Parallel Lives una delle migliori raccolte di racconti brevi a fumetti che io abbia mai letto.

NOTA: Per approfondire le tematiche di Parallel Lives, vi suggerisco un’interessante conversazione pubblicata su The Comics Journal, da cui sono stati tratti alcuni spunti utili allo sviluppo di questa recensione.

Al via i pre-order di Just Indie Comics

Dopo il Just Indie Comics Buyers Club arriva un’altra iniziativa che sfrutta le logiche del “gruppo d’acquisto” per far arrivare in Italia fumetti ancora più difficili da trovare, poco conosciuti, spesso autoprodotti o comunque pubblicati da piccolissime realtà editoriali. Si tratta dei pre-order di Just Indie Comics, che se tutto va bene troverete di tanto in tanto sul webshop. Il funzionamento è banale ma lo spiego per evitare fraintendimenti: prima di far arrivare questi fumetti dall’estero, sarà disponibile soltanto per qualche giorno una prenotazione (in questo caso fino al 22 gennaio). Finita la scadenza prefissata, verrà fatto l’ordine al fumettista, editore o distributore di turno per il numero di copie che sono state prenotate. Chi ha pre-ordinato questi fumetti li potrà leggere dopo qualche settimana: pagherà prima ma almeno avrà la sicurezza di ricevere albi ancor più rari e spesso più bizzarri di quelli ospitati abitualmente nel webshop. Mi sembra un’iniziativa quasi necessaria nel momento in cui parecchi degli autori che si trovavano all’inizio nel negozio di Just Indie Comics sono ormai stati pubblicati dalle case editrici nord-americane e sono accessibili a tutti, persino su Amazon. Qualcuno è stato addirittura tradotto in italiano. Ecco dunque che bisogna guardare oltre, alla ricerca non della prossima next big thing ma di una diversità stilistica che nasca da un’ispirazione autentica e non dalla semplice voglia di essere “alternativo”.

Si comincia con quattro fumetti provenienti dal sito Domino Books, casa editrice e distro curata dal fumettista/editore/critico Austin English. Della Domino si è parlato qui più volte, anche e soprattutto in occasione del Buyers Club. E infatti due dei fumetti in pre-order sono di autori già noti agli abbonati degli scorsi anni. Di Ian Sundahl, di cui gli abbonati 2017 hanno ricevuto il “best of” The Social Discipline Reader pubblicato proprio da Domino, arriva questa volta Social Discipline #10, nuovo numero della sua fanzine uscito alla fine dello scorso anno. Per qualche parola in più su Sundahl vi rimando a questo post.

Altra autrice di cui ho parlato più volte su Just Indie Comics è E.A. Bethea, il cui Book of Daze, ancora edito da Domino, è stato spedito agli abbonati 2018. La Bethea fa fumetti-non fumetti davvero unici, tanto che si potrebbe parlare di poesia illustrata. Come Sundahl, anche lei è un’artista completamente fuori dal coro, che non ha rapporti con il resto della scena, né un interesse particolare per il medium, scelto semplicemente come mezzo di espressione e piegato alle proprie esigenze. Per saperne di più vi rimando a questo breve focus su Book of Daze e alla rubrica Comics People che le dedicai qualche anno fa sul blog. E vi segnalo anche che qualche giorno fa su The Comics Journal Rob Clough ha recensito le produzioni più recenti della Bethea, tra cui l’autoprodotto All Killer No Filler ora disponibile in pre-order.

Arriviamo così a The Enemy From Within dello stesso Austin English, altra decostruzione espressionista dell’idea di fumetto, con la narrazione astratta tipica delle sue storie (si vedano quelle riunite in Gulag Casual, di cui avevo scritto qui) che lascia spazio a digressioni esistenzialiste nel racconto che dà il titolo all’albo, a mio parere uno dei suoi vertici grafici. Completano l’albetto Half-hearted Slogan Dance, danza in bianco e nero al ritmo di frasi fatte e luoghi comuni, e la mute evoluzioni del protagonista di Solo Dance #2.

Five Perennial Virtues #2 di David Tea è invece un albetto “misterioso” di qualche anno fa ristampato lo scorso anno con contenuti aggiuntivi: per me una delle sorprese migliori del 2018. Ne avevo parlato brevemente in questo report dal Cake di Chicago.

Spero di avervi abbastanza incuriosito, se non vi sono bastati i link potete cliccare su PRE-ORDER per dare un’occhiata a tutti e quattro i fumetti di cui si è parlato sin qui. E vi ricordo che per prenotarli c’è tempo fino al 22 gennaio.

“Art Comic” di Matthew Thurber

(English text)

Matthew Thurber è uno dei fumettisti più geniali, matti, stimolanti, classici, sperimentali e divertenti che ci siano in giro oggi. O forse è l’unico ad assommare tutte queste caratteristiche in un colpo solo. Il suo 1-800-Mice, pubblicato prima in albetti e poi in volume da PictureBox, prendeva le mosse dalla scena di Fort Thunder scegliendo un’ambientazione pseudo-fantasy – ancora la cittadella tanto cara a Brinkman, Chippendale & co. – per rivisitarla con un approccio che ai riferimenti fumettistici univa quelli cinematografici e letterari: primo tra questi Thomas Pynchon, da cui Thurber riprende tra le altre cose l’ossessione per società segrete, sette religiose, cospirazioni e complotti di cui poco o niente può sapere l’uomo comune e dunque anche il lettore. Il successivo Infomaniacs, serializzato stavolta come web-comic e poi in volume ancora per PictureBox, rimane a oggi, nonostante sia del 2013, la più azzeccata riflessione a fumetti sulla nostra esistenza digitale, spiegandoci come internet sia diventato più reale della realtà stessa con uno stile classico – la gran parte delle pagine sono divise in 4 vignette identiche tra loro – senza cercare forzate innovazioni stilistiche che spesso in tanti fumetti tutti uguali di oggi, copiati prima su Tumblr e ora su Instagram dalla copia della copia della copia, sono solo vuota forma e zero sostanza.

La complessità dei fumetti di Thurber è quasi estrema, eppure c’è sempre un momento in cui il personaggio guarda il lettore e fa la domanda più semplice di tutte. In Art Comic, arrivato adesso in un volume a colori per Drawn & Quarterly dopo essere stato parzialmente pubblicato a puntate e in bianco e nero da Swimmers Group tra il 2014 e il 2017, la domanda base posta dal protagonista Cupcake è: “E’ possibile diventare un grande artista senza trasformarsi in uno stronzo?”. Domanda più che legittima, ovviamente, e che rappresenta forse il cuore della vicenda, insieme ad altre questioni non di poco conto, in primis come può l’arte essere rivoluzionaria se collocata in un sistema in cui l’opera arriva a valere anche centinaia di migliaia di dollari e le scuole costano un occhio della testa e sono accessibili solo ai ricchi. O la continua analisi del labile confine tra opera d’arte e “cagata pazzesca”, che parte dal ready-made dadaista, qui definito “a tool of magical wealth generation” capace di trasformare “shit into gold”, per arrivare a Matthew Barney, con cui la satira di Thurber si accanisce quasi a raggiungere il sadismo. Tutte questioni serie che però vengono affrontate di lato, da sopra, da sotto, da dietro, secondo un approccio sghembo, mai noioso anzi sempre divertente. Basti pensare al primo capitolo del libro, in cui come da tradizione Thurber introduce tutti insieme tanti personaggi, molteplici ambientazioni e in questo caso anche più piani temporali, con un’abitudine a procedere per accumulo che sa quasi di scrittura automatica. Nella prima parte di Art Comic facciamo conoscenza di Cupcake, studente della Cooper Union nel 1999 (la scuola d’arte dove ha studiato lo stesso Thurber) e fan a dir poco sfrenato di Matthew Barney, capace di realizzare soltanto opere d’arte con riferimenti all’universo creativo del “maestro”. Tra i suoi colleghi, tutti allievi del losco professor Password, spiccano il promettente russo Boris Snegovoi e Tiffany Clydesdale, artista emergente che realizza soltanto opere a tema religioso. Nel frattempo la troupe del programma televisivo Drunk T.V. e un gruppo di maiali ribattezzatesi Free Little Pigs imperversano all’inaugurazione della mostra di Damien Hirst. E siamo così nel 2014, dove un artista contemporaneo, ex allievo della Cooper 15 anni prima, si fa chiamare Ivanhoe e va in giro a cavallo con tanto di armatura, seguito da uno stagista assunto per una misteriosa missione. Mentre la Tiffany ormai matura del 2014 riesce con una preghiera/opera d’arte a far apparire, ma forse soltanto nella sua testa, un Gesù capace di volare e far piovere soldi dal cielo, a Miami un duo di guardie del corpo al soldo del misterioso Zobchik (un alieno del pianeta Qaxb, come si capirà in seguito) sta portando all’Art Basel due robot intenti ad accoppiarsi con l’obiettivo di mettere incinta la robot-donna in tempo per la fiera. E non è tutto qua, perché appunto siamo solo alla prima parte. Tra le varie situazioni, colpi di scena e trovate che si vedranno nei capitoli seguenti, cito soltanto l’apparizione del Gruppo, una società segreta che attraverso le scuole d’arte boicotta gli artisti emergenti minandone le certezze, guidata da un certo R. Mutt, il cui nome vi suonerà probabilmente familiare…

Insomma, avete capito a questo punto che aria tira in queste pagine e non vi anticipo gli sviluppi della vicenda anche perché farlo sarebbe davvero una faticaccia. Le storyline sono tante e a volte si alternano con stacchi netti, altre confluiscono l’una nell’altra, oppure vengono riprese a distanza di pagine e pagine, vanno in fuga, si incrociano del tutto, solo in parte, per niente, e poco importa se qualcosa rimane in sospeso, poco chiaro, nebuloso, anche perché chi siamo noi per capire tutto della complessità balorda che ci circonda e dei movimenti che sotterranei agiscono sotto le pieghe della storia (dell’arte)? Meglio lasciarsi trasportare storditi dal flusso di idee e dal turbinio di gag che si susseguono senza sosta, mentre ridiamo di gusto davanti alle espressioni ebeti di Cupcake e ci facciamo strada tra i riferimenti ad artisti, gruppi e correnti degli ultimi cento e passa anni, in un sistema di citazioni, special guest e flashback che si intreccia con la narrazione senza mai essere fine a se stesso. Art Comic esce per lo stesso editore e nello stesso anno di Sabrina ma ne rappresenta l’esatto opposto. Dove in Drnaso tutto è regolato da una logica a dir poco maniacale, in Thurber si assiste a un’esplosione di creatività che l’autore non ha alcuna intenzione di tenere a bada, perché ciò che gli interessa è lasciare alla sua creazione una struttura libera, difficilmente catalogabile, che renda il suo libro a fumetti non il solito “libro a fumetti” come tanti altri che si trovano nelle librerie di varia.

Altra curiosità è rappresentata dal finale, che in Thurber è spesso improvviso, quasi tagliato con l’accetta, e mai definitivo, come nella tradizione della letteratura post-moderna. Nella versione in albetti Art Comic finiva con una scena che rimandava per modalità agli epiloghi delle precedenti opere di Thurber: Cupcake, il fan n.1 di Matthew Barney di cui dicevamo sopra, scopre grazie all’incontro con Mr. Colostomy, il cavallo parlante che ricorre in tutti i fumetti dell’autore, il modo di trasformare un water in oro, scoprendo al suo interno i membri del gruppo di arte contemporanea Gelatin, che lo invitano a tuffarsi con loro. Ecco dunque il tuffo di Cupcake nella tazza, come in Trainspotting via l’Atalante di Jean Vigo. Messo in chiusura di Art Comic #5 era sicuramente un finale alla Thurber ma mi era sembrato sin troppo netto anche per lui, tant’è che – vista anche la totale assenza di editoriali in quel comic book, che aveva seconda e terza di copertina totalmente nere quasi a non voler dare indizi – ho passato mesi a chiedermi (mentre facevo anche altro, ovviamente) se la storia fosse davvero finita lì, dato che alcuni fili narrativi rimanevano seriamente irrisolti. E’ stata dunque una piacevole sorpresa trovare nel volume un sesto capitolo di ben 33 pagine, che porta a conclusione o quasi le vicende narrate. Altro inedito sono i “contenuti speciali”, ossia 6 pagine in cui i personaggi e Thurber stesso riflettono su quanto visto e commentano l’opera. Manca invece il bel saggio/editoriale scritto da Thurber per il comic-book #4 sul tema dell’arte e della sua mistificante storicizzazione. Ma sono questi dettagli di poco conto per chi non ha letto ancora Art Comic e, se siete tra questi, vale assolutamente la pena farlo al più presto. Come prevedibile, è in assoluto il mio best of 2018, senza nessun concorrente in grado nemmeno di avvicinarlo.

Just Indie Comics Buyers Club 2019

Debutterà con il #33 dell’antologia lettone š! la quarta edizione del Just Indie Comics Buyers Club, l’abbonamento annuale che permette di ricevere i fumetti del negozio on line di Just Indie Comics. La formula è la stessa degli altri anni ma per chi non la conosce ribadisco quanto già scritto in passato. Chi aderirà entro il prossimo 10 gennaio riceverà uno o due fumetti ogni tre mesi, a seconda della tipologia di abbonamento scelto, e avrà inoltre diritto a uno sconto del 10% su tutto il materiale acquistato dal sito e ai festival nel corso del 2019. La prima spedizione sarà a gennaio, le successive ad aprile, luglio e ottobre. I fumetti saranno per lo più americani, a volte europei, ma sempre e comunque in lingua inglese.

Come avrete capito, esistono due soluzioni per aderire al Just Indie Comics Buyers Club. La prima, quella più economica, costa 45 euro e dà diritto a ricevere un albo a trimestre, spese di spedizione tramite piego di libro ordinario incluse. La seconda, che invece è la versione estesa dell’abbonamento, consentirà di avere in ogni invio due fumetti, per un totale di otto albi annui, e costa 75 euro, con la spedizione sempre inclusa. Se invece della spedizione ordinaria preferite quella tracciata tramite raccomandata, basta segnalarlo al momento del checkout dell’ordine, anche se chiaramente ci sarà un surplus da pagare. Come noterete, c’è un aumento di 5 euro rispetto agli scorsi anni, dovuto ai costi sostenuti per ordinare il materiale spesso da oltreoceano e anche all’esigenza di avere fumetti sempre più belli, rari, corposi e di conseguenza costosi.

Come lo scorso anno, i fumetti della formula Small saranno uguali per tutti e verranno annunciati e presentati sul sito. I sottoscrittori Large avranno lo stesso fumetto degli Small più un altro che potrà variare da abbonato ad abbonato. Potrete trovare degli spillati di piccolo o grande formato, volumi, volumetti, graphic novel, antologie, tabloid e così via, autoprodotti o pubblicati da case editrici indipendenti come Breakdown Press, Retrofit Comics, Revival House Press, Domino Books, O Panda Gordo, Kilgore Books ecc.

Il primo albo che verrà spedito a tutti gli abbonati sarà appunto š! #33, l’antologia lettone formato A6 che i più fedeli lettori e acquirenti di Just Indie Comics già conoscono. Dietro una bella copertina della bravissima Tara Booth e il titolo d’occasione, Misery, si nascondono 164 pagine con contributi di un cast di autori internazionali noti e meno noti, come la stessa Booth, il nostro Andrea De Franco con Alice Fiorelli, Cole Johnson, Tor Brandt, Yan Cong e tanti altri. Il tutto è come ogni uscita un saggio sulle mille possibilità della storia breve a fumetti, una modalità espressiva che spesso qui su Just indie Comics ci piace anche più dei graphic novel e delle saghe interminabili.

Per farvi capire qual è il materiale che vi aspetta se entrerete nel club, ecco il dettaglio dei fumetti inviati nel 2018: Now #1 della Fantagraphics, Book of Daze di E.A. Bethea, Roopert di August Lipp, Cobra II di Teddy Goldenberg, Blammo #9 di Noah Van Sciver, Twilight of the Bat di Josh Simmons e Patrick Keck, š! #26 dADa, Mary di Lale Westvind, Sporgo #1 di Laura Pallmall, Tintering di Conor Stechschulte, Of Course di Cole Johnson, Steam Clean di Laura Kenins, Our Mother di Luke Howard, š! #30 Brooklyn, It’s You Beautiful and Sad di Fifi Martinez, After School Special di Dave Kiersh, Blue Onion di Chris Cilla, No Mouth’s The Hum di Gore Krout, Lovers in the Garden di Anya Davidson, š! #31 Visitors, Escape to the Unfinished di Dash Shaw, Dark Tomato di Sakura Maku, Now #2, September 12th di Robert Sergel.

Ultima cosa, quest’anno il Just Indie Comics Buyers Club contribuisce alle attività dell’Associazione Culturale Empty Fridge, fondata da me e Serena Dovì. Abbonandovi sosterrete le nostre iniziative, che per il 2019 prevedono pubblicazioni, mostre, presentazioni e speriamo tanto altro.

Qui sotto trovate i link per abbonarvi. Ripeto, se vi interessa affrettatevi perché sarà possibile aderire SOLTANTO FINO AL 10/01/2019. L’offerta con queste modalità è valida per i soli residenti in Italia, se invece siete residenti all’estero e siete interessati potete contattarci a justindiecomics [at] gmail [dot] com e vedremo cosa si può fare.

JUST INDIE COMICS BUYERS CLUB LARGE

JUST INDIE COMICS BUYERS CLUB SMALL

“Benemerenze di Satana” di Marco Corona

Dopo un decennio – e la pubblicazione a puntate su Blue, Canicola, Lo Straniero – arriva in volume Benemerenze di Satana di Marco Corona, opera dimenticata dell’autore di Bestiario padano e Krazy Kahlo, che sembrava destinata all’oblio come il libro da cui è tratta. Ci ha pensato Hollow Press a ripescare questo adattamento dell’omonimo diario di Domenico Vaiti, trovato dal fumettista piemontese al mercatino romano di Emmaus nell’edizione Marsilio del 1974. Un’iniziativa editoriale senz’altro singolare per la casa editrice di Michele Nitri, abituata a percorrere i dungeon e le lande desolate del dark weird fantasy più che gli spazi interiori: eppure il fantastico non manca in queste pagine, con le divagazioni della psiche dell’autore che assumono forme immaginifiche generando mostri più inquietanti che orribili.

Domenico Vaiti era un riservato impiegato della pubblica amministrazione che nelle notti insonni si trasformava, come lo definisce Corona in una delle tavole scartate che arricchiscono il volume, in un “graforroico pazzo”. Il suo diario era un modo per vincere questa “pazzia”, perché le sue riflessioni e le sue angosce sono anche drammaticamente umane. Vaiti le spinge oltre i confini del comune buon senso, andando a parare nei territori della paranoia, della misoginia, della misantropia e finendo per cercare una dimensione trascendente a quella del reale in un processo che diventa appunto fantastico, visionario, a tratti delirante. Si definisce un ermafrodita psichico per intendere bisessuale, anche se in una sequenza ritiene di essere posseduto al punto da convincersi che gli stia crescendo il seno. Le sue pulsioni, ripetute in modo ossessivo, sono sicuramente più per le donne che per gli uomini, soprattutto per quelle in carne, dai 90 kg in su ci tiene a specificare, qui rappresentate con un tratteggio à la Crumb. Quando si accompagna alla magrissima L., questa volta disegnata con linea spessa e spigolosa, la disprezza al punto da insultarla utilizzando coloritissime espressioni di scherno: non si capisce bene perché la frequenti e forse l’unico motivo è perché disprezza se stesso. Anche la causa della sua insonnia è attribuita alla “strega”, probabilmente una prostituta, colpevole di averlo chiamato “frocio impotente” dopo che non era riuscito ad avere un rapporto con lei. E l’episodio fu così rilevante per lo scrittore che Corona gli dedica la pagina iniziale, in apertura di volume.

L’adattamento ha il merito di non fermarsi agli aspetti più coloriti del personaggio per spettacolarizzarne la “stranezza”, cosa che sarebbe stata facile se non scontata, ma di guardare oltre. Innanzitutto c’è uno sguardo esaustivo alla biografia di Vaiti, da cui emerge una figura piena di contraddizioni, ai limiti della schizofrenia, con un dualismo che torna in ogni ambito: dimensione privata vs. dimensione pubblica, ermafroditismo psichico, ambivalenza politica e infine una visione del mondo che al Bene oppone il Male, considerato come parte della vita e pertanto “benemerito seme di sviluppi” (da qui il titolo Benemerenze di Satana). C’è poi una visione completa della filosofia dell’autore, che utilizza il suo diario come una terapia, non fermandosi alla rappresentazione del quotidiano ma cercando una spiegazione alla sua condizione attraverso gli strumenti della psicologia e della teologia, quest’ultima sviluppata sotto forma di un panteismo che niente ha a che vedere con il cattolicesimo (tanto da arrivare a insultare il Dio cristiano in persona in una delle tavole più potenti del volume).

In quanto allo stile della rappresentazione, Benemerenze di Satana conferma Marco Corona come autore poliedrico, se non schizofrenico a sua volta. Il libro inizia con un tratteggio leggero che diventa via via più intenso, prosegue con una galleria di volti femminili che ricordano Muñoz, si avventura nel colore con tecniche diverse, alterna tavole dove il bianco la fa da padrone ad altre barocche, gioca con le ombre come un film espressionista, fa seguire capitoli con pagine strutturate su una griglia di vignette da altri costruiti solo su splash page. Alla presentazione a Roma, in occasione del Just Indie Comics Fest, sollecitato su questo aspetto Corona ha sottolineato di non avere uno stile definito ma di scegliere l’approccio a seconda dell’opera e che in questo caso la varietà di soluzioni gli è venuta spontanea.

Sempre in occasione dell’incontro dello scorso 20 ottobre, ho chiesto all’autore una curiosità sul finale, in cui Vaiti scompare dalla scena e lascia spazio a Corona in giro per Roma in motorino. Pensavo che la sequenza suggerisse un parallelo tra i due e di conseguenza tra Vaiti e tutti noi, quasi a sottolinearne l’umanità e la solitudine. Ma Corona ha piuttosto spiegato che in quelle ultime pagine ha voluto rappresentare se stesso in fuga da Vaiti, in fuga cioè da un mondo – mentale e proprio per questo estremamente coinvolgente – di cui era ormai stanco e di cui si doveva in qualche modo liberare. E se l’autore nel frattempo ne è uscito, adesso tocca a noi lettori entrarci dentro e lasciarci coinvolgere e sconvolgere, perché Benemerenze di Satana è un libro aspro, sfaccettato, intenso, potente e complesso: un libro che, pur nella rappresentazione di un personaggio a suo modo estremo, riesce a porre questioni sulla vita e sull’arte, come solo pochi fumetti sanno fare davvero.

P.s. Ulteriore merito ad Hollow Press per aver dato alle stampe anche un’edizione inglese del volume, con la traduzione di Valerio Stivè.

Just Indie Comics Fest 2 a Roma

Torna a Roma dal 19 al 21 ottobre il Just Indie Comics Fest, rassegna di fumetto underground e non solo, che quest’anno vedrà protagonista Spugna con una mostra di illustrazioni e tavole originali tratte da Una brutta storia, The Rust Kingdom e Rubens. Il luogo è lo stesso della passata edizione, lo Studio Co-Co in via Ruggero d’Altavilla 10, dove per tre giorni ci saranno anche il bookshop di Just Indie Comics, presentazioni, musica e altro ancora.

La scelta di dedicare una personale a Spugna, già ospite di Just Indie Comics all’Arf, è stata facile e quasi scontata: il suo The Rust Kingdom è finito nel mio Best Of 2017 e il suo stile affilato e già maturo è un tesoro prezioso nel panorama fumettistico italiano. L’autore presenterà per la prima volta a Roma il nuovo Gnomicide, fatto uscire da Hollow Press in occasione del Treviso Comic Book Festival a settembre.

A fare compagnia a Spugna nell’incontro con i lettori, sabato 20 ottobre alle 19, ci sarà un ospite d’eccezione come Marco Corona, che sempre per Hollow ha di recente pubblicato Benemerenze di Satana, adattamento a fumetti del misconosciuto diario in cui il “graforroico pazzo” Domenico Vaiti discetta senza freni inibitori di ermafroditismo, religione e fantasie sessuali.

Ancora sabato pomeriggio, in apertura di giornata alle ore 18, Vitt Moretta presenterà Il tramonto del Sea Breeze, il suo corposo graphic novel d’esordio edito da Coconino Press e appena uscito in libreria, tra il fumetto d’avventura classico e i migliori cartoonist americani di oggi.

 

La domenica vedrà invece ospiti Valerio Bindi e Bambi Kramer, che porteranno al festival le ultime uscite Fortepressa, con uno sguardo ai paesi fuori dalle tradizionali geografie del fumetto. Si parlerà in particolare dell’antologia africana This Life del Kollektivo Illuminoso Fresco e di Cosmografie, debutto in lingua italiana di uno dei più brillanti autori europei contemporanei, il finlandese Tommi Musturi. Il volume, di cui anticipiamo la cover qui sotto, sarà disponibile al festival in anteprima italiana. E sempre per guardare oltre i soliti confini verrà dato spazio a tutto il catalogo O Panda Gordo, etichetta portoghese con base a Glasgow di cui ho già scritto in questo post.

L’immancabile spazio dedicato al fumetto statunitense dedicherà un approfondimento ai fumetti di Josh Simmons, in particolare Black River edito da 001 EdizioniFlayed Corpse and Other Stories, volume pubblicato da Fantagraphics denso di racconti orrorifici e geniali, tra cui il bootleg di Batman Twilight of the Bat (ne avevo parlato qui).

Al Just Indie Comics Fest ci saranno i Cristoforo Coglione con uno scoppiettante live set, il bookshop con tutto il catalogo Hollow Press e tanti fumetti internazionali, le stampe firmate di Spugna e altro ancora. Sarà inoltre possibile acquistare alcune tavole originali di The Rust Kingdom.

Il festival è organizzato da Just Indie Comics, dallo Studio Co-Co e dall’Associazione Culturale Empty Fridge, di cui Just Indie Comics fa parte ormai da qualche mese. Se siete scettici e prima di venire volete farvi un’idea di come sarà il festival, potete dare un’occhiata a questo reportage della passata edizione. Di seguito il programma, in costante aggiornamento sull’evento Facebook, che vi invito a seguire per rimanere sul pezzo. E, ovviamente, vi aspettiamo il prossimo weekend.

Venerdì 19 ottobre

ore 18.30 apertura bookshop e inaugurazione mostra di Spugna con aperitivo e DJ set

Sabato 20 ottobre

ore 16 apertura mostra e bookshop

• ore 18 incontro con Vitt Moretta per la presentazione de Il tramonto del Sea Breeze edito da Coconino Press

ore 19 incontro con Spugna e Marco Corona
Presentazione di
Gnomicide – A Rust Kingdom Tale di Spugna e di Benemerenze di Satana di Marco Corona pubblicati da Hollow Press, con uno sguardo a tutta la produzione della casa editrice

a seguire: Cristoforo Coglione live
(Giacomo Orondini & Stefano Di Trapani)

Domenica 21 ottobre

ore 16 apertura mostra e bookshop

ore 18.30 Just Indie Comics presenta:

Black River e Flayed Corpse and Other Stories di Josh Simmons, i fumetti di O Panda Gordo

ore 19 incontro con Valerio Bindi e Bambi Kramer per la presentazione di This Life del Kollektivo Illuminoso Fresco e di Cosmografie di Tommi Musturi editi da Fortepressa

JICBC pt. 4: “Cobra II” di Teddy Goldenberg

La prassi di rielaborare tendenze stilistiche e temi degli anni ’80 è ormai diffusissima nel fumetto statunitense, basti pensare all’operazione All Time Comics coordinata da Josh Bayer, a fumetti come Night Business di Benjamin Marra, alla rilettura storica di Ed Piskor in Hip Hop Family Tree e X-Men Grand Design. E gli esempi non finiscono qui, anche perché il discorso potrebbe benissimo ampliarsi ai ’90 di Image-memoria. Non stupisce dunque che questa moda, se così vogliamo chiamarla, sia arrivata anche in paesi fuori dalle geografie abituali del fumetto. Parliamo in questo caso di Israele, da dove proviene Cobra II, una nuova autoproduzione che è riuscita, grazie ai potenti mezzi della rete, ad arrivare fino ai nostri italici occhi, diventando così la quarta e conclusiva protagonista del Just Indie Comics Buyers Club 2018.

A realizzare questo albetto brossurato di 36 pagine a colori è Teddy Goldenberg, autore che vanta una bibliografia piuttosto ampia anche se per lo più in lingua ebraica. Cobra II è invece in inglese ed è, come alcuni di voi avranno già immaginato dalla copertina, il seguito del film con Sylvester Stallone datato 1986. In una Los Angeles violenta, dove stupri e omicidi sono all’ordine del giorno, il tenente Marion “Cobra” Cobretti se la deve vedere con una creatura che uccide a colpi di artigli e con lo scetticismo dei suoi superiori. Ma le difficoltà riscontrate a causa dei suoi metodi poco ortodossi non gli impediscono di farsi strada tra gangster e malviventi balordi per iniziare una vera e propria caccia al mostro… Di più non vi anticipo per non rovinarvi il piacere della lettura, anche perché la storia non si conclude in queste pagine ma proseguirà nel secondo atto.

Gli abbonati Small riceveranno via posta nei prossimi giorni Cobra II, mentre chi ha scelto l’abbonamento Large troverà insieme al fumetto di Goldenberg anche un altro albo, sempre in lingua inglese e sempre di piccole realtà editoriali indipendenti internazionali. Cobra II chiude l’edizione 2018 del Buyers Club, che ha proposto finora come albi “uguali per tutti” il primo numero dell’antologia Now della Fantagraphics, Book of Daze di E.A. Bethea e Roopert di August Lipp. Il Buyers Club ritornerà come da tradizione nel 2019, con le prime sottoscrizioni già disponibili prima di Natale.

La fine dei Cocktails

Ok, niente panico: il titolo non si riferisce alla fine dei cocktail in quanto tali, magari per qualche bizzarra iniziativa di uno dei nostri baldi parlamentari, ma alla conclusione della tetralogia a fumetti curata dai romani di Studio Pilar. Iniziata nel 2014 con Pre-Dinner, proseguita con After-Dinner e Anytime, la serie di albi antologici arriva adesso ai Long Drink, con quella che è inevitabilmente l’uscita più “lunga” del lotto, ben 128 pagine in italiano e inglese con la partecipazione di artisti internazionali. Un libro che si preannuncia ricchissimo di idee, colori e sensazioni e che mette in dubbio la teoria (mia) che un cocktail meno ingredienti ha e più buono è. In queste pagine di ingredienti ce ne sono tantissimi ma non si ha mai l’idea di dover ingurgitare un intruglio a causa di un’ordinazione azzardata.

Tra classici come un Gin Tonic, un Cuba Libre e l’intramontabile Americano e drink più sperimentali come l’Hurricane e il Blue Lagoon, si muovono i quattro illustratori di Studio Pilar (Giulio Castagnaro, Andrea Chronopoulos, Andrea Mongia, Giulia Tomai) e una schiera di altri artisti che vale la pena di citare uno a uno, in ordine di apparizione: Óscar Raña, Gio Pastori, Zane Zlemeša, Matteo Berton, Karl-Joel Larsson, Raúl Soria, Anne-Margot Ramstein, Andrés Magán, Zebu, Elisa Macellari, Viola Niccolai, Ariel Davis, Alice Wietzel e Tommi Musturi. La copertina è di Jing Wei, mentre l’introduzione di Valerio Coletta e Marco D’Ottavi fa il punto con piglio scientifico sulle cose che si possono fare mentre si beve un long drink, come assistere alla registrazione della partita di tennis tra John Isner e Nicolas Mahut (finita 70/68 al quinto set dopo 11 ore e 5 minuti) o guardare il film Satantango del regista ungherese Béla Tarr (435 minuti).

Al di là di questi ben più ingombranti impegni, per il momento ci possiamo leggere l’antologia, che sarà disponibile in anteprima al prossimo Treviso Comic Book Festival (29-30 settembre). Per il momento, bevetevi queste immagini in anteprima.

Giulio Castagnaro

Óscar Raña

Giulia Tomai

Gio Pastori

Zane Zlemeša

Matteo Berton

Karl-Joel Larsson

Raúl Soria

Anne-Margot Ramstein

Andrés Magán

Zebu

Elisa Macellari

Viola Niccolai

Andrea Mongia

Ariel Davis

Andrea Chronopoulos

Alice Wietzel

Tommi Musturi

Le sette storie di O Panda Gordo

Cosa hanno in comune il Portogallo e la Scozia? Sì, di sicuro le scogliere e magari anche il clima ventoso di alcune parti esposte alle intemperie dell’oceano. E forse anche molto altro ancora, ma dopotutto io che ne so, questo non è mica Turisti per Caso. Se però devo dirvi cosa accomuna questi due paesi nel modesto ambito del fumetto, la prima cosa che mi viene in mente è O Panda Gordo. Nato nel 2011 in Portogallo, il progetto ideato e curato da João Sobral si è spostato in quel di Glasgow dal 2014. Le sue attività si dividono più o meno equamente tra pubblicazioni di artisti emergenti, collaborazioni editoriali, la cura dell’antologia Seven Stories e una distribuzione di fumetti che ha più di qualche similitudine con il webshop di Just Indie Comics.

Era dunque scontato che prima o poi nascesse un asse Italia-Scozia e infatti da qualche mese alcuni titoli O Panda Gordo sono disponibili anche da noi attraverso la distribuzione collegata a questo sito. Mi è sembrato così doveroso, pur con i soliti tempi sudamericani più che scozzesi, riportare la notizia e al tempo stesso presentare brevemente alcuni degli albi – sette, guarda caso – tra quelli che mi ha inviato João.

Seven Stories #1 e #2 – E sette sono infatti le storie dell’antologia manifesto di O Panda Gordo, in cui Sobral si riserva il ruolo di editor. Non si tratta di una rivista come tante altre, perché come suggerisce il titolo gli albi in questione si dedicano a sviluppare i conflitti che secondo lo scrittore Arthur Quiller-Couch sono alla base di ogni possibile storia: Uomo contro Uomo, Uomo contro Natura, Uomo contro Se Stesso, Uomo contro Dio, Uomo contro Società, Uomo preso nel mezzo, Uomo e Donna. L’idea di base, più che un pretesto o un gioco, è un modo per affrontare temi primari e scegliere di conseguenza fumettisti dotati di uno stile essenziale e crudo, stimolandoli ulteriormente a guardare oltre il figurativismo, tanto da raggiungere spesso l’astrazione. Le uniche eccezioni sono quelle di Teresa Ferreiro e, in parte, di Marie Weber, che firmano i contributi più tradizionali. Per il resto ciò che si cerca qui è un “bad drawing” che possa essere espressione di istinti ed emozioni profonde, come spiega lo stesso Sobral nell’introduzione al secondo numero dell’antologia, manifesto editoriale e anche di vita. Venendo ai contenuti, i due numeri presentato una notevole coerenza interna ma anche la tipica alternanza delle antologie autoprodotte tra contributi riusciti e altri più involuti, con la notevole partecipazione di Amanda Baeza nella prima occasione e un bel risultato complessivo nella seconda, dove si distinguono il primitivismo di Bruno Borges, l’outsider art di Nick Norman, le figure femminili corpose e scomposte di Giana Ganassin. Ma a giustificare il prezzo del biglietto sono soprattutto la coesione e la profondità del progetto, accompagnati per altro da una cura editoriale e da un confezionamento davvero notevoli.

Nick Norman da “Seven Stories” #2

Living Room di Chris Kohler – Il mio fumetto preferito tra quelli fatti uscire finora da O Panda Gordo viene da Glasgow ed è a firma di Chris Kohler. Living Room si è aggiudicato il secondo posto nella Comics Workbook Composition Competition del 2017, un concorso che invita i partecipanti a realizzare un racconto di 14 pagine utilizzando una griglia fissa strutturata su tre linee orizzontali, la prima e la terza suddivise in due vignette e quella centrale che invece può averne una o due. Kohler sfrutta queste regole al meglio, utilizzando le costrizioni formali per riproporre a distanza di qualche pagina frasi e situazioni apparentemente identiche ma in realtà inserite in un’ottica tutta nuova, facendo diventare la ripetizione in un nuovo contesto espressione di cambiamento. Una coppia lavora da anni in un grande magazzino stile Ikea ma a un certo punto gli affari cominciano ad andare male, tanto che dai vertici dell’azienda non arrivano nemmeno più le indicazioni su come montare i mobili e allestire gli ambienti. Il capo però è ostinatissimo e inizia a disegnare le istruzioni a mano, continuando l’attività anche nel momento del tracollo. E alla fine mostrerà un’umanità non certo comune nei confronti dei suoi ormai ex dipendenti… Non vi anticipo altro per non rovinarvi gli sviluppi di una piccola storia che con lievità riesce a toccare temi importanti come le relazioni umane e il passare del tempo, inserendo il tutto in un contesto di crisi economica che sarà familiare a più di qualcuno. Caratterizzato da una narrazione limpida e una linea pulita, Living Room è l’albo più convenzionale tra quelli del lotto, ma è talmente ben fatto da risultare un piccolo gioiello.

No Mouth’s The Hum di Gore Krout – Questo promette di essere il primo numero di una serie a firma Gore Krout, misterioso autore qui al debutto. Ma dal canto mio sarebbe bello se tutto finisse così e sinceramente ho anche il presentimento che la narrazione seriale promessa nella descrizione di questo albetto di 20 pagine uscito nell’ottobre 2017 sia in realtà una boutade. No Mouth’s The Hum è infatti uno di quei fumetti che hanno la loro forza nell’essenzialità dell’idea che ne sta alla base e nella lucidità con cui essa viene portata a termine. Un tizio vestito di nero cammina in un deserto bianchissimo mettendo subito in chiaro che sì, lo chiamano “senza bocca” ma a lui non sembra giusto essere definito per qualcosa che non ha. E infatti lui preferisce farsi chiamare “naso a due occhi”. Poi alla fine arriva pure il “brusio” del titolo e il fumetto finisce. Perfetto, sintetico, nichilista, forse demenziale ma d’altronde non si può certo dire che l’albo non mantenga le promesse. La composizione è tutt’altra cosa rispetto al precedente Living Room, se là c’era una struttura predefinita qui Krout lavora con libertà estrema e sempre a tutta pagina, con un approccio da albo illustrato più che da fumetto classico. I disegni sono a dir poco scarni, esaltandosi nella rappresentazione dell’edificio razionalista a cui il protagonista arriva nel finale.

Spare Me di Disa Wallander – Altro esempio di cartooning coeso e autoconsapevole è quello di Disa Wallander, che in questo albo di grande (anzi direi lungo) formato uscito nell’agosto 2017 continua il suo percorso creativo. L’alternanza tra foto ritoccate dall’autrice e disegno a matita stilizzato ai limiti dello schizzo caratterizzava già il precedente Help Yourself, pubblicato da Perfectly Acceptable Press di Chicago nel 2016, ma qui il ping pong stilistico avviene all’interno della stessa pagina. Le tavole sono infatti divise in due sezioni: la prima, ben più ampia per dimensioni (più o meno 1/5 del totale), è occupata per lo più da foto ritoccate in digitale, cui si aggiungono di volta in volta testi e illustrazioni, mentre la seconda è un semplice disegno a matita su sfondo bianco accompagnato da una breve frase. All’alternanza stilistica corrisponde una dicotomia concettuale tra natura e uomo, con le immagini di piante e paesaggi della parte superiore che si oppongono ai personaggi in fuga della striscia inferiore, impegnati a correre per sfuggire ai loro demoni interiori o, più prosaicamente, per non farsi raggiungere dalle e-mail. E anche la parte più visivamente suggestiva ha spesso un elemento decadente, tanto da comunicare una visione negativa dell’esistenza umana contemporanea, capace di andare quasi sempre contro la natura, rovinandone la bellezza. Pagina dopo pagina non può che venire un certo senso di angoscia, anche se nel finale un raggio di sole lascia un po’ di speranza.

Money Worries #1 e Graite Stuff #1 di João Sobral – Concludiamo questa rassegna con lo stesso Sobral, a sua volta autore di fumetti che non mirano a sviluppare delle storie, preferendo lavorare sui concetti. I due titoli in questione presentano in realtà scelte diametralmente opposte. Money Worries è infatti un saggio sull’ossessione per il denaro raccontato con stile geometrico e una suddivisione della pagina estremamente schematica. La copertina, in gran parte occupata dal testo, definisce subito i toni del discorso: “Il denaro è qualcosa che puoi scambiare per le cose che vuoi o di cui hai bisogno, come cibo, libri o giocattoli. Per guadagnarlo, devi trovare qualcosa da fare (lavoro). Ma deve essere qualcosa di abbastanza utile e importante per essere chiamato un lavoro. Le persone che hanno il potere di decidere se qualcosa è utile o no sono quelle veramente ricche, che vogliono diventare ancora più ricche. E quindi le cose considerate utili sono quelle che possono rendere i ricchi ancora più ricchi”. A partire da queste premesse marxiste si seguono i movimenti di un personaggio che pensa sempre al denaro, prima di andare a letto, appena sveglio e anche nei sogni, fino a sviluppare un’etica del lavoro di certo non facile da seguire ai giorni nostri. Per niente peregrino, Money Worries è un’altra conferma che i fumetti di O Panda Gordo, pur con un approccio il più delle volte sperimentale, riescono di tanto in tanto a guardare dritta in faccia la realtà quotidiana e a indagare le scelte – artistiche, etiche e politiche – che ci troviamo a fare.

Graite Stuff fa invece interagire due personaggi – uno fin troppo entusiasta, l’altro ben più pragmatico – in un contesto totalmente astratto e utilizza una maggiore libertà stilistica. Un tizio che si guadagna da vivere assemblando collane fa cadere delle pietre in terra. L’altro si sveglia a causa del rumore, saluta i lettori, augura buon anno a tutti e tenta di fare amicizia con l’imprenditore (così si definisce) che però non se lo fila. In mezzo, due pagine su sfondo nero che fungono da commento alla storia, come un coro greco. L’ironia la fa qui da padrona, come d’altronde l’amore per un fumetto non convenzionale capace sempre di essere ricerca, stimolando il lettore con scelte formali di volta in volta diverse. Particolarmente da apprezzare sono le prime tre pagine, in cui il corpo dei due personaggi viene tagliato e scomposto con spirito cubista dalla suddivisione tra le vignette. Nel complesso si tratta di due albi brevi (rispettivamente 18 e 16 pagine) ma che colpiscono per la loro semplicità estetica e di intenti.